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  1. #1
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    Predefinito Si può essere ortoddossi e tomisti?

    Quanto all'impianto generale del pensiero tomista intendo, non alle singole proposizioni, altrimenti è ovvio che no...

    Che ne pensate?

  2. #2
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    Credo che il Tomismo come sistema si allontani dalla Teolofia ed anche dalla filosofia patristica e che - quindi possa difficilmente - essere accettato da un ortodosso.
    Questo non significa che un ortodosso non possa condividere alcunii aspetti, anche importanti, del tomismo.
    Primo fra tutti il realismus.
    In questi lumi di nihilismo non bisogna dimenticare mai che il nominalismo è padre sia di un certo fideismo protestante che dell'illuminismo prima e del nihilismo poi, dell'occidente.
    Consiglio a questo proposito la lettura del bel saggio di P.Florenskij sull'Idealismo (Rusconi).
    Il personalismo ontologico.
    Difficilmente si può accettare altre aspetti come l'analogia entis, a meno che non la si riconduca all'esemplarismo patristico. Il che è pur possibile.

  3. #3
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    Cosa non vi pare accettabile dell'analogia entis?

  4. #4
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    Il fatto che Dio non è un Ente, nemmeo l'Ens summum.
    Egli è, come si esprimevano i Padri, sovraessenziale.
    Pertanto se io penso di risalire a Dio per via analogica rincorrerò un Ente sommo ma non raggiungerò mai il Dio Vivente della Rivelazione.
    Se invece si parla di una "certa analogia" non nel senso dell'analogia dell'Ente ma nel senso che il creato rispecchia sempre qualcosa del creatore (esemplarismo) fino all'uomo che è sua "immagine e somiglianza" e, partendo da questi riflessi io posso "intuire" qualcosa del Creatore, questo lo si trova pressochè in tutti i Padri.

  5. #5
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    Capisco. Tuttavia San Tommaso non parla mai di Dio come dell'Ens Summus.
    L'Aquinate non parla di Dio in termini ontici, ma ontologici.
    Sono i commentatori dell'Aquinate, e la tarda scolastica, riprendendo Aristotele, a far concepire Dio come un ente al vertice degli enti.
    Questo va di pari passo con il famoso oblio dell'essere, e con lo sviluppo di una mera filosofia dell'essenza, come sarà nei secoli successivi per il razionalismo e poi per l'idealismo.
    San Tommaso invece Dio è l'Ipsum Esse Subsistens. Non è un ente. L'ente è sempre il finito, il composto di essere ed essenza, ciò che riceve l'essere da altro, per partecipazione. Dio invece ha l'essere, per così dire, a titolo proprio. Anzi, non ha l'essere, E' l'Essere. Essere perfettissimo, purissimo, puramente realizzato, incomposto e sintetico. La mancanza di composizione, e quindi di potenzialità, porta S.T. ad identificare in Dio l'Essere e l'Essenza. Non si possono comporre, altrimenti ci sarebbe molteplicità in Dio. Si identificano, così come l'essere di Dio si identifica con il suo intelligere, volere etc.
    Dio ha una quidditas, sicuramente, ma la quidditas di Dio è a noi sconosciuta. L'uomo non può conoscere l'essenza Divina in quanto tale per san Tommaso. Solo il silenzio, secondo l'Aquinate, è "adeguato" ad esprimere il mistero dell'essenza divina, la deitas.
    L'analogia tomista si fonda sulla partecipazione, cioè sul rapporto tra Creatore e Creatura. Omne agens agit simile sibi, diceva il Maestro. In base a questo nella creatura si trova qualcosa del Creatore. Si trova una partecipazione imperfetta, limitatata, di basso livello ontologico, di ciò che altrove, in Dio, è totalmente realizzato. La bontà delle cose contingenti che vedo è vera bontà, tuttavia non è posseduta totalmente, ma gradualmente nelle cose. Non è posseduta quindi a titolo proprio, ma a titolo derivato, partecipativo. La partecipazione rimanda dal partecipante al partecipato. Ovviamente in questo sta anche una forma di esemplarismo.
    E' quindi possibile parlare di Dio, sulla base dell'analogia che si basa sulla partecipazione.
    Il nostro linguaggio nei confronti di Dio non deve quindi mai essere definitorio, quidditativo, non lo deve mai entificare, ridurre al finito.
    San Tommaso cerca di tenere insieme questi due aspetti: abbiamo delle conoscenze certe di Dio (esistenza e attributi), tuttavia propriamente Dio ci è sconosciuto. Non conosciamo la sua essenza, visto che l'analogia implica una maggiore differenza rispetto alla somiglianza. Sappiamo che c'è qualcosa di comune, ma che è maggiore la dissomiglianza, essendo in Dio tutto puramente realizzato.
    Così dicendo che Dio è buono non uso il termine bontà con lo stesso significato che ha per le creature, ma con un significato in parte uguale, ma soprattutto diverso, visto che la bontà in Dio è all'infinito grado ed è fonte di ogni altra bontà.
    La quiddità di Dio ci è sconosciuta perchè il nostro parlare di Dio non è univoco, e quindi da panteisti. Non ci è sconosciuta perchè il nostro parlare di Dio non è equivoco.
    Sappiamo qualcosa, qualcosina. Ma quello che sappiamo è certamente vero. Addentrandoci oltre nel mistero divino il saggio tace. Ascoltando Dio nel silenzio.
    Nemmeno la via eminentiae, superlativa, mi dice l'essenza di Dio. Dio è soggetto da ascoltare.
    Le intepretazioni di san Tommaso, quasi sempre aristotelizzanti, non hanno visto invece come una delle fonti fondamentali di san Tommaso sia Dionigi L'Aeropagita. San Tommaso lo conosceva bene, lo ha commentato e lo cita spessissimo. E' uno degli autori che cita maggiormente.
    Se le categorie della filosofia di S.T. sono aristoteliche, lo schema è platonico, è riprende in particolare Dionigi, oltre ad altri testi, come il Liber de Causis.
    Ritengo che molti dei nostri giudizi verso Tommaso siano dovuti alla intepretazione aristotelica dei suoi discepoli e dei vari tomisti fino quasi ai nostri giorni.
    Padre Fabro, con i suoi eminenti studi, ha mostrato l'anima platonica di san Tommaso.

  6. #6
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    E' vero che la visioner che abbiamo del tomismo è fortemente condizionata dagli scolastici posteriori e - personalmente - penso che il rapporto tra Tommaso e i Padri andrebbe studiato meglio ma da cchi conoscesse bene e l'uno e gli altri.
    E' però vero che - a parte il fatto che Dio è ipsum esse subsistens, per Tommaso, per i padri Dio è anche al di sopra dellEsse. Si dovrebbe dire che che ipsum esse supersubsistens, oppure ipsum superesse supersubsistens.
    Penso però che Tommaso, al di là dell'espressione avesse la chiara idea che Dio non è l'essere (nel senso che da Parmenide in poi ha avuto) ma si colloca al di sopra. Solo che, forse per paura di un apofatismo assoluto non lo ha detto esplicitamente.
    Proprio la sua conoscenza di Dionigi (che però lui conosceva nella traduzione latina di Giovanni Scoto, che è tutt'altro che esatta perechè è difficilissimo rendere in latino tutti i neologismi dionisiani per esprimere l'assoluta trascendenza) è viziata da questa cattiva traduzione e dalla scarsa conoscenza dei padri greci perchè non conosceva, se non molto poco, il greco, e questo gli fa accettare, abbastanza unilateralmente certe espressioni di Agostino.
    Bonaventura, che neppur lui conosceva il greco, aveva però (e non saprei donde gli derivasse, uno - chiamiamolo così - spirito patristico, superiore a quello di Tommaso. Quando si lòegge Bonaventura si respira aria più "antica" di quando si legge Tommaso, forse per lo stile aristotelico di quest'ultimo.
    Sono però daccordo con te che l'impostazione fondamentale di Tommso è platonica.

  7. #7
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    La filosofia di san Tommaso adotta categorie aristoteliche per uno schema generale platonico. Con la nozione di partecipazione che fa, diciamo da collante tra le due filosofie.
    In effetti il paradigma di S.T. è ontologico e non enologico. S.T. conosce il neoplatonismo, tuttavia non pone l'Uno al di sopra dell'essere. Egli tuttavia coglie molto di quanto era stato insegnato dell'Uno e del suo rapporto coi molti, e lo applica all'essere, facendo dell'uno un trascendentale, che coincide con l'essere. La distinzione tra uno ed essere è solo di ragione. Certo il termine essere è più espressivo del termine uno, tuttavia in Dio coincidono, così Dio è l'Uno Sussistente, così il Vero sussistente, la Bontà susistente, la Bellezza sussistente.
    Mi permetto di far notare anche che quando san Tommaso parla dell'essere di Dio rifiuta categoricamente l'identificazione del suo esse con l'esse delle creature, l'esse commune omnium, in quanto questo è una pura astrazione mentale. Dopo Heidegger è tornato di moda parlare dell'essere, ma questo essere non è altro che un concetto che astraiamo intellettualmente.
    L'Esse di Dio non è l'essere delle creature. Certamente l'essere delle creature partecipa dell'essere di Dio, e dove c'è partecipazione c'è analogia, tuttavia l'Essere di Dio si mantiene radicalmente diverso, e sappiamo che è molto maggiore la differenza rispetto alla comunanza. Così quando parliamo di Dio dobbiamo tener conto di questo.
    Tra l'altro per i tomisti due sono i principi che costituiscono le cose concrete, realmente distinti: esssenza, ed essere. L'essenza la si conosce mediante l'intelletto, che ha come oggetto la quidditas. L'essere è ciò che di più profondo c'è nella cosa, perchè rimanda direttamente alla partecipazione, e come viene conosciuto?
    Gli interpreti sono discordi: per Gilson è il giudizio che si occupa dell'essere, Maritain ritiene che vi è una sorta di intuizione, contemplando l'esse commune, Fabro sostiene che vi è un complesso processo di astrazione e ragionamento.
    L'esse non può mai essere oggettivato perchè la conoscenza definitoria è quella dell'essenza, non quella dell'essere.
    L'esse tomistico è poi radicalmente diverso dalla concezione che si radicherà qualche secolo dopo, e che farà dell'essere la proprietà minima di una cosa, una sorta di comune sostrato necessario, e che ridurrà l'essere all'univocità. Questa concezione impoverisce profondamente l'essere, facendone il minimo comun denominatore di tutte le cose, un concetto poverissim, praticamente vuoto.
    L'esse tomistico è analogo, in quanto si dice di tutte le cose, ma non con uno stesso significato. L'analogia fondamentale è quella di attribuzione, secundum prius et posterius, e si fonda sulla partecipazione.
    L'univocità è asserita da Parmenide, Severino e figli, l'equivocità, che rende impossibile la conoscenza, va tanto di moda adesso. Il tomismo esclude questi due estremi con l'analogia.
    Allo stesso modo Parmenide, se poi l'intepretazione corrente di Parmenide è vera, afferma l'Essere ed esclude gli enti. Oggi correntemente si affermano gli enti e si esclude l'essere. Il tomismo cerca di dare il suo spazio all'Essere e agli enti.
    Lo stesso si può dire per l'infinito, che rischia di essere esaltato fino a negare il finito, così per gli idealismi, o che rischia di non essere considerato, riducendo la filosofia allo studio del finito. Il tomismo tiene assieme, sempre mediante la partecipazione, l'Infinito, che poi è Dio, l'Atto Puro, e il finito, cioè le creature.
    Parimenti si oppongono filosofie della molteplicità irriducibile ad unità e dell'unità che non riesce a farsi molteplice. Il tomismo riesce a mantenere entrambi i poli: l'Uno, Dio, e il molteplice, il creato.
    Mi sembra per questo che il tomismo si possa dire filosofia profondamente equilibrata, non semplice, perchè è grande tentazione del pensiero guardare solo ad un polo della realtà e non ad un altro, e in questi casi, a mio avviso, si danno forme di ideologia.
    E l'ideologia, purtroppo, è più diffusa di quanto crediamo. E' una forma di razionalismo, anche quando, a parole, difende il realismo.
    Realismo tanto minacciato in questi tempi dallo spadroneggiare di filosofie che lo negano e si fan beffe di esso. Come difenderlo? Con approcci di stampo fenomenologico? Con approcci di stampo trascendentale? Recuperando il sensus communis, come propone Mons. Livi?
    Dopo la svolta antropologica cartesiana il pensiero e l'essere non sono più ritenuti speculari. Pensare una cosa non significa più conoscerla e conoscerla nella sua causa, in ciò che fonda la sua singolarità. L'evidenza non è più considerata come ciò che incontrovertibilmente strappa l'assenso alla ragione.
    All'evidenza è anteposto il soggetto, con i suoi criteri soggettivi, le sue condizioni di conoscenza, e i suoi condizionamenti. Si crea una barriere tra il soggetto e l'oggetto. L'oggetto della conoscenza non è più la realtà, ma la mia rappresentazione soggettiva, la species, l'idea. Si capisce così coem si possa aprire la strada al relativismo. La fenomenologia, con la categoria di intenzionalità, forse, ha recuperato l'unità, ma non son convinto che da essa si possano trarre tutte conseguenze accettabili. Certo il tomismo, che pure non ha mai messo a tema il problema gnoseologico, come è declinato nella modernità, considera la conoscenza come momento profondamente unitario tra soggetto e oggetto. Così unitario che all'inizio non è ancora messo a tema il soggetto, quando ancora dall'aliquid est non è scaturita la consapevolezza di sè.
    Caro Silvano, se salta il realismo, lo sappiamo bene, salta tutta la metafisica, quella di san Tommaso, così come le altre.
    Eppure il realismo è un primum. Come dimostrarlo? Lo si potrà argomentare, magari con una descrizione di come conosciamo, ma non penso che lo si possa dimostrare. Si può certo mostrare dove va a parare chi lo nega, in quali contraddizioni finisce.
    Si può concepire il realismo come un'inizio di affermazione teologica, oppure, come l'ipotesi più ragionevole possibile, quella che si dà implicitamente in tutti gli uomini, anche in quelli che la negano, l'unica posizione che nella vita pratica possa portare da qualche parte e che possa garantire la relazione tra gli uomini.
    Io ammetto il mio realismo, e ammetto anche di far metafisica, sono un metafisico confesso. C'è chi nega questo, solo a parole, mi pare di capire.

  8. #8
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    Ai bei tempi dell'università ho letto varie cose di p.Fabro. Ma poco su san Tommaso. Mi puoi indicare un'opera che parla dell'anima platonica.
    Sai se c'è uno studio tra il rapporto tra Tommaso e i Padri?

  9. #9
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    In tutto quello che ho scritto ho dimenticato forse l'essenziale.
    E' imprescindibile al cristiano, per poter esprimere il messaggio rivelato in termini filosofici, il realismo e la metafisica. Quest'ultima possibilmente buona (ve ne sono tante cattive, direi anche perverse!). Ed una metafisica è "buona" quando resiste agli attacchi di Heiddeger e dei suoi maestri cher hanno - diciamolo pure - molta ragione a criticare le cattive metafisiche. Torto marcio a pensare che la metafisica in se stessa sia "reificante" della realtà.

  10. #10
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    Guardi, un testo essenziale è quello che le avevo indicato:

    Fabro, la nozione metafisica di partecipazione secondo san tommaso. Recentemente ri-edito.

    La prima parte del testo fa una bella analisi storica della nozione di partecipazione, facendo notare quali sono stati gli influssi su san Tommaso. C'è anche una bella tabella esplicativa, con tanto di freccette. . La seconda parte del testo è schiettamente teoretica.

 

 
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