Ucraina, la rivoluzione arancione è un gadget
Il figlio del presidente guida una Bmw da 160 mila dollari e lascia rotoli di banconote da 100 dollari nei ristoranti alla moda di Kiev
Nella giornate ruggenti di dicembre, e ancor più nelle gelide serate, Kiev era una festa arancione: cappelli, sciarpe, magliette, e poi nastrini al
braccio o al ginocchio, coccarde sul petto e cinture alla vita. Il colore della rivoluzione era ovunque, ubiquo come la parola d’ordine «Tak», Sì. Patrimonio collettivo di un popolo? No, proprietà privata: meglio ancora, marchio registrato. Dalla famiglia Yushchenko, il presidente condotto al potere in Ucraina dalla più imponente sollevazione di popolo dai tempi del Muro di Berlino. Un caso senza precedenti di «privatizzazione della rivoluzione». A tutto vantaggio di un nucleo familiare che, da quando ha occupato il potere, ha fatto molto parlare di sè. E non sempre per il meglio.
Lo scandalo è venuto fuori questa settimana, quando un alto funzionario del servizio fiscale ha rivelato che la famiglia del presidente ha registrato a proprio nome come marchi depositati i simboli associati alla «rivoluzione arancione». Una potenziale miniera d’oro, considerato che già fra novembre e dicembre le manifestazioni a Kiev e in mezza Ucraina erano accompagnate da una vasta operazione di merchandising , con chioschi e postazioni volanti impegnati a vendere ad attivisti e turisti tutto il kit del perfetto rivoluzionario arancione. La portavoce di Yushchenko, Iryna Herashchenko, ha provato a sminuire la portata delle rivelazioni, sostenendo che «lo staff elettorale ha deciso di registrare i simboli della campagna elettorale del 2004 a nome della famiglia Yushchenko per proteggerli legalmente contro l’abuso politico e il furto». E ovviamente «gli Yushchenko non hanno mai inteso ottenere alcun profitto dai marchi o adoperarli per scopi commerciali».
Magliette arancioni in Ucraina (Afp)
Ma Mykola Katericniuk, che si è dimesso questa settimana dal posto di vice capo dell’amministrazione fiscale, sostiene di aver trasferito a dicembre la proprietà dei marchi al figlio di Yushchenko, Andriy, su richiesta diretta del presidente. E i maligni suggeriscono che l’opulento stile di vita del diciannovenne «primo figlio» sia da attribuire proprio alla vendita dei gadget della rivoluzione. Secondo il sito Internet scandalistico Ukrainskaya Pravda il prodigo Andriy corre per Kiev su una Bmw da 160 mila dollari, tiene corte in un ampio appartamento in centro città, chiama da un cellulare ultratecnologico e ammolla rotoli di banconote da 100 dollari nei ristoranti alla moda. Il tutto grazie, ufficialmente, a un lavoro part time. E in un Paese dove il salario medio è di 150 dollari al mese. Papà Viktor non ha preso molto bene l’interesse dei media per la sua famiglia: a una conferenza stampa ha dato del «killer» al cronista della Ukrainskaya Pravda e ha aggiunto di aver consigliato a suo figlio di «trovare quel conto del ristorante, sbatterlo sotto il naso del giornalista e poi trascinarlo in tribunale».
I giornalisti ucraini si chiedono ora fin dove possa spingersi la libertà di stampa nel nuovo regime «democratico». «Questo è un test sul tipo di rapporti che avremo in Ucraina fra il governo e la stampa», ha commentato Dmytro Krikun di Internews, un gruppo non profit che appoggia la formazione di media indipendenti. E circa 200 giornalisti hanno firmato una lettera aperta ricordando a Yushchenko non solo la sua promessa di metter fine alle intimidazioni del precedente regime di Leonid Kuchma, ma anche quella di considerare se stesso e la propria famiglia responsabili delle proprie azioni: e lo hanno accusato di «mostrare disprezzo per la libertà di parola».
Luigi Ippolito