TACETE, LA STASI
HA UNA SPIA
IN OGNI FAMIGLIA

di ALESSANDRO FRIGERIO

Il muro di Berlino viene abbattuto:
la Germania è unita
Così recitava il regolamento della Stasi, la polizia segreta della Germania Orientale: "Deve essere sottoposto a controllo personale operativo (Operative Personenkontrolle) chiunque ha tenuto o si sospetti tenga atteggiamenti ostili o negativi, nonché chiunque si sospetti possa essere utilizzato dal nemico". Per atteggiamenti ostili o negativi bisogna leggere, naturalmente, anche il dissenso verbale, completo o parziale, dalla linea politica del Paese; peccato di non poco conto in un regime che si riteneva detentore di una visione del mondo più totalizzante del peggior integralismo religioso. L'efficienza della Stasi era data, oltre che dai suoi ottimi agenti del controspionaggio, anche dalla diffusione capillare di informatori part-time nelle maglie della società tedesca. Questi ultimi, infatti, non erano dei veri e propri agenti, ma semplici cittadini che si prestavano volentieri alla delazione. Definiti "collaboratori non ufficiali" a loro spettavano i lavori di bassa manovalanza: non solo spiare il proprio vicino di casa, denunciandone presunte attività illecite antistatali, ma anche - e non era una possibilità remota - tenere sotto controllo gli stessi propri familiari. Non era un caso raro che il marito spiasse la moglie o che un fratello tenesse sotto controllo l'altro segnalando alle autorità atteggiamenti reputati contrari al bene del Paese. La quantità di questi "informatori non ufficiali" era incredibile. Secondo i dati più aggiornati, tra la fine degli anni Settanta e l'inizio degli anni Ottanta erano almeno 170.000, di cui 110.000 considerati informatori regolari. I rimanenti 60.000 erano invece classificati come persone affidabili, che avevano manifestato una disponibilità di massima ma ancora non avevano avuto la possibilità di dimostrare il proprio valore. Ricorda lo storico inglese Timothy Garton Ash in un suo recente libro (Il dossier, Mondadori): "Il ministero aveva più di 90.000 impiegati a tempo pieno, dei quali meno di 5000 operavano nei settori dello spionaggio estero dell'HVA. Confrontando la cifra totale con la popolazione adulta della Germania Est dello stesso anno [1988], si desume che circa un adulto su cinquanta era in contatto diretto con la polizia segreta... I nazisti non ne avevano così tanti. Nel 1941 i collaboratori a tempo pieno della Gestapo per il ben più ampio territorio della Grande Germania, che includeva l'Austria e quella che oggi è la Repubblica Ceca, erano meno di 15.000". L'arte della delazione e della soffiata era insomma una pratica interclassista nella RDT.
Casalinghe, operai, impiegati, studenti, docenti universitari, intellettuali (è il caso della nota scrittrice Christa Wolf), ognuno diede il suo contributo di informazioni al ministero della Sicurezza di Stato per costruire la cosiddetta "collettività umana socialista" (secondo le parole di Ulbricht). Molti informatori erano reclutati all'interno dell'ambiente universitario: un professore su sei e un impiegato su dieci lavoravano o avevano avuto modo di lavorare per la polizia segreta. Piuttosto ridotta era invece la percentuale di informatori donna. Non erano infatti più del 10%, tuttavia in talune circostanze erano assai più indispensabili degli uomini. Spesso, infatti, le astuzie femminili e una certa accondiscendenza sessuale, si rivelavano determinanti nello smascherare soggetti pericolosi per il paese.
Non si trattava di prostitute, ci illumina Markus Wolf, il potente capo dei servizi segreti della RDT, ma di "donne coi piedi per terra, membri del partito, leali verso il loro paese, disposte a fare questo in cambio di alcune espressioni di ciò che usavamo chiamare la gratitudine dello stato, che si concretizzava con un appartamento privilegiato o un avanzamento nella lista d'attesa per la macchina". I collaboratori non ufficiali erano identificati dalla sigla IM, che stava per Inoffizielle Mitarbeiter. A loro volta gli IM erano divisi in ulteriori sottocategorie sulla base delle loro affidabilità, sulla loro maggiore o minore disponibilità di tempo, sulla capacità di gestire a loro volta una propria rete di ulteriori informatori. Gli IMV, ad esempio, erano quelli più importanti perché svolgevano il loro sporco lavoro stando continuamente a diretto contatto con i "nemici". Vita dura comunque. Gli informatori, infatti, erano a loro volta tenuti sotto controllo da altri informatori, che ne verificavano costantemente l'affidabilità, mentre funzionari della Stasi ne controllavano la corrispondenza e le telefonate.
Periodicamente l'informatore si incontrava con il suo referente del ministero della Sicurezza di Stato. E a lui forniva il rapporto dei suoi pedinamenti, facendo un'analisi del lavoro svolto fino a quel momento e mettendo le basi per eventuali iniziative future. Leggiamo, così come lo riporta Garton Ash, uno di questi rapporti. "Alle ore 16.07 è iniziato il pedinamento di 246816 subito dopo che ha lasciato il posto di frontiera della Bahnhof Friedrichstrasse. [...] Alle ore 16.15 nell'atrio della stazione superiore 246816 ha salutato una persona di sesso femminile con una stretta di mano e un bacio sulla guancia. A questa persona di sesso femminile è stato attribuito il nome in codice "Basco". [...] Alle ore 16.25 246816 e Basco sono entrati nel ristorante Operncafé Berlin-Mitte Unter den Linden. Si sono seduti al bar e hanno bevuto un caffè. Alle ore 18.45 hanno lasciato il bar e sono andati in Bebelplatz. Nell'arco di tempo dalle ore 18.45 alle ore 20.40 entrambi hanno osservato con interesse la fiaccolata in onore del 30º anniversario della RDT. Quindi 246816 e Basco hanno percorso il viale Unter den Linden e la Friedrichstrasse fino alla via Am Schiffbauerdamm. Alle ore 21.10 sono entrati nel ristorante Ganymed. Nel ristorante non sono stati tenuti sotto osservazione. Alle ore 23.50 entrambi hanno lasciato il luogo di ristorazione e si sono diretti immediatamente alla sala partenze del posto di frontiera della Bahnhof Friedrichstrasse, dove alle ore 23.55 sono entrati. Basco è stata passata al dipartimento principale VI per ulteriore documentazione. La sorveglianza è stata sospesa".
Il sospetto, insomma, si annidava ovunque. Lo si incontrava nella vita di tutti i giorni. Per strada, al telefono, chiacchierando al bar, sul posto di lavoro. La vita quotidiana ai tempi della RDT era la sintesi, ma ben più squallida, tra un romanzo di John Le Carré e il "1984" orwelliano. Del primo aveva l'ambientazione da intrigo internazionale tipica della Berlino durante la guerra fredda. "In quest'atmosfera frenetica - ha scritto nella sua autobiografia Markus Wolf (L'uomo senza volto, Rizzoli) -, negli anni Cinquanta Berlino prese il posto di Vienna come centro delle attività di spionaggio in Europa. In città operavano non meno di ottanta agenzie di spionaggio, con le loro varie branche e organizzazioni di copertura. Negli uffici segreti americani e russi, che si
spacciavano per ogni genere di cosa, da aziende idrauliche a esportatori di marmellata fino a dipartimenti universitari o uffici di ricerca, sedevano interi gruppi di ufficiali che reclutavano e guidavano i loro rispettivi agenti, che potevano viaggiare con facilità tra i vari settori di Berlino e le due metà della Germania, nel periodo precedente alla costruzione del Muro che nel 1961 divise città e nazione". Ma la vita nella RDT aveva anche i toni di cupo grigiore descritti da Orwell. Quelli, per intenderci, di una società superburocratizzata, vittima di un regime per cui il potere non era un mezzo ma solo il fine. La maggior parte delle storie dei cittadini della Germania dell'Est sottoposti al "controllo personale operativo" sono state storie di lunghe e inutili vessazioni, di una perenne intimidazione esercitata più con l'occhio indiscreto della Stasi - e del senso di fastidio e di essere controllati con interferenze nella propria vita privata - che con clamorosi atti di privazione della libertà. I casi di spionaggio vennero definitivamente a galla con la dissoluzione del muro di Berlino. Negli ultimi convulsi mesi di vita della RDT, tra il novembre 1989 e la primavera del 1990, i responsabili del ministero della Sicurezza di Stato distrussero i documenti più compromettenti conservati nei loro archivi. Passarono direttamente all'inceneritore i nomi della rete di spie e informatori all'estero, i documenti comprovanti il sostegno a gruppi terroristici internazionali, quali la Rote Armee Fraktion in Germania Ovest o cellule terroristiche palestinesi più o meno controllate dall'OLP. Furono cancellate le prove della copertura fornita al mitico terrorista Carlos e quelle sul ruolo svolto dai servizi dell'Est nei rivolgimenti politici in Africa negli ultimi decenni. Ma nell'indefessa opera di rimozione della memoria, che in quei mesi assunse ritmi vertiginosi, 24 ore su 24, sette giorni su sette, non fecero in tempo ad eliminare tutta la marea sterminata di fascicoli riguardanti lo spionaggio dei cittadini comuni e quelli degli "informatori non ufficiali" che fornivano le notizie. La nuova Germania, finalmente unita, li prese così in consegna mettendoli a disposizione del pubblico.
Ogni cittadino della ex-Germania Est può oggi richiedere ad un ufficio preposto alla conservazione di tutti questi dossier rimasti se sul suo conto esiste o meno un fascicolo. Se cioè durante i 40 anni di vita della RDT sia mai stato spiato, e se sì da chi, come, quando, e perché. Alcuni casi fecero scalpore. Come quello di una attivista politica che venne spiata dal marito: il consorte per anni, diligentemente, ogni settimana aveva fornito il suo bel rapporto all'incaricato della Stasi, segnalando movimenti, atteggiamenti e affermazioni della sua dolce metà. O quello di uno scrittore che scoprì dal suo dossier di essere stato spiato a lungo dal fratello. Scienziati, artisti, cantautori, attori, letterati erano generalmente i soggetti più a rischio-soffiata. Contro di loro venivano dispiegate oltre alle tecniche tradizionali dei pedinamenti anche quelle più subdole della diffamazione. Il fisico Robert Havemann ne è un esempio.
Comunista convinto, aveva assaggiato la galera nazista assieme a Erich Honecker, ma negli anni Sessanta aveva cominciato ad esprimere dubbi sulla politica praticata dai vertici dello stato. Quando cominciò a richiedere, forte del suo prestigio accademico, una riforma democratica di tutto il sistema il cerchio della Stasi si strinse attorno a lui. Racconta Markus Wolf che "la sua modesta abitazione a Grünheide, vicino a Berlino, fu circondata da un imponente dispositivo di sicurezza e tenuta costantemente sotto controllo, come se fosse l'avanguardia di un esercito invasore. Tutti i parenti stretti di Havemann e tutti coloro che gli facevano visita erano seguiti da un nugolo di agenti in borghese, che riferivano letteralmente su ogni loro mossa. La moglie di Havemann e quelle dei suoi amici diventarono il bersaglio di una campagna di diffamazione, basata su voci, sia vere sia inventate, di loro relazioni extraconiugali". Alcuni furono rinchiusi in carcere con l'accusa pretestuosa e alquanto generica di "oltraggio alle istituzioni". Altri persero il lavoro e furono costretti a una vita di stenti. Altri ancora, più fortunati, dopo interrogatori, torture psicologiche e processi calunniosi, furono espulsi dalla RDT.
Ma cosa spingeva dei semplici cittadini all'attività spionistica? Quale molla li induceva a sacrificare il proprio tempo libero in atteggiamenti al confine del voyeurismo? Cosa avevano in comune l'attempato delatore della porta accanto e la spia internazionale a capo dei potentissimi servizi segreti della RDT? Markus Wolf lo spiega con la fede nei grandi ideali del socialismo e l'amore per la patria, entrambi, a suo dire, messi a repentaglio dalla guerra fredda. "A nostra volta, noi dovevamo compromettere i nostri grandi ideali con pratiche sporche, perché gli Stati Uniti e i loro alleati europei stavano tentando di distruggere il nostro sforzo per realizzare il socialismo in terra tedesca. E continuammo ad appellarci a queste scuse, finché nel 1989 ci svegliammo dal sogno. Io mi rifiuto ancora oggi di accettare il giudizio di quelli che sostengono che il nostro sistema era costruito solo sulla menzogna, ma devo ammettere che in gran parte era costruito su delle scuse". Del resto l'attività spionistica in RDT godeva di una sua certa rispettabilità patriottica. Che le derivava da una tradizione di spionaggio la quale affondava negli anni bui del nazismo. Tra il 1939 e il 1945 alcuni tedeschi si erano battuti per sconfiggere Hitler, fornendo informazioni o svolgendo missioni per conto dei Sovietici. C'era stato chi, approfittando di agganci al ministero degli esteri di Ribbentrop, aveva messo a conoscenza l'URSS sull'imminente attacco del 1941. E c'erano state anche delle vere e proprie organizzazioni spionistiche antinaziste, come l'"Orchestra Rossa" (Rote Kapelle) al cui comando aveva operato addirittura un ufficiale della Luftwaffe.
Ma pure la situazione oggettiva della RDT aveva reso possibile questo culto della soffiata. Infatti non poteva mancare materiale umano dotato di una ferrea fede nel sistema, di senso del dovere, o di ambizioni carrieristiche, in un paese in cui un abitante su 7 era membro del partito (SED). Erano infatti più di 2.300.000 gli iscritti su 16,5 milioni di abitanti. Una rappresentatività, se vogliamo, solo di facciata, in quanto la RDT continuava ad essere una oligarchia autoritaria burocratizzata, tuttavia significativa delle potenzialità offerte dai grandi numeri. Un misto di fanatismo ideologico, di perbenistico senso del dovere (lo stesso che fornì schiere di integerrimi aguzzini al nazismo), assieme all'opportunità di guadagnare qualche quattrino extra, furono gli argomenti cui gli "informatori non ufficiali" fecero ricorso per giustificare la loro scelta quando alcuni di loro furono processati pochi anni fa dai tribunali della Germania unita. Non ci furono condanne. Così come fu prosciolta anche la maggior parte dei ben più colpevoli funzionari della Stasi e dei servizi segreti della RDT. Il tutto nel nome di una pacificazione morale che si spera unisca i tedeschi dell'est a quelli dell'ovest più di quanto non sia riuscita ancora a fare l'economia.