Intervista al filosofo francese André Glucksmann sulla guerra russa in Cecenia
Il filosofo e pubblicista francese André Glucksmann è noto in Russia per un atteggiamento estremamente critico verso le azioni delle forze federali nel Caucaso settentrionale. Proprio per la sua posizione decisamente ostile alla politica del Cremlino, questo difensore francese dei popoli del Caucaso è stato dichiarato ‘persona non gradita’ dalle autorità russe.
Lei è probabilmente il più ardente difensore della Cecenia in Europa: come mai?
Sono ormai 35 anni, dall’inizio degli anni Settanta, che scrivo libri sui dissidenti dell’impero sovietico e m’impegno per aiutarli. Ho scritto un libro in difesa di Solzhenitsyn e del suo ‘Arcipelago Gulag’, criticando il fatto che gli europei, e in particolare i partiti della sinistra europea e francese, non abbiano mai protestato contro i gulag, sebbene li considerassero campi di prigionia terribili, simili a quelli nazisti. Sostenevo infatti che per chi si trova in prigione o in esilio, non fa differenza se la bandiera che lo imprigiona sia rossa o nera. I sentimenti sono gli stessi, sia che uno stia soffrendo per mano dei fascisti o dei comunisti. Affermavo che bisognasse mettersi nei panni dei prigionieri politici.
All’inizio degli anni novanta, subito dopo la caduta del muro di Berlino, dei dissidenti russi mi dissero che non era ancora finita. Mi spiegarono che restava un pericolo, che all’epoca chiamavano ‘rosso-nero’: una dittatura non comunista ma che del comunismo avrebbe ripreso tutte le pratiche nefaste. E questo valeva sia per la polizia che per l’esercito e la nomenklatura.
Non mi ci volle molto tempo per rendermi conto che avevano ragione.
Nell’ex Jugoslavia, infatti, il leader comunista Milosevič non solo mantenne il potere, ma organizzò anche una campagna di pulizia etnica che costò la vita ad almeno 200 mila persone. Ha organizzato torture, persecuzioni e creato un regime dittatoriale unendo l’estrema destra nazionalista, razzista e fascista e l’estrema sinistra. Alla base di tutto questo non c’era l’ideologia, bensì una pratica della politica che era, nella sua essenza, stalinista.
Poi, quando ho visto in che modo veniva scatenata la guerra in Cecenia, mi sono detto che Milosevič stava facendo proseliti: la sua lezione è passata da Belgrado a Mosca. Dal primo momento ho quindi preso posizione contro tutto ciò.
Che cos’è la Cecenia per lei?
Per me la Cecenia rappresenta un popolo che ha sofferto il peggio del peggio, la guerra più cruenta e sanguinaria che stia devastando il pianeta. Non è certo l’unico conflitto che ci sia oggi al mondo, ma è sicuramente il più sanguinario: nessun altro popolo al mondo ha perso, negli ultimi dieci anni, qualcosa come un quarto o un quinto della sua popolazione. La Cecenia non è una nazione numerosa, e se paragoniamo il numero complessivo dei Ceceni al numero delle vittime, dei feriti e dei bambini uccisi, osserviamo che questa è la cosa più spaventosa che stia accadendo sul nostro pianeta. Ed è orrendo vedere che stia succedendo nel più totale silenzio del mondo.
Che cosa pensa del popolo ceceno?
Penso che sia un popolo valoroso, che sta affrontando coraggiosamente il periodo peggiore della sua storia con enorme coraggio, opponendosi a ciò che viene inflitto utilizzando tutti i mezzi possibili, non solo dal punto di vista militare. E non resiste soltanto all’invasione, ma anche alla tentazione di lasciarsi andare alla follia del dolore. Confrontiamo la situazione dei palestinesi a quella dei ceceni: i palestinesi vivono una sorte mille volte meno drammatica, sebbene dolorosa, rispetto ai ceceni. D’altro canto proprio questi ultimi soffrono mille volte di più per il terrorismo russo e le aggressioni perpetrate contro i civili palestinesi. Ovviamente sono contrario alla presa di ostaggi, come nei casi del teatro di Dubrovka o a Beslan. Lo considero un crimine contro l’umanità, poiché tali atti sono una minaccia alla vita di cittadini innocenti. Ma apprezzo il fatto che per il momento avvenimenti simili siano rari. E tutti i ceceni che conosco, con cui sono in contatto grazie soprattutto a internet e che mi tengono al corrente di quanto accade a Grozny, sono assolutamente contrari ad azioni di questo tipo. Ciò che mi stupisce dei ceceni, quello che trovo ammirevole, è che non solo resistono alla peggiore aggressione perpetrata oggi nel mondo, ma riescono anche a resistere alla tentazione di impazzire dal dolore e mettersi ad ammazzare chiunque.
Che cosa ha significato per lei la morte di Maskhadov? Quali ne saranno le conseguenze?
Quello che accadrà dipenderà dai ceceni stessi e dai paesi occidentali. Il senso della morte di Maskhadov sta nella volontà dei suoi assassini di continuare questa guerra fino alla fine, distruggendo qualsiasi possibilità di negoziazione e di pace. E’ stato ucciso proprio mentre stava per dimostrare che poteva ordinare un cessate il fuoco, scatenando un desiderio selvaggio di distruzione da parte di Putin. Due fattori lo confermano. In primo luogo il fatto che Putin non abbia mai presentato scuse per l’uccisione di Maskhadov, non ha mai detto che sarebbe stato meglio prenderlo prigioniero. Non ci ha nemmeno pensato. L’ordine era di ucciderlo, come dimostra l’esistenza di una taglia sulla sua testa. Il secondo fattore è il modo assolutamente vile in cui hanno fatto sfoggio del suo corpo, seguito dal rifiuto di renderlo alla sua famiglia. Sono prove del fatto che non si è trattato di un incidente ma del desiderio cosciente di uccidere l’uomo che avrebbe potuto avviare i negoziati di pace. Conosco il piano di Maskhadov per la Cecenia, per i negoziati di pace. Esisteva già da tre anni e lo trovo assolutamente corretto, esemplare. Era una vera soluzione antiterrorismo e credo sia terribile che Putin abbia voluto dimostrare, col suo assassinio, che non era intenzionato a negoziare la pace.
Pensa quindi che la morte di Maskhadov aggraverà la situazione?
Certo! Per questo tutti i ceceni e le persone che amano la pace e la libertà hanno pianto la sua morte.
Che cosa pensa degli altri piani proposti per porre fine al conflitto ceceno?
Credo che il progetto proposto da Maskhadov e pubblicato da Ilyas Akhmadov fosse assolutamente il più ragionevole. Prevedeva il disarmo di entrambe le parti attraverso il ritiro dell’esercito russo e la consegna delle armi da parte dei ceceni sotto supervisione internazionale. Penso che fosse assolutamente il tipo di pace appropriata per porre fine a questo conflitto. Ha funzionato in Kosovo, proponendo quindi un precedente. E’ un’idea ben pensata, proprio il tipo di pace che dobbiamo ricercare nel ventunesimo secolo, in questo periodo segnato dal terrorismo internazionale. La mancanza di sostegno a questo piano da parte delle diplomazie occidentali è stata assolutamente criminale.
Crede che Shamil Basayev sia un terrorista o una vittima della politica russa? Non nutro alcuna simpatia per Basayev. E non credo sia una vittima della politica russa. E’ piuttosto un burattino nelle mani del Cremlino. Già membro dell’Fsb (i servizi segreti russi) in Georgia, ha ricevuto finanziamenti sia da Eltsin che da Putin, e in particolare da Berezowsky. E’ stato la scintilla che ha permesso a Putin di accendere la miccia che ha dato il via alla seconda guerra cecena, e ora lo sta aiutando in maniera oltraggiosa a trasformare il volto di questo Paese in quello di un mostro brutale. Penso che Basayev lavori per Putin, non so se di sua spontanea volontà o meno. Se non lavora per lui di sua spontanea volontà, come d’altronde ritengo, si capisce quanto sia incompetente. Se invece lavora per lui per scelta, sarebbe il colmo. L’atto terroristico di Belsan è stato usato da Putin come scusa per zittire le critiche che l’occidente democratico muoveva alla sua politica in cecenia. E’ stata la cosa migliore che avrebbe potuto fare per Putin prendendo in ostaggio degli innocenti. Credo che se Putin ha un alleato, questo sia proprio Basayev.
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