Sdegno ed esame di coscienza

Gli sciacalli, orride controfigure
www.avvenire.it

Davide Rondoni

Li vedi e dici: com'è possibile…? Loro, gli sciacalli. Tornano fuori, dalle fantasie antiche di qualche film. O dagli antri dove avremmo voluto relegarli. Come se fossero creature di un mondo che dovrebbe essere scomparso, da quando con le nostre automobili possiamo andare dove ci pare e da Internet scaricare i capolavori della letteratura. Da quali caverne, da quali antri oscuri provengono?
Si gettano sulle vittime, fanno parapiglia intorno ad esse. Per strappare un orologio, un televisore. O la merce da un supermercato allagato, dove quintali di ogni bendiddio stan sprofondando nel niente. E invece di dare una mano a soccorrere chi ha bisogno, si ingegnano per arrivare al bottino, per sfruttare l'occasione propizia. Sì, propizia solo per loro, mentre per tutti gli altri è sventura. Che strano: la capacità straordinaria dell'uomo di cercare di mutare ogni situazione, anche la peggiore, in qualcosa di positivo, si tinge in queste figure di tinte sinistre. Loro, gli sciacalli, volgono in profitto, per loro stessi, il disastro comune. Se ne potessimo fermare uno, mentre avidamente cerca di accaparrarsi qualcosa, ci guarderebbe con gli occhi feroci, o forse beffardi: «Che male c'è?», ci chiederebbe; «in fondo sto solo cercando di cavare qualcosa di buono da questo schifo. Ho fame, ho famiglia, la vita è dura». Forse, la logica dello sciacallo non è lontana da quella che usiamo tutti i giorni. Forse questa figura orrida, oggi accusata da tutti i titoli di apertura dei media, è una nostra controfigura. Diciamo: eccoli, gli sciacalli. Ma in realtà noi siamo un po' sciacalli tutti i giorni. Accusiamo in loro il peggio a cui possa scendere l'abiezione umana. Ma noi stessi in quella abiezione nuotiamo un po' ogni giorno. Perché l'anima dello sciacallo s'è impadronita della nostra. E i suoi occhi gialli e feroci, ardono un po' sotto i nostri, tranquillamente posati sui nostri comodi beni. Lo accusiamo: sei un mostro. Quasi per cacciare un filo di ripugnanza da noi s tessi. Che ogni giorno siamo un po' sciacalli, traendo qualcosa solo per noi, indifferenti alle sventure altrui, tirando a trovare qualcosa per noi, accaparrandoci quel che possiamo, e il resto crepi. È sciacallo il nostro cuore, spesso. Lo diventa facilmente. All'occasione, appunto. Quanti di noi, con una mano sul petto, potrebbero giurare di non diventare sciacalli se si trovassero in una melma di disperazione, avendo a portata di mano qualche bene in più, qualcosa da metter da parte per sé? Non accade già, nei tanti posti dove l'acqua alta del dolore o del bisogno ci circonda?
Non c'è bisogno del ciclone. Non c'è bisogno dello straripamento. Ci sono cicloni tra le quattro stanze delle nostre case, dei nostri uffici. E straripamenti di dolore visibilissimo nelle strade delle nostre città. Ci sono persone disperate, in cima ai tetti invisibili del loro bisogno. E migliaia di segnali gettati da tutto il mondo intorno a noi. E noi, con il cuore sciacallo, a pensare: arriveranno i Rangers, ci penserà Bush o Berlusconi, ci penserà lo Stato, io intanto prendo tutto quel che posso. E non ci facciamo mancare le giustificazioni. Le medesime dello sciacallo curvo sul malloppo.
Non è vero che le situazioni di difficoltà rendono necessariamente migliori gli uomini, e mettono in moto le virtù migliori. Le prove, grandi o piccole, svelano di cosa è fatto il cuore di un uomo, e come è stato educato. Se un ragazzo viene educato a pensare che il mondo è uno schifo dove l'importante è cavarsela, avere successo, riuscire comunque, il suo cuore sarà da sciacallo. Solo uomini educati al senso della gratuità del vivere saranno diversi dagli sciacalli. Questo è il compito che abbiamo, nelle alluvioni che ci aspettano, e che già ci circondano.