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  1. #21
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    Il Salice

    E di alberi un mazzo antico (Puškin)

    Sono cresciuta in un silenzio ricamato,
    nell'asilo freddo del giovane secolo.
    Il parlare degli uomini non mi era caro,
    ma chiaro era per me il fiato del vento.
    Amavo le ortiche, i fiori di bardana,
    ma più di tutti il salice argentato.
    Viveva con me, generosamente,
    di anno in anno, e i rami suoi piangenti
    con tanti sogni, mi sventolavano insonne.
    Sono sopravvissuta a lui, stranamente!
    Là resta un ceppo diritto, e con diverse voci
    sotto il cielo nostro, sempre quello,
    altri salici tra loro ora vociano.
    Ed io taccio.... come fosse morto un fratello.

    Anna Achmatova
    18 gennaio 1940 - Leningrado


    salix alba

  2. #22
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    LE CARRUBE

    Settembre, son mature le carrube.
    Or tu pel caldo mare di Cilicia
    conduci dalla riva cipriota
    la sàica a scafo tondo e a vele quadre.
    Bonaccia, e nel saffiro non è nube.

    Germa con sue maggiori quattro vele,
    garbo o schirazzo, legni levantini
    carichi di baccelli dolci e bruni
    conduci verso l'isola dei Sardi.
    E vien teco un odor di tetro miele.

    La siliqua, che ingrassa la muletta
    dall'ambio lene e in carestía disfama
    la plebe dalla bianca dentatura,
    lustra come i capelli tuoi castagni
    mentre stai su la coffa alla vedetta.

    Certo, d'olio di sésamo son unte
    quelle tue ciocche in forma di corimbi.
    Certo, ritrovi or tu nel gran dolciore
    del Mar Cilicio l'obliato carme
    che alla Cipride piacque in Amatunte.

    Settembre, teco esser voremmo ovunque!

    Gabriele D'Annunzio - Alcyone
    Sogni di terre lontane





  3. #23
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    Foglie gialle

    Ma dove ve ne andate,
    povere foglie gialle
    come farfalle
    spensierate?
    Venite da lontano o da vicino
    da un bosco o da un giardino?
    E non sentite la malinconia
    del vento stesso che vi porta via?

    (Trilussa)

    Ultima modifica di Liquid Sky; 27-07-15 alle 10:02

  4. #24
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    Banksia Blechnifolia

    Senza colore, senza odore,
    senza utile o bellezza,
    perché vorresti guardare?

    Le mie radici sgretolano calcestruzzo
    strangolano cemento, le mie dentellature rasate
    proteggono la nuda essenza,

    il muto vuoto del mio cuore di pianta.
    Non puoi sondare la mia lingua antica
    di pianta, uomo che parli

    a uomini. All'infuori del narciso
    o del delphinium, i poeti non ideano
    alcun impeto dolce

    dal mio linguaggio forgiato dal fuoco.
    Poco esotica dato che son nata qui,
    portatrice di più crudeli storie di quante

    evocano i tuoi campi in fiamme.
    Seminata dai tifoni, ho atteso
    anni per levare il mio fiore spinoso e disperato,
    senza colore, senza odore
    e corazzato. Ma che si tende
    si tende sempre verso il cielo. Il mio modo,

    diresti, di farti capire
    che la morte è intorno e pronta. Ascolta.
    Sentirai passare il suo fiato.

    Fay Zwicky


  5. #25
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    I Fiori

    Non c'è nessuno,
    non c'è nessuno che vende
    i fiori
    per questa strada maledetta?

    E questo mare nero
    questo cielo livido
    e questo vento avverso -
    oh, le camelie di ieri
    le camelie bianche rosse ridenti
    nel chiostro d'oro -
    oh, l'illusione primaverile!

    Chi mi vende oggi un fiore?
    Io ne ho tanti nel cuore:
    ma serrati
    in grevi mazzi-
    ma calpesti-
    ma uccisi.
    Tanti ne ho che l'anima
    soffoca e quasi muore
    sotto l'enorme cumulo
    inofferto.

    Antonia Pozzi (1912 -1938)


    Ultima modifica di Liquid Sky; 27-07-15 alle 10:04

  6. #26
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    "...ridevano allegramente credendosi soli; non si erano accorti che, dalla serra, Renée li stava osservando.

    Pochi attimi prima, mentre percorreva un vialetto, la donna era rimasta immobile dietro una pianta, alla vista dei due giovani. La serra che la circondava, simile alla navata di una chiesa, la cui vetrata a volta era sostenuta dalle sottili colonne di ferro, sfoggiava una ricca vegetazione di piante grasse, di abbondanti distese di foglie e di larghi tappeti di verde.

    Al centro, una vasca ovale era nascosta da tutta la vegetazione acquatica dei paesi del sud. Le ciclantee si alzavano, formando quasi un muro attorno allo zampillo della vasca che somigliava al capitello di una colonna. Grandi piante di tornelie, simili a serpenti attorcigliati, lasciavano pendere radici aeree, che si intrecciavano come maglie di una rete appesa. Un pandanus di Giava allargava il suo enorme fogliame verdastro striato di bianco, spinoso e tagliente come un pugnale. Sullo specchio d'acqua, immobile e tiepido, le rosee ninfee sbocciavano mentre le foglie degli eurialidi vagavano a fior d'acqua, come dorsi di rospi mostruosi.

    Una striscia di selaginella circondava la vasca formando un fitto tappeto di muschio, come un praticello verde tenero. Oltre il viale circolare, gruppi di alberi si innalzavano con slancio fino alla volta: le palme lasciavano ricadere le foglie come ventagli e i bambù d'India sottili e diritti facevano cadere una leggera pioggia di foglie, un banano carico di frutti distendeva le sue lunghe foglie dove avrebbero potuto comodamente giacere due amanti, stretti l'uno all'altro. Sotto gli alberi, per nascondere il suolo, alcune felci basse lo coprivano di pizzi delicati. Poi una bordura di begonie dalle foglie punteggiate e ritorte; i caladium, le marantee, le gloxinie e le dracene.

    Ma una delle cose più affascinanti di quel giardino erano le nicchie di fronde, ai quattro angoli, ricoperte da cortine di liane. Angoli di foresta vergine, impenetrabili intrichi di steli di viticci flessuosi; una pianta di vaniglia dai baccelli maturi e profumatissimi e l'arco di un portico coperto di muschio; e sotto gli archi, fra gli alberi, sottili catene reggevano cesti colmi di orchidee. Ma ad ogni svolta dei viali si era colpiti alla vista di un lussureggiante ibisco di Cina, le cui fronde e fiori ricoprivano tutto il lato del palazzo confinante con la serra. I suoi grandi fiori porporini parevano sensuali bocche di donna dalle labbra carnose e umide, pronte a distribuire baci sino alla morte.

    Renée rabbrividiva, in mezzo a tanti fiori. Alle sue spalle, una gigantesca sfinge di marmo nero sorrideva come un gatto sornione. Alcune statue biancheggiavano nel folto degli arbusti e, nell'acqua stagnante, giocavano strani riflessi di luce. Sulle lisce foglie del ravenala scorrevano bagliori candidi, mentre sulle cime delle palme scintillavano riflessi di vetro. All'intorno, l'oscurità era fitta, e i drappeggi delle liane pareva dormissero come rettili attorcigliati.

    Renée, pensierosa, sotto la luce violenta, guardava Maxime e Louise. L'incerta tentazione del crepuscolo, sui viali del Bois, era finita; il trotto dei cavalli non cullava più i suoi pensieri; ora, un desiderio ben definito e pungente la possedeva.

    In quella navata, dove l'ardente linfa dei tropici ribolliva, fluttuava un bisogno immenso di voluttà. La donna si sentiva afferrata in quel rigoglio di foresta, quella vegetazione, riscaldata dal nutrimento delle sue viscere, la invadeva di strani effluvi carichi di ebbrezza. Le calde acque della vasca fumavano, e invadevano le sue spalle di vapori che le riscaldavano la pelle come la carezza di una mano carica di voluttà. Quegli odori che la circondavano, la spossavano e un profumo, fatto di mille profumi, aleggiava intorno a lei; profumi delicati venivano sopraffatti da altri violenti e impregnati di veleno. Ma, in questa magica sinfonia di odori, la melodia dominante che s'innalza su tutti gli altri profumi, era l'odore umano, sensuale e penetrante che si effonde al mattino dalla camera di due giovani sposi.

    Renée, appoggiata al piedistallo della sfinge, con il seno ed il volto di fuoco scintillanti di gocce di diamanti, era simile ad un fiore, una grande ninfea della vasca. In quel momento, tutte le promesse fatte nell'ombra fresca della notte che l'aveva calmata, venivano scordate per sempre. I suoi sensi di donna ardente si risvegliavano, con tutti i capricci della donna ormai disincantata. E, alle sue spalle, la sfinge di marmo nero rideva, come se avesse letto in quel cuore il desiderio finalmente espresso, quelle « altre cose » che aveva a lungo cercato e che aveva finalmente trovato in quel giardino di fuoco, alla vista dei due giovani che ridevano tenendosi le mani.

    Si sentirono delle voci uscire da un vicino bersò, dove Saccard stava con Mignon e Charrier.

    —Vi garantisco signor Saccard, — diceva Charrier con voce untuosa, — che ci è impossibile ricomprarlo a più di duecento franchi il metro.

    E Saccard ribatteva con voce secca:

    — Ma da parte mia, l'avevate calcolato a duecentocinquanta franchi il metro!

    —Allora facciamo duecentoventicinque.

    Le voci risuonarono brutali sotto i rami degli alberi. Ma non sfiorarono neppure il sogno di Renée, che seguiva un piacere ignoto, dal calore peccaminoso più violento di quelli che aveva conosciuto; I'unico frutto che dovesse ancora assaporare. La spossatezza era scomparsa.

    Le larghe foglie dell'arbusto che la nascondeva, un tanguino del Madagascar, contenevano un latte velenoso. Nel momento in cui Maxime e Louise ridevano più forte nel caldo tramonto giallo del salottino, Renée, sconvolta e irritata, morse una delle foglie amare del tanguino maledetto. ...

    ...

    Ed era soprattutto nella serra che Renée era l'uomo. Quella notte di passione fu seguita da molte altre. La serra amava, bruciava con loro. In quella pesante atmosfera, circondati dal chiarore lunare, osservavano intorno a loro lo strano mondo delle piante che si torcevano in abbracci confusi. Dalla vasca, ai loro piedi, brulicante di radici, usciva un caldo vapore, mentre le rosse ninfee si schiudevano a fior d'acqua come corsetti di vergini, e le tornelie lasciavano cadere i loro rami come chiome sciolte di nereidi in deliquio. Le palme e i grandi bambù d'India si curvavano, confondendo le loro foglie con pose vacillanti di amanti spossati. Le felci, le pteridi e le alsophile parevano verdi femmine mute e immobili in attesa dell'amore. Le begonie, dalle foglie macchiate di rosso accanto ai candidi caladium, parevano un susseguirsi di ferite e di pallori che gli amanti non distinguevano e dove pareva loro di scorgere, talvolta bianche rotondità di fianchi e di ginocchia cadute a terra sotto brutali carezze sanguinanti. I banani parlavano loro della ricca fertilità del suolo, mentre le euforbie abissine parevano stillare la linfa di quello straripante flusso generatore di fiamme. E man mano che i loro occhi riuscivano a penetrare gli angoli della serra, l'oscurità era sempre più popolata da una sfrenata orgia di foglie che si rincorrevano con tenerezza inappagata. Negli angoli, dove le liane intrecciate formavano delle piccole grotte, il loro sogno carnale diventava più folle, tutti quei flessuosi viticci diventavano braccia d'amanti invisibili, che si allungavano perdutamente nel loro amplesso per raccoglierne tutti i piaceri sparsi. Quelle braccia senza fine ricadevano languide, si riannodavano in nuovi spasimi d'amore, si cercavano attorcigliandosi come in preda all'erotismo più folle. Era l'erotismo immenso di quell'angolo di foresta vergine dove germogliano le piante e le fiammeggianti fioriture dei tropici.

    I due amanti, con i sensi alterati, si sentivano trascinati in quei potenti amplessi della terra. Il suolo, attraverso la pelle d'orso, bruciava loro la pelle, mentre dalle altre palme cadevano su loro delle gocce di fiamma. La linfa, salendo lungo gli alberi, li penetrava comunicando loro desideri folli di gigantesca riproduzione. Prendevano parte all'erotismo della serra, rimanendo inebetiti nel pallido chiarore lunare, di fronte a quegli incubi dei lunghi amori delle palme e delle felci; le fronde assumevano aspetti equivoci, concretizzate dal loro desiderio in voluttuose immagini sensuali, mentre dal folto degli alberi uscivano sussurrii di voci in deliquio, sospiri di estasi, grida soffocate risa, tutti i rumori dei loro amplessi riportati dall'eco. Alle volte si sentivano scossi dal tremito del suolo, come se anche la terra appagata si scuotesse in singulti voluttuosi.

    E, pur con gli occhi chiusi, senza che il calore soffocante e il pallido chiarore lunare avessero infuso in loro quella depravazione sensuale sarebbero bastati gli odori a gettarli in uno straordinário erotismo nervoso. Dalla vasca usciva un odore aspro al quale si confondevano mille profumi che li penetravano. La vaniglia pareva intonare un canto simile al tubar dei colombi, al quale si univano le note aspre delle stanhopee, dalle cui bocche usciva un alito amaro da convalescente. E nei loro canestri, simili a incensieri, le orchidee esalavano i loro respiri. Ma l'odore, nel quale tutti gli altri si confondevano era l'odore umano, un odore d'amore che Maxime riconosceva quando, nascondendo il volto tra gli sciolti capelli di Renée la baciava sulla nuca. E questo odore di donna innamorata che fluttuava nella serra, come in una alcova in cui la terra generasse, li stordiva.

    Il posto preferito dagli amanti era ai piedi del tanguino del Madagascar, sotto quell'albero velenoso di cui Renée aveva morso una foglia. Intorno a loro il biancheggiare delle statue ridenti contemplava l'infinito accoppiamento delle fronde. La luna, nel suo vagare, animava il dramma con il suo chiarore cangiante. E loro si sentivano lontanissimi da Parigi, fuori dalla facile vita del Bois e dei ricevimenti ufficiali si sentivano in un lontano angolo di foresta, vicino ad un mostruoso tempio il cui dio era la nera sfinge di marmo. Si sentivano violentemente attratti verso la colpa di quell'amore maledetto, verso una tenerezza di animali selvaggi. Tutto ciò che li circondava, dal brulichio cupo della vasca, all'impudicizia nuda delle fronde, li inabissava sempre più nell'inferno della passione, ed era in quella scatola di vetro, che bruciava nelle fiamme dell'estate, perduta nel chiaro freddo di dicembre, che gustavano l'incesto, come il frutto maledetto d'una terra troppo calda.

    Il bianco corpo di Renée spiccava sulla pelliccia nera, in quell'atteggiamento di gatta in amore. Le chiare linee delle spalle e dei fianchi disegnavano i contorni di quel corpo felino gonfio di voluttà, sulla nera pelliccia che pareva una macchia sulla sabbia gialla del viale. Essa spiava Maxime come una preda riversa e abbandonata, che essa possedeva completamente. Ogni tanto si chinava bruscamente a baciarlo, irritata. Quella bocca si apriva allora avida e sanguinante come l'ibisco di Cina e in quei momenti non era più che una figlia ardente della serra. E, come i rossi fiori della grande malva, che vivono poche ore, rinascendo senza posa come le insaziabili labbra di una gigantesca Messalina, i suoi baci fiorivano ed appassivano..."

    Emile Zola - La Cuccagna

    Ultima modifica di Liquid Sky; 31-08-16 alle 19:18

  7. #27
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    "...Tutto questo contribuiva a rendere tesa l'atmosfera e fui sollevato quando potei scapparmene a raccogliere le mie cose per il giro della mattina. Giù nello stretto corridoio con i profumi familiari ed eccitanti di etere e acido fenico e poi fuori, nel giardino recintato da alti muri che conduceva al cortile dove si parcheggiano le macchine.
    Era lo stesso ogni mattina, ma per me c'era sempre un senso di sorpresa. Quando uscivo al sole, in mezzo al profumo dei fiori, ogni volta era come se lo facessi per la prima volta. L’aria fresca conservava la brezza della vicina brughiera; dopo essere stato sepolto cinque anni in una città era difficile credere a tutto questo.
    Non mi affrettavo mai in quei momenti. Poteva esserci un caso urgente che mi aspettava ma io me la prendevo comoda. Seguivo lo stretto viottolo tra il muro ricoperto di edera e il prolungamento della casa sul quale si arrampicava il glicine, spingendo i viticci e i fiori appassiti fin dentro le stanze. Poi oltrepassavo il giardino roccioso, dove il giardino vero e proprio si allargava e diventava prato, un prato trascurato e abbandonato ma che dava frescura e dolcezza ai mattoni patinati dal tempo. Intorno al prato fiammeggiavano fiori in disordinata profusione, contrastando il terreno a una giungla di erbacce.
    Così si passava nel roseto, poi a un'aiuola di asparagi le cui punte carnose si erano trasformate in lunghe fronde. Più in là c'erano le fragole e i lamponi. Alberi da frutta erano dappertutto, con i rami che pendevano sul sentiero. Peschi, peri, ciliegi e susini erano coltivati contro il muro a sud, dove si litigavano lo spazio con rose rampicanti selvatiche.
    Le api erano al lavoro in mezzo ai fiori e il canto dei merli e dei tordi gareggiava con il gracchiare delle cornacchie su negli olmi.
    La vita era piena per me. C'erano tante di quelle cose da scoprire e avevo molto da dimostrare a me stesso. I giorni scorrevano rapidi ed eccitanti e mi incalzavano proprio con quanto di nuovo contenevano. Ma lì nel giardino si fermava ogni cosa. Lì tutto pareva essersi fermato molto tempo prima. Prima di varcare la porta che immetteva nel cortile gettavo un'occhiata dietro di me ed era come imbattersi a un tratto nell'illustrazione di un vecchio libro; il giardino vuoto e selvaggio e dietro la grande casa silenziosa. Non riuscivo mai a credere del tutto di trovarmi lì e di far parte del quadro."

    James Herriot - CREATURE GRANDI E PICCOLE

    Ultima modifica di Liquid Sky; 27-07-15 alle 10:09

  8. #28
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    Con una rosa

    Con una rosa hai detto
    vienimi a cercare
    tutta la sera io resterò da sola
    ed io per te..
    muoio per te..
    con una rosa sono venuto a te

    bianca come le nuvole di lontano
    come una notte amara passata invano
    come la schiuma che sopra il mare spuma
    bianca non è la rosa che porto a te

    gialla come la febbre che mi consuma
    come il liquore che strega le parole
    come il veleno che stilla dal tuo seno
    gialla non è la rosa che porto a te

    sospirano le rose nell'aria spirano
    petalo a petalo mostrano il color
    ma il fiore che da solo cresce nel rovo
    rosso non è l'amore
    bianco non è il dolore
    il fiore è il solo dono che porto a te

    rosa come un romanzo di poca cosa
    come la resa che affiora sopra al viso
    come l'attesa che sulle labbra pesa
    rosa non è la rosa che porto a te

    come la porpora che infiamma il mattino
    come la lama che scalda il tuo cuscino
    come la spina che al cuore si avvicina
    rossa così è la rosa che porto a te

    lacrime di cristallo l'hanno bagnata
    lacrime e vino versate nel cammino
    goccia su goccia, perdute nella pioggia
    goccia su goccia le hanno asciugato il cuor

    portami allora portami il più bel fiore
    quello che duri più dell'amor per sé
    il fiore che da solo non specchia il rovo
    perfetto dal dolore
    perfetto dal suo cuore
    prefetto dal dono che fa di sè

    Vinicio Capossela



  9. #29
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    PIET MONDRIAN - "L'albero argentato
    1911, olio su tela, cm.78x107, Haags Gemeentemuseum, the Hague.



    "...Nel 1911, allorché conosce in Olanda opere cubiste di Picasso e di Braque, Mondrian si stabilisce a Parigi, dove rimane fino all'inizio della guerra. Affascinato dal cubismo, dipinge i soggetti che gli sono maggiormente cari - nature morte, alberi - scomponendo geometricamente le forme, tagliandole per mezzo di linee nere..."
    Ultima modifica di Liquid Sky; 27-07-15 alle 10:10

  10. #30
    Alessandra
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    Burt Lancaster e Anna Magnani sul set del film del 1955 "La rosa tatuata" con il quale lei vinse l'Oscar come migliore attrice.
    Ultima modifica di Liquid Sky; 27-07-15 alle 10:10

 

 
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