La battaglia contro l’Europa dei tecnocrati e per la difesa del Paese dai terroristi premia il Carroccio
La Lega avanza: al 7% dei consensi
Ma dal sondaggio dell’Ekma emerge che la CdL (45,5%) deve recuperare rispetto al Centrosinistra (50,2%)
ORLANDO SACCHELLI
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A meno di un anno dalle politiche del 2006 s’intensificano i sondaggi sulle intenzioni di voto degli italiani. In ballo ci sarà la guida del Paese per i prossimi cinque anni e, mettendo da parte gli imprevisti dell’ultima ora che potrebbero stravolgere ogni previsione (vedi l’attentato di Madrid nel 2004, che in qualche misura aiutò José Luis Zapatero a sconfiggere il popolare Mariano Rajoy), può essere interessante cominciare a valutare lo stato di salute dei partiti, sia di destra che di sinistra. È importante, però, fare subito una premessa: allo stato attuale dobbiamo considerare che voteremo con il vecchio sistema elettorale, il ben noto “Mattarellum”, che prevede l’assegnazione del 75% dei seggi con il maggioritario e il restante 25% con il proporzionale, sia pure con meccanismi diversi per la Camera e il Senato. Ma non è detto che, prima che Ciampi sciolga la legislatura, l’attuale Parlamento non trovi un accordo per andare al voto con un nuovo sistema, magari un proporzionale con sbarramento e premio di maggioranza, come pare non dispiacerebbe a buona parte del centrodestra e ad alcune forze non trascurabili della sinistra.
Da un sondaggio effettuato dall’Ekma tra il 20 giugno e il 1° luglio (reso noto dall’emittente tv Telelombardia), si evince che la Casa delle Libertà è sotto del 4,7% rispetto alla sinistra: si fermerebbe al 45,5%, contro il 50,2% dell’Unione. Un risultato ben noto a Berlusconi e al suo entourage, visto anche che, tra i partiti del centrodestra, Forza Italia è quello che soffre di più. Non a caso il “think-tank” di via dell’Umiltà sta studiando duramente per mettere a punto una campagna elettorale coi fiocchi, senza badare a spese. Gli azzurri, infatti, secondo il sondaggio di Ekma si collocherebbero al 17%, tre punti percentuali al di sotto della fatidica soglia del 20% considerata la “linea Maginot” del Cavaliere. Un calo dell’1,7% rispetto alle ultime regionali, ma addirittura 12,4 punti percentuali in meno rispetto al 13 maggio 2001. Ora, se è scontato che vi possa essere un calo fisiologico del partito che guida la coalizione, c’è da vedere come sia possibile che questo handicap non si traduca in una débâcle di tutta la coalizione, visto che, in genere, il candidato premier è colui che trascina tutti e, se il suo partito fa flop, è difficile che possa arrivare la vittoria per la coalizione. La Lega Nord si attesterebbe al 7%, una percentuale di tutto rispetto che fa ben sperare via Bellerio: ben due punti sopra l’ipotetica soglia di sbarramento al 5% che, se mai dovesse essere introdotta (a quel livello), metterebbe in seria difficoltà non pochi partiti, sia a destra che a sinistra. Fa riflettere questo 7% del Carroccio, perché dimostra che una certa condotta battagliera paga eccome. Mai come in questi mesi la Lega, nonostante le difficoltà del proprio leader carismatico, ha saputo distinguersi, in Parlamento e al Governo, per la fermezza con la quale ha difeso le proprie istanze.
Ed è difficile parlare di una Lega che cavalca le paure e i sentimenti popolari: note, infatti, sono le posizioni scettiche manifestate dal Carroccio nei confronti dell’euro (soprattutto per le modalità con le quali è stato introdotto) e di un’Europa in cui anziché i popoli è ormai appurato che a dominare sono i tecnocrati di Bruxelles. Che dire, poi, della lotta senza quartiere contro il terrorismo di matrice islamica. Senza scomodare troppo Oriana Fallaci, la linea dei lumbard è stata estremamente coerente con quella che, in un Paese moderno, dovrebbe vedere unite tutte le forze politiche: lotta dura senza quartiere, non solo ai terroristi ma anche a tutti i suoi potenziali alleati, più o meno occulti, che già da anni, purtroppo, si annidano nella nostra società. Il partito di Umberto Bossi non ha avuto esitazioni a mostrare il pugno duro e lo ha fatto in tutte le sedi istituzionali, sia al Governo che in Parlamento. Si è attirato addosso, come prevedibile, le ire dei “moderati”, ma c’è da credere che buona parte degli italiani abbiano apprezzato e forse tratto sollievo dalla sua linea intransigente. Il dato della Lega va in controtendenza rispetto al 5,6% delle ultime regionali e al 3,9% del 2001.
In sostanziale tenuta i centristi dell’Udc, che si collocano intorno al 5,5% (5,8% alle regionali e 3,2% alle ultime politiche). Come si può evincere è difficile parlare di uno sfondamento del cosiddetto “centro moderato”, forse anche perché gli italiani sono stanchi dei continui “tira e molla” di Follini & C., ma nonostante ciò l’apporto dello scudocrociato risulta sempre consistente. Molti si sarebbero aspettati se non un tracollo quanto meno un forte calo di Alleanza Nazionale, viste le diatribe interne fra le correnti (ufficialmente azzerate), ma soprattutto il repulisti fatto da Fini dopo che tre dei suoi più fidati colonnelli (La Russa, Gasparri e Matteoli), avevano sparato a zero contro di lui, pizzicati da un giornalista in un caffé a due passi dalla Camera. Nonostante il terremoto al proprio interno An non se la passa affatto male: il 14% evidenzia che la leadership di Fini sta pagando (+2% rispetto al 2001 e +3,4% rispetto alle Regionali). Nel 45,5% complessivo attribuito alla Cdl viene conteggiato anche il 2% del Nuovo Psi: ma non si sa bene dove andrà a finire il garofano, visto che le sirene di Boselli continuano a farsi sentire alle orecchie di Bobo Craxi e De Michelis, per la tanto agognata riunificazione a sinistra della diaspora socialista. Il 2% dei socialisti non è molto, questo è vero, però se si dovesse votare con il Mattarellum anche un solo voto in più in ciascun collegio elettorale potrebbe fare la differenza. Resta da capire quanta forza riuscirà a raccogliere intorno a sé un garofano riposizionato a sinistra, magari in tandem con i Radicali, se dovesse andare in porto l’accordo con Pannella celebrato in nome della riscoperta dei valori della laicità dello Stato. Volente o nolente, però, Nuovo Psi e Sdi dovranno fare i conti con l’appeal di Stefania Craxi che, come noto, si presenterà alla guida della Giovane Italia, in alleanza con Forza Italia. Ancora una volta, quindi, il paventato sogno della fine della diaspora socialista dovrà attendere.
In casa Unione, il 50,2% attribuito dal sondaggio vede primeggiare i Ds, con il 21,4% (16,6% nel 2001), con la Margherita attestata in modo stabile al secondo posto, con un buon 14%. È un po’ complicato fare dei raffronti rispetto alle ultime regionali, visto che l’Unione, da sola, aveva raccolto il 21,8%, ma a questo dato andrebbe sommato il 6,1% dei Ds e il 4,7% della Margherita, nei collegi dove la sinistra non era riuscita a mettere tutti d’accordo e a presentarsi unita. Inalterate le posizioni di Rifondazione comunista (5%) rispetto alle ultime tornate elettorali: Bertinotti non avanza ma nemmeno perde colpi, a conferma che l’elettorato dell’estrema sinistra resta uno zoccolo duro importante. Uno zoccolo duro che, in sede di primarie, potrebbe anche causare più di una spiacevole sorpresa per i Ds e la Margherita. Il precedente di Nichi Vendola in Puglia è ancora molto fresco. Nessuno può pensare che Bertinotti sia in grado di contendere la candidatura a Prodi, questo no. Però, se dovesse venir fuori un risultato forte per il leader di Rifondazione, Prodi dovrebbe giocoforza tenerne conto in sede di piattaforma programmatica, causando qualche mal di pancia a Rutelli, Fassino e D’Alema.
Questi sono gli arcinoti problemi di una sinistra che si è allontanata orami da tempo dal modello blairiano, avvicinandosi sempre più alla linea Zapatero: ma tutti sanno che, in Italia, difficilmente si vince senza l’apporto dei moderati, e un Prodi troppo a braccetto con Bertinotti potrebbe perdere una fetta considerevole di consensi, proprio in quel fantomatico centro cattolico che la Margherita intende coccolare (basti pensare all’invito all’astensione fatto da Rutelli per il referednum sulla procreazione assistita). Assai basse le percentuali dei partiti minori: Di Pietro all’1,8%, Pdci al 2%, Udeur all’1,5% e Sdi all’1% (altri allo 0,5%). In complesso i partitini della galassia di sinistra raccolgono un tutt’altro che trascurabile 6,8%, indispensabile per vincere ma quanto mai difficile da gestire per governare. E questo Prodi lo sa bene, non a caso ha preteso le primarie.
Alla fine i rapporti di forza all’interno della coalizione saranno ridisegnati e con essi i seggi, più o meno sicuri, da attribuire ai famelici partiti della coalizione. Niente di nuovo sotto il sole della politica italiana. Ma le elezioni, ormai, sono alle porte.
[Data pubblicazione: 30/07/2005]