DI MASSIMO FINI
La “lectio magistralis” che Marcello Pera ha tenuto al
meeting di Comunione e Liberazione di Rimini è tutta
una “contraddizione in termini”.
Il Presidente del Senato, facendo un discorso che, tra l’altro, non ha
alcuna attinenza col suo ruolo istituzionale e anzi ne
travalica i limiti, afferma che il rispetto fra
culture “deve essere reciproco”, ma subito dopo si
scaglia contro il “relativismo culturale”, che a suo
parere si sta diffondendo in Europa, per il quale
“tutte le culture hanno la stessa dignità etica”. Ma
se le culture non hanno pari dignità e ce n’è una
superiore, naturalmente la nostra, qual è il rispetto
che essa porta alle altre se le considera “inferiori”?
Evidentemente nessuno. E infatti in Occidente, negli
Stati Uniti come in Europa, non esiste alcun
“relativismo culturale” ma, al contrario, un
totalitarismo culturale, concettuale e pratico.
In forza di tale totalitarismo noi sentiamo il diritto
e il dovere di esportare ovunque i nostri valori,
anche con la forza delle armi com’è avvenuto in
Afghanistan e in Iraq o con la violenza ideologica
come stiamo facendo col mondo islamico cui vogliamo
imporre, tra l’altro, un’omologazione della donna
musulmana al modello occidentale.
Pera, preoccupato della “crisi morale e di identità
dell’Occidente”, afferma che “il rispetto comincia da
casa nostra e integrazione significa fare diventare
gli altri cittadini della nostra civiltà”, con
l’abbandono, evidentemente, della loro. Alt. Gli
immigrati che vengono qui devono rispettare le nostre
leggi, com’è ovvio, ma non hanno nessun obbligo di
abbracciare anche la nostra civiltà. Nessun europeo o
americano che viva in un Paese islamico o dell’Africa
nera ancora tradizionale, è obbligato ad abbracciare
la cultura del luogo e a farsi, poniamo, musulmano o
animista o ad aderire alle pratiche di stregoneria.
Voler imporre agli immigrati (che in genere sono tali
perché la pervasività della nostra economia ha
distrutto la loro, spesso riducendoli alla fame,
insieme alla loro socialità, alle loro tradizioni, al
loro habitat) di abbandonare la loro cultura per
abbracciare la nostra significa togliergli
definitivamente quell’identità che invece pretendiamo
per noi stessi.
Pera parla del vuoto morale, di valori e di senso che
ha colpito l’Occidente. Se così è si capisce ancor
meno la pretesa occidentale di voler esportare e
imporre questo vuoto anche alle altre culture.
Comunque sia, è vero, come afferma Pera, che “la
democrazia liberale non è autosufficiente, è vuota, ci
fa perdere identità collettiva, e ci priva di
qualunque senso … il limite fondamentale della
teoria liberaldemocratica è non avere un criterio del
bene, un fondamento … ciò che cerchiamo non è solo
una democrazia del consenso ma del senso”. Per quel
che mi riguarda sono cose che denuncio da vent’anni
nei miei articoli e nei miei libri (vedi, da ultimo e
per tutti, Sudditi - Manifesto contro la democrazia) e
mi fa piacere che anche il filosofo Pera se ne sia
accorto. La democrazia è un metodo, un sistema di
forme, di regole e di procedure, non è un valore in sé
e non propone valori. È un contenitore, un sacco vuoto
che andrebbe riempito. Ma il pensiero e la pratica
liberale e laica, che sono il substrato su cui la
democrazia è nata, mentre facevano, a poco a poco,
tabula rasa di tutti i valori precedenti, non sono
stati in grado, in oltre due secoli, di riempire
questo vuoto se non con contenuti quantitativi e
mercantili. Ed è proprio aver centrato la nostra
società sul mercato - ma questo Pera si guarda bene
dal dirlo - ad aver privato la vita dell’uomo
occidentale di valori e di senso. Perché il mercato è
uno scambio di oggetti inerti che, come tale, non può
produrre valori, produce solo economia. Ed è
assolutamente inutile e velleitario criticare la
liberaldemocrazia se non si attacca il suo contenuto
più profondo e unico: il modello di sviluppo economico
che ha partorito o da cui è stata partorita.
Ora il presidente Pera vorrebbe riempire, per diktat,
questo contenitore vuoto, di valori religiosi
cristiani, universali. Ma a parte che questo è
impossibile finché la società occidentale resta
centrata sul mercato, dove l’unico valore e dio
realmente condiviso è, e non può essere altrimenti, il
“Dio Quattrino”, con i suoi sub-idoli del profitto e
del successo comunque ottenuti, ciò significherebbe,
di fatto, trasformare le democrazie in teocrazie. Ed è
perlomeno curioso, per dir così, che noi in Occidente
e in particolare in Italia, da Marcello Pera a
Giuliano Ferrara, ci si affanni a cercare di ritrovare
i valori religiosi che abbiamo perduto proprio nel
momento in cui pretendiamo, se occorre con le bombe,
di impedire agli altri, e in specie al mondo islamico,
di vivere i propri.
Il problema non è quello di riportare Dio al centro
dell’esistenza dell’uomo facendo un salto indietro nel
Medioevo ma senza le sue sapienti compensazioni e
mantenendo intatto l’attuale modello economico.
Recuperando quindi il peggio del Medioevo,
l’autoritarismo religioso, ma non il meglio, vale a
dire una società basata non sulla competizione
economica ma sulla cooperazione dove ogni uomo aveva
un suo posto e un suo ruolo, per quanto modesto, nel
mondo.
Dio è morto un paio di secoli fa, ucciso dal
razionalismo illuminista che ha prodotto l’attuale
società, centrata sull’economia e sulla tecnologia, e
nessuno lo potrà resuscitare finché questo tipo di
società rimarrà egemone.
Il problema non è quindi di porre al centro della
nostra esistenza il cadavere di Dio, ma l’uomo in
quanto tale, relegando l’economia e la tecnologia ai
ruoli marginali che avevano sempre avuto prima che con
la Rivoluzione industriale, e l’Illuminismo che l’ha
razionalizzata nelle due varianti del liberalismo e
del marxismo, perdessimo il senso di noi stessi e
della nostra centralità.
Massimo Fini - www.massimofini.it
Fonte: http://www.gazzettino.it/
23.08.05