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  1. #1
    Viva la piadina!!!
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    Predefinito Wahir, un lavoro part-time e il sogno Jihad

    La storia di un ragazzo «borderline» Wahir, un lavoro part-time e il sogno Jihad Viene da una famiglia pachistana, ha 19 anni: non fa parte di gruppi estremisti ma ne sente il fascino STRUMENTIVERSIONE STAMPABILEI PIU' LETTIINVIA QUESTO ARTICOLO

    Islamici in preghiera (Eidon)

    DA UNO DEI NOSTRI INVIATI

    LONDRA - Wahir Shadjareh ha 19 anni, un lavoro part-time e un eroe. Non il biondo David Beckham, però. «Si chiama Yasser e ha combattuto in Iraq. Abita a pochi isolati da casa mia, ma non ti ci posso portare. E' un mujahed. Subito dopo la fuga di Saddam Hussein è partito assieme a suo fratello per liberare le terre musulmane dagli infedeli. Si è addestrato e ha sparato contro i soldati americani. Durante la Guerra Santa, il fratello è stato ucciso. E quando Yasser è tornato qui a Londra per raccontarlo alla loro madre, lei ha ululato di gioia, ha aperto la casa per le condoglianze e ha offerto dolci a tutti i visitatori in onore del figlio martire. Yasser è uno dei pochi che conosco che può dire di aver fatto qualcosa di grande nella vita: la Jihad, la Guerra Santa».

    Wahir è un «borderline». Non è ancora perso nelle perversioni mentali dell'estremismo islamico, ma le sfiora, le accarezza. Il labirinto di complotti, vittimismo e bramosia di rivincita che impregna il retroterra del terrorismo, lo appassiona. Secondo l’intelligence di Londra dai mille ai tremila giovani musulmani britannici sono passati da un campo di addestramento di Al Qaeda o di altri gruppi estremisti. Wahir no, ma si sente speciale, parte di una élite di illuminati, che hanno capito il mondo meglio degli altri. Non si decide a fare il passo verso la violenza e torna nel piccolo appartamento di Chicksand a est di Londra dove vive con i genitori, una sorella maggiore e un fratello più piccolo. Aspetta un altro giorno. «Da quando sono scoppiate le bombe non penso ad altro. E' un trucco dei servizi segreti americani per cacciarci da qui? Stanno preparando un'altra guerra contro noi musulmani? O davvero Al Qaeda ha aperto un nuovo fronte nella Guerra Santa? Devo prepararmi? A che cosa? Non so».

    La famiglia Shadjareh è emigrata dal Pakistan negli anni '70. I tre figli sono nati in Gran Bretagna e parlano meglio l'inglese dell'urdu. In una cartelletta arancione ci sono i cinque passaporti di Sua Maestà. Sono musulmani, ma solo dopo l’11 settembre 2001 il padre, Foisal, ha cominciato a farsi vedere regolarmente in moschea e mamma Roulena ha deciso di coprirsi i capelli quando esce di casa. E' il giudizio dei vicini a pesare. Chicksand è un quartiere al 90 per cento musulmano. «Un atteggiamento diverso sarebbe visto come un tradimento nei confronti della comunità» spiega Foisal, commesso in un negozio di cartoleria del centro. Dei tre maschi di casa Shadjareh, il 19enne Wahir è l'unico a portare la barba e a vestire abiti tradizionali. Per lui sono una divisa, un marchio di riconoscimento. «Un ragazzo bianco può diventare punk o hooligan - sostiene Keith Dugan, la preside della scuola elementare Gateway, con una maggioranza di alunni musulmani -. Quelli come Wahir scelgono barba e zuccotto, ma il significato della contestazione resta identico». «Lavoro come bigliettaio alla Ruota di Londra tre mezze giornate alla settimana - racconta il ragazzo -. La gente mi squadra da capo a piedi, li vedo sussurrare tra loro. Sono islamico. E allora? Non ho diritto di lavorare?».

    Alle 7.30 Wahir è l'ultimo della famiglia ad alzarsi dal letto. A colazione si mangia all’inglese uova, corn flakes e tè. La cena è orientale con riso, uvetta e spiedini alla piastra. I due fratelli maschi dormono sullo stesso divano letto che occupa praticamente l’intera sala, la sorella ha una cameretta per sé, così come i genitori. «Le mattine che non devo lavorare vado in un Internet Café per partecipare ai forum islamici e sapere che cosa è successo in Terra Santa, in Iraq, in Afghanistan. Oppure in Edgware Road, proprio dove è esplosa una delle bombe, a leggere un giornale arabo e fumare il narghilé», la pipa ad acqua. «Con i soldi che guadagno non devo rendere conto a mio padre di ciò che faccio. A pranzo mangio in un centro culturale islamico vicino a casa. E' lì che ho imparato l'arabo. I corsi sono gratuiti, finanziati dalle elemosine. Ho voluto impararlo a causa dell'11 settembre. Avevo 15 anni e il mondo mi ha puntato addosso il dito: musulmano cattivo. Volevo capire e ho visto l’oppressione, il colonialismo, l’imperialismo con cui l’Occidente ha sempre schiacciato l’Islam. Adesso i terroristi siamo noi, ma il genocidio dei palestinesi, i milioni di morti per fame, il furto del petrolio con la complicità dei governi fantoccio, che cosa sono se non una guerra?». Al pomeriggio Wahir fa volontariato in moschea. Senza questo porto fisso, la sua giornata sarebbe un estenuante girovagare tra disoccupati, caffè e parchi. I ragazzi leggono il Corano e discutono.

    Amici occidentali? «Sì, se convertiti». Dhobir Azad, però, è egiziano. «L’attacco alle Twin Towers - dice - è un complotto sionista. Lo sanno tutti che gli ebrei quel giorno non sono andati a lavorare». Prove? Mistero. La discussione muore lì, sotto gli occhi dei supervisori anziani. Si avvicinano le 18.30, l’ora di cena per i Shadjareh. La casa dove è nata una delle vittime del metrò è a pochi isolati dal loro appartamento. E' Shahara Akther Islam, la ventenne musulmana che il quotidiano Independent ha messo in prima pagina come simbolo del mix culturale britannico. Impiegata in banca vestiva Gucci e Burberry. Il velo solo quelle rare volte in moschea. Ce ne sono tante di ragazze e ragazzi così a Londra. Ma non sono la maggioranza. Anzi. Il 52% dei giovani musulmani è «economicamente inattivo», una percentuale tre volte superiore a quella di ogni altro gruppo religioso.

    A Wahir le ragazze «occidentalizzate» non piacciono. «Lavorando a tempo pieno, non puoi andare in moschea al venerdì. Parlano tanto di parità, ma gli uffici chiudono la domenica per i cristiani». La sera il 19enne Wahir esce come tutti i suoi coetanei. «Niente birra però. Il Corano lo vieta». E le discoteche? «Ci sono andato quando ero più giovane, ma ora no. Il rock fa male. Ascolto cantanti libanesi o egiziani, da Haifa a Shereen. Con la loro musica sì può anche ballare. Ed è un modo per superare le differenze nazionali, riconoscersi musulmani». Musulmani britannici? «No, musulmani e basta».

    Andrea Nicastro
    11 luglio 2005

    http://www.corriere.it/Primo_Piano/E...11/wahir.shtml

  2. #2
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    Soggetti come questo rappresentano dei possibil pericoli

  3. #3
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    Questo post è interessante, ma per ragioni "sociologiche" e non per le facili strumentalizzazioni contro gli islamici.

    All'interno dell'evoluzione di ogni individuo esiste sempre una fase "contestataria" che sia essa stata il sogno della rivoluzione cubana, la repubblica di Salo', la teologia della liberazione o quant'altro.

    La cosa che appare evidente è la coincidenza tra la "presa di coscienza" di questa persona e la sua simpatia verso l'islamismo estremista.
    Che cosa indica?
    Indica che una "nozione politica" del mondo come coscienza della sua iniquita' e dei suoi terrificanti meccanismi politici ed economici riesce a "oltrepassare" il dato dei diritti umani e della "civiltà" in senso propositivo, ovvero l'estremismo ideologico come contestazione riesce ad essere piu' affascinante che una coscienza dell'importanza di una società non "teologica" e non orientata religiosamente.

    E' sicuramente un dato su cui riflettere.

    Ma non nel senso "repressivo" su cui ci si vorrebbe rinchiudere perche' sarebbe un rimedio peggiore del male.

    Il fatto di cui bisogna cominciare ad essere coscienti è che proprio anche per l'occidentalizzazione degli islamici, la fase in cui essi si ritrovano è (con le debite differenze) similare a quella del nostro Risorgimento e dei moti carbonari.

    Ovvero una fase in cui tutta l'impostazione del nostro modo di essere presenti in Medio Oriente appare sempre piu' evidente alla faccia dei media "ufficiali" e quant'altro.

    Non è piu' possibile pensare che dittatori manovrati da qui, sfruttamento unito a corruzione siano "invisibili" agli occhi dei piu' e che possiamo far finta di mettere la testa sotto la sabbia e fare come gli imperi europei dopo il 1815.
    Vuoi una soluzione VERA alla Crisi Finanziaria ed al Debito Pubblico?

    NUOVA VERSIONE COMPLETATA :
    http://lukell.altervista.org/Unasolu...risiEsiste.pdf




  4. #4
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    Originally posted by Fuori_schema
    Questo post è interessante, ma per ragioni "sociologiche" e non per le facili strumentalizzazioni contro gli islamici.

    All'interno dell'evoluzione di ogni individuo esiste sempre una fase "contestataria" che sia essa stata il sogno della rivoluzione cubana, la repubblica di Salo', la teologia della liberazione o quant'altro.

    La cosa che appare evidente è la coincidenza tra la "presa di coscienza" di questa persona e la sua simpatia verso l'islamismo estremista.
    Che cosa indica?
    Indica che una "nozione politica" del mondo come coscienza della sua iniquita' e dei suoi terrificanti meccanismi politici ed economici riesce a "oltrepassare" il dato dei diritti umani e della "civiltà" in senso propositivo, ovvero l'estremismo ideologico come contestazione riesce ad essere piu' affascinante che una coscienza dell'importanza di una società non "teologica" e non orientata religiosamente.

    E' sicuramente un dato su cui riflettere.

    Ma non nel senso "repressivo" su cui ci si vorrebbe rinchiudere perche' sarebbe un rimedio peggiore del male.

    Il fatto di cui bisogna cominciare ad essere coscienti è che proprio anche per l'occidentalizzazione degli islamici, la fase in cui essi si ritrovano è (con le debite differenze) similare a quella del nostro Risorgimento e dei moti carbonari.

    Ovvero una fase in cui tutta l'impostazione del nostro modo di essere presenti in Medio Oriente appare sempre piu' evidente alla faccia dei media "ufficiali" e quant'altro.

    Non è piu' possibile pensare che dittatori manovrati da qui, sfruttamento unito a corruzione siano "invisibili" agli occhi dei piu' e che possiamo far finta di mettere la testa sotto la sabbia e fare come gli imperi europei dopo il 1815.
    Trovo anch'io molto interessante l'articolo e condivido l'analisi che ne fai tu.
    Sicuramente è anche la dimostrazione che il richiamo del fondamentalismo non è un fenomeno estraneo alla modernizzazione e alla globalizzazione, ma al contrario, ne è una manifestazione. E' interessante notare l'approccio alla fruizione della musica:
    un ragazzo d'origine pakistana, nato e cresciuto in britannia, che probabilmente capisce a malapena l'urdu e sicuramente non conosce l'arabo, ascolta musica di cantanti arabi. E' davvero un sintomo che aiuta a capire la complessità e la modernità del fenomeno e la sua vicinanza a modelli occidentali di ribellismo e disagio apparentemente lontani.

  5. #5
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    Originally posted by Nelson
    Trovo anch'io molto interessante l'articolo e condivido l'analisi che ne fai tu.
    Sicuramente è anche la dimostrazione che il richiamo del fondamentalismo non è un fenomeno estraneo alla modernizzazione e alla globalizzazione, ma al contrario, ne è una manifestazione. E' interessante notare l'approccio alla fruizione della musica:
    un ragazzo d'origine pakistana, nato e cresciuto in britannia, che probabilmente capisce a malapena l'urdu e sicuramente non conosce l'arabo, ascolta musica di cantanti arabi. E' davvero un sintomo che aiuta a capire la complessità e la modernità del fenomeno e la sua vicinanza a modelli occidentali di ribellismo e disagio apparentemente lontani.
    Forse il ribellismo occidentale, al giorno d'oggi, è meno pericoloso per la vita altrui

 

 

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