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  1. #21
    INNAMORARSI DELLA CHIESA
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    Scusate, non avevo visto questo 3d.....ed ho inserito qui alcuni aggiornamenti:

    http://www.politicaonline.net/forum/...hreadid=195727
    Fraternamente Caterina
    Laica Domenicana

  2. #22
    INNAMORARSI DELLA CHIESA
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    La tolleranza, che ammette per così dire Dio come opinione privata, ma gli rifiuta il dominio pubblico, la realtà del mondo e della nostra vita, non è tolleranza ma ipocrisia. Laddove però l’uomo si fa unico padrone del mondo e proprietario di se stesso, non può esistere la giustizia. Là può dominare solo l’arbitrio del potere e degli interessi. Certo, si può cacciare il Figlio fuori della vigna e ucciderlo, per gustare egoisticamente da soli i frutti della terra. Ma allora la vigna ben presto si trasforma in un terreno incolto calpestato dai cinghiali, come ci dice il Salmo responsoriale (cfr Sal 79,14).

    (OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI
    Basilica Vaticana Domenica, 2 ottobre 2005 )
    Fraternamente Caterina
    Laica Domenicana

  3. #23
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    SINODO DEI VESCOVI: PAPA, QUANDO DIO VIENE “BANDITO DALLA VITA PUBBLICA” NON C’È “TOLLERANZA” MA “IPOCRISIA”


    Quando Dio viene “bandito dalla vita pubblica” non c'è “tolleranza”, ma “ipocrisia”. Sono parole forti quelle pronunciate ieri mattina da papa Benedetto XVI nell’omelia della Messa con la quale si è ufficialmente aperta ieri in Vaticano la XI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Sono arrivati a Roma da tutto il mondo circa 250 padri sinodali che da oggi e per tre settimane (fino al 23 ottobre) discuteranno nell’aula del Sinodo in Vaticano sul tema “L’Eucaristia: fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa”. Ieri il Papa ha centrato la sua omelia sulla parabola del Vangelo dei vignaioli che uccidono il figlio del padrone per diventare padroni della vigna. “Questi affittuari – ha detto il papa - costituiscono uno specchio anche per noi. Noi uomini, ai quali la creazione, per così dire, è affidata in gestione, la usurpiamo. Vogliamo esserne i padroni in prima persona e da soli. Vogliamo possedere il mondo e la nostra stessa vita in modo illimitato. Dio ci è d’intralcio. O si fa di Lui una semplice frase devota o Egli viene negato del tutto, bandito dalla vita pubblica, così da perdere ogni significato. La tolleranza, che ammette per così dire Dio come opinione privata, ma gli rifiuta il dominio pubblico, la realtà del mondo e della nostra vita, non è tolleranza ma ipocrisia. Laddove però l’uomo si fa unico padrone del mondo e proprietario di se stesso, non può esistere la giustizia. Là può dominare solo l’arbitrio del potere e degli interessi”.

    Riprendendo sempre le parole della Sacra Scrittura, il Papa ha quindi lanciato un monito: “la minaccia di giudizio riguarda anche noi, la Chiesa in Europa, l’Europa e l’Occidente in generale”. “Anche a noi può essere tolta la luce, e facciamo bene se lasciamo risuonare questo monito in tutta la serietà nella nostra anima”. “A questo punto – ha aggiunto il Papa – sorge in noi la domanda: ‘Ma non c’è nessuna promessa, nessuna parola di conforto nella lettura e nella pagina evangelica di oggi?. È la minaccia l’ultima parola?’ No! La promessa c’è, ed è essa l’ultima, l’essenziale parola”. “Dio non fallisce – ha assicurato Benedetto XVI -. Alla fine Egli vince, vince l’amore”.
    Al termine dell’omelia il Santo Padre si è rivolto ai padri sinodali con una richiesta: “Preghiamo il Signore di donarci la sua grazia, perché nelle tre settimane del Sinodo che stiamo iniziando non soltanto diciamo cose belle sull’Eucaristia, ma soprattutto viviamo della sua forza”.

    Agenzia Sir

  4. #24
    Vox Populi
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    Nota dell'Agenzia SIR

    Ha parlato con “coraggiosa franchezza” Papa Benedetto XVI, aprendo il Sinodo dei vescovi. È il registro del pontificato, che già aveva spiegato il giorno prima, in una udienza ai paolini, il modello dell’Apostolo Paolo, all’Aeropago di Atene, che “seppe adattare il suo annuncio al contesto culturale in cui si trovava, ma, nel contempo, non mancò di presentare con coraggiosa franchezza la novità assoluta che è Cristo”. Ancorandosi saldamente sulla parola di Dio, ancora una volta è tornato sulla sfida cruciale, che è quella dell’ateismo, del materialismo, o più sottilmente della riduzione di Dio a una opinione privata, del relativismo in tutte le sue molteplici sfaccettature. La sfida è ovviamente planetaria, ma il terreno è l’Occidente e in modo del tutto particolare proprio l’Europa: “La tolleranza, che ammette per così dire Dio come opinione privata, ma gli rifiuta il dominio pubblico, la realtà del mondo e della nostra vita, non è tolleranza, ma ipocrisia. Laddove l’uomo si fa unico padrone del mondo e proprietario di se stesso, non può esistere la giustizia. Là può dominare solo l’arbitrio del potere e degli interessi”. C’è un forte monito, nelle parole del Papa, ma c’è anche una chiara indicazione del ruolo della fede e, in particolare, della fede cristiana, che è proprio per la pienezza della vita e dell’amore, per la pienezza dell’umanità. La fede permette, infatti, una sorta di vaccinazione preventiva contro ogni forma di prevaricazione: liberando l’uomo, rendendolo pienamente consapevole del suo limite, ma anche della sua dignità e, quindi, della sua grandezza. Il “disprezzo dell’uomo da parte dell’uomo” generato dal materialismo, infatti, pone innanzitutto un problema di giustizia sociale e più in generale un problema di verità: “Noi uomini, ai quali la creazione per così dire è affidata in gestione, la usurpiamo. Vogliamo esserne i padroni in prima persona e da soli. Vogliamo possedere il mondo e la nostra stessa vita in modo illimitato. Dio ci è d’intralcio. O si fa di lui una semplice frase devota o egli viene negato del tutto, bandito dalla vita pubblica, così da perdere ogni significato”. Ecco allora la grande sfida per i cristiani: denunciare, smascherare un “pensiero unico” perbenisticamente e ipocritamente teso a utilizzare la religione come strumento di governo, ma anche e soprattutto in positivo dimostrare come essa sia una grande forza di vita, di libertà, di amore, di speranza. Di fronte a un passaggio stretto e delicato, è nello stesso tempo una messa in guardia sincera e sferzante contro i rischi di decadenza dell’Occidente e dell’Europa in particolare, ma è anche una fiduciosa apertura. Ecco la grande attualità del Sinodo sull’Eucaristia, “nella quale il Signore ci dona il pane della vita e il vino del suo amore e ci invita alla festa dell’amore eterno”.

    fonte: www.agensir.it

  5. #25
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    Predefinito Bolletino della Santa Sede

    Bollettino giornaliero della Santa Sede dedicato al Sinodo dei Vescovi

    http://www.vatican.va/news_services/..._index_it.html
    Gilbert

  6. #26
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    SINODO DEI VESCOVI: CARD. SCOLA, “L’EUCARISTIA NON È UN DIRITTO NÉ UN POSSESSO”, I “VIRI PROBATI” E LA QUESTIONE DEI DIVORZIATI RISPOSATI TRA I TEMI


    “L’Eucaristia è un dono, non può mai essere né un diritto né un possesso”. Lo ha detto il card. Angelo Scola, patriarca di Venezia e relatore generale del Sinodo, illustrando oggi ai giornalisti la relazione, prima della discussione, che ha tenuto all’apertura della prima giornata di lavori dell’XI assemblea sinodale, in corso in Vaticano fino al 23 ottobre. “Non c’è separazione, nella visione cristiana del culto, tra sacro e profano”, e la visione cristiana dell’Eucaristia “non è un’utopia, né una magia”. Nella sua relazione, Scola ha trattato anche la questione delle assemblee domenicali “in attesa” di sacerdote, sottolineando che tali celebrazioni “devono far mantenere vivo il desiderio dell’Eucaristia piena”. È in questo contesto, per Scola, che deve collocarsi la questione dei “viri probati”, tenendo presente che “la Provvidenza nel corso della storia della Chiesa ha ribadito nei secoli il valore del celibato", e “individuando criteri pratici per redistribuire il clero a livello universale”.

    “Considerare la condizione dei divorziati risposati”, valutando “caso per caso” eventuali “problemi individuali”, e raggiungere il “sogno” dell’unità tra i cristiani grazie alla volontà di “celebrare l’Eucaristia insieme”. Sono i due auspici espressi da mons. Pierre-Antoine Paulo, arcivescovo coadiutore di Port-et-Paix (Haiti), durante la prima conferenza stampa dei lavori della XI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, in corso in Vaticano fino al 23 ottobre. Mons. Louis Antonio G. Tagle, vescovo di Imus (Filippine), ha invece messo l’accento sulla “sproporzione” tra il numero (pur cospicuo) di sacerdoti presenti nella sua diocesi e il “tasso di crescita” della popolazione locale, che “aumenta in maniera vertiginosa rispetto ala disponibilità di sacerdoti”, generando una situazione di “penuria”, ma non di “crisi”, di questi ultimi rispetto al numero dei fedeli. “I sacerdoti non riescono a servire la messa in tutte le comunità – ha spiegato il vescovo – e in alcune di esse sono i laici a condurre una liturgia della Parola”. I fedeli, però, “sentono nel cuore il desiderio di partecipare pienamente all’Eucaristia”, e “occorre chiedersi cosa bisogna fare quando le comunità ecclesiali non possono garantire a tutti i fedeli la partecipazione alla messa della domenica”. Rispondendo alle domande dei giornalisti, il card. Scola ha ricordato che “non esiste alcun altro atto umano che tocchi il vertice di potenza dell’atto eucaristico,che resta il modo migliore di investire il proprio tempo e il proprio spazio”. Anche rispetto ai pomeriggi passati “stravaccati davanti alla tv” che, per il relatore generale del Sinodo, è oggi “l’oratorio moderno”: di qui l’insostituibilità del precetto domenicale, che non va “incapsulato come una pratica di pietà qualsiasi nel ritmo frenetico della nostra vita, preferendo ad esempio di regola la messa prefestiva del sabato a quella della domenica”.

    Agenzia Sir

  7. #27
    INNAMORARSI DELLA CHIESA
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    MEDITAZIONE DEL SANTO PADRE , 03.10.2005

    MEDITAZIONE DEL SANTO PADRE

    Pubblichiamo di seguito il testo della meditazione che il Santo Padre Benedetto XVI ha tenuto questa mattina in apertura dei lavori dell’XI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, dopo la lectio brevis dell’Ora Terza:

    Cari fratelli,

    questo testo dell'Ora Terza di oggi implica cinque imperativi ed una promessa. Cerchiamo di capire un po' meglio che cosa l'Apostolo intende dirci con queste parole.

    Il primo imperativo è molto frequente nelle Lettere di San Paolo, anzi si potrebbe dire è quasi il «cantus firmus» del suo pensiero: «gaudete».

    In una vita così tormentata come era la sua, una vita piena di persecuzioni, di fame, di sofferenze di tutti i tipi, tuttavia una parola chiave rimane sempre presente: «gaudete».

    Nasce qui la domanda: è possibile quasi comandare la gioia? La gioia, vorremmo dire, viene o non viene, ma non può essere imposta come un dovere. E qui ci aiuta pensare al testo più conosciuto sulla gioia delle Lettere paoline, quello della «Domenica Gaudete», nel cuore della Liturgia dell'Avvento: «gaudete, iterum dico gaudete quia Dominus propest».

    Qui sentiamo il motivo del perché Paolo in tutte le sofferenze, in tutte le tribolazioni, poteva non solo dire agli altri «gaudete»: lo poteva dire perché in lui stesso la gioia era presente. «gaudete, Dominus enim prope est».

    Se l'amato, l'amore, il più grande dono della mia vita, mi è vicino, se posso essere convinto che colui che mi ama è vicino a me, anche in situazioni di tribolazione, rimane nel fondo del cuore la gioia che è più grande di tutte le sofferenze.

    L'apostolo può dire «gaudete» perché il Signore è vicino ad ognuno di noi. E così questo imperativo in realtà è un invito ad accorgersi della presenza del Signore vicino a noi. È, una sensibilizzazione per la presenza del Signore. L'Apostolo intende farci attenti a questa — nascosta ma molto reale — presenza di Cristo vicino ad ognuno di noi. Per ognuno di noi sono vere le parole dell'Apocalisse: io busso alla tua porta, ascoltami, aprimi.

    È quindi anche un invito ad essere sensibili per questa presenza del Signore che bussa alla mia porta. Non essere sordi a Lui, perché le orecchie dei nostri cuori sono talmente piene di tanti rumori del mondo che non possiamo sentire questa silenziosa presenza che bussa alle nostre porte. Riflettiamo, nello stesso momento, se siamo realmente disponibili ad aprire le porte del nostro cuore; o forse questo cuore è pieno di tante altre cose che non c'è spazio per il Signore e per il momento non abbiamo tempo per il Signore. E così, insensibili, sordi alla sua presenza, pieni di altre cose, non sentiamo l'essenziale: Lui bussa alla porta, ci è vicino e così è vicina la vera gioia, che è più forte di tutte le tristezze del mondo, della nostra vita.

    Preghiamo, quindi, nel contesto di questo primo imperativo: Signore facci sensibili alla Tua presenza, aiutaci a sentire, a non essere sordi a Te, aiutaci ad avere un cuore libero, aperto a Te.

    Il secondo imperativo «perfecti estote», così come si legge nel testo latino, sembra coincidere con la parola riassuntiva del Sermone della Montagna: «perfecti estote sicut Pater vester caelestis perfectus est».

    Questa parola ci invita ad essere ciò che siamo: immagini di Dio, esseri creati in relazione al Signore, «specchio» nel quale si riflette la luce del Signore. Non vivere il cristianesimo secondo la lettera, non sentire la Sacra Scrittura secondo la lettera è spesso difficile, storicamente discutibile, ma andare oltre la lettera, la realtà presente, verso il Signore che ci parla e così all’unione con Dio. Ma se vediamo il testo greco troviamo un altro verbo, «catartizesthe», e questa parola vuole dire rifare, riparare uno strumento, restituirlo alla piena funzionalità. L'esempio più frequente per gli apostoli è rifare una rete per i pescatori che non è più nella giusta situazione, che ha tante lacune da non servire più, rifare la rete così che possa di nuovo essere rete per la pesca, ritornare alla sua perfezione di strumento per questo lavoro. Un altro esempio: uno strumento musicale a corde che ha una corda rotta, quindi la musica non può essere suonata come dovrebbe. Così in questo imperativo la nostra anima appare come una rete apostolica che tuttavia spesso non funziona bene, perché è lacerata dalle nostre proprie intenzioni; o come uno strumento musicale nel quale purtroppo qualche corda è rotta, e quindi la musica di Dio che dovrebbe suonare dal profondo della nostra anima non può echeggiare bene. Rifare questo strumento, conoscere le lacerazioni, le distruzioni, le negligenze, quanto è trascurato, e cercare che questo strumento sia perfetto, sia completo perché serva a ciò per cui è creato dal Signore.

    E così questo imperativo può essere anche un invito all'esame di coscienza regolare, per vedere come sta questo mio strumento, fino a quale punto è trascurato, non funziona più, per cercare di ritornare alla sua integrità. È anche un invito al Sacramento della Riconciliazione, nel quale Dio stesso rifà questo strumento e ci dà di nuovo la completezza, la perfezione, la funzionalità, affinché in quest'anima possa risuonare la lode di Dio.

    Poi «exortamini invicem». La correzione fraterna è un'opera di misericordia. Nessuno di noi vede bene se stesso, vede bene le sue mancanze. E così è un atto di amore, per essere di complemento l'uno all'altro, per aiutarsi a vederci meglio, a correggerci. Penso che proprio una delle funzioni della collegialità è quella di aiutarci, nel senso anche dell'imperativo precedente, di conoscere le lacune che noi stessi non vogliamo vedere — «ab occultis meis munda me» dice il Salmo — di aiutarci perché diventiamo aperti e possiamo vedere queste cose.

    Naturalmente, questa grande opera di misericordia, aiutarci gli uni con gli altri perché ciascuno possa realmente trovare la propria integrità, la propria funzionalità come strumento di Dio, esige molta umiltà e amore. Solo se viene da un cuore umile che non si pone al di sopra dell'altro, non si considera meglio dell'altro, ma solo umile strumento per aiutarsi reciprocamente. Solo se si sente questa profonda e vera umiltà, se si sente che queste parole vengono dall'amore comune, dall'affetto collegiale nel quale vogliamo insieme servire Dio, possiamo in questo senso aiutarci con un grande atto di amore. Anche qui il testo greco aggiunge qualche sfumatura, la parola greca è «paracaleisthe»; è la stessa radice dalla quale viene anche la parola «Paracletos, paraclesis», consolare. Non solo correggere, ma anche consolare, condividere le sofferenze dell'altro, aiutarlo nelle difficoltà. E anche questo mi sembra un grande atto di vero affetto collegiale. Nelle tante situazioni difficili che nascono oggi nella nostra pastorale, qualcuno si trova realmente un po' disperato, non vede come può andare avanti. In quel momento ha bisogno della consolazione, ha bisogno che qualcuno sia con lui nella sua solitudine interiore e compia l'opera dello Spirito Santo, del Consolatore: quella di dare coraggio, di portarci insieme, di appoggiarci insieme, aiutati dallo Spirito Santo stesso che è il grande Paraclito, il Consolatore, il nostro Avvocato che ci aiuta. Quindi è un invito a fare noi stessi «ad invicem» l'opera dello Spirito Santo Paraclito.

    «Idem sapite»: sentiamo dietro la parola latina la parola «sapor», «sapore»: Abbiate lo stesso sapore per le cose, abbiate la stessa visione fondamentale della realtà, con tutte le differenze che non solo sono legittime ma anche necessarie, ma abbiate «eundem sapore», abbiate la stessa sensibilità. Il testo greco dice «froneite», la stessa cosa. Cioè abbiate lo stesso pensiero sostanzialmente. Come potremmo avere in sostanza un pensiero comune che ci aiuti a guidare insieme la Santa Chiesa se non condividendo insieme la fede che non è inventata da nessuno di noi, ma è la fede della Chiesa, il fondamento comune che ci porta, sul quale stiamo e lavoriamo? Quindi è un invito ad inserirci sempre di nuovo in questo pensiero comune, in questa fede che ci precede. «Non respicias peccata nostra sed fidem Ecclesiae tuae»: è la fede della Chiesa che il Signore cerca in noi e che è anche il perdono dei peccati. Avere questa stessa fede comune. Possiamo, dobbiamo vivere questa fede, ognuno nella sua originalità, ma sempre sapendo che questa fede ci precede. E dobbiamo comunicare a tutti gli altri la fede comune. Questo elemento ci fa passare già all'ultimo imperativo, che ci dà la pace profonda tra di noi.

    E a questo punto possiamo pensare anche a «touto froneite», ad un altro testo della Lettera ai Filippesi, all'inizio del grande inno sul Signore, dove l'Apostolo ci dice: abbiate gli stessi sentimenti di Cristo, entrare nella «fronesis», nel «fronein», nel pensare di Cristo. Quindi possiamo avere la fede della Chiesa insieme, perché con questa fede entriamo nei pensieri, nei sentimenti del Signore. Pensare insieme con Cristo.

    Questo è l'ultimo affondo di questo avvertimento dell'Apostolo: pensare con il pensiero di Cristo. E possiamo farlo leggendo la Sacra Scrittura nella quale i pensieri di Cristo sono Parola, parlano con noi. In questo senso dovremmo esercitare la «Lectio Divina», sentire nelle Scritture il pensiero di Cristo, imparare a pensare con Cristo, a pensare il pensiero di Cristo e così avere i sentimenti di Cristo, essere capaci di dare agli altri anche il pensiero di Cristo, i sentimenti di Cristo.

    E così l'ultimo imperativo «pacem habete et eireneuete», è quasi il riassunto dei quattro imperativi precedenti, essendo così in unione con Dio che è la pace nostra, con Cristo che ci ha detto: «pacem dabo vobis». Siamo nella pace interiore, perché essere nel pensiero di Cristo unisce il nostro essere. Le difficoltà, i contrasti della nostra anima si uniscono, si è uniti all'originale, a quello di cui siamo immagine con il pensiero di Cristo. Così nasce la pace interiore e solo se siamo fondati su una profonda pace interiore possiamo essere persone della pace anche nel mondo, per gli altri.

    Qui la domanda, questa promessa è condizionata dagli imperativi? Cioè solo nella misura nella quale noi possiamo realizzare gli imperativi, questo Dio della pace è con noi? Come è la relazione tra imperativo e promessa?

    Io direi che è bilaterale, cioè la promessa precede gli imperativi e rende realizzabili gli imperativi e segue anche tale realizzazione degli imperativi. Cioè, prima di tutto quanto facciamo noi, il Dio dell'amore e della pace si è aperto a noi, è con noi. Nella Rivelazione cominciata nell'Antico Testamento Dio è venuto incontro a noi con il suo amore, con la sua pace.

    E finalmente nell'Incarnazione si è fatto Dio con noi, Emmanuele, è con noi questo Dio della pace che si è fatto carne con la nostra carne, sangue del nostro sangue. È uomo con noi e abbraccia tutto l'essere umano. E nella crocifissione e nella discesa alla morte, totalmente si è fatto uno con noi, ci precede con il suo amore, abbraccia prima di tutto il nostro agire. E questa è la nostra grande consolazione. Dio ci precede. Ha già fatto tutto. Ci ha dato pace e perdono e amore. È con noi. E solo perché è con noi, perché nel Battesimo abbiamo ricevuto la sua grazia, nella Cresima lo Spirito Santo, nel Sacramento dell'Ordine abbiamo ricevuto la sua missione, possiamo adesso fare noi, cooperare con questa sua presenza che ci precede. Tutto questo nostro agire del quale parlano i cinque imperativi è un cooperare, un collaborare con il Dio della pace che è con noi.

    Ma vale, dall'altra parte, nella misura nella quale noi realmente entriamo in questa presenza che ha donato, in questo dono già presente nel nostro essere. Cresce naturalmente la sua presenza, il suo essere con noi.

    E preghiamo il Signore che ci insegni a collaborare con la sua precedente grazia e di essere così realmente sempre con noi. Amen!

    **********************
    PRIMA CONGREGAZIONE GENERALE DELLA XI ASSEMBLEA GENERALE ORDINARIA DEL SINODO DEI VESCOVI
    Questa mattina, alle ore 09.00, nell’Aula del Sinodo in Vaticano, alla presenza del Santo Padre, con il canto dell’Ora Terza, aperto dall’inno Veni, Creator Spiritus, hanno avuto inizio i lavori dell’XI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, con la Prima Congregazione Generale. Il Santo Padre Benedetto XVI ha tenuto la riflessione iniziale.

    Presidente Delegato di turno l’Em.mo Card. Francis Arinze, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina del Sacramenti.

    L’assemblea sinodale aperta ieri da Benedetto XVI, che ha presieduto la solenne Concelebrazione Eucaristica nella Patriarcale Basilica di San Pietro in Vaticano, raccoglierà fino al 23 ottobre 2005 una rappresentanza dei Presuli del mondo sul tema Eucharistia: fons et culmen vitæ et missionis Ecclesiæ.

    Sono intervenuti a questa Prima Congregazione Generale il Presidente Delegato, l’Em.mo Card. Francis Arinze, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina del Sacramenti, per il Saluto del Presidente Delegato; S.E. Mons. Nikola Eterović, Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi, per la Relazione del Segretario Generale; l’Em.mo Card. Angelo Scola, Patriarca di Venezia (Italia), per la Relatio ante disceptationem del Relatore Generale.

    A questa prima Congregazione Generale del Sinodo dei Vescovi, conclusasi alle ore 12.20 con la recita dell’Angelus Domini guidata dal Santo Padre, erano presenti 241 Padri Sinodali.

    (I testi integrali dei Padri Sinodali intervenuti sono pubblicati sul Bollettino N. 4 del Sinodo dei Vescovi).
    Fraternamente Caterina
    Laica Domenicana

  8. #28
    Vox Populi
    Ospite

    Predefinito Il commnosso ricordo di due grandi "Padri Sinodali"

    dalla relazione di Sua Ecc.za Mons. Nikola Eterovic (Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi) in apertura dei lavori del Sinodo

    Il tema dell’XI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi incentrato sull’Eucaristia fu voluto dal Papa Giovanni Paolo II di v. m. Coloro che conoscono bene la sua opera e la sua missione ecclesiale non possono non percepire dei significativi richiami del Servo di Dio all’esempio dell’unico Maestro e Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio e Figlio dell’Uomo.
    Infatti, la riscoperta dell’Eucaristia, celebrata e vissuta adeguatamente nella Chiesa, sembra essere anche il contenuto del Testamento spirituale del Papa Giovanni Paolo II. Avvertendo che si avvicinava la sua ora, egli, con lo Spirito del Signore, cercò di concentrare le sue energie sull’essenziale e cioè, sul Santissimo Sacramento. La mirabile presenza del Signore glorioso sotto le specie del pane e del vino fu il sostegno della sua fede viva, la fonte della grande speranza e la ragione dell’incisiva carità. Si è trattato di un’esperienza maturata soprattutto durante 59 anni di sacerdozio, di cui 44 vissuti da Vescovo, che ha spinto il compianto Pontefice a riproporre il tema dell’Eucaristia alla riflessione della Chiesa universale. L’ultima sua enciclica è stata Ecclesia de Eucharistia. La sua penultima Lettera Apostolica è Mane nobiscum Domine. L’ultima iniziativa pastorale a livello della Chiesa universale è l’Anno dell’Eucaristia. In questa prospettiva non sorprende che pure l’XI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi abbia per tema l’Eucaristia. Con la sua celebrazione si chiuderà l’Anno dell’Eucaristia. Incominciata dal Papa Giovanni Paolo II la preparazione dell’XI Assemblea Generale Ordinaria, essa sarà portata a termine dal suo successore, il Santo Padre Benedetto XVI. L’annuncio della presenza di Gesù Cristo nell’Eucaristia, Testamento del suo amore divino, rimane la fonte inesauribile della vita e della missione della Chiesa. L’esperienza di fede eucaristica del Servo i Dio Giovanni Paolo II, lasciataci come sua eredità spirituale, non mancherà di influire in modo positivo anche sull’attività dell’assise sinodale che incomincia i suoi lavori.
    Nella scelta del tema dell’XI Assemblea Generale Ordinaria è possibile percepire anche un’intuizione profetica del Papa Giovanni Paolo II. Egli ha voluto favorire la riflessione a livello della Chiesa Cattolica circa la prassi eucaristica, verificando come sono applicati nelle Chiese particolari i grandi pronunciamenti del Magistero sul sublime Sacramento della presenza vera, reale e sostanziale di Gesù Cristo risorto nell’Eucaristia, sorgente dell’unità e della comunione ecclesiale. Desiderava accertare come il sacramento dell’Eucaristia sia percepito e vissuto e quale influsso abbia nella vita dei fedeli, delle famiglie, delle comunità e dell’intera società. La sua intenzione di fondo era, poi, un rilancio dell’Eucaristia, inestimabile dono di Dio alla sua Chiesa, tramite un’appropriata catechesi a tutti i livelli, un rinnovato culto liturgico, un rafforzato servizio della carità, che ha la fonte permanente nel pane spezzato per noi uomini e nel vino versato per la nostra salvezza.

    Evocando in questa assise collegiale l’eredità spirituale del Papa Giovanni Paolo II, è doveroso, con animo grato al Signore, ricordare anche uno dei suoi più vicini collaboratori, Sua Eminenza il Signor Card. Jan Pieter Schotte, C.I.C.M., che per quasi 19 anni fu Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi. Durante tale periodo l’Em.mo Porporato svolse preziosi servizi ecclesiali. In particolare, ha organizzato 12 Assemblee sinodali, di cui 4 (1987; 1990; 1994; 2001) Assemblee Generali Ordinarie, 1 (nel 1985) Assemblea Generale Straordinaria e 7 Assemblee Speciali (nel 1991 I per l’Europa; nel 1994 per l’Africa; nel 1995 per il Libano; nel 1997 per l’America; nel 1998 per l’Asia; nel 1998 per l’Oceania; nel 1999 II per l’Europa). Sua Eminenza il Card. Jan Pieter Schotte incominciò anche la preparazione dell’XI Assemblea Generale Ordinaria. Meno di un anno prima che il Signore della vita lo chiamasse a sé il 10 gennaio 2005, Papa Giovanni Paolo II volle nominare l’11 febbraio 2004 il sottoscritto a succedergli nell’ufficio della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi. Anche tale successione si è svolta nel segno del mistero dell’Eucaristia, tema dell’XI Assemblea Generale Ordinaria, in quanto ho preso da lui il testimone mentre il cammino sinodale era già in moto, per certo inserito in una tradizione ben consolidata e con risultati assai positivi.
    Infatti, Sua Eminenza il Signor Card. Jan Pieter Schotte, terminata felicemente la X Assemblea Generale Ordinaria, che sul tema Il Vescovo: Servitore del Vangelo di Gesù Cristo per la speranza del mondo fu celebrata dal 30 settembre al 27 ottobre 2001, ha incominciato, in stretta unione con il Sommo Pontefice, a preparare la prossima XI Assemblea Generale Ordinaria.

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    Il Servo di Dio Giovanni Paolo II


    Il Cardinale Schotte

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    Al via il primo sinodo dopo il conclave. Il papa sotto esame
    L’élite della gerarchia cattolica mondiale è tornata a riunirsi a Roma, a metà anno dall’elezione di Benedetto XVI. E valuta le sue prime mosse, a cominciare dal suo far pulizia dentro la Chiesa

    di Sandro Magister





    ROMA, 3 ottobre – Dall’inizio di ottobre e per tre settimane 250 cardinali e vescovi di tutto il mondo, l’élite della gerarchia cattolica, sono riuniti in sinodo a Roma. Tratteranno di ciò che Benedetto XVI ha messo al centro del suo avvio di pontificato: l’eucaristia.

    Tema astratto? Tutt’altro. Joseph Ratzinger l’ha martellato per mesi: è nel sacramento della messa che la Chiesa prende vita, è lì che si modella, è lì che si offre al mondo. Ha additato l’esempio di papa Gregorio Magno: grande celebrante di liturgie, grande costruttore di civiltà.

    Per Benedetto XVI tutto si tiene. Nell’omelia della messa del 2 ottobre nella basilica di San Pietro ha spiegato che l’opposto dell’eucaristia è la devastazione della “vigna del Signore”: estromettere Dio dalla vita pubblica in nome di una tolleranza che in realtà è “ipocrisia”, ingiustizia, “arbitrio del potere e degli interessi”.

    E i cristiani non sono immuni da colpe, ha ammonito. Soprattutto i cristiani d’Europa e d’Occidente: “Il Signore grida anche nelle nostre orecchie le parole che nell’Apocalisse rivolse alla Chiesa di Efeso: ‘Se non ti ravvederai, verrò da te e rimuoverò il tuo candelabro dal suo posto’ (2,5). Anche a noi può essere tolta la luce, e facciamo bene se lasciamo risuonare questo monito in tutta la sua serietà nella nostra anima, gridando allo stesso tempo al Signore: ‘Aiutaci a convertirci! Dona a tutti noi la grazia di un vero rinnovamento! Non permettere che la tua luce in mezzo a noi si spenga! Rafforza tu la nostra fede, la nostra speranza e il nostro amore, perché possiamo portare frutti buoni!’”.

    Il sinodo sarà per il nuovo papa un doppio test. Sul tema dell’eucaristia mostrerà quanti pro e contro ha raccolto. Ma vi sono anche numerosi altri temi sui quali egli sarà sotto osservazione ravvicinata.

    Su alcuni Benedetto XVI ha già fatto capire il tragitto che intende percorrere, sia dentro la Chiesa che fuori: con le altre Chiese cristiane, gli ebrei, i musulmani, gli atei.


    * * *

    Dentro la Chiesa c’è l’incognita sulle nomine del nuovo segretario di stato e di altri maggiorenti di curia.

    Ma un ricambio importante c’è già stato e ha colto tutti di sorpresa: come suo successore alla testa della congregazione per la dottrina della fede il papa ha chiamato un americano, William J. Levada, che faceva parte, negli Stati Uniti, della squadra incaricata di porre rimedio allo scandalo dei preti pedofili.

    E dalla sua nomina sono già discesi a cascata provvedimenti mirati a ripulire la Chiesa da quella “sporcizia” lamentata da Ratzinger nella memorabile Via Crucis dello scorso venerdì santo.

    Il primo decreto firmato dal nuovo prefetto Levada, in data 27 maggio, ha colpito un religioso italiano, Gino Burresi, 73 anni, fondatore dei Servi del Cuore Immacolato di Maria.

    Le denunce a suo carico partivano dagli anni Ottanta ed erano anche di violazione del segreto confessionale e di abusi sessuali a danno di suoi giovani discepoli. Inquisito più volte ma protetto da influenti capi di curia, Burresi era sempre uscito indenne. E assolto sarebbe uscito anche da una nuova indagine, affidata nel 2004 dalla congregazione per la dottrina della fede all’arcivescovo emerito di Siena, Gaetano Bonicelli, se la congregazione, all’insaputa dello stesso Bonicelli, non avesse invece proceduto a un’ulteriore propria indagine parallela, quella che appunto è sfociata nella condanna. Ora Burresi non può più dir messa, né confessare, né predicare in pubblico. Bonicelli continua a proclamarlo incolpevole e ha protestato vivacemente in Vaticano. Ma la condanna, approvata “in forma specifica” da Benedetto XVI, è inappellabile.

    Un’altra indagine per accuse simili a quelle del caso Burresi, ma molto più deflagrante, riguarda il fondatore dei Legionari di Cristo, Marcial Maciel Degollado.

    La Legione fa quadrato a difesa di padre Maciel, lo difendono il cardinale Angelo Sodano e altri responsabili di curia, ma contro di lui la congregazione per la dottrina della fede ha accumulato negli ultimi mesi nuove convergenti denunce ed entro il prossimo inverno deciderà in base ad esse se aprire o no il processo formale. L’età avanzata di padre Maciel, 85 anni, e il fatto che egli non detenga più alcuna carica fanno prevedere che la sentenza, se vi sarà, sarà la meno possibile traumatica per l’ordine da lui fondato.

    Intanto, dalla metà di settembre è in corso nei 229 seminari degli Stati Uniti una “visita apostolica” guidata dal segretario della congregazione vaticana per l’educazione cattolica, l’arcivescovo Michael Miller. La stessa congregazione ha preparato un documento che chiede ai seminari di non ammettere giovani con pronunciata tendenza omosessuale.

    Alla formazione dei futuri preti Benedetto XVI ha già fatto capire di tenere moltissimo. Ha dedicato ad essi un incontro ad hoc, durante la sua visita alla Giornata Mondiale della Gioventù di Colonia. “Decisivo è il ruolo dei formatori”, ha detto. A cominciare dagli Stati Uniti, si prevedono epurazioni tra i rettori e i professori di molti seminari, per ragioni sia disciplinari che dottrinali.

    Nella visione di Ratzinger, infatti, solo una Chiesa più “purificata” può meglio rivolgersi a chi è fuori di essa. E nulla nascondere della sua originalità.


    * * *

    Lo ha mostrato nel suo viaggio a Colonia, nel cuore dell’Europa protestante. Agli eredi di Lutero e Calvino Benedetto XVI ha offerto di sé l’immagine di un pontefice in pellegrinaggio alle reliquie dei Magi e in adorazione davanti all’ostia sacra: quanto di più cattolico e di più lontano ci sia da una nuda fede senza papa, né santi, né simboli, né “presenza reale” di Cristo nell’eucaristia, quale è il protestantesimo moderno.

    Ai rappresentanti delle comunità protestanti ha detto di non credere in un ecumenismo fatto di negoziati su come democratizzare le Chiese. Per il papa, la prima questione da mettere in agenda tra i cristiani è come testimoniare la Parola di Dio al mondo. E la seconda è come rispondere all’unisono alle “grandi questioni etiche poste dal nostro tempo” senza cedere alle culture relativiste imperanti.

    Un modello di ecumenismo tra protestanti e cattolici che Ratzinger ha detto di apprezzare è quello “interiorizzato e spiritualizzato” dei monaci di Taizé. Non un solo cenno egli ha fatto, a Colonia, ai meeting di Assisi e alle loro spettacolari repliche organizzate annualmente dalla Comunità di Sant’Egidio.

    Per ragioni di prossimità teologica, più che al protestantesimo Benedetto XVI guarda alle Chiese d’Oriente, all’incontro con il patriarca di Costantinopoli desiderato da entrambi già per il prossimo 30 novembre, festa di sant’Andrea, ma posticipato per le resistenze del governo di Ankara.

    E poi guarda con fiducia anche a quel capitolo di ecumenismo minore che è il riassorbimento dello scisma con i seguaci tradizionalisti dell’arcivescovo Marcel Lefebvre. Il 29 agosto ha ricevuto l’attuale loro superiore, Bernard Fellay.

    Mentre sul versante opposto, sulla frontiera del cattolicesimo “liberal”, ha incontrato il 24 settembre il teologo Hans Küng. L’incontro è stato per entrambi “amichevole” e si è concentrato sul “dialogo della ragione delle scienze naturali con la ragione della fede cristiana”: tema caro sia al papa che all’ultimo Küng.

    Un altra meta simbolo che Benedetto XVI ha indicato tra le sue “priorità” è la Terra Santa. Sull’ebraismo, le posizioni di Ratzinger sono da tempo tra le più aperte che si conoscano, in campo cattolico. E le ha ribadite visitando il 19 agosto la sinagoga di Colonia.

    Per il papa, l’alleanza stabilita da Dio con Israele continua a valere anche dopo l’avvento di Gesù. Al patriarca latino di Gerusalemme, Michel Sabbah, convinto invece che Israele sia stato ripudiato da Dio e sostituito con la Chiesa, Benedetto XVI ha affiancato l’8 settembre un coadiutore più vicino ai propri indirizzi, destinato a succedergli, Fouad Tawl, giordano di nascita, già arcivescovo di Tunisi.

    Il 15 settembre ha ricevuto a Castel Gandolfo i due rabbini capo di Israele, Shlomo Moshe Ama, sefardita, e Yona Metzger, askenazita, che gli hanno rinnovato l’invito a visitare Gerusalemme.

    E a metà novembre salirà da lui in visita in Vaticano, per la prima volta, un presiden te dello stato d’Israele, Moshe Kastsav.

    Anche con gli esponenti musulmani incontrati a Colonia il 20 agosto papa Ratzinger ha agito a carte scoperte. Non si è recato in moschea, come gli avevano chiesto; li ha ricevuti in arcivescovado con un grande crocifisso alle proprie spalle. Li ha sollecitati a farsi educatori di pace, proprio mentre tanti cattivi maestri predicano in moschee e madrasse d’Europa e del mondo.

    Sette giorni dopo, il 27 agosto, ha ricevuto a Castel Gandolfo la scrittrice Oriana Fallaci, così incendiaria nel difendere la cristianità, lei atea professa, dall’attacco musulmano.

    Ma questa udienza non è stata una mossa a sorpresa, da parte di un papa come Benedetto XVI. Con i laici a tutto tondo egli ha sempre cercato l’incontro, dal filosofo francofortese Jürgen Habermas fino, appunto, all’autrice famosa di “Lettera a un bambino mai nato” e “La rabbia e l’orgoglio”. In ripetute occasioni, anche da papa, Ratzinger ha chiesto ai non credenti di vivere “quasi Deus daretur”, come se Dio ci fosse. Un primo motivo è che nel mondo d’oggi “i valori morali reggono solo se Dio esiste”. E un altro motivo è che “questo sarebbe per loro un un primo passo per avvicinarsi alla fede”.

    Conversando con i preti di Aosta Benedetto XVI ha confidato: “Vedo in tanti contatti che, grazie a Dio, cresce il dialogo con parte dei laici. Io penso alla parabola di Gesù sul piccolo grano di senape che poi diventa un albero così grande che anche gli uccelli del cielo vi trovano posto. Questi uccelli possono essere le persone che non si convertono ancora, ma almeno si posano sull’albero della Chiesa”.

    __________


    E per i divorziati risposati...


    Sulla comunione ai divorziati risposati Benedetto XVI ha sinora parlato una sola volta. E non per rafforzare il divieto senza eccezioni, ma per dire che la questione “è da approfondire” almeno in un caso: quello di chi si è sposato in chiesa pur senza crederci, e poi, separatosi e risposatosi con un’altra persona, è tornato alla fede, ma si vede escluso dalla comunione eucaristica.

    “Per tali persone questa è realmente una sofferenza grande”, ha spiegato il papa parlando ai preti della diocesi di Aosta, il 25 luglio. “Quand’ero prefetto della congregazione per la dottrina della fede ho invitato diverse conferenze episcopali e specialisti a studiare questo problema: un sacramento, quello del matrimonio, celebrato senza fede. Se realmente si possa trovare qui un un motivo di invalidità perché al sacramento manca una dimensione fondamentale non oso dire. Io personalmente lo pensavo, ma dalle discussioni che abbiamo avuto ho capito che il problema è molto difficile e deve essere ancora approfondito”.

    __________


    Tutte le omelie, i documenti, i discorsi di papa Joseph Ratzinger, in più lingue, nel sito del Vaticano:

    > Benedetto XVI
    http://www.vatican.va/holy_father/be...i/index_it.htm
    __________
    Fraternamente Caterina
    Laica Domenicana

 

 
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