di Maurizio Blondet


Mohammed Sidique Khan, uno dei quattro presunti terroristi suicidi nel metrò di Londra, ha fatto un viaggio in Israele.
Viaggio brevissimo: entrato nello Stato ebraico il 19 febbraio 2003, mister Khan ne uscì il giorno seguente.
Lo rivela la Reuter (1), aggiungendo che secondo l'israeliano Maariv il viaggio-lampo di mister Khan potrebbe essere collegato a un attentato suicida avvenuto ben due mesi dopo, il 30 aprile 2003, che uccise tre ebrei in un bar di Tel Aviv.
I due attentatori suicidi colpevoli di quell'atto, Hasan Hanif e Omar Sharif, erano cittadini britannici di ascendenza pakistana, come i presunti attentatori di Londra. Hanif saltò con la sua bomba; Sharif scappò e fu trovato morto in mare pochi giorni dopo.
L'inchiesta stabilì che si era annegato - annegamento provvidenziale - (i morti non parlano dei loro mandanti).



Fatto singolare, nota la Reuter, i servizi israeliani non danno il minimo peso alla notizia.
E aggiunge: "i funzionari israeliani [dei servizi segreti] hanno ricevuto l'ordine dal primo ministro Ariel Sharon di 'non collegare' gli attentati di Londra con i militanti palestinesi".



Ora, il fatto è un po' strano.
Se l'inchiesta sta scavando con tanto zelo nella "pista pakistana" (i quattro attentatori erano stati tutti qualche mese tra Karachi e Lahore, dove avevano parenti), perché non provare a tentare la "pista israeliana"?
Tanto più che il visitatore di un giorno, Sidique Khan, è colui che secondo i genitori dei due più giovani morti "suicidi" avrebbe loro "lavato il cervello", imbottendo le loro giovani menti di una strana versione di Islam, ignota e incomprensibile ai genitori (musulmani di vecchio stampo).
Era il loro istigatore e controllore.
Per conto di chi?



Il che ci riporta a quell'altro indizio della "pista israeliana".
Il preavviso di cinque minuti che il ministro Netanyahu, che si trovava a Londra il 7 luglio, ricevette dal Mossad: non uscire dall'albergo.
La notizia è stata poi smentita; i "grandi" giornali italiani hanno allestito un formidabile fuoco di sbarramento (anch'esso preventivo) contro i "complottisti" che, da quel fatterello senza importanza, avrebbero subito tratto la conclusione – sbagliata, anzi peggio: antisemita – che lo stato giudaico fosse coinvolto nell'attentato.
Anche qualche lettore ci accusa di non indicare la fonte di questa notizia.
Notizia o pseudo-notizia?



Siamo facilmente in grado di indicare la fonte.
E' la più certa: Meir Dagan, il capo del Mossad.
Ecco ciò che ha detto: "l'ufficio del Mossad a Londra ha ricevuto un'informazione in anticipo a proposito degli attacchi, ma solo sei minuti prima della prima esplosione. Perciò è stato impossibile intraprendere una qualunque azione per prevenire le esplosioni".
Chi non ci crede, si legga questa frase nel Bild Am Sontag (2).



Ma non basta.
Nella sempre più strana vicenda c'è una terza pista, anzi una scia.
Una scia di profumo.
Il quarto degli attentatori suicidi, il giamaicano Jermaine (o Jermalne) Lindsaay, il 4 luglio spese 900 sterline (qualcosa come 2,7 milioni di vecchie lire) facendo incetta di profumi di grande marca in tre profumerie di Aylesbury, dove abitava: cercava "Emporio Armani", "Fahrenheit", "Jean Paul Gaultier".
E poiché uno dei negozi era temporaneamente sprovvisto di un dopobarba che lui voleva assolutamente, "Boss in Motion Green", tornò il giorno dopo a ritirarlo.
I commessi se lo ricordano bene, il ragazzone (culturista sui 20 anni), perché ogni volta il futuro suicida ha comprato 300 sterline.
"Così tanto profumo in un colpo solo è insolito".
In un caso il neo-musulmano giamaicano se ne uscì a mani vuote, perché l'assegno che firmò non era congruo con la carta bancaria che presentò.



Perché il profumo?
Ma ovvio, per fabbricare esplosivi, dice il Mirror (3).
E intervista "l'esperto di terrorismo Andrew Silke della East London University", il quale assicura: "in ogni profumo l'ingrediente attivo è l'alcol, che può essere usato per creare ordigni. L'effetto è più incendiario, tipo napalm, che esplosivo. L'alcol produce fiamme, e dunque ustioni".
Silke sarà sicuramente un "esperto di terrorismo" (come Magdi Allam e Introvigne?), ma di esplosivi sa pochino.
Anzitutto, l'alcol nei profumi è diluito al punto, da non poter facilmente produrre fiammate: bisogna concentralo con qualche procedimento.
E se proprio si deve usare un profumo per fabbricare esplosivi, anche i profumi di basso costo da grandi magazzini, i dopobarba più dozzinali, ne contengono la stessa quantità.
Non c'è bisogno di spendere tanto.
Anche perché l'alcol denaturato, che costa un centesimo del prezzo di un "Emporio Armani" o di "Fahrenheit", funziona altrettanto bene anzi meglio, perché è meno diluito.
Quanto all' "effetto napalm", si ottiene economicamente adottando la formula della pregiata ditta che lo ha inventato, la Dow Chemicals.
Il napalm non è che benzina (o qualunque altro solvente, come il toluolo), in cui sono stati fatti sciogliere ritagli di celluloide, scarti di fabbrica che costano pochi centesimi al quintale.
Si ottiene una materia gelatinosa altamente infiammabile: dove è la celluloide che si "appiccica" sulla pelle della vittima, mentre la benzina brucia producendo le ustioni desiderate dagli utilizzatori del napalm.
La sostanza ha quasi lo stesso effetto delle bombe al fosforo, ma costa molto meno. L'alcol non ha questo "effetto napalm", perché da solo non si appiccica (4).



In ogni caso, secondo Scotland Yard l'esplosivo usato dai suicidi di Londra era "perossido di acetone", un composto da perossido di idrogeno e acetone che si può fare in casa.
La parola "perossido di idrogeno" può far pensare a chissà quale diavoleria.
Il nome comune della sostanza è invece noto a tutti: trattasi di acqua ossigenata.
E anche questa si può comprare a litri, come l'acetone, nei negozi per parrucchieri, senza spendere una fortuna.



Allora perché il giamaicano, poco prima di morire, ha speso quasi tre milioni in profumi di grande marca?
Voleva profumare gli ordigni?
Un'altra ipotesi è possibile: voleva lasciare tracce.
O meglio: chi lo controllava voleva che lasciasse tracce nella memoria dei commessi, con quegli strani dispendiosi acquisti.
Anche i terroristi suicidi dell'11 settembre, come noto, si lasciarono dietro gigantesche tracce per farsi riconoscere a cose fatte. Passarono l'ultima notte in un night con ragazze in topless, spesero (musulmani devoti) 200 dollari in super-alcolici (non per le bombe: se li bevvero tutti), gridarono che l'indomani "l'America avrebbe nuotato in un fiume di sangue".
Poi pagarono, non in contanti, ma con carte di credito a loro nome, e uscirono.
Uno di loro "dimenticò" in quel luogo di peccato persino un Corano; un cameriere gli corse dietro per ridarglielo.
Così si impresse bene in mente quella faccia.
E potè riconoscerlo nelle foto che gli presentò, il 12 settembre 2001, l'FBI.



di Maurizio Blondet








Note

1) "London bomber made one-day Israel visit – official", Reuters, 18 luglio 2005, ore 16.05 GMT.
2) Gordon Thomas, "Supersprengstoff aus China?", Bild am Sonntag, 10 luglio 2005. In quest'intervista Meir Dagan manda altri messaggi: dice che l'esplosivo usato a Londra risulterà, alla fine, essere di fabbricazione cinese. L'intervistatore, Gordon Thomas, è un giornalista con noti agganci coi servizi segreti occidentali. L'intervista è apparsa prima che nel giornale tedesco, nel sito Israel Insider.
3) G. Brough e P. Byrne, "Exclusive; scent from hell", Mirror, 18 luglio 2005.
4) L'alcol ha invece una funzione "militare" specifica: data la sua alta tensione superficiale, si infiltra bene nei motori. Per questo è l'ingrediente necessario, con la benzina o il kerosene, del "cocktail Molotov". Le bottiglie Molotov sono anzitutto armi anticarro, un miscugio di alcol e benzina casalingo ma efficace.