Intervista rilasciata da S. Em.za Rev.ma il Cardinale Jorge Arturo Medina Estevez
Prefetto Emerito della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti
Componente della Pontificia Commissione “Ecclesia Dei”

all'agenzia I.Media (APIC)

Roma, 26 settembre 2005, intervista di Antoine-Marie Izoard

(Ripresa dal quindicinale DICI, n° 21 del 1 ottobre 2005)


Apic: Come vede l’incontro del 29 agosto scorso tra benedetto XVI e Mons. Fellay, Superiore Generale della Fraternità San Pio X ?
Card. Medina: Questa visita di Mons. Fellay al Santo Padre è stata preceduta da molti altri contatti. In particolare dai contatti con il cardinale Castrillon Hoyos e con altre persone, come io stesso. Mons. Fellay è stato in visita da me ed io sono andato a trovarlo quanto è stato ricoverato a Roma, qualche anno fa.
In effetti, non si può dire che questo incontro con il Santo Padre fosse inaspettato, poiché vi erano dei contatti, e Mons. Fellay sa che il Papa è preoccupato per la piena comunione di tutti i cattolici, di tutti i cristiani, e in particolare del suo gruppo, che è erede delle decisioni e delle posizioni di Mons. Lefebvre.

Apic: A questo punto, quali soluzioni può trovare Roma per procedere nell’avvicinamento con la Fraternità San Pio X ?
Card. Medina: La situazione è complessa: da una parte vi è il problema liturgico, dall’altra vi sono le questioni dottrinali. Io penso che innanzi tutto occorrerebbe compilare una lista delle difficoltà dottrinali, così da poterne discutere e trovare delle soluzioni, delle spiegazioni o delle sfumature che permettano di superarle.
Per questo occorrerebbe organizzare una sorta di gruppo di lavoro.
Ma, all’interno della Fraternità vi sono due diverse correnti. Alcuni hanno una posizione poco adattabile, inflessibile. Altri sono meglio disposti al dialogo.
Senza voler fare delle accuse sgradevoli, non bisogna dimenticare che si è sentito dire che il Messale di Paolo VI fosse eretico, o che questo rito potesse essere giudicato anche invalido. In questi casi ci si trova in una situazione estremamente difficile.
Tuttavia, io credo che sulla dottrina vi è modo di intendersi. Forse vi sono state delle false interpretazioni, forse ci si può spiegare su certi punti… ma bisognerebbe mettersi d’accordo sulla ricezione del Concilio Vaticano II.

Apic: Diversamente da Lei, Mons. Fellay antepone alla soluzione delle questioni dottrinali quelle del problema liturgico e dell’autorizzazione per tutti di celebrare la Messa tridentina. Si tratta di una buona soluzione?
Card. Medina: Se il Santo Padre vuole, da domani, può prendere una decisione a riguardo dei problemi liturgici, non vedo alcuna difficoltà.
Per contro, se non ci si mette d’accordo sui problemi dottrinali posti da certi membri della Fraternità, si otterranno delle soluzioni utili e simpatiche, ma senza arrivare alla piena comunione così vivamente auspicata.
L’autorizzazione per tutti i preti di celebrare secondo la forma antica del rito romano non risolverà il problema di fondo che esiste con la Fraternità San Pio X. Se questi membri dicessero, per esempio, noi rifiutiamo il Concilio Vaticano II, allora ci si troverebbe in una situazione difficile da risolvere.
Delle questioni liturgiche pratiche bisogna occuparsene in un secondo momento. Si tratta infatti di un aspetto molto più semplice, poiché attiene all’ambito canonico, giuridico e liturgico che, a mio avviso, non comporta delle dispute dottrinali.

Apic: Secondo Lei, dunque, Benedetto XVI può liberalizzare la celebrazione della Messa tridentina dall’oggi al domani?
Card. Medina: Volendo, il Santo Padre potrebbe stabilire delle autorizzazioni più o meno ampie per l’impiego della forma antica del rito romano all’interno della Chiesa cattolica. Per esempio, qualche anno fa, al momento della pubblicazione del nuovo rito sugli esorcismi, la Congregazione per il Culto Divino ha data ai vescovi la possibilità di usare il rito precedente. Era stato chiesto da un certo numero di vescovi. Questo ha creato un precedente.
Io spero che in tal modo, a poco a poco, verrà aperta la possibilità di celebrare secondo la forma antica del rito romano. Con la buona volontà, vi si può arrivare.
Intravedo solo qualche difficoltà di ordine pratico. Per esempio, bisognerebbe rendere compatibili i due calendari liturgici. Si potrebbe pure trovare una soluzione al problema del lezionario. Certo, in una diocesi questo potrebbe comportare un problema di omogeneità. Non si tratta di problemi capitali, si possono risolvere senza grandi difficoltà, mentre non è questo il caso delle questioni dogmatiche.

Apic: Il rito di San Pio V è stato realmente abolito dopo il Concilio ?
Card. Medina: Io ho esaminato la questione. Vi sono realmente degli argomenti per sostenere che il rito del 1962 non è mai stato giuridicamente abolito. Ma vi sono anche degli argomenti per sostenere il contrario. Dal momento che vi è un dubbio, non si può giungere a delle conclusioni nette in grado di sostenere che esso è stato interdetto. Come non si può escludere o biasimare il rito tridentino che è quello che la Chiesa romana ha usato per quattro secoli.
Ma, lo ripeto, credo che innanzi tutto occorra trovare una soluzione alle questioni dottrinali.
Io faccio parte della Commissione Ecclesia Dei e ogni volta che mi si chiede di celebrare con il rito antico io lo faccio senza chiedere il permesso a nessuno: né a Roma né al vescovo del luogo.
I messali di San Pio V e di Paolo VI sono entrambi perfettamente ortodossi. Essi hanno delle tonalità che corrispondono a sensibilità diverse, a diverse accentuazioni teologiche. Per esempio, io ritengo che le formule dell’offertorio del Messale di San Pio V siano molto pedagogiche al fine di sottolineare il carattere sacrificale della Messa, aspetto essenziale, questo, della celebrazione eucaristica.

fonte: www.unavox.it