Giudeofobia al servizio di Israele
di Shraga Elam
Shraga Elam è un giornalista israeliano,
residente a Zurigo/Svizzera.
Questo è il testo della relazione tenuta da lui
al Campo Antimperialista di Assisi, il 2 agosto 2004. Si ringrazia Susanne
Scheidt per la traduzione.
Si può osservare un aumento dei sentimenti antiebraici su scala mondiale.
Non è più possibile ignorare la crescente giudeofobia, magari liquidando
il fenomeno come prodotto della propaganda e della manipolazione. Già che
ci siamo, io preferisco usare il termine di giudeofobia anziché: quello
più comunemente usato, di antisemitismo, che è esso stesso un termine
razzista.
La giudeofobia deve essere confrontata e ripudiata come qualsiasi altra
forma di razzismo ed a tale fine, occorre comprendere i suoi attuali
motivi e cause. Non basta limitarsi a trattare, in via selettiva, i
sintomi alla superficie, come invece vorrebbero molte organizzazioni
sioniste e lo stesso Israele.
Per non sfruttare la vostra pazienza oltre misura, dirò subito che sono
profondamente convinto che la ragione principale per la crescita della
giudeofobia sia fondamentalmente da ricercare nella politica criminale che
Israele sta conducendo ai danni dei palestinesi, cosè, come nel
riprovevole comportamento dei gruppi di pressione pro-Israele. Questi due
problemi, già seri di per se, si combinano con i pregiudizi anti-ebraici
pre-esistenti, di per sé piuttosto innocui, almeno per la maggior parte. È
l'incontro delle offese perpetrate da ebrei con i pregiudizi
pre-esistenti, secondo i quali gli ebrei sarebbero qualcosa di
particolare, che potrebbe generare un cocktail ad alto potenziale
esplosivo.
Ammesso che nel passato fosse sbagliato ed espressione di razzismo volere
cercare i motivi per le aggressioni contro gli ebrei negli ebrei stessi,
oggi invece, è giusto e necessario fare proprio questo.
Tra le strategie più efficienti per combattere l'attuale giudeofobia, c'è
quella di fermare i crimini di Israele.
Davvero, tutto qua. E cosè semplice.
Vorrei elaborare questa mia affermazione cercando di spiegare cosa mi ha
portato a tale conclusione.
È stato, in effetti, un rinomato esperto israeliano di giudeofobia, la
professoressa Dinah Porat, ad affermare in una trasmissione della radio
pubblica che vi è una correlazione tra le azioni di Israele (le possiamo
chiamare atrocità) e gli scatti di giudeofobia. Questo era il caso, ad
esempio, nei primi anni 80, in seguito all'invasione del Libano e poi,
alla fine degli anni 80, durante la prima rivolta palestinese, l'Intifada.
Possiamo costatare che tutti gli ebrei, a prescindere dalle loro posizioni
individuali, furono ritenuti responsabili delle atrocità commesse da
Israele.Questo non era soltanto il risultato di pregiudizi
anti-israeliani, ma anche della pretesa, sbagliata, di Israele, di
rappresentare tutti gli ebrei e di essere lo stato DEGLI ebrei. Il diffuso
ed ostentato appoggio che molti ebrei in tutto il mondo stanno offrendo ad
Israele, non può che rafforzare l'impressione che tutti gli ebrei stessero
a fianco di Israele.
Una casa palestinese demolita
Un altro esempio per un'iniziativa ebraica che ha generato giudeofobia è,
secondo le mie personali osservazioni, la campagna per la restituzione
iniziata a metà degli anni 90 dal World Jewish Congress (WJC) e dalla
Jewish Agency (JA) contro le banche svizzere riguardante i cosiddetti
patrimoni senza eredi giacenti, dai tempi dell'era nazista, in Svizzera.
Queste due organizzazioni ebraiche, le due protagoniste dell'Industria
dell'Olocausto, hanno abusato di una causa giusta senza troppe
considerazioni per la verità o per gli interessi delle vittime dei nazisti
e dei loro eredi. Il comportamento di queste due organizzazioni ebraiche,
palesemente ispirato all'avidità, è stato percepito come una conferma
vivente dei pregiudizi giudeofobi esistenti, innescando una nuova ondata
di sentimenti antiebraici in Svizzera. Alcuni degli esponenti delle
comunità ebraiche in Svizzera non erano molto contenti di questi sviluppi,
ma delle loro preoccupazioni JA e WJC non si degnavano nemmeno di prendere
nota, visto che stavano riuscendo a strumentalizzare perfino quest'ondata
di nuova giudeofobia per rinforzare il proprio potere contrattuale nei
confronti degli svizzeri.
Possiamo osservare che la situazione "win-win" (vinci in ogni modo), che
si ottiene agitando il "manganello dell'Olocausto" (nel 1991 lo storico
tedesco-israeliano Michael Wolffsohn, un professore di storia, aveva
coniato il termine "manganello dell'Olocausto"), viene ricreata ogni
qualvolta si trattasse di zittire le voci critiche di Israele che vi
ricadono se non stanno attente a non mischiare la condanna - legittima e
necessaria - della politica di Israele con pregiudizi antiebraici.
Tuttavia, anche in assenza di qualsiasi manifestazione di giudeofobia, la
critica nei confronti di Israele, anche quando dichiara la verità e si
presenta correttamente, rischia di essere tacciata (di antisemitismo)
semplicemente perché: risulta insopportabile per Israele ed i suoi
sostenitori.
Questo meccanismo può essere esemplificato dalla faccenda di Jamal Karsli,
un'esponente politico tedesco, di origine siriana, a suo tempo un
parlamentare del partito dei Verdi, con sede nel parlamento della più
popolosa Regione tedesca, la Renania-Westfalia. Nel marzo 2002, Jamal
Karsli aveva protestato contro i crimini di guerra commessi da Israele.
Aveva osato dire qualcosa che solitamente, viene accettato soltanto se
detto da parte di consolidati sionisti e dai loro sostenitori, in altre
parole, aveva paragonato le atrocità naziste con un evento che stava
succedendo in quel momento (in Palestina). Dopo avere visto, sulla TV, che
soldati israeliani stavano marcando le braccia di prigionieri palestinesi
con dei numeri, Karsli aveva dato una conferenza stampa con il titolo
"Israele sta adoperando metodi nazisti."
Il politico tedesco-siriano in questione, in effetti, non era stato
l'unica persona a fare queste associazioni. L'ex membro del Knesset ed
attuale ministro israeliano, Joseph "Tommy" Lapid, un sopravvissuto al
giudeocidio in Ungheria, aveva anch egli protestato contro
l'insopportabile somiglianza tra l azione dei nazisti che marcavano gli
ebrei con numeri progressivi ad Auschwitz e le azioni compiute dai soldati
israeliani.
La cantante nazionale israeliana, la cosiddetta "cantante di guerra",
Yaffa Yarkoni, in un intervista alla radio militare d'Israele domandò: "ma
non facevano (il riferimento era ai tedeschi) cose simili a noi?" Yarkoni
ricevette molte minacce da radicali di destra in seguito alla sua domanda,
che era stata accompagnata da un appello ai soldati di rifiutare il
servizio militare. All'inizio, Karsli fu più fortunato della Yarkoni.
Ricevette soltanto critiche smorzate, rivolte a lui privatamente dai suoi
colleghi Verdi.
Qualche settimana dopo, verso la fine dell'aprile 2002, Karsli decise di
lasciare il partito dei Verdi in segno di protesta contro la sua politica
pro-israeliana (il capo del partito, il ministro agli esteri tedesco,
Joschka Fischer, aveva sabotato la proposta di sanzioni dell'Unione
Europea contro Israele). All'indomani, Karsli entrò a fare parte del
partito FDP (Partito liberaldemocratico), il cui vice-presidente,
l'ex-ministro Juergen Moellemann, noto per la sua critica alla politica di
Israele, aveva sostenuto una posizione più vicina a quella di Karsli in
relazione al conflitto in Medio Oriente.
In un intervista condotta ai primi di maggio, Karsli ruppe un altro tabù
ancora, criticando la forte influenza esercitata dalla lobby sionista. Si
scatenò contro di lui un attacco feroce e le sue affermazioni venivano
bollate come anti-ebraiche. Jürgen Möllemann cercò di aiutare Karsli
dichiarando che gli stessi ufficiali israeliani ed ebrei, tramite la loro
politica, si sarebbero resi responsabili per la recente vampata di
giudeofobia (egli usò il termine di "antisemitismo").
Questo naturalmente, equivalse a versare carburante su una fiamma già
accesa. I feroci attacchi contro Karsli, nell'ambito di una campagna
elettorale tedesca già in corso, erano in effetti, mirati contro il
politico di importanza maggiore, Jürgen Möllemann. Karsli di per se non
era abbastanza interessante da potere avere innescato uno scandalo di tali
proporzioni che avrebbe occupato i media tedeschi per mesi.
L'affare Karsli fu la rovina di Möllemann. Fu accusato di avere pescato
voti nelle acque torbide brune, cioè, di avere corteggiato gli elettori
fascisti. Egli chiese scusa per le sue affermazioni e si tenne lontano dai
contatti con Karsli, ma non gli servè a molto. Al contrario, Moellemann
perse l'appoggio da parte di molti tedeschi che avevano sperato che egli
fosse in grado di provvedere ad una maggiore onestà all'interno del
sistema politico, ma che adesso erano delusi dalla sua inconsistenza e dal
suo opportunismo. Lungi dall'essere incalliti radicali di destra, questa
gente aveva le scatole piene della dilagante giudeofilia ipocrita, dai
privilegi inaccettabili ed ingiustificati accordati agli ebrei in Germania
ed infine, ma non in ultima istanza, della mancanza di una critica onesta,
seria, dei crimini di guerra israeliani.
In una mossa disperata, Möllemann fece distribuire un volantino che
criticava Sharon e Michel Friedman, un importante rappresentante delle
comunità ebraiche in Germania, mentre asseriva contemporaneamente il
diritto di Israele di esistere. Il volantino, piuttosto moderato, che
avrebbe potuto essere scritto da sionisti del movimento "Pace Adesso" o da
Uri Avnery, fu in un primo momento denunciato quale antisemita dai media
tedeschi, poi fu definito "antiisraeliano". Nessuno dei giornalisti o
delle altre persone che si erano espresse in pubblico con commenti
negativi sul volantino di Möllemann, sembravano averlo letto o dare
importanza al suo vero contenuto. S'era creata un atmosfera di divieto
verso la possibilità di una qualsiasi altra opinione.
La carriera e la vita di Möllemann giunsero alla fine quando fu divulgata
l'affermazione che egli avrebbe finanziato il volantino attingendo a soldi
di dubbia provenienza. Egli paracadutò verso la morte e mentre la versione
ufficiale parla di suicidio, vi sono chi continuano a credere che
Moellemann fosse assassinato che, in un certo senso, è vero.
In seguito all'affare Karsli e Möllemann, la frustrazione in Germania
continuava a crescere e molti hanno la sensazione che, ancora una volta,
come nell'era dei nazisti, non vi sia concesso di parlare in pubblico di
fatti ovvi e palesi. Le tensioni tra opinione pubblica ed opinione privata
stanno crescendo. Questo clima di censura, per molti
Per aiutarci a combattere questi pericolosissimi tabù, sviluppando
approcci coraggiosi basati sull'emancipazione, sarà utile per noi
analizzare le due affermazioni contestate di Karsli:
1. L'esercito di Israele impiega metodi nazisti e
2. La lobby sionista possiede un'influenza enorme.
Metodi nazisti
Vi è un forte divieto di paragonare i crimini nazisti a qualcosa che fosse
differente da un'altra, reale od immaginata, aggressione contro ebrei. Un
qualsiasi altro paragone viene considerato una scandalosa
sdrammatizzazione del giudeocidio nazista e quindi, espressione di
razzismo.
Questa attuale tabuizzazione è la versione moderna del vecchio concetto
giudeocentrico di essere "prescelti": la sofferenza ebraica è speciale e
non potrà mai essere paragonata con altre situazioni di sofferenza.
L'interdizione è razzista ed ostacola la conduzione di una normale analisi
storica, considerando che uno dei metodi più diffusi e più importanti
della ricerca consiste nel paragonare. Il confronto non dovrebbe
automaticamente essere precluso come razzista. Potrebbe risultare
sbagliato o corretto, ma non dovrebbe essere precluso.
Occorre prendere atto che i crimini nazisti non erano per niente unici nel
loro genere, non erano crimini specifici commessi dai tedeschi quali gli
eterni carnefici, o subiti dagli ebrei quali le eterne vittime. Non vi è
nulla nel patrimonio genetico di "tedeschi" o di "ebrei" che li rendesse
carnefici o vittime.
Ad esempio, oltre 60 anni fa, il militarismo svolgeva un ruolo centrale
nella vita dei tedeschi, mentre oggi, nella società tedesca si riscontra
una diffusa avversione ai conflitti militari. Viceversa, più di 100 anni
fa, era abbastanza raro incontrare un militarista ebreo, ma oggi, Israele
è la moderna Sparta, con una società fra le più militariste del mondo.
Nell'Israele di oggi, più che in molti altri paesi inclusa la Germania, si
possono incontrare molte persone influenti che s'inquadrerebbero
perfettamente nel sistema nazista, sia in termini di ideologia sia di
pratica. Ciò che distingue gli israeliani nazisti, di cui alcuni sono essi
stessi vittime dei nazisti tedeschi, è il desiderio che il mondo li
riconosca quali i veri anti-nazisti e che riconosca loro il diritto, a
causa delle sofferenza subite, di infliggere simili o dissimili sofferenze
ad altri come se i torti subiti dai loro antenati li avessero resi
irreprensibili.
Si è molto diffuso l'errore di identificare i crimini dei nazisti soltanto
con lo sterminio industriale degli ebrei come fu praticato ad Auschwitz,
sorvolando sul fatto che le azioni criminose dei nazisti furono impostate
su molteplici binari e che il progetto di costruire Auschwitz fu messo a
punto solo nel 1941, mentre i nazisti erano arrivati al potere nel 1933,
che erano stati dei criminali sin dall'inizio e che le loro azioni non
erano dirette soltanto contro gli ebrei.
Non dovremmo trascurare, sminuendola, la dinamica "ad escalazione" che
aveva caratterizzato l evolversi della brutalità del regime nazista. Fino
al 1938, ad esempio, i nazisti puntavano ad un esodo, per cosè dire,
volontario (la deportazione in massa) degli ebrei dalla Germania ed
impiegavano molto meno violenza rispetto a ciò che Israele nei giorni
d'oggi sta mettendo in atto, mentre gli obiettivi da conseguire ai danni
dei palestinesi sono del tutto simili. L'esercito israeliano e bande della
destra radicale accelerano di continuo le loro azioni violenti,
all'insegna del progetto di un'espulsione forzata simile a quello dei
nazisti dopo il 1938.
Storicamente, nonostante tutte le differenze che esistono tra le due
situazioni - quella della Germania nazista e quella dell'attuale Israele -
vi appaiono troppe preoccupanti ed ovvie analogie strutturali. Il fatto
che nell odierna Israele siano sopravvissuti alcuni tratti democratici,
mentre negli anni trenta la Germania era una dittatura, non può essere di
gran conforto per le vittime, per le quali il tipo di regime che le
opprime e commette abusi nei loro confronti, non può avere un reale
significato. In effetti, i cittadini israeliani ebrei si caricano di una
responsabilità perfino maggiore di quella dei cittadini tedeschi sotto il
regime nazista, proprio a causa di questi sopravvissuti tratti
democratici. Gli israeliani d oggi non hanno da temere le stesse
ripercussioni che i tedeschi dovevano affrontare sotto il regime nazista.
Prendendo in seria considerazione le accuse di Jamal Karsli, che i soldati
israeliani avrebbero adoperato metodi nazisti marcando i prigionieri
palestinesi di numeri, dobbiamo pure ammettere che le due situazioni erano
caratterizzate da circostanze differenti e che per i palestinesi, il gesto
in questione si presentava come un'offesa piuttosto minore e di valore
innanzi tutto simbolico, se confrontata con gli altri crimini perpetrati
dagli israeliani. I numeri non venivano tatuati nelle mani dei palestinesi
ed i prigionieri non si trovavano (ancora) in un campo di sterminio di
tipo Auschwitz. Dall'altra parte, molti palestinesi che attualmente vivono
in ghetti e campi di concentramento, cosè come il ministro per
l'educazione israeliano, Shulamit Aloni, hanno fatto presente che non
occorre aspettare l'arrivo delle camere a gas per i palestinesi per poter
fare gli opportuni confronti. Già adesso siamo testimoni di una crescente
pulizia etnica dei palestinesi e non abbiamo ancora le cifre esatte dei
morti per malnutrizione, per il mancato accesso alle cure mediche ecc. E
non abbiamo le cifre esatte circa i palestinesi che hanno lasciato la loro
patria "volontariamente".
Considero il paragone tra le atrocità naziste ed i crimini israeliani,
nonostante le numerose differenze, non solo giustificato storicamente, ma
innanzi tutto, lo ritengo necessario politicamente, considerando che
questo è uno degli strumenti importanti per prevenire un abuso del
giudeocidio nazista da parte di Israele per poter commettere abusi nei
confronti dei palestinesi, espropriarli e deportarli. Il confronto è senz
altro uno degli strumenti per dimostrare che Israele non ha alcun diritto
morale ed in effetti, non l'ha mai avuto, di incitare sentimenti di colpa,
ad esempio in Europa - sentimenti di colpa tra non ebrei, come risultato
della lunga storia di persecuzioni subite dagli ebrei e che Israele ed i
suoi affiliati sanno perfettamente mettere a frutto e manipolare.
Le lobby sioniste
Non vi è alcun dubbio che le lobby pro-israeliane si annoverano tra le più
potenti al mondo. Una di loro, l'AIPAC, si vanta del fatto che secondo la
rivista Fortune, sarebbe da anni uno dei gruppi di pressione più potenti
negli Stati Uniti. Queste cose si possono leggere sul sito dell'AIPAC,
senza scomodare le oscure pubblicazioni di gruppi giudeofobi.
Se vogliamo trovare la strada giusta per neutralizzare le lobby
pro-sioniste, dobbiamo astenerci da volerle demonizzare. Dobbiamo
comprendere bene come funzionino e quali siano i loro punti di debolezza,
le zone d'attracco. La tendenza di attribuire loro qualche potere magico
non pecca soltanto di razzismo, ma sarebbe foriera della propria disfatta.
Sarebbe un'ulteriore giustificazione dell'impotenza di chi diffonde la
demonizzazione. Non si può vincere contro un fantasma talmente onnipotente
e sovrannaturale.
Uno dei punti di maggiore debolezza delle lobby pro-israeliane è che
solitamente, esse sono costituite solamente da gruppi di funzionari con
una base molto ristretta. Non hanno incontrato alcun opposizione
efficiente perché: troppa gente, ebrei e non-ebrei, credono che Israele
difenda gli interessi ebrei e che lo stato di Israele possa servire come
punto di appoggio in caso di un eventuale secondo giudeocidio. Questo
mito, quest illusione vanno distrutti!
E' facilmente documentabile che Israele non soltanto mette a rischio i
palestinesi, ma anche gli stessi ebrei e questo non soltanto nel Medio
Oriente. Occorre creare su vasta scala la consapevolezza che
quest'illusione di un'assicurazione a vita per ebrei, viene pagata dalla
sofferenza e con il sangue dei palestinesi e che costituisce, di per se,
un pericolo per gli ebrei stessi.
Israele e le organizzazioni affiliate hanno esercitato considerevoli
pressioni per promuovere la cosiddetta campagna anti-terrorista in
generale ed in particolare, l'aggressione statunitense all'Iraq - attività
che hanno aumentato i pericoli anziché: neutralizzarli o prevenirli.
Nel caso dell'Iraq, non vi è alcun serio indizio che il regime di Saddam
Hussein fosse stato un pericolo per chicchessia, tranne per gli iracheni
stessi. Israele di sicuro non era messo a rischio dall'Iraq e Saddam
Hussein aveva segnalato più volte le sue intenzioni serie di arrivare ad
un accordo con lo stato sionista. Secondo vari rapporti dai primi anni 90,
egli era perfino disposto ad assorbire una quota dei profughi palestinesi
nell'Iraq pur di contribuire a risolvere i conflitto
palestinese-israeliano.
Ciò nonostante, molti sostenitori della guerra contro l'Iraq, ma anche
molti oppositori erano e continuano ad essere convinti che quest
aggressione fosse stata perpetrata per allontanare da Israele rischi
reali.
Sicuramente vi furono interessi israeliani in questa guerra - un fatto che
emerge anche nel ruolo attivo che la classe dirigente di Israele ed i suoi
affiliati neocon statunitensi ebrei hanno giocato premendo per la
realizzazione di questa campagna militare.
Qui si sta giocando non per una maggiore sicurezza, ma per aumentare
l'instabilità e con ciò, le spese militari, quindi, per incrementare le
entrate dei complessi industriali-militari (MIC) statunitense ed
israeliano cui viene assegnato, ancora una volta, il ruolo di motrice
delle rispettive economie. Quest alleanza malsana potrebbe un giorno
finire e già adesso vi sono punti di attrito e di conflitto d'interessi
tra i partner; in più, gli israeliani hanno dovuto incassare qualche
dolorosa sconfitta. Ad esempio, nell'industria militare israeliana molti
posti di lavori sono a rischio perché: per Israele è più vantaggioso farsi
donare le armi da parte degli USA che non acquistarle in paese. L'aiuto
militare che Israele riceve dagli USA è, in gran parte, una sovvenzione
per l'industria militare statunitense, considerando che la maggiore quota
dei soldi non può essere spesa altrove. Alcune ditte israeliane cercano di
aggirare questi ostacoli formando joint-ventures con ditte statunitensi,
ma ciò non garantisce per niente che la produzione resterà in Israele.
La causa principale della forte influenza delle lobby pro-israeliane sta
nella saldezza dell'alleanza tra i complessi industriali-militari
statunitense ed israeliano, sin dal 1967. Qualora quest'alleanza dovesse
rompersi o qualora il complesso industriale-militare dovesse perdere in
misura significante d' importanza politica ed economica, il pallone
gonfiato e denominato la potente lobby ebraica, verrà giù, sgonfiandosi
completamente - e ciò non soltanto negli USA.