IL FOGLIO di venerdì 9 settembre 2005 pubblica a pagina 3 un editoriale sul doppio standard del governo spagnolo in materia di barriere di separazione e sulla perdurante sottovalutazione europea dei problemi di sicurezza della popolazione europea.

Ecco il testo:

Il ministro degli Esteri spagnolo Miguel Angel Moratinos, che svolge un giro di visite in medio oriente, ha reiterato la richiesta al governo israeliano di sospendere la costruzione del muro di protezione che difende lo Stato ebraico dagli attentati terroristici. Gli argomenti sono i soliti: il muro impedisce la comunicazione tra i popoli, è un segno di separazione inaccettabile e così via. Il suo collega israeliano gli ha risposto che “le barriere sono reversibili, le vite umane no”, e che quindi, finché durerà la minaccia terroristica, è necessario fare tutto il possibile per difendersi.
Per la verità anche la virtuosa Spagna ha una sua barriera. Si tratta di un vallo, cioè di un doppio reticolato con filo spinato, che circonda l’enclave spagnola di Melilla dal circostante territorio marocchino. E’ stato costruito per evitare le infiltrazioni di immigrati clandestini che, una volta penetrati nella città, che è territorio spagnolo, cercano poi di entrare in Europa. Anche quel vallo, naturalmente, ha tutte le caratteristiche di separazione etnica e culturale di quello israeliano, senza neppure l’argomento del pericolo terroristico. La contraddizione tra la predicazione spagnola e il suo comportamento è tanto stridente che si potrebbe pensare che il governo di José Luis Rodríguez Zapatero abbia intenzione di liberarsi del vallo ereditato dai precedenti governi moderati. Invece non è così. Il ministero dell’Interno di Madrid ha deciso di rialzare la doppia barriera, oggi alta circa 3 metri, portandola a 6, per tutto il perimetro di confine, lungo poco più di 10 chilometri. Insomma, per i socialisti spagnoli è lecito proteggersi con barriere fisiche dall’immigrazione clandestina, ma non dagli attentati e dalle stragi terroristiche. La sottovalutazione dei problemi di sicurezza dei cittadini di Israele è da sempre il principale limite della politica mediorientale dell’Europa, che proprio Moratinos gestì in passato, ed è la ragione principale della sua inconcludenza. Come conferma il paradosso del vallo spagnolo.

A pagina 1 dell'inserto Carlo Panella spiega lo scenario di "guerra mafiosa" dietro "L'omicidio di Gaza", cioè quello di Moussa Arafat.

Ecco il testo:

Roma. A Gaza è iniziata una guerra di mafia che rischia di innescare una guerra
civile: è questa la chiave di lettura che spiega l’assassinio di Moussa Arafat, cugino dell’ex rais Arafat, a Gaza. Le modalità dell’esecuzione sono inequivocabili: cento armati assediano per un ora l’abitazione di Moussa, difesa dalla sua guardia del corpo. Venti le vetture del commando, decine i
razzi Rpg e i mitra che sparano a tutto spiano. Il tutto a soli trecento metri dalla sede del quartiere generale dell’Autorità nazionale palestinese, ma nessun dirigente dell’Anp muove un dito. Sbaragliata la guardia personale, gli assalitori catturano vivo Moussa Arafat, lo portano in strada e lo trucidano: 23 proiettili in corpo. Altri rapiscono il figlio Manhal “per interrogarlo”. Ancora nessuna reazione dal quartier generale dell’Anp. Nessuno insegue gli assassini che si allontanano indisturbati. Passano poche ore e Maher al Fares, responsabile dell’intelligence in Cisgiordania, chiede in una conferenza stampa
le dimissioni del ministro dell’Interno, Naser Yousef, responsabile politico dell’“inspiegabile” assenza di reazione delle forze regolari palestinesi. Poche altre ore e Abu Mazen annulla il suo viaggio a New York per partecipare alla sua prima Assemblea generale delle Nazioni Unite in veste di presidente dell’Anp. Dopo il dramma, la farsa: l’assassinio viene rivendicato dai Comitati di resistenza palestinesi, le brigate al Nasser Salah el- Dein. Passate poche ore, però, gli stessi “Comitati” distribuiscono a Gaza un volantino in cui sostengono che il loro portavoce “si è precipitato a rivendicare l’azione contro
il cugino di Yasser Arafat, senza conoscere la verità”, e negano ogni genere di
coinvolgimento. Il punto politico inquietante è che Moussa Arafat faceva ormai parte della “mafia perdente” di Gaza, perché aveva perso ogni potere sul campo, da quando Abu Mazen l’aveva emarginato, dando pienamente ragione a un movimento popolare contro di lui che – quando ancora era vivo Yasser Arafat – ha sconvolto Gaza per un anno. E’ una lunga faida: il 17 marzo 2004 un palestinese
viene ucciso durante uno scontro tra la milizia di Moussa Arafat e la “cellula
Ezzedin al Qassam” di Hamas. Il 17 giugno 2004 un altro morto durante uno scontro tra la guardia di Moussa Arafat e gli agenti delle forze della “sicurezza nazionale” del colonnello Saeb al Ajes. Il 18 luglio 2004 il
premier palestinese, Abu Ala, si dimette dall’incarico dopo una giornata di violenze a Gaza: tremila palestinesi avevano infatti manifestato a Gaza City contro la nomina di Moussa Arafat a responsabile della sicurezza. Le Brigate al Aqsa, di al Fatah, avevano poi motivato politicamente la protesta: “Annunciamo il nostro rifiuto totale della nomina di un simbolo della corruzione, Moussa Arafat, quale direttore della Sicurezza generale. Questa nomina apre la strada a conseguenze pericolose”. Nuova manifestazione di migliaia di palestinesi a Gaza il 22 luglio. Sempre contro la nomina di Moussa Arafat, il 24 luglio, un gruppo di armati di al Fatah occupa, mitra alla mano, il municipio di Khan Younis. Yasser Arafat, a questo punto, ritira il cugino, ma lo mantiene a capo della “sicurezza militare”, mentre alcuni giornalisti palestinesi sono minacciati di morte per avere pubblicato notizie sulle contestazioni nei suoi riguardi. Il 16 settembre è rapito a Gaza – e poi rilasciato – il generale Mohammed al Batraci, braccio destro di Moussa Arafat. Il 12 ottobre una bomba
esplode a Gaza al passaggio della vettura di Moussa Arafat. Il 18 ottobre ancora un morto nello scontro tra la milizia di Moussa e gli agenti dei Servizi di sicurezza preventiva di Rachid Abu Shbak. Il 14 novembre 2004, morto Yasser Arafat, Abu Mazen si reca per il suo primo “viaggio trionfale” a Gaza: è accolto a raffiche di mitra, sei i morti sul terreno. Un intervento dell’Ue
Molti sussurrano – riportano le agenzie internazionali – che Moussa Arafat sia il mandante “dell’avvertimento mafioso”. Abu Mazen è illeso, ma il 23 aprile destituisce Moussa da ogni incarico operativo e lo relega a “consigliere”. La carriera politica del cugino del rais si era dunque conclusa da mesi con la sua piena emarginazione dal potere. La logica del suo assassinio non va allora
ricercata nei conflitti politici tra i partiti palestinesi: è tutta interna ai traffici di stampo mafioso che a lui facevano capo (compresa, pare, la fornitura di cemento a Israele per la costruzione del Muro). Marco Minniti dei Ds, che ebbe la delega sui servizi segreti nel governo D’Alema, pochi giorni fa ha dichiarato che, nel caso fallisse il processo di ricomposizione politica delle tensioni interpalestinesi a Gaza affidato alle elezioni politiche e nel caso si accendesse uno scontro armato, la stessa Unione europea dovrebbe intervenire, anche con un contingente militare. Questo scenario pare già delinearsi, con una variante scabrosa: l’innesco del confronto militare “politico”, determinato però da logiche interne a cosche di vera e propria mafia palestinese, che sono sorte dal 1993 ad oggi – spartendosi i generosi finanziamenti europei e arabi – di cui un primo episodio è stata la vicenda dei milioni di dollari con cui è stata tacitata Suha, la vedova di Yasser Arafat