Grande predicatore del secolo XVII, taumaturgo, artefice della salvezza dell’Europa cristiana dai turchi, Carlo Domenico Cristofori, in religione Padre Marco, nacque ad Aviano, da degni e distinti genitori, il 17 novembre 1631. In età conveniente, ricevette una prima istruzione da un precettore del paese, poi i genitori lo affidarono al collegio dei Gesuiti di Gorizia. Un giorno, al rientro degli allievi da una passeggiata, mancò all’appello: era fuggito per andare a convertire i Turchi! Dopo due giorni di cammino batté sfinito alla porta dei Cappuccini di Capodistria, dove sentì la chiamata di Dio. Il 21 novembre 1648 vestì l’abito nel noviziato di Conegliano. Ordinato sacerdote il 18 settembre 1655, fu successivamente nominato superiore del convento di Belluno, poi di quello di Oderzo, e nel 1675 fu trasferito a Padova. Voleva dedicarsi esclusivamente alla preghiera e alla contemplazione, ma i suoi superiori lo richiamavano spesso per tenere le prediche in chiesa e per realizzare le missioni popolari. Iniziò anche ad operare dei miracoli.
L’apostolo dell’Impero
La sua fama di predicatore e di taumaturgo si diffuse non solo nel Veneto, ma per tutta Europa. Dovunque si recasse a predicare, la sua presenza era un avvenimento che attirava folle e sconvolgeva le popolazioni. Le sue prediche erano solitamente accompagnate da eclatanti conversioni e guarigioni miracolose. Sollecitato dai superiori, egli intraprese lunghi viaggi all’estero nel corso dei quali strinse rapporti privati e diplomatici con molti governanti.
Giunsero richieste ai superiori e al Papa per avere lo straordinario apostolo.
Compiuta la missione in Fiandra, ancora attraverso la Germania e la Svizzera, M. ritornò in Italia, ma per breve tempo. Sollecitato da continue richieste da parte del re di Spagna, il papa avrebbe voluto che M.arco si recasse in quella nazione. Avrebbe dovuto imbarcarsi a Genova, ma poiché soffriva il mare, gli si richiese un lasciapassare per la Francia meridionale, che Luigi XIV ostinatamente rifiutò.
Nel 1680 si recò nel Tirolo. Fu accolto trionfalmente a Innsbruck, dove il duca Carlo V di Lorena venne personalmente a incontrarlo. Giuntogli davanti, si gettò in ginocchio e non volle alzarsi prima di avergli baciato i piedi. Più tardi volle fare con lui la confessione generale e ricevere la comunione. Carlo V gli chiese anche una grazia personale: essendosi fratturato la gamba destra in una caduta da cavallo, non poteva camminare che con l’aiuto delle grucce. Appena ricevuta la benedizioni di padre Marco, i dolori scomparvero e non ebbe più bisogno di alcun sostegno. Il duca divenne suo figlio spirituale.
Da Innsbruck proseguì per la Baviera, dove ricevette un’accoglienza non meno trionfale da parte del duca reggente Massimiliano Filippo. In una sola giornata, padre Marco compì ben 117 guarigioni miracolose, diligentemente certificate da documenti che il duca stesso fece stendere e pubblicare. Da Monaco si recò a Salisburgo, dove il principe arcivescovo lo trattò quasi alla stregua di un messaggero celeste. La cattedrale era troppo piccola per contenere le folle.
Scendendo lungo il Danubio, padre Marco andò a Linz, dove lo ricevette con rispetto e venerazione l’imperatore Leopoldo I. L’imperatrice volle addirittura riceverlo in ginocchio. Vi si trattenne quindici giorni, durante i quali s’instaurò tra Marco e Leopoldo un rapporto destinato ad avere notevoli effetti sulla vita politica del tempo. L'imperatore, rimasto famoso per la lunga durata del suo governo (quarantasette anni) e per la complessità del carattere, trovò nel cappuccino il proprio confidente e consigliere, come dimostra la lunga corrispondenza intercorsa tra i due.
L’8 ottobre padre Marco era a Neuburg. Allo sbarco venne a riceverlo il conte palatino Filippo Guglielmo con i sei figli e lo accompagnò personalmente alla sua residenza, dove la consorte e le cinque figlie lo ricevettero in ginocchio. Il giorno dopo, mentre predicava nella chiesa di S. Pietro, una statua della Madonna cominciò a muoversi rivolgendo il suo sguardo verso il pulpito. La notizia del miracolo si diffuse in tutta la Germania, rincuorando i cattolici e gettando i protestanti nello stupore.
L’apostolato di padre Marco aveva una forte impronta anti protestante. Nelle sue prediche non mancava mai di rivolgere agli eretici ferventi appelli perché ritornassero all’ovile. Le conversioni furono così numerose che i capi protestanti dovettero proibire ai propri correligionari di assistere alle prediche del cappuccino italiano.
Ritornato a Venezia, nella primavera successiva intraprese un nuovo viaggio per le Fiandre, attraverso la Francia. Con pretesti burocratici, ma in realtà per motivi politici, Luigi XIV non permise al cappuccino di passare per Parigi; anzi, e pare in malo modo, lo fece accompagnare alla frontiera. Compiuta la missione in Fiandra, ancora attraverso la Germania e la Svizzera, Marco ritornò ritornò in Italia attraverso la Germania e la Svizzera. - infatti per motivi pretestuosi re Luigi XIV non permise di passare per Parigi - .In Italia rimase per breve tempo. Sollecitato da continue richieste da parte del re di Spagna, il papa avrebbe voluto che il cappuccino si recasse in quella nazione. Avrebbe dovuto imbarcarsi a Genova, ma poiché soffriva il mare, gli si richiese un lasciapassare per la Francia meridionale, che Luigi XIV ostinatamente rifiutò.
Usava a favore dei malati e bisognosi, una particolare formula di benedizione che rimase famosa, procurandogli qualche grattacapo da parte delle Autorità ecclesiastiche; i fedeli che lo avvicinavano gli strappavano gli abiti di dosso, con scene di fanatismo, per avere un suo ricordo come reliquia, tanto era il suo “odore di santità”.
La crociata contro i turchi
Dopo trionfali viaggi per Paesi Bassi, Germania, Svizzera e Italia settentrionale, le vicende del tempo ricondussero padre Marco in Austria, dove fu accolto dall’Imperatore ormai diventato suo figlio spirituale. Nei loro numerosi e lunghi colloqui, un tema ricorreva costantemente: la minaccia turca. Dopo un periodo di decadenza, la potenza musulmana si era risvegliata sotto l’egida del gran visir Kara Mustafá e incombeva sull’Europa. Costui non nascondeva i suoi terribili progetti: espugnare Vienna e Praga, spezzare le forze cristiane sul Reno, e marciare su Roma per fare di San Pietro le scuderie del sultano Maometto IV.
Il beato Papa Innocenzo XI già da tempo tentava in tutti i modi di unire i principi cristiani in una Lega Santa contro la mezzaluna. Gli unici accorsi all’appello del Sommo Pontefice, però, erano la Polonia di Jan III Sobieski ed alcuni stati germanici come la Baviera, la Renania e la Sassonia.
Nel 1684 Padre Marco era riuscito a far entrare nella Lega Santa anche Venezia e soleva dire che, se avesse potuto parlare con Luigi XIV, avrebbe convinto anche lui.
Nell’aprile 1683 un’armata turca di 150.000 uomini e trecento cannoni si mise in marcia sotto il comando del sultano Maometto IV in persona e del suo gran visir Kara Mustafá. L’Imperatore scrisse allora a padre Marco: “Il nemico viene con una potenza e un sì numeroso esercito, che da cento anni in qua non se n’era visto uno di simile”. Il 12 luglio le avanguardie turche arrivarono ai dintorni di Vienna.
Cappellano dell’esercito imperiale
In tali circostanze drammatiche, padre Marco d’Aviano fu convocato dal Papa come cappellano dell’esercito imperiale. “Veramente è necessaria la presenza di Vostra Paternità — scriveva il conte palatino Filippo Guglielmo — perché prevedo che senza di essa non faremo niente”. Effettivamente rivalità, ambizioni e interessi personali minacciavano di rallentare, se non di impedire, qualsiasi azione militare da parte cristiana. Fu qui che provvidenzialmente si inserì l’azione personale di padre Marco. Nel consiglio di guerra del 5 settembre, egli riuscì ad appianare tutte le divergenze. Il comando supremo fu conferito a Jan III Sobieski.
L’8 settembre, festa della natività di Maria, prima di dar inizio alla marcia verso Vienna, padre Marco volle preparare spiritualmente l’esercito.
Di fronte alle truppe schierate, a tutti i comandanti e al fior fiore della nobiltà tedesca e polacca, celebrò la Santa Messa servita dallo stesso Jan Sobieski. Il re di Polonia scrisse a sua moglie: “Padre Marco ci ha rivolto un’esortazione straordinaria. Ci ha domandato se avevamo fiducia in Dio; e alla nostra unanime risposta che l’avevamo piena e intera, ci ha fatto ripetere con lui più volte: Gesù! Maria! Gesù! Maria! Poi ci ha fatto recitare l’atto di dolore e ha impartito la solenne benedizione papale”.
Dopo la funzione padre Marco passò in rassegna tutto l’esercito con la croce in mano, rivolgendo ai singoli corpi parole di fede e d’incoraggiamento. La sera dell’11, alla vigilia della battaglia, egli celebrò la Messa, poi tenne un breve e infiammato discorso, e alla fine, da una posizione soprelevata, lesse a gran voce una preghiera da lui stesso composta per impetrare l’assistenza divina sulle armi cristiane; poi col suo crocifisso benedisse l’esercito.
All’alba del 12 settembre 1683 un velo di nebbia copre la collina di Kahlenberg che sovrasta la città di Vienna, capitale dell’Impero. L’esercito europeo assiste alla messa preparatoria officiata dal frate cappuccino friulano Padre Marco d’Aviano. Nella sua predica rammenta tutte le atrocità compiute dai turchi e dai loro alleati bosniaci, zingari e albanesi in Serbia, Ungheria, Carinzia, Friuli...
Il re di Polonia è comandante di quell’armata, il principe Eugenio di Savoia-Carignano, conte di Soissons, (1663 – 1736) è a capo della cavalleria imperiale; si accingeono ad affrontare un avversario di forza soverchiante: 70.000 uomini contro 150.000 e un’artiglieria di grosso calibro di cui l’Europa non dispone.
Dall’altra parte gli eserciti ottomani del Gran Visìr Kara Mustafà, Mustafà “il nero“, schierati dietro il vessillo del Profeta affidatogli dal sultano Maometto IV e infiammati dalle incitazioni dello sceicco Vani Effendi che trae dall’apparizione sconvolgente della Cometa di Halley il presagio della vittoria mondiale dell’Islam sui popoli cristiani d’Europa. La battaglia infuria per un giorno intero, con sorti alterne.
Eugenio di Savoia, dopo aver spezzato l’assedio con le sue seimila lance padane, riesce ad entrare in città a portare aiuto agli esausti 11.000 uomini del conte Starhenberg. Leopoldo I verificò sul campo nell'assedio di Vienna il valore del ventenne Principe Eugenio - poi conosciuto come il "Gran Capitano" - che combattè la sua ultima battaglia a 72 anni.
L’attacco della Santa Lega gode di un tale impeto, da travolgere in poche ore le difese ottomane e costringere Kara Mustafá alla ritirata. Durante la battaglia padre Marco non smise di andare di schiera in schiera a rincuorare e a benedire i combattenti, spingendoli sempre avanti contro i seguaci di Maometto. Ogni volta che vedeva i turchi lanciarsi all’attacco, alzava verso di loro il crocifisso, dicendo: “Ecco la croce del Signore, fuggite schiere avversarie!” La vittoria dei cristiani fu totale, sicché i turchi abbandonano il campo lasciando sul terreno più di diecimila caduti.
Ed è Padre Marco d’Aviano a officiare il solenne Te Deum nel Duomo di Santo Stefano, da dove sollecita l’Imperatore, il Re polacco e il Principe Eugenio a continuare la guerra fino alla liberazione di Budapest e di Belgrado dall’oppressore ottomano.
Già all’indomani della vittoria, padre Marco nuovamente incita i capi cristiani a continuare la crociata, riprendendo immediatamente i combattimenti. A partire da quel momento divenne, nelle parole di un prelato veneziano, “il braccio destro della Santa Lega” alla quale aderì, infine, la Russia. Nel febbraio 1684 scrisse a Leopoldo I: “Sono dispostissimo a servire la Vostra Maestà Cesarea nell’armata con il sangue e con la vita”. Come cappellano dell’esercito, padre Marco manteneva vivo fra i soldati l’ideale per il quale combattevano: la loro non era una guerra qualsiasi, era una crociata.
Egli riuscì a vedere la sconfitta definitiva dell’Islam in Europa partecipando, sempre in prima linea, alle battaglie di Budapest (1684-1686), Neuhäusel (1685), Mohacz (1687) e Belgrado (1688), fino alla pace di Karlowitz (1689).
La campagna della Lega Santa contro i turchi ha liberato, una dopo l’altra, la Carinzia, la Slovenia, la Croazia, l’Ungheria, la Transilvania e consistenti territori della Serbia e della Valacchia. Le “Porte di Ferro“ del Danubio ritornano in mani europee e l’Impero ottomano, con la Pace di Karlowitz del 1699, rinuncia definitivamente alla conquista dell’Europa continentale. Ed è a quella campagna di terra che dobbiamo, assieme alla vittoria sui mari a Lepanto, se oggi viviamo in paesi di tradizioni cristiane, religiose e civili, dove la distinzione tra Stato e Chiesa, nel rispetto delle singolarità, ha permesso uno sviluppo della civiltà, che, seppure sempre caratterizzato dalla finitudine della storia, non ha eguali nel mondo.
Non fu solo un uomo di battaglie e alfiere della cristianità contro gli ottomani, ma anche uomo di carità e proprio a lui si rivolsero ottocento turchi che nel 1688 a Belgrado, erano rimasti asserragliati in un castello, oramai temevano per la loro vita, in pochi giorni erano stati uccisi 12.000 di loro e frate Marco si prodigò per la loro salvezza.
Terminate le guerre Marco d’Aviano riprese instancabile la sua opera pastorale, scotendo le coscienze, combattendo il peccato, diventando operatore di pace e di unione. Il 25 luglio 1699, ripartì ormai a 68 anni, per Vienna, sobbarcandosi la fatica di quello che fu l’ultimo viaggio: "Non ne posso piú - disse -, ma il Papa comanda ". Era affetto da un tumore che lo consumava. A Vienna fu costretto a letto, ed il 13 agosto, stringendo il S. Crocefisso tra le mani, morì assistito dall’Imperatore.
Dopo solenni funerali, il suo corpo ebbe l’insigne favore di trovare riposo definitivo (nel 1703) nella cripta dei Cappuccini di Vienna, accanto alle tombe imperiali; il suo sepolcro enne subito venerato dai fedeli. Di lui rimangono alcuni trattatelli ascetici, che godettero ai suoi tempi grande diffusione.
Nel 1891 ebbe inizio il processo ordinario a Vienna e a Venezia, concluso nel 1904. S. Pio X nel 1912 introdusse il processo apostolico che si concluse a Vienna e Venezia nel 1920. La Positio historica venne approntata nel 1966. Motivi prettamente ideologici (erano in molti a non voler esaltare un personaggio così combattivo!) ne ritardarono, però, la conclusione Nel 1990 venne presentata la Postulatio per l'esame dell'eroicità delle virtú, esaminata e approvata nel 1991.
Il 23 Aprile 2002 Giovanni Paolo II promulgò il decreto di riconoscimento del miracolo attribuito all'intercessione del Venerabile Marco d'Aviano.
È stato beatificato in Piazza s. Pietro a Roma, da papa Giovanni Paolo II. il 27 aprile 2003. La memoria liturgica ricorre il 13 agosto.
Padre Marco d’Aviano fu tante cose, ma certamente il momento più esaltante e vertiginoso della sua vita fu durante la battaglia di Vienna, nella quale si fece strenuo difensore della cristianità e dell’Europa dal pericolo di essere islamizzata, e la situazione attuale conferisce una sorprendente attualità a Padre Marco che, benché come cristiano, fosse un difensore della pace, non poté non farsi difensore della sua fede, delle sue tradizioni, delle sue radici storiche e quindi del suo popolo e della sua terra: anche per queste ragioni è stato riconosciuto Beato!
La sua figura poco ricordata in Italia, invece si studia a scuola in Austria e nell’Europa dell’Est.
Egli, di solito, viene raffigurato nell'atto di predicare Il pittore polacco Matejko, in un quadro conservato nella Pinacoteca Vaticana, lo ha raffigurato a cavallo, dietro Giovanni Sobieski, nel trionfo dopo la liberazione di Vienna. A Padre Marco d’Aviano è intitolato l’aeroporto internazionale di Trieste