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    Predefinito I nemici degli iracheni

    I nemici degli iracheni

    Eccoli qui, i nemici del popolo iracheno. I macellai che qualcuno chiamò “resistenti”, ai quali andavano le simpatie del mai tramontato antiamericanismo, i carnefici che ieri hanno messo a morte un migliaio di persone che si recavano alla moschea. I morti, tanto per capirsi, sono i concittadini di quanti hanno affollato le urne per onorare le prime elezioni politiche democratiche, elezioni che non ci sarebbero mai state se una forza militare multinazionale non avesse detronizzato Saddam ed i suoi accoliti.



    Gli assassini, sempre per capirsi, sono i menici di quella forza multinazionale, ed i sodali di quei wahhabiti sauditi che hanno scelto, con Al Quaeda, di far la guerra al mondo libero, democratico e civile. Ecco, tanto per capirsi, e per capire quali immense castronerie sono state dette e scritte, Italia, da una sinistra lanciata nell'opporsi alla missione di pace in Iraq.
    Due sono le tesi che, di fronte al massacro ed agli atti terroristici che si susseguono a Bagdad, ancora taluno balbetta, dalle parti ove non si riesce a guardar la bandiera a stelle e strisce senza farsi venire un rigurgito di demenziale antimperialismo. La prima recita: se in Iraq non vi fossero “truppe d'occupazione” (così le chiamano) non vi sarebbero neanche le condizioni per lo scatenarsi dell'opposizione armata, un ritiro immediato delle truppe cheterebbe il terrorismo. Ah, tapini precipitati in un mondo a loro sconosciuto: le stragi di sciiti e curdi erano la norma del regime saddamita, solo che il baffuto dittatore non consentiva di certo la mondovisione. E siccome questa è una sinistra alla camomilla, cresciuta a telenovelas e cartoni animati, per il fatto di non aver visto i curdi gasati in televisione s'azzarda a supporre che non siano mai esistiti.
    La seconda tesi sostiene: il futuro dell'Iraq sarà la guerra civile e gli americani, per evitare di perdere il controllo dell'area, saranno costretti ad impantanarsi in Iraq, così come s'impantanarono in Viet Nam. E già, perché se il precedente regime dispotico non fosse stato spazzato via dalle forze del mondo libero, invece, la guerra civile non ci sarebbe stata, tanto più che gli oppositori finivano ammazzati prima ancora di cominciare ad organizzarsi, ed i curdi venivano seppelliti per la semplice ragione d'essere curdi. E non era mica una guarra civile, quella, no, era un genocidio, nel senso che si sparava da una parte sola. Invece ora c'è un governo legittimo, eletto dal popolo, che cerca di resistere alla guerra civile, invocando la necessità di non procedere a rapresaglie. Inoltre c'è un impegno internazionale a liberarsi del terrorismo, il che spero avvenga.
    In quanto alla vietnamizzazione, che torna sempre nel vocabolario asfittico degli ideologicamente orfani (in Viet Nam la sconfitta americana fu una gran fregatura per i vietnamiti, sebbene una gran soddisfazione per i sovietici), sarebbe consigliabile leggere il lavoro svolto da Monty Marshall e Ted Robert Gurr, i cui risultati sono stati pubblicati da The New Republic, e riassunti dal Corriere della Sera: grazie alle operazioni di prevenzione ed interposizione, grazie ad interventi come in Iraq, il mondo non è mai stato così in pace (o così poco in guerra) come oggi, mai, dalla fine della seconda guerra mondiale. Questa è la realtà con la quale deve fare i conti chi, per reclamare la pace, si faceva finanziare da una potenza militare aggressiva e nemica.

    Davide Giacalone
    www.davidegiacalone.it

    1 settembre 2005
    .................................................. .........
    tratto da "Il Portale di Nuvola Rossa"
    http://www.nuvolarossa.org/modules/n...p?storyid=1373

  2. #2
    Hanno assassinato Calipari
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    Predefinito

    La gente è caduta dal ponte, sarà stata una grande opera Di Berlusconi.

    Voi siete degli sfigati costretti a tirare colpi di mortaio sulla folla per fare guerra civile, per nascondere che avete perso.

    Merde.

  3. #3
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    Predefinito tratto da http://www.pri.it

    La democrazia in Iraq
    Galli della Loggia invita a far cadere i pregiudizi sulla guerra americana

    Ci ha fatto piacere leggere finalmente un giudizio che condividiamo sugli effetti positivi della guerra americana, quale quello contenuto nell'editoriale di Galli della Loggia per il "Corriere della Sera". Galli della Loggia infatti sottolinea che, oltre alla contabilità degli attentati e dei morti statunitensi, bisognerebbe anche comporre l'inventario molto più complesso delle conseguenze positive innescate in tutta la regione dalla guerra, cominciando dalle elezioni "semilibere" tenute in Egitto, l'emancipazione del Libano dall'egemonia siriana, con il conseguente isolamento di Damsco, la ripresa del dialogo Israele - palestinesi e, aggiungeremmo noi, anche la conversione filo occidentale di Gheddafi. Non esulteremo ancora dalla gioia, sia chiaro, perché sono tutti processi in movimento, e ci preoccupa molto il rafforzamento di Hamas, nonostante il ritiro israeliano dalla striscia di Gaza. Ma questi processi esistono e procedono in una direzione che fino all'inizio della guerra contro Saddam era del tutto insperata. Galli della Loggia, poi, ritiene un merito della guerra anche lo smascheramento della natura bellicista del regime iraniano - e su questo forse saremmo più cauti - ma è una considerazione degna di attenzione. In ogni caso è chiaro che egli ha ragione nel dire che se si guarda all'intero scacchiere mediorientale, le prospettive ed il giudizio sugli esiti della strategia statunitense in Iraq, cambiano, e non poco.

    Soprattutto consideriamo in concreto - come lo stesso Galli della Loggia fa - la situazione interna irachena, la libertà di associazione e di stampa, le elezioni (da 8 milioni di un anno fa siamo passati agli 11 della settimana scorsa), la fine di un regime sanguinario: sono questi elementi importanti, decisivi per l'avvenire di un paese le cui condizioni di vita civile erano impossibili. Questo è ciò che vogliamo sottolineare come fattore positivo, mentre spesso da noi ci si attarda a discutere ancora se la guerra fosse in grado di esportare la democrazia, nemmeno che non fosse accaduto proprio questo in Europa nel '45. Poi sarà anche che l'amministrazione americana ci ha ingannato sulle armi di distruzione di massa, ma a volte la storia compie dei balzi in avanti nonostante le valutazioni sballate che li hanno consentiti. E questo è un bene, al di là di una resistenza terroristica che la partecipazione popolare al voto per il futuro governo iracheno riuscirà a piegare, prima ancora di quanto possano fare gli eserciti occidentali. Prima ne prendiamo atto, meglio è.

    Roma, 21 dicembre 2005

 

 

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