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  1. #51
    SENATORE di POL
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    dal Corriere della Sera del 9 settembre 2006


    " «La nostra libertà in mano ai futuri carnefici»

    di Magdi Allam



    Ha indubbiamente ragione chi sostiene che oggi il mondo è meno sicuro rispetto alla vigilia dell'11 settembre. E' un fatto oggettivo che, cinque anni dopo, sono aumentati gli attentati, i Paesi colpiti e le vittime del terrorismo. Così come è vero che tale deterioramento è la conseguenza dell'atteggiamento prevalentemente militarista finora assunto dai governi occidentali e musulmani nei confronti di Al Qaeda, degli Stati canaglia e dell'estremismo islamico. Ebbene l'errore di fondo è la paura — per ignoranza, ingenuità, viltà, cinismo politico o collusione ideologica — di affrontare la radice del male: la «fabbrica del terrore» che trasforma le persone in robot della morte e che ha ormai messo radici ovunque nel mondo.
    Oggi rassomigliamo a un novello Don Chisciotte che rincorre le punte dell'iceberg quando emergono, anziché confrontarsi con la realtà dell'iceberg che ingloba una catena di montaggio che, partendo dalla predicazione violenta promossa da moschee, televisioni, siti Internet e altri media radicali, pratica un letale lavaggio del cervello inculcando la fede nel cosiddetto «martirio» islamico. Senza comprendere che il terrorismo è soltanto il sintomo più deleterio di un'ideologia dell'odio che ci ha a tal punto pervaso e avvelenato da produrre ormai terroristi suicidi con cittadinanza occidentale anche tra gli autoctoni convertiti all'islam. E che al contempo ha permesso agli estremisti islamici di consolidare il loro potere in diverse parti del mondo, monopolizzando il controllo delle moschee, di istituti scolastici, giuridici, finanziari e sociali, trasformandosi in uno stato nello stato.
    Ebbene questa ideologia dell'odio è preesistente all'11 settembre.
    Probabilmente è connaturata alla realtà storica dell'islam che non riconosce e non rispetta la pluralità che fisiologicamente lo contraddistingue come religione basata sul rapporto diretto tra il fedele e Dio e, ancor più, come comunità di fedeli distribuiti ovunque nel mondo con differenze talvolta significative tra un Paese e l'altro. Certamente essa si alimenta del rifiuto pregiudiziale di Israele, dell'ostilità politica all'America e della condanna della civiltà occidentale. In questo contesto il più clamoroso attacco terroristico al cuore della superpotenza mondiale ha rappresentato l'apice di un processo di crescita del potere degli estremisti islamici, iniziato all'indomani della sconfitta degli eserciti arabi nella guerra del giugno 1967. Ma è necessario ricordarsi che il terrorismo islamico era più che virulento anche prima (basti pensare ai 150 mila algerini massacrati dal Gia e dal Gspc negli anni Novanta), e che è stato del tutto illusorio credere che dopo l'11 settembre sarebbe iniziata automaticamente la china discendente.Sicuramente l'Occidente, in particolar modo gli Stati Uniti, ha commesso clamorosi errori nella lotta al terrorismo. Ma sbaglia assai chi afferma che si stava meglio, ad esempio nell'Iraq di Saddam o nell'Afghanistan dei taliban prima dell'11 settembre, così come si illude non meno chi immagina un mondo più sicuro qualora lasciassimo i musulmani al loro destino. Pensate forse che se gli americani si ritirassero dall'Iraq, dall'Afghanistan e dall'insieme dei Paesi arabi del Golfo, oppure se gli israeliani si ritirassero da tutti i territori palestinesi, siriani e libanesi occupati, il Medio Oriente sarebbe più stabile e prospero e tutti noi saremmo più sicuri e in pace?
    La risposta è no. Per una ragione semplicissima: questo terrorismo islamico globalizzato non è reattivo ma aggressivo. Eppure l'Occidente sembra non vedere e non capire, accecato e obnubilato da una cappa di mistificazione della realtà. Che lo porta a mettere sullo stesso piano Bush e Bin Laden, Olmert e Ahmadinejad. Finendo per immaginare di poter sconfiggere Bin Laden, la punta dell'iceberg, alleandosi con i Fratelli musulmani, Hamas, Hezbollah, Siria e Iran, ovvero l'iceberg. La tragedia, a cinque anni dall'11 settembre, è che per salvare la pelle oggi, stiamo consegnando i nostri valori e civiltà, la nostra vita e libertà, ai nostri futuri carnefici."



    Saluti liberali

  2. #52
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    dal quotidiano LIBERO di oggi....

    "«Se accettiamo il ricatto ci imporranno la sharia»


    Parla lo storico Daniel Pipes: «Subire la censura su Maometto significa lasciarsi imbavagliare. L'Occidente deve difendere la libertà di parola»

    Il 2 settembre, Al Qaeda aveva invitato lo storico Daniel Pipes, direttore del Middle East Quarterly e del Middle East Forum, di Philadelphia, a «voltare la propria spada contro i nemici dell'islam» convertendosi alla religione di Maometto. Così, si sarebbero tolti di mezzo un avversario del fondamentalismo, uno studioso scomodo, che però, a dispetto dei desideri di Bin Laden, continua ad avvertirci del pericolo islamico, soprattutto all'interno delle società occidentali. Un'imminente lettera del presidente iraniano Ahmadinejad al Papa sarebbe, secondo il Sunday Times, all'origine della lezione di Ratisbona. Pensa che la "mossa" di Benedetto XVI sia stata studiata per contrastare un'offensiva culturale sciita o si tratta soltanto di voci all'interno del Vaticano? «Non sono un esperto di cose vaticane, ma propendo a credere che, se è vero, si tratti di una questione secondaria. Attualmente, l'argomento principale è un altro: la nostra sottomissione alla sharia». Certo. Nel suo ultimo editoriale lei cita un tentativo di imporre la legge islamica all'Occidente. Si può aggiungere anche la Santa Sede, da ora, tra gli obiettivi? Cioè prevede che, se ci inginocchiamo di fronte alle pretese di scuse dei musulmani, diventeremo dhimmi, cioè sottomessi a loro? «È come nella vicenda delle caricature di Maometto. Se non fossero state pubblicate, come avremmo potuto capire la loro posizione? E se i musulmani qui in Occidente non potessero dire ogni sorta di cose sul cristianesimo, non si potrebbe capire la loro sensibilità. Anche se le vignette erano molto più "forti" della dichiarazione religiosa che è venuta dal Vaticano, rimane comunque il fatto che i Paesi musulmani perseguono una politica secondo la quale loro possono agire come vogliono e noi non possiamo fare nulla». Vede un'analogia tra le proteste causate dalle vignette danesi e quelle contro il Papa? In fondo, Al Jazeera ha dato la notizia con due giorni di ritardo. E anche in Danimarca si partì a scoppio ritardato... «Non credo che sia stato pianificato come in Danimarca, dove le proteste partirono alcuni mesi dopo la pubblicazione, con il tour dell'imam Abu Laban nei Paesi arabi. Ma la qualità della reazione è la stessa a cui abbiamo assistito nel 1989 con il caso di Salman Rushdie, nel 1997 quando la Corte Suprema statunitense rifiutò di censurare una rappresentazione teatrale su Maometto, nel 2002 quando il pastore evangelico Jerry Falwell definì Maometto un terrorista e nel febbraio 2006, con le vignette danesi. In una parola, le condanne e la violenza anno uno scopo: proibire ogni critica all'islam». Ma il contrario non è tollerato. Lei ha potuto notare qualcosa, nel discorso del Papa a Regensburg, che potesse suonare offensivo nei confronti dei musulmani? «Certamente l'islam non si esaurisce in quella descrizione molto negativa. Ma c'è libertà di parola, anche se non è la chiave principale della vicenda, che riguarda invece l'abilità dei musulmani di imporre le norme islamiche all'Occidente. Comunque, anche se io non sono d'accordo con il Papa, di principio non importa condividere o no qualcosa che chiunque ha il diritto di dire. ». Come le è sembrato l'atteggiamento dei governanti e degli opinion leader occidentali? Molti hanno difeso il Papa, ma non si sono certo spinti troppo in là... «Il cancelliere tedesco Angela Merkel e anche il presidente francese Jacques Chirac lo hanno difeso più di quanto mi sarei atteso». Chirac, in realtà è sembrato prendere un po' le distanze da Benedetto XVI e ha invitato tutti ad «evitare di incoraggiare le tensioni tra popoli e tra religioni»... «Ma anche chi è in disaccordo con il Papa non ha detto che ha sbagliato. E comunque la questione rimane sempre: possiamo o non possiamo pronunciarci sulla sharia, l'islam, l'islam radicale, Maometto? E, se la risposta è che non possiamo, allora siamo davvero sulla strada che ci condurrà verso l'imposizione della sharia. Accettandone il primo principio della legge islamica, saremo costretti a subire anche quelli successivi».
    "

    Saluti liberali

  3. #53
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    Da L'OPINIONE del 19 dicembre 2006:

    «Come porre fine al terrorismo islamico»

    Daniel Pipes


    Un'efficace strategia di controterrorismo deve focalizzarsi sul fatto che il terrorismo perpetrato dai musulmani in nome dell'Islam rappresenta oggi la minaccia strategica per i popoli civili, che siano musulmani o meno. A un livello più basso, questa minaccia coinvolge dei singoli individui colti da un'improvvisa sindrome da “jihad instinct” che in modo inaspettato fa esplodere la follia omicida. A un livello più alto, essa prende la forma di un'organizzazione dichiarata fuorilegge, come Hamas, che guida la semigovernativa Autorità palestinese o riguarda perfino i tentativi di Al-Qaeda volti ad acquisire armi di distruzione di massa. In definitiva, se fossero i musulmani a segnare una battuta d'arresto del terrorismo, ciò rappresenterebbe un grosso passo in avanti verso la vittoria di ciò che qualcuno chiama la Quarta guerra mondiale. Si può conseguire ciò? Sì,e in parte anche grazie a un'efficace attività di controterrorismo convenzionale. Gli individui devono essere braccati, le organizzazioni devono essere chiuse, le reti smantellate, il denaro va ad esse negato, la proliferazione delle armi di distruzione di massa deve essere contenuta. Ma queste misure affrontano i sintomi del problema e non il problema vero e proprio. "Il problema vero e proprio" è caratterizzato da forze scatenanti che si celano dietro l'ondata di violenza provocata dai musulmani in nome dell'Islam.

    La violenza può essere neutralizzata solo isolando le motivazioni in base alle quali il terrorismo risulta essere un tratto che contraddistingue la vita musulmana. Questa aggressività non scaturisce da qualche impulso perverso di causare dei danni per il piacere di farlo; né trova origine nella religione dell'Islam, che appena una generazione fa non destava questi istinti omicidi. Piuttosto, essa è frutto di idee. Le idee non trovano posto nella criminalità comune, che consegue dei fini puramente egoistici. Ma le idee, specie quelli inerenti un cambiamento radicale del mondo, sono fondamentali in seno al terrorismo, specie a quello suicida. A differenza di tutti gli altri, che in genere accettano la vita così com'è, gli utopisti si ostinano a volere creare un ordine nuovo e migliore. Per conseguire questo obiettivo, costoro pretendono di detenere tutti i poteri per se stessi, ostentano un agghiacciante disprezzo per la vita umana e nutrono l'ambizione di diffondere la loro visione in tutto il mondo. Esistono diversi sistemi utopistici, il fascismo e il comunismo sono quelli più importanti dal punto di vista storico, ed ognuno di essi ha causato decine di milioni di vittime.
    Rispettivamente nel 1945 e nel 1991, questi due totalitarismi svanirono in seguito a una sconfitta bellica, l'uno in modo violento (nella Seconda guerra mondiale) e l'altro in modo soft (nella Guerra Fredda). Il loro crollo incoraggiò alcuni ottimisti a immaginare che l'era dell'utopia e del totalitarismo fosse arrivata alla fine e che un ordine progressista fosse in procinto di rimpiazzarli a tempo indeterminato. Ahimé, questa opinione ignorò la presenza di un terzo totalitarismo, nato a partire dagli anni Venti, qual è l'islamismo, brevemente definito come la convinzione che "l'Islam rappresenta la soluzione" ad ogni problema sia che si tratti dell'educazione dei bambini che del fare guerra. A causa di diversi fattori - una storica rivalità con ebrei e cristiani, un dinamico tasso di natalità, la cattura dello Stato iraniano nel 1979, l'appoggio da parte dei paesi ricchi di petrolio - gli islamisti sono arrivati a dominare il discorso ideologico dei musulmani interessati alla loro identità o alla fede islamica. In conseguenza di ciò, la legge islamica, a differenza dei passati due secoli, è tornata a ruggire e con essa il jihad, la guerra santa. Il califfato, defunto in termini reali per oltre un millennio, è diventato un sogno vibrante. Le idee offerte da pensatori e organizzatori come Muhammad ibn Abd al-Wahhab, Shah Waliullah, Sayyid Abu'l al-Mawdudi, Hasan al-Banna, Sayyid Qutb e Rouhollah Khomeini hanno dato inizio con successo a un'offensiva contro gli approcci all'Islam tradizionali, modernisti e centristi. Per promuovere la visione avvelenata di questi utopisti, i loro seguaci hanno adottato dei mezzi violenti, incluso il terrorismo.

    La più efficace forma di controterrorismo non combatte i terroristi, ma le idee che li motivano. Questa strategia implica due importanti linee d'azione. Innanzitutto, la sconfitta del movimento islamista, proprio come furono sconfitti i movimenti fascista e comunista, ad ogni livello e in ogni modo, ricorrendo ad ogni istituzione pubblica e privata. Questo compito spetta principalmente ai non-musulmani, essendo in genere le comunità musulmane incapaci o riluttanti a liberarsene da sole. Di contro, solamente i musulmani sono in grado di compiere il secondo passo: quello di formulare e diffondere un Islam che sia moderno, moderato, democratico, progressista, amichevole, umano e che sia rispettoso delle donne. In tal caso, coloro che non sono musulmani possono dare il loro contributo prendendo le distanze dagli islamisti e appoggiando i musulmani moderati. Sebbene sia teoricamente possibile, al presente la debolezza dei suoi sostenitori fa sembrare l'Islam moderato incredibilmente remoto. Ma per quanto vaghe siano le sue attuali prospettive, il successo dell'Islam moderato alla fine rappresenta la sola forma efficace di controterrorismo. Il terrorismo, nato da pessime idee, può subire una battuta d'arresto esclusivamente grazie a delle buone idee.New York Sun
    (Traduzione di Angelita la Spada)

    Shalom

  4. #54
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    dal quotidiano LIBERO di oggi

    Sul terrorismo islamico Prodi fa il negazionista

    di OSCAR GIANNINO

    Caro direttore, e cari lettori di Libero, la politica estera italiana è stata fatta spesso più di mezze parole e toni melliflui, che di scelte esplicite e coerenti. Nel 1887, siglavamo contemporaneamente la nuova versione della Triplice Alleanza con gli Imperi centrali e il patto mediterraneo con la Gran Bretagna. Nel 1915, abbandonammo la Triplice per l'Intesa ed entrammo nella prima guerra mondiale sulla base di un accordo segreto, il patto di Londra. Per molti versi, dunque, è in piena continuità con una lunga tradizione italiana, l'intervento di Romano Prodi pubblicato ieri su Repubblica, con il quale il premier italiano tenta di mettere una pezza sulla secca sconfitta registrata al Senato, sulle comunicazioni del ministro della Difesa Parisi relative all'ampliamento della base americana di Vicenza. Fatta la legge...
    Ma anche con la più indulgente prospettiva di chi considera la politica estera italiana come il tentativo di sottrarsi spesso agli oneri e alle responsabilità delle alleanze alle quali si partecipa, la lettura del testo di Prodi non può che colpire. Tanto che lancio subito una modesta provocazione. Siamo freschi freschi dall'ennesimo dibattito nazionale sul negazionismo di quell'orrendo crimine contro l'umanità che è Shoah, e se si debba combatterlo anche con la reclusione, come se il carcere fosse più efficace di politiche coerenti e conseguenti, per respingere ogni antisemitismo e difendere il diritto di Israele e del sionismo. Il centrosinistra che oggi governa dice che sì, il carcere serve, contro i negazionisti. Ma allora, perbacco, perché il negazionismo dovrebbe riguardare solo la cancellazione della Shoah? Perché non dovrebbe estendersi a qualunque negazione di ogni forma assunta nella storia da quell'idra terrificante che è il terrorismo? Ebbene se una cosa risaltava, nella missiva di Prodi volta a difendere la politica del suo governo come la migliore per contemperare le ragioni di tutti coloro sinistra antagonista, no global, antiamericani, antisraeliani - che chiedono «gesti di discontinuità» rispetto all'orrendo passato dell'Italia di centrodestra, ebbene era proprio il fatto che nelle 186 righe di testo non una sola volta era scritta la parola «terrorismo». Nemmeno en passant, neanche indirettamente. Il premier italiano enumera come un successo il fatto che l'Italia non partecipi più ad alcuna missione all'estero che non abbia l'egida delle Nazioni Unite, rivendica come una conseguenza dello sbarco italiano in Libano che non vi siano incidenti tra Israele e quel Paese, rivendica la fine di Enduring Freedom in Afghanistan e il ritiro dall'Iraq. Scrive trentadue volte la parola «pace», ma non fa alcun cenno ala forza diabolica che dall'11 settembre 2001 ha sconvolto gli equilibri internazionali con la follia che quotidianamente dispiega in campo: il terrorismo transnazionale jihadista. Quello che ha colpito le Torri di New York, la stazione di Atocha a Madrid, la metropolitana di Londra. Quello che solo pochi giorni era pronto a decapitare un musulmano "traditore", nel Regno Unito, se i servizi britannici non avessero fatto buona guardia. Quello che ha usato moschee e centri culturali islamici italiani per arruolare, finanziare e addestrare aspiranti kamikaze da mandare in missione sanguinaria in Iraq e altrove, come appurato ormai anche da poche, purtroppo, e assai contestate, ma inequivoche - sentenze emesse da collegi giudicanti del nostro Paese. È davvero così, con furbesche espressioni inneggianti alla pace che evitino ogni riferimento ai drammatici problemi aperti sulla scena internazionale, che si può tenere meglio a bada la ferma opposizione di tutti coloro che in realtà dichiarano apertamente anche in Italia la propria comprensione se non il proprio sostegno, a chi versa fiumi di sangue nelle province dell'Iraq e a chi rialza la testa con attentati e raid armati anche in Afghanistan? No. Assolutamente no. Prodi si rende colpevole di puro negazionismo. E chi nega il terrorismo non può pensare davvero di poter stare sullo stesso frontecon chi, come ha detto Francesco Rutelli dopo la sconfitta in Senato, considera che sull'atlantismo e la lotta alla jihad «non bisogna arretrare di un millimetro». Potrà non piacere, alla sinistra italiana, l'esempio di Tony Blair. Ma tutte le volte che la variopinta coalizione pacifista, ben presente nel Partito Laburista, è andata all'attacco della leadership del premio britannico attaccandone la presenza in Iraq e Afghanistan, Blair non ha reagito certo annunciando la chiusura di basi americane nel Regno Unito o il ritiro unilaterale dei contingenti britannici. Ha accettato voti rischiosissimi alla Camera dei Comuni, e li ha vinti pur registrando un crescente numero di dissenzienti. Ha accettato di consumare la propria popolarità agli occhi del suo stesso elettorato, pur di non «cedere di un millimetro», ma per davvero, nella solidarietà e nella compartecipazione a quegli interventi anche armati che si sono resi necessari, purtroppo, per affrontare la minaccia terrorista nella sua stessa culla. Ed è questa, la lezione della chiarezza nella fermezza, per quanto impopolare sia in un Occidente che a distanza di anni dall'11 settembre vuole girare la testa dall'altra parte e venire a patti con regimi e fazioni sanguinarie, la strada che resta in tutto e per tutto alternativa al callido negazionismo di Prodi. Gli ambasciatori degli Stati Uniti, Regno Unito, Paesi Bassi, Australia e Canada, che hanno insieme indirizzato un fermo messaggio al governo e ai cittadini italiani per restare al loro fianco in Afghanistan, hanno diritto a una risposta più netta e convinta del maldestro svicolare del premier italiano, più preoccupato dei disobbedienti che si incateneranno ai cancelli della base vi centina che delle migliaia di vittime irachene e afgane, ma anche della mattanza interpalestinese scatenata ormai da Hamas contro gli uomini di Al Fatah e del presidente Abu Mazen, del riarmo degli Hezbollah in Libano che attentano alla sopravvivenza del legittimo governo di Beirut, delle minacce quotidiane che l'Iran del negazionista Ahmadinejad erutta contro l'esistenza stessa di Israele, minacciando di nuclearizzarlo se - grazie al tempo guadagnato con atteggiamenti pilateschi come quello italiano, e magari col consenso di "realisti" antiamericani come Sergio Romano - Teheran riuscirà a dotarsi della bomba atomica. Siluro d'Oltremanica

    Sul numero di questa settimana del NewStatesman, vecchio settimanale della sinistra fabiana e antimarxista britannica, Nick Cohen firma un violentissimo editoriale in cui accusa tutta la sinistra pacifista del vecchio Labour, quella che accusa da anni Blair di essere un «barboncino» accucciato sulle ginocchia di Bush per gli interventi in Iraq e Afghanistan. «Siete i peggiori nemici degli afgani e degli iracheni, di ogni musulmano che respinga la logica del terrore, di ogni cittadino del mondo che voglia vivere al riparo da regimi e sette di tagliatori di teste e detentori di ordigni chimici, biologici e atomici», scrive. Gli Hezbollah armati dall'Iran a cui dite sì a Beirut come se non destabilizzassero il Libano e l'intero Mediterraneo, la Jihad islamica e Hamas che considerate interlocutori obbligati preferibili a Israele, non considerano il sangue un prezzo ma un mezzo spendibile. E il loro fine è proprio di far leva su quel mix, per metà ingenuo e per metà ben consapevole, di cui è impastato quel pacifismo antimperialista e antiamericano al quale Prodi ieri ha fatto la serenata. Queste le parole di Cohen: ma a ben vedere, sono adattissime non solo per la sinistra antagonista britannica ma anche per quella italiana, e anzi in primis per Prodi stesso. Certo, è verissimo e amaro, che in Iraq e in Afghanistan siano caduti e cadano ogni giorno vittime come mosche. Ed è innegabile, che l'intervento americano abbia compiuto errori gravi e gravissimi. E che Bush e la credibilità americana saranno in caduta libera, fino alle prossime presidenziali. Ma credere di approfittarne facendo i furbi, e dimenticando che la lotta alle forze del terrore è un dovere primario se si crede nelle libertà occidentali, condanna milioni di musulmani al Medio Evo e prepara un mondo dove il terrore sarà più forte. È questo il dilemma della politica estera non solo italiana ma mondiale, in questa fase. E non sarà certo la verifica di maggioranza che Prodi terrà per sopravvivere alla sconfitta in Senato, a dare una risposta all'altezza. *Vicedirettore Finanza&Mercati

    Saluti liberali

  5. #55
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    da L'OPINIONE del 23 luglio 2007

    «Pace in Medio Oriente? Ma la Jihad è globale»

    di David Harris



    Sono appena tornato da un nuovo viaggio in Europa per incontri sui temi del Medio Oriente. Se potessi avere un dollaro (o anche meglio, dato il cambio, un euro) ogni volta che sento dire in una capitale o nell’altra che Israele deve risolvere il conflitto con i palestinesi per disinnescare l'ira mondiale dei jihadisti, oggi io sarei una persona ricca. Ma persone davvero intelligenti credono seriamente a quello che dicono, o piuttosto questo dire è solo un apparato retorico riflessivo, che ripete a pappagallo quanto la saggezza convenzionale ha fermamente stabilito? Va senza dire che una soluzione permanente al conflitto israeliano-palestinese sarebbe molto benvenuta. Ma per i jihadisti non cambierebbe molto. In fondo, loro non sono interessati alla pace tra israeliani e palestinesi. Ammesso e non concesso che Israele sparisca dalla mappa, le richieste dei jihadisti – ad esempio, le truppe occidentali fuori da Iraq e Afghanistan; le basi militari americane fuori dal Golfo Persico; l’India fuori dal Kashmir; l'Armenia fuori dal Nagorno-Karabakh; i regimi filo-occidentali fuori da Islamabad, Riyadh, Amman e Cairo; la restaurazione del califfato e il trionfo della legge della shari'a – continuerebbero senza perdere un colpo.

    L'elenco dei "torti" è senza fine, offrendo giustificazioni innumerevoli alla rabbia. È nutrito fra gli altri dall'infrastruttura globale e dalle sostanziose risorse della Fratellanza musulmana, dalle istituzioni wahhabite appoggiate dai Sauditi e dai gruppi sciiti sostenuti dagli iraniani. Si afferma l'ovvio dicendo che i vari esponenti dell’Islam integralista sono guidati da un’agenda teologica. Sì, essi possono richiedere sostegno lamentando che i musulmani sono designati come bersaglio qui e là, che sia vero o no. Ma nessuno dovrebbe farsi alcuna illusione. Il pressing su Israele per soddisfare l'appetito di queste forze determinate non aiuterebbe, ma aumenterebbe solamente la loro fame e condurrebbe alla conclusione che un "Essere Supremo" sta guardando in giù con favore agli sviluppi terreni. È successo già: la sconfitta dell'Unione sovietica in Afghanistan ad opera dei mujaheddin negli anni Ottanta, ed oggi le grandi difficoltà incontrate dalle truppe americane e dai loro alleati in Iraq ed ancora una volta in Afghanistan, ha persuaso le forze integraliste che sono inarrestabili, che "Dio" è dalla loro parte.

    Israele, per la sua posizione geografica, è sulla linea di frontiera del conflitto, in questo caso rappresentato da Hamas, Hezbollah, Jihad islamica, e dagli stati loro finanziatori, Iran e Siria. La sua abilità di rimanere in piedi - come uno stato forte, democratico, pluralista e cercatore di pace – merita ampio appoggio e ammirazione. Come un ex ministro degli esteri europeo disse in privato ad un gruppo dell’AJC, "io sono giunto alla conclusione che Israele non è più solo una questione ebraica. È della massima importanza anche per l’Europa. Se Israele dovesse cadere per mano dei jihadisti di Hamas e Hezbollah, appoggiati dall'Iran, l’Europa sarà il prossimo obiettivo. Io ora sono convinto di questo, mentre una volta avevo i miei dubbi. Tramite l'intimidazione, la coercizione, la minaccia della violenza ed il terrorismo, l’Europa sarà sfidata. Che Israele rimanga forte dovrebbe essere un vitale interesse europeo".

    Chiaramente l’Europa sarà sfidata indipendentemente da quello che accadrà ad Israele. I recenti eventi hanno reso tutto fin troppo chiaro. Ma il commento di questo statista di centrosinistra è nondimeno un'ammissione illuminante di una realtà che molti altri ancora stentano ad ammettere. Questi statisti - come altri intellettuali, sindacalisti e attivisti dei diritti umani - dovrebbero avere un elenco di letture obbligatorie. E magari cominciare dall’ “Infedele”, scritto da Ayaan Hirsi Ali. In questo straordinario resoconto autobiografico, Hirsi Ali, di origine somala, rivela la visione del mondo degli integralisti islamici. Essendo stata parte di quel mondo, nel Corno d’Africa, Kenia, e Arabia Saudita, lei conosce le cose di cui parla. Come una Cassandra, lei ci dà l’allarme sulla repressione delle donne, così profondamente radicata; sull'antisemitismo, così largamente diffuso, sulla diffida agli "infedeli" e sugli obiettivi islamici di dominazione globale che lei ha conosciuto da vicino. Cita un predicatore islamico: "L’Islam è sotto attacco e i suoi nemici - gli ebrei e gli americani - bruceranno per sempre; quelle famiglie musulmane che hanno spedito i loro figli presso le università di Stati Uniti, Gran Bretagna e delle altre terre degli infedeli, bruceranno.... Se tu non romperai le tue amicizie con i non-musulmani, tu brucerai."

    Ed il suo insegnante di religione in una scuola musulmana di Nairobi credeva che "gli ebrei controllano il mondo, ed ecco perché noi dobbiamo essere puri: per resistere a questa influenza malvagia. L’Islam è sotto attacco, e noi dobbiamo alzarci e lottare contro gli ebrei, perché solamente se tutti gli ebrei saranno distrutti potrà giungere la pace per i musulmani." Un altro libro da leggere dovrebbe essere “Viva Israele” di Magdi Allam (per ora disponibile solo in italiano ma, si spera possa essere presto disponibile in altre lingue). Egiziano di origine, Allam è un giornalista ed editorialista musulmano tra i più prominenti di Italia, e non rinuncia mai a dire le cose come stanno. Nella sua potente difesa di Israele, Allam scrive: "In queste pagine, io ho voluto raccontarvi del mio lento ed angoscioso viaggio esistenziale dalla bugia, dalla dittatura, dall’odio, dalla violenza e dalla morte, alla civiltà della verità e della libertà, dell’amore della pace e della vita. Sono giunto alla ferma convinzione che, oggi più che mai, la difesa del valore della santità della vita umana converge con la difesa del diritto di Israele di esistere".

    Sia Hirsi Ali che Allam avvertono sui pericoli che non sono visti facilmente da chi è estraneo al mondo islamico, perché le complessità di questo mondo non saranno districate da gite a magnifici alberghi a Marrakesh o a ben guidate visite alle piramidi, e ancora meno da intuizioni, proiezione dei propri valori su altri o informazioni frammentarie. C'è, di quando in quando, uno sguardo penetrante capace di rivelazioni simili, come il potente "Osama" cinematografico circa l'inimmaginabile asprezza della vita delle donne durante il dominio talebano dell'Afghanistan, o il recente documentario di un’ora della CNN sul Pakistan quale centrale del terrore islamista globale. Non voglio in alcun modo descrivere lo stato delle cose come una lotta tra Islam e il resto del mondo.

    Lontani da ciò, piuttosto, è contro quelli che condividono la visione di un Islam che, per ordine divino, vive in permanente conflitto col resto del mondo – approfittando di alcune situazioni politiche, che si tratti di Israele o del Kashmir, per convincere un mondo spesso credulone che il conflitto è qualche cosa di molto più concreto e, perciò, meno cosmico. E’ indiscutibile che esistono conflitti politici che necessitano di urgenti soluzioni. Ma scegliere di credere che è probabile che quelle soluzioni soddisfino le richieste dell’Islam integralista - o che addirittura tolgano il vento dalle sue vele - è tutt'altra questione. Qualche volta, la cosa più difficile da vedere per noi è quella che sta proprio davanti alle nostre facce.

    Shalom

  6. #56
    Sardu88
    Ospite

    Predefinito

    A me l'Islam preoccupa e non poco.
    Con gli ultimi arresti ancora di più.

  7. #57
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    Questa dottrina politica,L'Islam,che gli arabi da Maometto in poi spacciano per religione,è molto peggio del Nazismo di cui ci siamo tolta la paura in un ventennio,
    Questi Islamici,prolifici a fin di guerre belliche,sono peggio dell'Aids perchè non c'è nessuna cura che possa debellarli e lo dimostra il fatto che sono ancora lì a rompere i marroni dal 7^ secolo.

 

 
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