Risultati da 1 a 8 di 8
  1. #1
    RenzoAudisio
    Ospite

    Lightbulb Per chi avesse dei dubbi sulla natura libertaria di Malatesta.

    Mi è capitato per le mani un articolo di Errico Malatesta Pubblicato in « Pensiero e volontà », 1 aprile 1926, con il titolo: "Comunismo e individualismo".
    Ne riporto qui un passaggio estremamente significativo, che dovrebbe essere di monito ed insegnamento a tutti coloro che pensano che l'Anarchia, il libertarismo sia rappresentabile solo dalla loro personale visione ideologica, anarco-capitalista piuttosto che anarco-comunista:

    "le polemiche tra individualisti e comunisti hanno spesso assorbito gran parte delle nostre energie, hanno impedito, anche quando era possibile, una franca e fraterna collaborazione fra tutti gli anarchici ed hanno tenuti lontani da noi molti che se ci avessero veduti tutti uniti sarebbero stati attirati dalla nostra passione per la libertà. E quindi Nettlau fa bene quando predica la concordia, dimostrando che per esservi veramente libertà, cioè anarchia, bisogna che vi sia possibilità di scelta e che ciascuno possa accomodare come crede la propria vita, abbracciando la soluzione comunista o quella individualista, o un qualunque grado o una qualunque miscela di comunismo e di individualismo."

  2. #2
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    Dubito che per individualismo Malatesta intendesse libero mercato e proprietà privata.
    Del resto anche Stirner era definito anarco-individualista a quei tempi.

  3. #3
    RenzoAudisio
    Ospite

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    Ari6 so che sei limitato da questi tuoi pregiudizi e chiusure mentali talebane che Luigi Corvaglia attribuiva nell'altro suo thread alla sua parte libertaria, che ha analoghe chiusure mentali nei confronti dell'anarco-capitalismo, ignorando invece (entrembe le parti libertarie) l'insegnamento di tolleranza e "laissez faire" da parte di anarchici come Malatesta o Berneri.
    So che sei limitato da questi tuoi pregiudizi ed è principalmente a quelli come te che dedico questo thread.

    Certo l'anarco-capitalismo ai tempi di Malatesta non esisteva, sarebbe anacronistico farcelo entrare... ma l'individualismo è pur sempre individualismo... oggi come allora antitetico al comunismo e non a torto un insigne studioso come Antimo Negri e tanti altri portano significativi paralleli tra Stirner e l'anarcocapitalismo.

    Ma per farti capire che l'individualismo anarchico dei tempi di Malatesta ed antecedenti non era poi così dissimile dalle idee individualiste che ci animano farò qualche citazione di quel Nettlau (e del suo maestro Paul Emile De Puydt) cui si riferisce Malatesta:

    Scrive Max Nettlau nel 1909 (con riferimento all'insegnamento di Paul Emile De Puydt del 1860):
    ...la legge della libera concorrenza, LAISSEZ-FAIRE, LAISSEZ PASSER, non si applica solo alle relazioni industriali e commerciali ma dovrebbe essere introdotta anche nella sfera politica.
    Alcuni affermano che vi è troppa libertà, altri che non ve ne è abbastanza. In realtà, quella che manca è la libertà fondamentale, quella proprio di cui ognuno ha bisogno, la libertà di essere liberi o di non esserlo, in base alla propria scelta personale.
    Ognuno decide al riguardo in maniera personale e dal momento che vi sono tante opinioni quanti sono gli esseri umani, quello che ne risulta è il miscuglio noto sotto il nome di politica. La libertà di un partito è la negazione della libertà degli altri. Il migliore governo possibile non opera mai in sintonia con la volontà di tutti. Vi sono vincitori e vinti, tiranni in nome delle leggi presenti e ribelli in nome della libertà futura.
    Intendo io proporre il mio personale sistema? Niente affatto! Io sono a favore di tutti i sistemi, vale a dire di tutte le forme di governo che trovano seguaci.

    Scrive Paul Emile De Puydt:
    Ho una passione per l'economia politica e vorrei che tutti, come me, l'avessero in così grande stima. Questa scienza, sorta da poco e già la più importante tra tutte, ha ancora molte cose da dire. Presto o tardi, e io spero che ciò avvenga ben presto, essa governerà l'universo. Ho buone ragioni per affermarlo, perché è negli scritti degli economisti che ho attinto il principio di cui propongo una ulteriore applicazione, di ben più vasta portata e non meno logica di tutte le altre.
    Per cominciare, citiamo alcuni aforismi, la cui attinenza all'argomento preparerà il lettore a quanto segue.

    « La libertà e la proprietà sono strettamente collegate; l'una favorisce la distribuzione delle ricchezze, l'altra insegna a produrle. »
    « Il valore delle ricchezze dipende dall'uso che se ne fa. »
    « Il prezzo dei servizi si stabilisce in ragione diretta della domanda e inversa dell'offerta. »
    « La divisione del lavoro moltiplica le ricchezze. »
    « La libertà genera la concorrenza che, a sua volta, dà vita al progresso. »
    (Ch. De Brouckere, Principes généraux d'économie politique.)

    Dunque, libera concorrenza, innanzitutto tra gli individui, poi tra nazione e nazione. Libertà di inventare, di lavorare, di scambiare, di vendere, di acquistare. Libertà di chiedere un compenso per i prodotti del proprio lavoro. Nessun intervento dello Stato al di fuori del proprio campo particolare: «Laissez faire, laissez passer.»


    Ecco, in poche righe, le basi dell'economia politica, il succo di una scienza senza la quale non vi è che cattiva amministrazione e governi deplorevoli. Si può andare ancora più oltre e, nella maggior parte dei casi, ridurre questa grande scienza al suo motto ultimo: Laissez faire, laissez passer.

    Basandomi su queste massime affermo:
    nel campo della scienza, non vi sono mezze verità; non esistono verità che, vere sotto un aspetto, cessano di esserlo sotto un altro. Il disegno dell'universo è di una semplicità meravigliosa, al pari della sua infallibile logica. La legge è dappertutto la stessa, le applicazioni soltanto differiscono. Gli esseri più elevati e i più semplici, a partire dall'essere umano fino agli animali, e ai minerali, presentano degli stretti legami nella struttura, nello sviluppo e nella composizione, e sorprendenti analogie collegano la sfera morale a quella materiale. La vita è una, la materia è una, solo le manifestazioni sono diverse, le combinazioni innumerevoli, le individualità infinite; e nonostante ciò, il disegno generale le comprende tutte. La debolezza del nostro intendere, il difetto radicale della nostra educazione, sono responsabili della diversità dei sistemi e del contrasto delle idee. Tra due opinioni che si contraddicono, ve ne è una vera e una falsa; a meno che non siano false tutte e due, ma tutte e due non possono essere vere. Una verità scientificamente dimostrata, non può essere vera qui e falsa altrove, buona, ad esempio, per l'economia sociale e cattiva in politica: questo è il punto a cui volevo arrivare.

    La grande legge dell'economia politica, la legge della libera concorrenza, laissez faire, laissez passer, è forse applicabile solo alla regolamentazione degli interessi industriali e commerciali o, più scientificamente, alla produzione e alla circolazione delle ricchezze? La notte dell'economia che essa è venuta a rischiarare, lo stato permanente di agitazione, l'antagonismo violento degli interessi che essa ha pacificato, tutto ciò non domina forse in pari grado nella sfera politica, e il ragionamento analogico non dice forse che il rimedio potrebbe essere lo stesso nei due casi? Laissez faire, laissez passer.

    Intendiamoci, però: vi sono qua e là, dei governi liberi quanto lo permette la debolezza degli esseri umani, anche se si è ben lontani dal meglio persino nelle migliori repubbliche. Gli uni dicono: « è proprio perché c'è troppa libertà; » gli altri: « è perché non ce n'è ancora abbastanza. »

    La verità, è che non vi è la libertà che occorrerebbe; la libertà fondamentale, la libertà di essere liberi o di non esserlo, a propria scelta. Ognuno si fa giudice e sentenzia secondo i propri gusti o i propri bisogni particolari, e dal momento che vi sono, al riguardo, altrettante opinioni che individui, tot homines, tot sensus, vi rendete conto del pasticcio adornato del bel nome di politica. La libertà degli uni è la negazione dei diritti degli altri, e reciprocamente. Il più saggio e il migliore dei governi non funziona mai secondo il pieno e libero accordo di tutti i governati. Vi sono dei partiti, trionfatori o sconfitti, delle maggioranze e delle minoranze in conflitto permanente, e il loro ardore per l'ideale è direttamente proporzionale alla confusione delle loro idee. Gli uni opprimono in nome del diritto, gli altri si ribellano in nome della libertà, per divenire poi, a loro volta, oppressori, quando se ne presenti il caso.
    Non sarà anarco-capitalismo ma... ci sono anche anticipazioni rispetto al "Nazionalismo per consenso" di Rothbard che quasi le preferisco!

  4. #4
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    Belle citazioni Renzo.
    E guarda che non me ne stupisco: anch'io vado dicendo da sempre che tutti gli anarchici in fondo hanno un obiettivo comune. Solo che a volte sento certe cose e mi cascano le palle
    Comunque ti ringrazio di averle postate.
    Però...
    non è che anche tu tendi a isolare quello che ti interessa dal contesto generale? è solo una domanda che deriva dal fatto che io non conosca quegli autori, non sto insinuando nulla, intendiamoci.

  5. #5
    RenzoAudisio
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    Mah sai Ari6 sono molte le cose che possono far cadere le palle... compresi molti discorsi fatti su questo forum, da "libertari" come ad esempio Ronnie piuttosto che da Aguas o da Paleo.
    Chissà forse alle volte anc'io potrei fare involontariamente qualche discorso poco libertario, magari un po' talebano. L'importante è perseguire quell'obiettivo comune, riconoscerlo, capire che è comune e magari come suggeriscono Malatesta e Nettlau prseguirlo insieme.

    Non mi piace fare "quote" troppo lunghe, nemmeno dei miei interlocutori sul forum.
    Quindi effettivamente non ho quotato gli articoli interi, ma per Paul Emile De Puydt del suo articolo intitolato "P A N A R C H I E"
    (Pubbblicato nella Revue Trimestrielle, Bruxelles, Luglio 1860)
    ho tagliato solo un dialogo finale con un suo lettore, mentre di Max Netlau ho evidenziato solo il nocciolo dell'articolo "PANARCHIE Eine verschollene Idee von 1860" in cui faceva sue le tesi anarchiche ovvero "panarchiche" di Paul Emile De Puydt.

    Ma ad esempio anche degli stirneriani, che idee ti sei fatto? Persino Robert Nozick amava citare ad esempio uno Stirneriano per antonomasia come John Henry MacKay:
    Nell'Anarchia ogni gruppo di persone deve avere il diritto di formare un'associazione volontaria, e di attuare così nella pratica le sue idee. E non posso neppure capire come uno possa essere secondo giustizia scacciato dalla terra e dalla casa che usa e occupa... ogni uomo serio deve dichiararsi: per il socialismo e quindi per la forza e contro la libertà, o anarchista, e quindi per la libertà e contro la forza"
    (tratto da: "The Anarchists" di John Henry MacKay citato in una nota a pag 176 dell'edizione Le Monnier del 1981 di Anarchia Stato e Utopia )

  6. #6
    Estremista della libertà
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    Originally posted by RenzoAudisio
    Mah sai Ari6 sono molte le cose che possono far cadere le palle... compresi molti discorsi fatti su questo forum, da "libertari" come ad esempio Ronnie piuttosto che da Aguas o da Paleo.
    Ronnie non si considera libertario, Aguas è radicale, logico che spesso non siano condivisibili. Quanto a Paleo, difficilmente l'ho visto dissentire da Rothbard, ragion per cui tendo a considerarlo perfettamente in linea con lo spirito di un forum fin dall'origine dedicato a questo grande pensatore.

    Chissà forse alle volte anc'io potrei fare involontariamente qualche discorso poco libertario, magari un po' talebano.
    Ma no, è che sei un vecchio sessantottino, ma non sei cattivo in fondo

    degli stirneriani, che idee ti sei fatto?
    Degli stirneriani non mi sono fatto alcuna idea, di Stirner però un'idea ce l'ho, e come sai non è positiva. A mio parere oltre il diritto naturale c'è la violenza, e non ritengo desiderabile una società dove essa sia tollerata.

    Ancora grazie per le interessanti citazioni.

  7. #7
    RenzoAudisio
    Ospite

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    Originally posted by ARI6
    Ronnie non si considera libertario, Aguas è radicale, logico che spesso non siano condivisibili. Quanto a Paleo, difficilmente l'ho visto dissentire da Rothbard, ragion per cui tendo a considerarlo perfettamente in linea con lo spirito di un forum fin dall'origine dedicato a questo grande pensatore.
    Se vai a vedere bene Ronnie, sotto sotto, si consudera un libertario anche se non lo è del tutto. Aguas vede nel radicalismo pannelliano un pensiero "liberale-liberista e libertario" ma è un sostenitore del "giuridismo". Riguardo a Paleo, anch'io ne intravedo il libertarismo, mi tu mi fai sorridere nel tuo atteggiamento fideistico di chi pensa che: "chi è in linea con Rothbard è Libertario, chi non lo è commette eresia!"
    Effettivamente si adatta bene a descrivere l'atteggiamento "paleo" che trasforma il libertarismo anarco-capitalista in una vera "Religione" manichea dove la discriminante tra eresia e micaeresia è il vangelo di questo Messia: "Murray Rothbard"

    Originally posted by ARI6
    Ma no, è che sei un vecchio sessantottino, ma non sei cattivo in fondo
    Vecchio di spirito forse si..., ma non sono poi così "vecchio"! Nel '68 avevo l'età che ha ora mio figlio, facevo seconda elementare ed invece di Che Guevara, le letture più rivoluzionarie che facevo erano i fumetti di "Danny the Menace" sul C.d.P. MA leggevo anche Zorrikid e Coccobill del destroide Benito Jacovitti. Per non parlare poi del mio Giovannino Guareschi che nel '68 moriva da Direttore del "Borghese"!
    Comunque anche l'anarco-capitalismo nasce circa nel '68. E potremmo certamente definire sessantottini i vari David Friedman e Murrey Rothbard.
    Originally posted by ARI6
    Ancora grazie per le interessanti citazioni.
    Allora visto che mi ringrazi ne aggiungo un'atra più recente attribuibile proprio a un giovane Murrey Rothbard... o comunque ad un Anarco-capitalista antelicteram. Si tratta di un articolo anonimo pubblicato in "THE REGISTER", Drawer 1318, Santa Ana, California USA, un Giornale Libero Independente, il 12 Gennaio del 1962, dal Titolo DEMOCRACY WITH A SMALL "d"
    Anche questa lettura l'ho rubata ai "Panarchici", che la citano come premessa al loro manifesto:
    "Nell'ambito della democrazia politica, solo i voti che vanno al candidato di maggioranza o ai programmi della maggioranza servono a modellare il corso degli affari. I voti ottenuti dalla minoranza non influenzano direttamente le decisioni politiche. Invece sul mercato nessun voto è perso. Ogni piccola somma spesa ha il potere di influire sul processo produttivo. ... La decisione di un consumatore produce i suoi effetti con tutte le conseguenze che egli gli attribuisce attraverso la sua inclinazione a spendere una certa quantità di denaro."
    (Ludwig von Mises, "Human Action")

    Vi è molta confusione in questa nazione riguardo al termine 'democrazia'. La parola proviene dal Greco ed etimologicamente significa 'potere del popolo' o 'potere attraverso il popolo'. Ma quando la parola non è scritta in lettere masiuscole, essa si applica molto bene all'ambito degli scambi piuttosto che alle attività politiche. Quando invece appare in lettere capitali, allora il concetto subisce una trasformazione.

    In una Democrazia, le maggioranze prendono le decisioni che ricadono su tutti. Quando il concetto di democrazia viene utilizzato con riferimento agli scambi ogni individuo prende decisioni che sono vincolanti solo per lui e per coloro che ne sono direttamente interessati. Il processo democratico ('d' minuscola) non presuppone il controllo da parte di alcuni nei confronti di altri; si basa invece sul controllo personale da parte di ognuno.

    Vediamo come funziona.
    Nei rapporti di scambio una persona entra in un negozio e acquista una scatola di fagioli. Quella persona è soggetta alla sua decisione. Egli ha deciso, per ragioni che sono note solo a lui, di comperare una scatola di fagioli prodotta dalla ditta X. Quel nome è sull'etichetta.
    Egli non sa con certezza assoluta che vi sono fagioli in quella scatola. Non può vederli. Ma, sia a causa dell'etichetta, sia a causa dell'esperienza, egli ha fiducia in quel produttore. L'individuo dà moneta in cambio della scatola di fagioli. Questo è come un voto emesso sul mercato. Questo è il voto di un individuo a favore della ditta che egli promuove con il suo acquisto.

    La decisione è vincolante per quella persona. Essa deve pagare per i fagioli il prezzo stabilito. Non è costretta ad effettuare l'acquisto ma se lo fa deve effettuare un pagamento per ottjenere il prodotto. Potrebbe anche pagare in una data futura se il commerciante gli facesse credito. Se egli gli fa credito, è perché ha fiducia delle caratteristiche che qualificano quella persona. Egli pensa, sia in base all'esperienza generale che alla lunga pratica nel leggere i dati della realtà, che egli sarà alla fine pagato. Si può sbagliare in qualche caso ma non può sbagliarsi in molti casi.

    Anche la persona che ha effettuato l'acquisto può sbagliarsi. La scatola potrebbe contenere sassi, una zuppa o patate schiacciate. Ma non ci si può sbagliare molte volte di seguito. Se una persona compra una scatola da un produttore X e non contiene ciò che si afferma sull'etichetta, la persona sarà estremamente riluttante a sostenere quel produttore una seconda volta.

    Ma vediamo che cosa accade come risultato del voto effettuato sul mercato. Il voto di ogni persona viene registrato dal negoziante o alla fine della giornata o dopo alcuni giorni di vendite. Il negoziante scoprirà, quando farà i suoi calcoli, che alcune persone (come quella in oggetto) hanno votato per il produttore X. Egli si renderà conto di ciò perché dovrà ordinare nuovamente il prodotto del fabbricante X.
    Egli scoprirà anche che altri hanno votato per il produttore Y. Altri ancora avranno votato per i prodotti della marca Z, ZXY, XX, YYYY. Il negoziante farà un nuovo ordinativo anche nei confronti di queste marche esattamente nella quantità che egli riterrà necessaria per soddisfare le richieste future dei suoi clienti.

    Che cosa accade alle varie imprese che producono questi fagioli? Il voto viene registrato, numericamente diverso per ogni impresa. Ognuna di esse riceve un incoraggiamento per ogni voto a suo vantaggio. Tale incoraggiamento spinge ogni produttore a continuare l'attività attraverso la quale arreca soddisfazione a quella persona o ad altri.

    Supponiamo che la marca X, che ha ricevuto il voto della persona in oggetto, risulti la più popolare. Supponiamo che questa marca riceva 100 voti, mentre ognuna delle altre marche ne ottenga meno di 100. Se negli scambi vigesse la Democrazia (quella con la D maiuscola), questo significherebbe la messa in atto di una procedura per cui si proclamerebbe che, 'Da questo momento in poi, solo la marca X deve essere prodotta. Gli elettori hanno chiaramente mostrato che la marca X è la migliore marca di fagioli. Per questo motivo, la produzione di tutte le altre marche viene sospesa.'

    Ma noi non abbiamo la Democrazia con la D maiuscola nell'ambito delle transazioni commerciali. Abbiamo la democrazia con la d minuscola. Per questo motivo, anche se la marca X è risultata essere la più popolare, le altre marche sono anch'esse abbastanza popolari da ricevere in una qualche misura un incoraggiamento per la loro produzione. Per cui, tutte le imprese che hanno ricevuto un voto abbastanza favorevole continuano a produrre i loro beni. L'azione di una persona rivolta all'acquisto della marca X non ci obbliga all'acquisto della marca X. Supponiamo che, personalmente, troviamo soddisfazione nella marca YYYY. Noi non possiamo impedire ad una persona di comperare la marca X come nessuna persona può impedire a noi di comperare la marca YYYY.

    Questa è la vera democrazia. È quel meccanismo attraverso il quale ognuno governa sé stesso. Questa dinamica riveste in ogni momento un carattere morale e fornisce la quantità più grande di prodotti, la più estesa varietà e il più basso prezzo per il maggior numero di individui.



    --------------------------------------------------------------------------------

    LA MAGGIORANZA RICEVE IL MONOPOLIO DEL CONTROLLO

    Nei paragrafi precedenti abbiamo cercato di mostrare come la democrazia (con la d minuscola) funzioni nell'ambito degli scambi commerciali. Ma la controversia sorge di continuo, riguardo al fatto che lo stesso meccanismo non si attua in politica. Due persone competono per la guida del governo. Entrambe non possono esercitare il potere contemporaneamente. Allora, gli elettori scelgono attraverso la formula della maggioranza la persona più adatta. Questa persona eserciterà il potere. L'altra no.
    Cosa c'è di sbagliato in tutto ciò?
    C'è di sbagliato la stesso che ci sarebbe se una persona entrasse in un negozio per comperare il marcho X di fagioli e si venisse informati che, da momento che la maggioranza delle persone preferiscono il marchio YYYY, quello soltanto è disponibile per tutti i consumatori.
    Ma c'è di più, a quella persona verrebbe detto che non può risolvere la situazione a livello personale astenendosi dall'acquistare fagioli. Li deve per forza comperare. E deve adeguarsi acquistando i fagioli YYYY. Inoltre, i fagioli deve anche mangiarli. A questo punto avremmo la democrazia con la D maiuscola. E questo è ciò che è avvenuto per quanto riguarda il governo di questo paese.

    Immaginiamo che due persone si confrontino per il posto di primo ministro. Supponiamo ulteriormente che uno di essi, marchio YYYY, si chiami Signor Kennedy. Continuando nella nostra supposizione, immaginiamo che l'altro, marchio X, si chiami Signor Nixon. Il Signor Kennedy ottiene più voti del Signor Nixon. Coloro che hanno votato per il Signor Nixon non vedono compiersi la loro scelta. Essi volevano che il Signor Nixon li amministrasse. Invece si ritrovano con il Signor Kennedy. Per questo sono scontenti.
    Certamente coloro che hanno votato per il Signor Kennedy sono più che soddisfatti. Non solo essi si ritrovano con il loro uomo a gestire i loro affari, ma il loro uomo ha il potere di amministrare anche gli affari di tutti.

    C'è inoltre sempre una terza categoria di persone, coloro che non volevano né il marchio X né il marchio YYYY. Ci sono quelli che volevano il marchio Z. Potrebbero persino esserci alcuni che non vogliono nessun marchio. Essi intendono amministrare in maniera autonoma i loro affari senza delegare il potere a Kennedy, o a Nixon o a chicchessia.

    Ma, per via del meccanismo della maggioranza, tutti senza distinzione di preferenze o convinzioni personali, devono obbligatoriamente acquistare il marchio YYYY. E sono costretti a usare il marchio YYYY anche se preferirebbero farne a meno. Improvvisamente, noi vediamo che cosa è accaduto al nostro sostegno a vantaggio della Democrazia: ci siamo allontanati dal concetto di amministrazione attraverso il popolo. Al suo posto abbiamo ora il monopolio della gestione. Tutte le minoranze, mettendo a tacere i loro interessi, desideri o quant'altro, sono obbligate a sottostare al monopolio.

    Invece se in questo paese si praticasse la democrazia con la d minuscola, coloro che hanno votato per Nixon lo avrebbero in quanto amministratore dei loro affari; coloro che hanno votato per Kennedy sarebbero amministrati da Kennedy; altri che hanno votato per un'altra persona per la gestione politica seguirebbero la persona da loro scelta. E coloro che non vogliono che qualcuno gestisca i loro affari al loro posto sarebbero lasciati liberi di amministrarsi da soli.

    Questo sarebbe un risultato di grande moralità: ognuno otterrebbe per sé stesso ciò che egli stesso ha scelto attraverso il voto. Colui che si rifiutasse di partecipare non otterrebbe i 'vantaggi' che avrebbe guadagnato se avesse preso parte alle votazioni. Forse egli cambierà parere in un secondo tempo.
    Ma questo è affar suo. Come è affar suo rifiutarsi di comperare i fagioli e soffrire la fame se questo è il risultato delle proprie decisioni.

    Possiamo quasi già sentire i gridi di allarme: 'Ma questo significherebbe avere molti primi ministri? almeno due. E come potremo far sì che ognuno si adegui in maniera uniforme alle stesse decisioni concernenti la stessa materia?
    La risposta è che ciò non sarebbe possibile. Ma sarebbe tale evenienza un fatto davvero disastroso?

    Il concetto di rappresentanza è essenzialmente un concetto che ha a che fare con l'agire. Qualcuno agisce per te. Ma come può qualcuno agire per te se egli è completamente orientato a sostenere comportamenti contrari ai tuoi migliori interessi? Supporre che egli ti rappresenti perché altri lo hanno scelto equivale ad accettare una bugia colossale. Egli può rappresentarti solo se tu lo hai scelto e se, quindi, si limita a promuovere i tuoi interessi.

    È la Democrazia con la D maiuscola che ci sta portando alla rovina. Individui che sono in antitesi ai tuoi migliori interessi ottengono il potere su di te attraverso decisioni prese da altri; la Democrazia (con la D maiuscola) significa controllo su tutti da parte della maggioranza. Il controllo di maggioranza significa monopolio. E il risultato è che una minoranza finisce sempre per assumere il monopolio del potere. Questo fatto non risponde né a esigenze di moralità né di necessità.
    Prima o poi bisognerà confrontarsi con i Panarchici una strana forma di anarchici, per certi versi molto prossimi alle mie idee ma per altri altrettanto distanti.

  8. #8
    RenzoAudisio
    Ospite

    Predefinito Né democratici né dittatoriali: anarchici

    Ma torniamo al nostro Errico malatesta, vi offro per intero questo suo articolo (tratto da Pensiero e Volontà, anno III, n. 7, Roma, 6/5/1926), che come si può notare non esprime certo opinioni "anarco-capitaliste", ma che una buona parte del suo discorso dovrebbe essere condivisibile anche da noi "Libertarians":
    Né democratici né dittatoriali: anarchici

    «Democrazia» significa teoricamente governo di popolo: governo di tutti, a vantaggio di tutti, per opera di tutti. Il popolo deve, in democrazia, poter dire quello che vuole, nominare gli esecutori delle sue volontà, sorvegliarli revocarli a suo piacimento.

    Naturalmente questo suppone che tutti gli individui che compongono il popolo abbiano la possibilità di formarsi un’opinione e di farla valere su tutte le questioni che li interessano. Suppone dunque che ognuno sia politicamente ed economicamente indipendente, e nessuno sia obbligato per vivere a sottoporsi alla volontà altrui.

    Se vi sono classi e individui privi dei mezzi di produzione e quindi dipendenti da chi quei mezzi ha monopolizzati, il cosiddetto regime democratico non può essere che una menzogna atta ad ingannare e render docile la massa dei governati con una larva di supposta sovranità, e così salvare e consolidare il dominio della classe privilegiata e dominante.

    E tale è, ed è sempre stata, la democrazia in regime capitalistico qualunque sia la forma ch'essa prende, dal governo costituzionale monarchico al preteso governo diretto.

    Di democrazia, di governo di popolo, non ve ne potrebbe essere che in regime socialistico, quando, essendo socializzati i mezzi di produzione e di vita, il diritto di tutti a intervenire nel reggimento della cosa pubblica avesse a base e garanzia l’indipendenza economica di ciascuno. In questo caso sembrerebbe che il regime democratico fosse quello che meglio risponde a giustizia e meglio armonizza l’ indipendenza individuale con le necessità della vita sociale. E tale apparve, in modo più o meno chiaro, a coloro che in tempi di monarchie assolute combatterono soffrirono e morirono per la libertà.

    Senonché, a guardare le cose come veramente sono, il governo di tutti risulta un’ impossibilità in conseguenza del fatto che gli individui che compongono il popolo hanno opinioni e volontà differenti l’uno dall’altro, e non avviene mai, o quasi mai, che su di una questione od un nome qualunque tutti siano d’accordo; e perciò il «governo di tutti», se governo ha da essere, non può che essere, nella migliore delle ipotesi, che il governo della maggioranza. E i democratici, socialisti o no, ne convengono volentieri. Essi aggiungono, è vero, che si debbono rispettare i diritti delle minoranze; ma siccome è la maggioranza che determina quali sono questi diritti, le minoranze in conclusione non hanno che il diritto di fare quello che la maggioranza vuole e permette. Unico limite all’arbitrio della maggioranza sarebbe la resistenza che le minoranze sanno e possono opporre; vale a dire che durerebbe sempre la lotta sociale, in cui una parte dei soci, e sia pure la maggioranza, ha il diritto di imporre agli altri la propria volontà, asservendo ai propri scopi le forze di tutti.

    E qui potrei dilungarmi per dimostrare col ragionamento appoggiato ai fatti passati e contemporanei, come non sia nemmeno vero che quando vi è governo, cioè comando, possa davvero comandare la maggioranza e come in realtà ogni ‘democrazia’ sia stata, sia e debba essere niente altro che una ‘oligarchia’, un governo di pochi, una dittatura. Ma preferisco, per lo scopo di quest’ articolo, abbondare nel senso dei democratici e supporre che davvero vi possa essere un vero e sincero governo di maggioranza.

    Governo significa diritto di fare la legge e d'imporla a tutti colla forza: senza gendarmi non v’è governo.

    Ora, può una società vivere e progredire pacificamente per il maggior bene di tutti, può essa adattare mano mano il suo modo di essere alle sempre mutevoli circostanze, se la maggioranza ha il diritto e il modo d’imporre colla forza la sua volontà alle minoranze ricalcitranti?

    La maggioranza è di sua natura arretrata, conservatrice nemica del nuovo, pigra nel pensare e nel fare e nello stesso tempo è impulsiva, eccessiva, docile a tutte le suggestioni, facile agli entusiasmi e alle paure irragionevoli. Ogni nuova idea parte da uno o pochi individui, è accettata, se è un’idea vitale, da una minoranza più o meno numerosa, e, se mai, arriva a conquistare la maggioranza solo dopo che è stata superata da nuove idee, da nuovi bisogni, ed è già diventata antiquata e forse ostacolo anziché sprone al progresso.

    Ma vogliamo noi dunque un governo di minoranza?

    Certamente che no; chè se è ingiusto e dannoso che la maggioranza opprima le minoranze e faccia ostacolo al progresso è anche più ingiusto e più dannoso che una minoranza opprima tutta la popolazione od imponga colla forza le proprie idee, che, anche quando fossero buone, susciterebbero ripugnanza e opposizione per il fatto stesso di essere imposte.

    E poi, non bisogna dimenticare che di minoranze ve n’è di tutte le specie. Vi sono minoranze di egoisti e di malvagi, come ve ne sono di fanatici che si credono in possesso della verità assoluta e vorrebbero, in piena buona fede del resto, imporre agli altri quello che essi credono la sola via di salvezza e che può anche essere una semplice sciocchezza. Vi sono minoranze di reazionari che vorrebbero tornare indietro e che sono divise intorno alle vie e ai limiti della reazione come ci sono minoranze rivoluzionarie, anch’esse divise sui mezzi e sugli scopi della rivoluzione e sulla direzione che bisogna imprimere al progresso sociale.

    Quale minoranza dovrà comandare?

    È una questione di forza brutale e di capacità d’intrigo; e le probabilità di riuscita non sono a favore dei più sinceri e dei più devoti al bene generale. Per conquistare il potere ci vogliono delle qualità che non sono precisamente quelle che occorrono per far trionfare nel mondo la giustizia e la benevolenza.

    Ma io voglio ancora abbondare in concessioni, e supporre che arrivi al potere proprio quella minoranza che, fra gli aspiranti al governo, io considero migliore per le sue idee e i suoi propositi. Voglio suppone che al potere andassero i socialisti, e direi anche gli anarchici, se non me lo impedisse la contraddizione in termini.

    Peggio che andar di notte, come si dice volgarmente.

    Già, per conquistare il potere, legalmente o illegalmente, bisogna aver lasciato per istrada buona parte del proprio bagaglio ideale ed essersi sbarazzati di tutti gl’impedimenti costituiti da scrupoli morali. E quando poi si è arrivati, il grande affare è di restare al potere, quindi necessità di cointeressare al nuovo stato di cose e attaccare alle persone dei governanti una nuova classe di privilegiati, e di sopprimere con tutti i mezzi possibili ogni specie di opposizione. Magari a fin di bene, ma sempre con risultati liberticidi.

    Un governo stabilito, che si fonda sul consenso passivo della maggioranza, forte per il numero, per la tradizione, per il sentimento, a volte sincero, di essere nel diritto, può lasciare qualche libertà, almeno fino a che le classi privilegiate non si sentono in pericolo. Un governo nuovo, che ha l’ appoggio di una, spesso esigua, minoranza, è costretto per necessità e per paura a essere tirannico.

    Basti pensare a quello che han fatto i socialisti e i comunisti quando sono andati al potere, sia se vi sono andati tradendo i loro principi e i loro compagni, sia se vi sono andati a bandiere spiegate, in nome del socialismo e del comunismo.

    Ecco perché non siamo né per un governo di maggioranza, né per un governo di minoranza; né per la democrazia, né per la dittatura.

    Noi siamo per l’abolizione del gendarme. Noi siamo per la libertà per tutti, e per il libero accordo, che non può mancare quando nessuno ha i mezzi per forzare gli altri, e tutti sono interessati al buon andamento della società. Noi siamo per l’anarchia.
    Nel seguente altro articolo tratto da Pensiero e Volontà, (anno I, n. 6, Roma, 15/3/1924) aveva già scritton contestando determinatamente tanto i Kropotkiani bolscevici quanto i fascisti (non dimentichiamoci che anche Mussolini era un ex anarchico d'isprazione socialista):
    Democrazia e anarchia

    I governi dittatoriali che imperversano in Italia, in Spagna, in Russia e che provocano l’invidia e il desiderio delle frazioni più reazionarie o più pavide dei diversi paesi, stan facendo alla già esautorata ‘democrazia’, una specie di nuova verginità. Perciò vediamo vecchi arnesi di governo, adusati a tutte le male arti della politica, responsabili di repressioni e di stragi contro il popolo lavoratore, farsi innanzi, quando non ne manca loro il coraggio, come uomini di progresso e cercare di accaparrare il prossimo avvenire in nome dell’idea liberale. E, data la situazione, potrebbero anche riuscirvi. I dittatoriali hanno buon giuoco quando criticano la democrazia e mettono in rilievo tutti i suoi vizi e le sue menzogne. E io ricordo quel tale Hermann Sandomirski, l’anarchico bolscevizzante con cui avemmo dei contatti agrodolci all’epoca della conferenza di Genova e che ora cerca di appaiare Lenin nientemeno che con Bakunin, ricordo, dico, che il Sandomirski per difendere il regime russo tirava fuori tutto il suo Kropotkin a dimostrare che la democrazia non è la migliore tra le costituzioni sociali immaginabili. Poiché si trattava di un russo, il suo modo di ragionare mi rimetteva in mente, e credo che glielo dissi, un ragionamento simile che facevano certi suoi compatrioti quando per rispondere all’indignazione del mondo civile contro lo zar che faceva denudare, fustigare e impiccare delle donne, sostenevano l’eguaglianza del diritti e quindi delle responsabilità negli uomini e nelle donne. Quei provveditori di carceri e di patiboli si ricordavano dei diritti della donna solo quando potevano servire di pretesto a nuove infamie! Così i dittatoriali si mostrano avversari dei governi democratici solo quando hanno scoperto che v’è una forma di governo che lascia ancora più libero campo agli arbitri e alle prepotenze degli uomini che riescono a impossessarsi del potere.

    Non v’è dubbio, secondo me, che la peggiore delle democrazie è sempre preferibile, non fosse che dal punto di vista educativo, alla migliore delle dittature. Certo la democrazia, il cosiddetto governo di popolo, è una menzogna, ma la menzogna lega sempre un po’ il mentitore e ne limita l’arbitrio; certo il «popolo sovrano» è un sovrano da commedia, uno schiavo con corona e scettro di cartapesta, ma il credersi libero anche senza esserlo val sempre meglio che il sapersi schiavo e accettare la schiavitù come cosa giusta inevitabile.

    La democrazia è menzogna, è oppressione, è in realtà oligarchia, cioè governo di pochi a benefizio di una classe privilegiata; ma possiamo combatterla noi in nome della libertà e dell’uguaglianza, e non già coloro che vi han sostituito o vogliono sostituirvi qualche cosa di peggio.

    Noi non siamo democratici, fra le altre ragioni perché essa presto o tardi conduce alla guerra e alla dittatura, come non siamo dittatoriali, fra l’altro, perché la dittatura fa desiderare la democrazia, ne provoca il ritorno e così tende a perpetuare quest’oscillare delle società umane dalla franca e brutale tirannia a una pretesa libertà falsa e bugiarda. Dunque guerra alla dittatura e guerra alla democrazia.

 

 

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