E RIMASE AZIONISTA FINO IN FONDO
Di Gian Enrico Rusconi




E’ un’eredità difficile quella di Norberto Bobbio. Non parlo del maestro universitario che, grazie ai suoi lavori di filosofia del diritto, di teoria della democrazia e di lettura dei classici, lascia una eredità indiscutibile. Ma dell’intellettuale impegnato nel dibattito pubblico.
L’itinerario del Bobbio testimone storico e pubblicista politico è più complesso. Da un lato ha affermato i principi del socialismo liberale o del liberalismo solidale, il rigore delle regole democratiche, la critica di ogni variante populista e leadership carismatica, il rifiuto di ogni tipo di dittatura – compresa quella della maggioranza. Dall’altro lato, come fondamento e legittimazione della democrazia italiana, ha difeso sempre puntigliosamente la tradizione resistenziale secondo gli schemi identificati dall’azionismo storico. Qui si sono concentrate le polemiche, le contestazioni, le cattiverie degli ultimi anni. A torto o a ragione, il giudizioso sull’azionismo ha portato in sé un diverso modo di rivisitare e rivedere il periodo resistenziale – non semplicemente come evento storico- politico concluso, ma come criterio di misura della democrazia italiana come tale. Democrazia che l’intellettuale azionista Bobbio ha sempre visto gravemente carente, in tutte le stagioni, con occhio severissimo e intransigente perché confortata con le promesse mancate della Resistenza. Proprio questo modo di giudicare appare ai critici viziato di unilateralismo .
Il primo rimprovero fatto a Bobbio è quello di essere stato troppo indulgente verso il comunismo. Certamente ha criticato la dottrina marxista e le sue pratiche totalitarie, ma prevalentemente in termini teorici. In pratica avrebbe coperto e legittimato il comunismo italiano, quello storico resistenziale, e avrebbe quindi accompagnato la successiva conversione democratica dei comunisti italiani senza chiedere loro quella autocritica radicale che sarebbe stata necessaria. C’è naturalmente del vero in questa critica, ma quasi sempre è viziata da una semplicistica equidistanza ed equivalenza tra fascismo e comunismo che fraintende gravemente la storia italiana.
Lo stesso Bobbio proprio agli inizi degli anni ’90 ha identificato il problema della legittimazione, che sin dalle origini affligge la nostra democrazia, nel contrasto tra antifascismo e anticomunismo. Contestualmente, però, in uno dei suoi rari momenti di ottimismo, si chiedeva se non si cominciasse ad andare nella strada giusta: non già seppellendo quel contrasto ma superandolo in una più matura visione democratica. Non è stato così. Il dibattito si è esasperato e immiserito.
Che antifascismo e democrazia non siano coincidenti, non è una scoperta dei nostri giorni. E’ esattamente quella distinzione che ha consentito di prendere le distanze dall’antifascismo non democratico, comunista, senza fare dell’anticomunismo la legittimazione della repubblica, nata anche dalla lotta dei comunisti. Senza che l’anticomunismo offrisse il pretesto per ridimensionare il valore della Resistenza. Su questa linea si è mosso Bobbio, anche se è stato restio a valorizzare pienamente gli altri “antifascismi” , in particolare quello cattolico. Anche se è sempre stato diffidente verso tutti i discorsi sull’attendismo che fossero men che critici . Questi sono i punti che la lezione bobbiana ha in parte trascurato, per un malinteso timore di aprire la strada a un cattivo revisionismo .
Su questa problematica la polemica si polarizza spesso tra chi si dichiara discepolo di Bobbio e chi discepolo di De Felice . In realtà queste due personalità, decisive nel determinare il dibattito storico-politico del nostro tempo, non si sono mai davvero capite . C’è qualcosa di tragico eppure di sintomatico nella reciproca incomprensione, pur segnata da un sincero rispetto. Entrambi temevano che al di là delle buone intenzioni soggettive si innescasse una deriva che ciascuno di essi considerava inaccettabile . Bobbio temeva che il defelicianesimo portasse alla liquidazione di fatto del valore fondante della Resistenza . De Felice temeva che il bobbismo sacrificasse a una ideologia radical-socialista la concretezza storica di una complessa vita nazionale. Ciò che li univa era una diagnosi irrimediabilmente pessimista sulla situazione italiana. E’ mancata la capacità di trovare una linea di composizione, pur possibile a livello di analisi e di impianto di valore