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Discussione: Gaza e dintorni

  1. #111
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    Predefinito Domande a Prodi e....

    ....a D'Alema.

    Per l'Italia, qual'è il governo dei palestinesi?

    Al Fatah denuncia i massacri di Hamas e il pericolo di fosse comuni a Gaza; il ministro degli Esteri Massimo D’Alema fa e dice di tutto pur di evitare di condannare senza mezze misure il golpe jihadista di Hamas e di approvare lo scioglimento del suo governo.
    Questo parlar d’altro, per evitare grane nella coalizione, isola oggi l’Italia addirittura dall’Europa.
    In sintonia con il Quartetto (Onu, Ue, Usa, Russia) il governo Merkel, infatti,
    presidente dell’Ue, ha preso una posizione:
    “Condanna nei termini più forti la violenta conquista del potere da parte di Hamas a Gaza e ribadisce totale appoggio ad Abu Mazen”.
    Si prepara dunque il pieno riconoscimento del governo di Salam Fayyad e il disconoscimento del governo di Ismail Haniye.
    Anche Blair ha annunciato che “terrà i contatti soltanto con l’Anp legittima”, fiancheggiato da Zapatero che approva apertamente la destituzione di Haniye.
    Da oggi, con la formazione dell’esecutivo Fayyad, anche Prodi dovrà decidere. Non potrà non condividere la posizione internazionale e dovrà rompere con Hamas (che definisce Fayyad “un golpista”).
    Questo significherà smentire le aperture a Hamas sin qui proclamate, aprirà un
    contenzioso con la Siria così incredibilmente corteggiata e comporterà lo
    svantaggio di una scelta netta.
    I silenzi incredibili di Prodi, lo straordinario ritardo del governo sul tema, gli appelli buonisti e ancor peggio quel ragionare così poco da statista di D’Alema
    (“L’avevo detto che bisognava intervenire militarmente a Gaza…”) non
    promettono nulla di buono.

    Farrara su il Foglio di oggi

    ps: interessante e con possibilità di incredibili agganci storici questa
    "improvvisa ispirazione" militarista delle'ex comunista e futuro leader del prossimo partito democratico.

    saluti

  2. #112
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    Predefinito Un popolo, due stati in...

    ...guerra e una spiaggia

    Gerusalemme.
    Sia il rais palestinese Abu Mazen sia l’ex premier Ismail Haniye rivendicano il potere.
    Il leader di Hamas in esilio a Damasco, Khaled Meshaal, dice che il movimento islamista riconosce ancora l’autorità del presidente dell’ormai collassata Anp. Ma ieri Abu Mazen ha nominato un nuovo primo ministro, l’economista Salam Fayyad, accentuando così il nuovo sdoppiamento di potere tra Gaza e la Cisgiordania. Nella Striscia, davanti a centinaia di persone avvolte nelle bandiere verdi di Hamas dopo la preghiera islamica del venerdì, Haniye ha dichiarato di non riconoscere il nuovo esecutivo – che ieri sera ha subito giurato - e ha fatto appello “all’unità nazionale”.
    La casa di Abu Mazen e quella del suo “ex uomo forte”, Mohammed Dahlan, che però poco o nulla è riuscito a contrastare militarmente Hamas, sono state saccheggiate.
    Hanno portato via perfino i sanitari.
    I paesi arabi e il resto della comunità internazionale temono che le battaglie di Gaza possano presto trasferirsi in Cisgiordania, dove Fatah è però più radicato. Teme soprattutto la vicina Giordania, che non vuole un Hamastan alle porte.
    Teme Abu Mazen, che si prepara all’eventualità di un conflitto con Hamas in casa.
    Per questo sceglie Salam Fayyad come primo ministro, indipendente apprezzato dall’occidente, soprattuto da Washington: per vincere contro il gruppo islamista almeno la battaglia della legittimazione internazionale.
    Ma anche il braccio armato del suo partito si muove.
    Le Brigate al Aqsa hanno dato a Hamas un ultimatum di 48 ore per lasciare la Cisgiordania. Un membro del movimento islamista è stato ucciso a Nablus, dove Hamas aveva vinto le elezioni con il 73 per cento dei consensi.
    L’organizzazione è stata dichiarata fuori legge e chi sosterrà i suoi membri rischia l’arresto. Sono già stati fermati almeno quaranta uomini.
    A Gaza, Hamas gioca la carta della “misericordia e non della vendetta”, come ha detto un portavoce in una conferenza stampa seguita alla scarcerazione di dieci alti esponenti di Fatah.
    Hamas ha pure chiesto la liberazione del giornalista della Bbc Alan Johnston, nelle mani di un potente clan della Striscia. Fuggono gli uomini del presidente, via mare e via terra, verso l’Egitto. Almeno 200 hanno valicato il confine.
    Fuggono anche i diplomatici egiziani, che negli scorsi mesi hanno tentato poco efficaci mediazioni tra le parti.
    Troppo tardi il Cairo, spaventato dal nuovo vicino di casa, invia altri agenti a monitorare la frontiera attraversata nei mesi scorsi da armi e soldi di contrabbando per le milizie di Hamas, finanziate da Iran e Siria.
    La stampa internazionale parla di una possibile guerra estiva scatenata dalla tenaglia iraniana-siriana tra Gaza e Libano, le avvisaglie ci sono già.
    Fatah nei giorni scorsi ha accusato l’Iran di essere il mandante delle violenze.
    L’Egitto parla di “mani nascoste”.
    Beirut ha da poche ore seppellito l’ennesimo politico antisiriano assassinato.
    Il governo Siniora accusa Damasco della strage (11 morti) e di sostenere Fatah al Islam, il gruppo islamista che combatte a Tripoli contro l’esercito regolare.

    --------------------------------------------

    Amman

    “Quando qualcuno starnutisce in Cisgiordania da noi si dice che anche la Giordania prende il raffreddore”.
    Un anno fa, senza nascondere l’inquietudine per il trionfo elettorale di Hamas, re Abdallah II di Giordania ha ammesso che “se scoppiano dei disordini in Cisgiordania potrebbero facilmente estendersi al regno”.
    Dopo il collasso dell’Anp e la conquista di Gaza, quella paura non è più solo un presagio. Per il Jordan Times “stiamo andando verso la morte della piattaforma nazionale palestinese” e la Giordania non può permettersi di restare a guardare. Nel diffondere il contenuto della telefonata di giovedì tra il sovrano hashemita e il presidente palestinese Abu Mazen, la corte giordana, ricordando il rischio di “gravi ripercussioni sul futuro della questione palestinese”, ha premuto ancora una volta con toni accorati sul tasto del “dialogo” e della “riconciliazione”.
    Re Abdallah conferma il suo sostegno al presidente palestinese.
    Ma nei frenetici colloqui tra funzionari palestinesi e giordani, così come nell’incontro tra il primo ministro giordano Marouf al Bakhit e il vice primo ministro palestinese Azzam al Ahmad, i toni sono stati più taglienti.
    Per Bakhit, dietro la vittoria di Hamas a Gaza “ci sono forze regionali che vogliono spostare l’attenzione della comunità internazionale”, un riferimento tutt’altro che velato a Teheran e alle sue ambizioni atomiche.
    Ma per evitare che la febbre palestinese contagi il regno, ad Amman non basta individuare colpevoli e mandanti.
    Secondo l’agenzia giordana Petra, è caduto il tabù del coinvolgimento giordano in Cisgiordania e l’alleanza tra re Abdallah e Abu Mazen si regge proprio su questo. Le autorità giordane hanno smentito che sia attualmente allo studio l’ipotesi di una confederazione tra la Giordania e la Cisgiordania ma l’ex primo ministro Abdel Salam al Majali sostiene apertamente questo scenario ed è difficile che lo faccia senza il consenso del re. Anche i nemici più recalcitranti della normalizzazione con Israele concedono che tra l’opzione della giordanizzazione e quella del terrore per la Cisgiordania la prima sia comunque un’alternativa preferibile alla seconda. Si tratta di una scelta impopolare in uno stato dove la minoranza palestinese è maggioranza e i “giordani puri”, come si definiscono i transgiordani, paventano la trasformazione del regno nell’“Hotel Hashemite Palestine”, ma è una scelta che non può non essere presa in considerazione.
    Anche perché mentre Hamas guadagna Gaza, ad Amman il patto tra la corona e l’Islamic action front (Iaf), braccio politico dei Fratelli musulmani nel regno, sta naufragando. Secondo il partito islamista, “con Gaza i paesi arabi devono capire la lezione del ’67. Il prerequisito della vittoria sullo stato ebraico è tornare all’islam”, e per determinare questo ritorno lo Iaf è pronto a mettere da parte la sua tregua con lo stato basata sul rifiuto della violenza e sulla fedeltà all’integrità territoriale giordana. Così sostengono le forze di sicurezza del regno, impegnate da maggio in un’operazione contro una struttura segreta militare di militanti provenienti dalle file dello Iaf.

    ------------------------------------------------------

    Israele non resta a guardare

    Il blitz che ha consentito a Hamas di impossessarsi in poco più di quarantotto ore dell’intera Striscia di Gaza è stato analizzato dagli osservatori militari israeliani e del Pentagono, interpellati con urgenza dai rispettivi governi.
    Washington e Gerusalemme, così come le cancellerie europee e di molti paesi del medio oriente, sono state colte di sorpresa dal rapido successo dei miliziani islamici.
    Le prime “lezioni apprese” confermano l’efficienza della macchina militare di Hamas, raggiunta grazie alla presenza a Gaza di numerosi istruttori provenienti dalle fila dei pasdaran iraniani. E’ un aspetto che non dovrebbe sorprendere più di tanto, dato che proprio l’intelligence israeliana aveva segnalato nei mesi scorsi sia l’infiltrazione a Gaza dei consiglieri militari di Teheran sia l’invio in Iran e nella Bekaa libanese di centinaia di guerriglieri di Hamas per frequentare corsi d’addestramento presso i campi dei pasdaran e di Hezbollah.
    Le capacità militari di Hamas sono del resto ingigantite dal collasso totale e immediato delle cinque diverse forze di sicurezza dell’Autorità nazionale palestinese, che sulla carta erano lo strumento di Fatah e del presidente Abu Mazen per proteggere le istituzioni dell’Anp e tenere sotto controllo le milizie estremiste di Hamas e del Jihad islamico palestinese.
    In realtà, come già da tempo avevano rilevato l’intelligence israeliana e quella statunitense, le cinque forze di polizia dell’Anp sono poco efficienti e soffrono di un elevato assenteismo poiché sono state costituite arruolando soprattutto “raccomandati” vicini al defunto raìs Yasser Arafat.
    Il posto garantiva loro uno stipendio pubblico pagato dalla comunità internazionale. Per arginarne il degrado Washington ha finanziato programmi di addestramento e riequipaggiamento delle forze dell’Anp con istruttori, armi e blindati forniti da Egitto e Giordania. Materiale che in questi giorni a Gaza è finito completamente nelle mani di Hamas, dopo che migliaia di agenti sono fuggiti gettando le uniformi senza neppure sparare un colpo.
    Oltre al bottino di guerra, c’è da registrare che la consistenza degli arsenali di Hamas è in costante crescita da tempo, grazie ai traffici gestiti attraverso il Sinai da contrabbandieri che utilizzano i numerosi tunnel che uniscono il territorio egiziano a quello palestinese sotto le case di Rafah.
    Soltanto dalla fine di maggio le forze di frontiera egiziane hanno individuato cinque gallerie, sequestrando mezza tonnellata di esplosivo e un migliaio di proiettili; ma si tratta soltanto di una parte infinitesimale del materiale bellico giunto a Hamas attraverso questa strada.
    C’è una sola controindicazione al passaggio nei tunnel: non consente il traffico di armi pesanti. Ora però Hamas dispone di quaranta chilometri di costa mediterranea.
    L’obiettivo dell’Iran, trasformare l’Hamastan di Gaza in un nuovo Libano meridionale dotando i miliziani islamici di razzi a più lunga gittata dei modesti Qassam, è ora più vicino.
    Si tratta di acque oggi controllate sommariamente dalla marina israeliana e da quella egiziana, dove – se non si dispone prontamente una barriera navale – non è difficile sbarcare razzi katiuscia con i quali arrivare più in profondità in territorio israeliano.
    I nuovi razzi potrebbero colpire a sessanta chilometri, contro i quindici dei Qassam artigianali.
    Fino alla periferia di Tel Aviv.

    Il tutto su il Foglio di sabato

    saluti

  3. #113
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    Predefinito

    Un piano Iran-Hamas alla base del “golpe” a Gaza

    Il capo dell’intelligence palestinese Tawfiq Tirawi, in una conferenza stampa tenuta domenica, ha accusato l’Iran d’essere direttamente coinvolto nella violenta presa del potere da parte di Hamas nella striscia di Gaza, sostenendo che Teheran ha finanziato e addestrato centinaia di militanti dei gruppi islamisti palestinesi.Secondo Tirawi, la battaglia per Gaza dell’inizio di questo mese è stata accuratamente orchestrata e programmata in collaborazione con l’Iran. Muovendo un’accusa implicita anche alla Siria, il capo dell’intelligence palestinese ha poi sottolineato che la leadership di Hamas fa base a Damasco e ha rivelato che, un mese prima dello scoppio dei combattimenti a Gaza, i leader di Hamas di stanza in Siria si sono incontrati con i capi dell’ala militare del movimento in una imprecisata capitale araba: durante quell’incontro, dice Tirawi, vennero messi a punto i dettagli dell’operazione per la presa del potere a Gaza.
    Il portavoce di Hamas, Sami Abu Zuhri, ha smentito le accuse sulla cooperazione Hamas-Iran, spingendosi fino a negare che combattenti di Hamas siano mai stati addestrati in Iran. Sabato scorso, peraltro, l’ex ministro degli esteri del governo palestinese guidato da Hamas Mahmoud Zahar aveva dichiarato al settimanale tedesco Der Spiegel d’aver personalmente introdotto nella striscia di Gaza, passando attraverso il confine con l’Egitto, non meno di 42 milioni di dollari in contanti provenienti dall’Iran.
    Tirawi ha avvertito che Hamas sta tentando di accumulare armi in Cisgiordania e potrebbe cercare di prendere di mira strutture del governo palestinese in quel territorio. Da quando Hamas ha preso il controllo nella striscia di Gaza, membri di Fatah, il movimento del presidente Mahmoud Abbas (Abu Mazen), hanno preso di mira gli attivisti di Hamas in Cisgiordania, territorio dove Fatah è più forte. Anche Hamas ha esplicitamente minacciato di portare in Cisgiordania lo scontro fra i due gruppi palestinesi rivali.
    Domenica, l’Iran ha debolmente smentito d’aver dato aiuti finanziari a Hamas, sostenendo che il suo appoggio al gruppo jihadista palestinese sarebbe “meramente spirituale”. D’altra parte, lo stesso portavoce del ministero degli esteri iraniano Mohammed-Ali Hosseini si è sentito in dovere di aggiungere che “qualunque aiuto finanziario reso dall’Iran è stato offerto per il bene della nazione palestinese nel suo complesso, e non per un gruppo in particolare”.Venerdì scorso, in un’intervista al settimanale americano Newsweek, anche il presidente del Supremo Consiglio di Sicurezza Nazionale iraniano Ali Larijani aveva dichiarato: “È vero che sosteniamo Hezbollah e Hamas”.Nel frattempo, il capo dell’intelligence militare israeliana Amos Yadlin, parlando alla riunione settimanale del governo, ha detto che Iran, Hezbollah, Hamas, Jihad globale e Siria potrebbero provocare una conflagrazione questa stessa estate, anche per errore.
    Ciascuno di questi soggetti – ha spiegato Yadlin – si adopera attivamente contro Israele e potrebbe provocare un deterioramento della situazione: benché nessuno di essi desideri scatenare un conflitto con Israele nell’immediato, tuttavia anche solo un grave errore di calcolo di uno qualunque di loro potrebbe portare allo scontro in qualunque momento”.

    (Da: YnetNews, Jerusalem Post, 24.06.07)


    Shalom

 

 
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