È dal 1997 che il leader della lega mette in guardia dai pericoli della globalizzazione
«Il deragliamento dell’Illuminismo in Europa cancella uomini, terra, storia. Cancella noi e i nostri diritti»

Igor Iezzi
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Roma - «La Padania è una terra di sognatori: chi fa le rivoluzioni è sempre un sognatore e quindi in questa terra il surrealismo non poteva che produrre moltissimo. Viviamo in città che per molti mesi l’anno sono nascoste sotto la coperta della nebbia e sotto la coperta si sogna. La Padania è piatta, sembra quasi che non abbia confini: ed è proprio per sfuggire a questa piattezza che si diventa sognatori e surrealisti». A rileggere queste parole sembrerebbe di essere di fronte ad un Umberto Bossi contrario all’idea dei confini. Ma quel verbo, “sembra”, rivela ciò che Bossi ha sempre sostenuto: i confini, le delimitazioni territoriali, sono una parte importante della vita di un popolo, da un punto di vista sociale, economico, culturale e per quanto riguarda la sicurezza. Bossi in versione critico d’arte (difatti quella frase è stata pronunciata in occasione dell’inaugurazione della mostra sul surrealismo padano “Da De Chirico a Foppiani” l’8 marzo del 2002) è molto diverso da Bossi quando riveste i panni del politico. Con la dote, tra l’altro, della preveggenza. Mentre alcuni spingono su una globalizzazione sfrenata, un mondo senza confini con ricadute negative (per i cittadini, non certo per i poteri forti e oscuri che la sostengono), da anni il leader della Lega Nord ha rimesso la parola “confini” nel vocabolario della politica padana, italiana ed europea. Molti, nella sinistra come nella destra, tra i grandi imprenditori e tra presunti intellettuali, avevano già provveduto a sbianchettarla. L’Europa tecnocratica di Bruxelles, nella sua utopia mondialista, voleva abolire quel termine considerato non politically correct. In parte ci era riuscita con la convenzione di Schengen, abolendo i controlli sulle persone alle frontiere interne. Poi ci hanno pensato la Francia e l'Olanda (guarda caso gli stessi paesi che hanno bocciato attraverso un referendum la costituzione Ue) a rimettere i confini con l’annuncio di mercoledì. Il terrorismo fa paura e il fanatismo islamico si annida tra le centinaia di migliaia di immigrati. Come rimproverare uno Stato che decide di chiudere le sue frontiere quando confina con un Paese colabrodo come l'Italia?

ERA IL 1997, A PONTE DI LEGNO

Umberto Bossi è dal 1997 che cerca di risvegliare le coscienze della classe politica sull’esigenza di proteggersi, anche delimitando in maniera chiara il proprio territorio. L’Italia, i cui governi hanno sempre gestito le politiche immigratorie aprendo le porte, i portoni e le finestre a tutti, non poteva rispettare le clausole previste dal trattato di Schengen proprio per evitare che un immigrato entrato nel Belpaese finisse a zonzo in tutta Europa perché «finchè ne arrivano solo 10 mila, sono brave persone. Ma quando sono 10 milioni è un cataclisma» diceva Bossi nel suo ritiro estivo di Ponte di Legno. «L’Italia deve rendersi conto che non è in grado di rispettare gli accordi di Schengen». Già allora la Lega aveva le idee chiare, l’11 settembre del 2001 era ancora lungi dal venire e le vestali della globalizzazione cantavano le lodi di un mondo senza frontiere. Un progetto, quello di eliminare i confini e con essi le diversità tra i popoli, che veniva da lontano. «Sta terminando un’epoca iniziata nel ’68. Trent’anni di follia. Noi prepariamo con tutta la nostra forza il ritorno della tradizione» spiegava Bossi sul Corriere della Sera dell'11 maggio del 2003. Un concetto che tornerà a ribadire qualche settimana dopo, il 6 giugno in un comizio a Udine. «È finito il ’68 e sta venendo il nuovo mondo che è quello della tradizione e dei confini».

NO ALL’IDEOLOGIA ILLUMINISTA

Ancora più chiaro fu in occasione del raduno di Venezia il 21 settembre dello stesso anno. «Il vecchio ordine mondiale basato sui confini nazionali, sulla sovranità popolare, cioè la democrazia che è figlia dello Stato Nazione, sul divieto di interferenza nella vita degli altri popoli, è stato ridotto e sostituito dalla globalizzazione. L’Occidente ormai - spiegò dal palco sulla laguna - si definisce quasi solo con le idee e non con i territori. Coincide con un sistema di valori: l'Illuminismo, la democrazia sociale, ecc. Ora, se l’Occidente è definito solo dalle idee, è evidente che chiunque studi le quattro regolette a memoria può diventare occidentale. In realtà c’è una forzatura dietro tutto questo mondo alla rovescia, perché l’Illuminismo non è l’Occidente, ma è solo uno dei pensieri dell’Occidente il quale, oltre che di idee, è fatto di cose reali: di popoli, cioè di storia, di uomini in carne ed ossa, cioè da noi, dal nostro lavoro, che è fatto dalla nostra terra, che non è né in vendita né in regalo. Il vero problema è che dietro le idee c’è un sistema di interessi che ha bisogno che l’Occidente sia più virtuale che reale. Se tutti possono diventare occidentali studiando quattro regolette, allora simmetricamente l’Occidente può diventare il mondo. E chi comanda l’Occidente - concluse - diventa il padrone del mondo. Questa è la base ideologica della globalizzazione: essa è la conseguenza del deragliamento dell’Illuminismo, che ormai cancella uomini, terra, storia. Cancella noi e i nostri diritti».

UNA RETE ANTI CLANDESTINI

Il leader del Carroccio si trovò negli ultimi anni più volte costretto a erigersi a difendere i confini, perché difendere la frontiera italiana voleva dire difendere la Padania. Emblematica la sua proposta di alzare una rete metallica lungo i 260 chilometri del confine italo-sloveno, da Trieste a Tarvisio, sotto pressione per i traffici di clandestini da parte di organizzazioni criminali. Era il giugno del 2001 e Bossi si recò in visita su quella parte del colabrodo Italia.
Un anno dopo, marzo del 2002, in due interviste su la Padania e la Repubblica, Bossi tornò sulla situazione dei confini, chiedendo risposte adeguate anche all'Europa. «Chiudere un colabrodo è un’impresa titanica ma ci si deve arrivare». Come sempre non usava mezzi termini. «L’Europa faccia la sua parte. Si tratta di caricare sull’Ue i costi del rinvio a casa dei clandestini - precisava il ministro - qui ci hanno lasciati soli davanti al Mediterraneo, un mare sul quale ormai gli immigrati camminano sulle acque. Siamo o non siamo il terzo contribuente europeo? E allora si carichi i costi della difesa del confine esterno sul Mediterraneo».

L’ALLARGAMENTO E I LAVORATORI DALL’EST

Confine non significa solo cultura e sicurezza. Anche a livello sociale ed economico, toglierli porta a guai grossi. L’Europa senza più confini, con l’allargamento ai nuovi paesi dell’Est, avrebbe portato all’ingresso di migliaia di nuovi lavoratori. La possibilità di fermare l’invasione c’era, ma alcuni non volevano utilizzarla.
Il 7 ottobre del 2003 Bossi metteva tutti sull’avviso: «Sono preoccupato del destino della moratoria dato che dopo il primo gennaio 2004 ci sarà la libertà di circolazione in tutta Europa dei cittadini degli ultimi dieci Paesi entrati nella Ue. Solo mantenendo la moratoria, la stessa libertà di ingresso non si estenderà ai lavoratori, cosa assai più grave e definitiva».
La battaglia in difesa dei lavoratori si era unita così a quella dei dazi per proteggersi dalla Cina. A Bruxelles se ne accorgono ora, Bossi lo diceva due anni fa «La flessibilità del mercato del lavoro, per quanto giusta sia, non basta da sola a salvare l’economia italiana. Serve il confine».

SDOGANARE IL PROTEZIONISMO

La Lega diede vita ad una vera e propria guerra di trincea.
«Ritornano i gazebo per le strade. Gli illuministi della sinistra hanno tolto i confini per fare entrare i clandestini e offrirli come schiavi alle aziende. Le imprese non sono però state salvate, anzi la produzione è andata altrove e noi siamo aggrediti dalla Cina. Dobbiamo sdoganare una parola: protezionismo». Il 13 e 14 settembre del 2003 i gazebo erano in piazza a raccogliere firme per «esigere» i confini e i dazi. La ricetta per salvare l’Italia e l’Europa dalla «concorrenza dei paesi del Terzo mondo che usano selvaggiamente la globalizzazione è l’introduzione dei dazi doganali e dei confini. Noi - auspicava Bossi - non vogliamo morire di Cina». Nè di Europa o di Islam.


[Data pubblicazione: 15/07/2005]