....proporzionale?
La danza che la classe politica italiana sta inscenando attorno alla legge elettorale ha tutta l’aria di un gioco d’intenzioni opache, dissimulazioni o concessioni stanche che non appassionano gli elettori mentre conquistano tanta parte dei retropensieri di Palazzo.
Normalmente una legge che funziona non si cambia a cuor leggero.
Il Cav. ha stravinto nel 2001 con questo sistema maggioritario ibrido (Mattarellum) e seppure zoppicante ha governato più a lungo dei predecessori a Palazzo Chigi.
Ma non ha mai nascosto di considerare la meccanica del voto per quello che è: uno strumento con cui vincere e, appunto, governare bene in modo duraturo.
Ragion per cui si è sempre detto pronto a modifiche e ha valutato possibili alternative.
Dalla scheda unica che collega le preferenze ai partiti con quelle per il candidato all’uninominale (Nespolum), all’abolizione dello scorporo.
Sul suo tavolo c’è perfino un dossier con la proposta di conversione al sistema tedesco (proporzionale con premio e sbarramento) firmata a suo tempo da Tremonti e Urbani.
Ora Pier Ferdinando Casini gli chiede in modo ultimativo una correzione proporzionale, e lui potendo gliela concederà perché senza l’Udc si perde per strada le già esigue chance di vittoria nel 2006.
La Lega non farà troppe storie, l’intendenza finiana seguirà.
E tutti i convertiti del proporzionale, dal Cav. in giù, culleranno pubblicamente la certezza che questa sia la scelta migliore per non perdere.
Gli ostinati continueranno a domandarsi se l’Udc, che in questa legislatura ha recitato la sua parte decisiva grazie alla generosa quantità di collegi uninominali concessi dagli alleati nel 2001, non consideri invece il proporzionale come il volto presentabile di una strategia dell’abbandono.
L’operazione di chi, rassegnato a perdere nella contesa bipolare, getta oggi un ponte per non restare troppo a lungo domani fra gli sconfitti.
Una parte del ponte proporzionalista dovrebbero costruirla, per consanguineità e vocazione, i centristi che dimorano accanto a Prodi.
Ma, tolto l’impaziente Mastella, gli altri, quelli che contano, giurano che non è il momento.
Forse perché il buon senso dice che, con l’attuale legge elettorale, l’arcobaleno che va da Bertinotti a Rutelli è destinato a vincere, e allora perché rischiare.
O forse perché, alla vigilia delle primarie, non sta bene scoprire il grado reale di fedeltà unionista.
Intanto la responsabilità di avviare i lavori se la prenda il centrodestra, poi si vedrà.
Ferrara su il Foglio
saluti