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    Il monumento costruito dove i cannoni aprirono la Breccia


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    http://www.caffeeuropa.it/attualita/...ita-rossi.html

    A seguito pubblichiamo la prima parte del discorso pronunciato da Ernesto Rossi a Firenze il 20 settembre 1959 incluso nell'antologia "Pagine anticlericali" (Massari Editore).

    1. Un anno e mezzo dopo la firma dei Patti laternanesi, il 13 settembre 1930, ricevendo cinquecento sacerdoti, assistenti diocesiani delle varie organizzazioni dell'Azione cattolica, Pio XI disse che quella visita gli recava particolare conforto, "alla vigilia sempre dolorosa del 20 settembre, di quel 20 settembre che ancora una volta tornava - egli voleva ormai credere e non più sperare - per l'ultima volta". Diceva di crederlo, anziché sperarlo, "perché ciò era stato assicurato e promesso da autorevole parola, alla quale volevo credere".

    Perché il 20 settembre - ci domandiamo - era una data tanto dolorosa al cuore del Santo Padre?

    Prima di tutto perché il 20 settembre 1870 aveva segnato la fine del potere temporale dei papi, che da undici secoli consentiva al pontefice di fare la guerra, riscuotere le imposte, batter moneta, mettere in galera e accoppare i sudditi, come facevano gli altri sovrani.

    Il potere temporale non aveva accresciuto il prestigio della Santa sede. Nel XVI canto del Purgatorio già Dante aveva affermato che "la Chiesa di Roma/ per confondere in sé due reggimenti/ cade nel fango a sé brutta e la soma".

    La Chiesa, nello spregiudicatissimo linguaggio dell'Alighieri, era divenuta una "puttana sciolta".

    Due secoli dopo un altro grande, il Machiavelli, nei Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, aveva scritto che, per "gli esempi rei" della corte di Roma, l'Italia aveva perduto ogni devozione e ogni religione.

    "Abbiamo con la Chiesa e coi preti noi italiani questo primo obbligo di essere diventati senza religione e cattivi".

    E un obbligo anche maggiore gli italiani avevano verso la Chiesa per aver mantenuto l'Italia disunita, mentre la Francia e la Spagna si componevano a nazione: "perché avendovi abitato e tenuto impero temporale, non è stata sì potente, né di tal virtù che l'abbia potuto occupare il restante d'Italia, e farsene principe; e non è stata, dall'altra parte, sì debole, che per paura di non perdere il dominio delle cose temporali, la non abbia potuto convocare un potente che la difenda contro quello che in Italia fosse diventato troppo potente".

    Questi furono due fra i principali motivi dell'opposizione al potere temporale durante il Risorgimento, ai quali si aggiunge quello dell'impossibilità del governo della Chiesa di adeguarsi ai principi della civiltà moderna.

    Nella seduta della Camera del 25 maggio 1861, l'on. Audinot, deputato della destra, esponeva con queste parole le conseguenze del potere temporale:

    "L'ordine ieratico nel governo delle cose politiche e delle civili porta quelle istesse massime di infallibilità e di immobilità che riconosce nel dogma cattolico; quindi col potere temporale del sommo pontefice non è compatibile la libertà di coscienza, che è la prima fra le moderne libertà; quindi col governo temporale pontificio sono impossibili la libertà di stampa, la libertà dell'insegnamento; con questo governo è impossibile l'uguaglianza dei cittadini dinnanzi alla legge; con questo governo è impossibile recare in mano ai laici lo stato civile, le nascite, i matrimoni, le morti; con questo governo sono impossibili le riforme economiche in ordine ai beni posseduti dalle manomorte. Con questo governo è impossibile lasciare ai laici la direzione di tutto quanto rigurada l'educazione e l'istruzione. E infine, o signori, il governo pontificio non può abbandonare, senza un'influenza quasi esclusiva, alla libertà comune tutte quelle materie che nel linguaggio della curia romana si chiamano materie miste. E sapete voi che cosa sono queste materie miste. Comprendono presso a poco tutti i fatti umani".

    Tali affermazioni trovarono, punto per punto, la loro conferma tre anni dopo, nel Sillabo, che nell'ultima proposizione condannò, come pernicioso errore del secolo, anche l'idea che il romano pontefice "potesse e dovesse riconciliarsi e venire a composizione col progresso, col liberalismo e con la moderna civiltà".

    Dopo Audinot, nella stessa seduta del 25 maggio 1861, Cavour disse che non sapeva concepire una sventura maggiore, per un popolo colto, di quella di vedere riuniti in una sola mano il potere civile e il potere religioso:

    "La storia di tutti i secoli, come di tutte le contrade, ci dimostra che, ovunque questa riunione ebbe luogo, la civiltà sempre immediatamente cessò di progredire, anzi sempre indietreggiò; il più schifoso dispotismo si stabilì, e ciò, o signori, sia che una casta sacerdotale usurpasse il potere temporale, sia che un califfo o un sultano unisse nelle sue mani il potere spirituale".

    2. Alla vigilia del moto per l'unificazione dell'Italia il malgoverno degli Stati della Chiesa costituiva, per tutti gli spiriti illuminati del tempo, un'irrefutabile prova dell'incapacità, dell'ignoranza, della venalità della Corte di Roma.

    In Roma, Napoli e Firenze Stendhal riporta, fra gli altri documenti del "dispotismo ecclesiastico", un'ordinanza della polizia per il teatro Valle, che, meglio forse di altri esempi, può darci un'idea del modo in cui, nel 1817, veniva mantenuto l'ordine pubblico nella "città sacra":

    "Cento colpi di bastone somministrati immediatamente sul patibolo (che si trovava in permanenza in Piazza Navona, con una torcia e una sentinella) per lo spettatore che prendesse il posto di un altro; cinque anni di galera per chi levasse la voce contro la maschera che distribuiva i posti".

    Il giudizio - scrisse lo Stendhal - "avveniva secondo le dolci forme dell'Inquisizione".

    Nelle Passeggiate a Roma, sotto la data 27 gennaio 1828, lo stesso autore scrive che, per i romani autentici, lavorare era cosa contro natura, e sarebbe parso il colmo del ridicolo arrischiare anche solo un graffio nell'interesse del papa, loro sovrano, di cui aspettavano tutti la morte, godendone in anticipo.

    "Quando il mio giovane barbiere racconta qualche assurda usanza, di cui si lamenta, non manca mai di aggiungere: "Che volete, o signore! siamo sotto i preti!"

    Nei sonetti del Belli ritroviamo la Roma bollata a fuoco da Dante come la città "dove Cristo tutto dì si merca".

    Scriveva il Belli nel 1832:

    "C'a sto paese già tutt'er busilli
    sta in ner vive a lo scrocco e ffa orazione"

    Ed in centinaia e centinaia di sonetti il Belli ha descritto in qual modo, dal sommo pontefice all'ultimo magnaccia, tutta Roma viveva a scrocco e faceva orazioni; nella Quaresima ci ha lasciato il ritratto del "buon cristiano", che nello stesso giorno passava da una chiesa all'altra a prendere la comunione per ottenere i polizzini da vendere a chi non si voleva comunicare.

    Alla metà del secolo, il duca di Sermoneta, confidava al grande economista inglese Senior, che ne prendeva nota nel suo diario sotto la data 5 marzo 1951 (Nassaw William Senior, L'Italia dopo il '48, Bari 1937, p.19):

    L'assassinio è quasi l'unico costume classico che noi abbiamo conservato; nelle altre cose siamo più turchi che europei. Il nostro sistema di governo è eminentemente turco. Consiste in un despotismo centrale e in despoti provinciali, che i turchi chiamano pascià e cadì e noi cardinali e preti".

    Queste parole trovano conferma negli scritti del D'Azeglio, del Farini, del Minghetti, e di tutti gli altri patrioti che ci hanno lasciato la descrizione di quella che era la vita politica e civile negli Stati della Chiesa: persecuzioni, galera, esecuzioni sommarie per soffocare tutti i rapporti familiari e di affari regolati dal codice canonico; foro ecclesiastico anche nelle cause civili; giudici obbedienti ai desideri del sovrano più che alle leggi; cittadini alla completa mercé della polizia, composta di ribaldi tratti dalle più abiette categorie sociali; la difesa del territorio affidata a truppe mercenarie straniere; l'educazione dei giovani riservata ai preti e alle monache; la teologia in luogo degli studi scientifici; nepotismo, corruzione e ruberie in tutti gli uffici; censura che impediva ogni libera espressione del pensiero; finanze pubbliche sempre dissestate; industria, agricoltura, commercio ostacolati da mille vincoli; continui moti insurrezionali e brigantaggio endemico nelle province; insolente riccheza di pochi parassiti di fronte alla più nera miseria delle plebi; dovunque preti, feste, processioni e miracoli; in tutte le classi sociali camorra, spionaggio, ignoranza e superstizione.

    Il giudizio negativo, anche di molti ecclesiastici, sul papa sovrano, si rifletteva naturalmente sul papa vicario, di Cristo, con grave discredito della religione.

    Pochi anni dopo la caduta del potere temporale, Settembrini, nelle Ricordanze della mia vita, scriveva:

    "I popoli che formavano lo Stato della Chiesa erano, fra tutti gli italiani, i più straziati, perché avevano sul collo i preti e gli stranieri. Gli austriaci stavano minacciosi al confine e dentro seimila svizzeri, con altre migliaia di fecciosi ribaldi, formavano l'esercito del papa. I preti governavano coi codici dei sette peccati mortali; e chi non ha conosciuto il governo dei preti non sa quale sia l'ultima tirannide, la quale ormai è caduta perché Dio e gli uomini erano stanchi di tante scelleratezza".

    Ma fino al 1870 la curia romana continuò a sostenere che il principato del pontefice aveva un carattere sacro, e che il papa doveva avere l'assoluta sovranità su un vero e proprio regno (non su uno Stato simbiotico, qual è oggi la Città del Vaticano) per garantire l'indipendenza del suo ministero spirituale.

    3. Oltre a ricordare che non era stato possibile fare l'Italia senza disfare gli Stati della Chiesa, il 20 settembre ricordava a Pio XI che il nostro Risorgimento è stato decisamente anticlericale.

    In un articolo pubblicato nel 1911, sotto il titolo "Il 20 settembre festa massonica", la Civiltà cattolica, affermò che il Risorgimento era stato una sfida al cattolicesimo, in quanto aveva significato l'emancipazione della società della Chiesa:

    "Né dicasi che è opinione di settori solamente; perché la proclamazione fu unanime e non fu contraddetta da alcuno. In realtà poi si rileva da testimonianze e documenti tale da essere stato il pensiero di uomini di ogni partito, che con la parola, con gli scritti, coll'azione cooperarono al cosiddetto risorgimento nazionale, coronato il 20 settembre 1870 mercé le bombe del Cadorna. Col Mazzini, che fin dal 1852 sentenziava: "Il popolo italiano è chiamato a discutere il cattolicesimo " e voleva l'abolizione del potere temporale perché porta seco l'emancipazione del genere umano dalla potenza spirituale, sentevano almeno in sostanza non solo il Garibaldi, eccitante la plebe ad estirpare il cancro del Popolo, non solo il Mameli, proclamante in Parlamento, fino dal 1866, nobile missione dell'Italia essere difendere solidamente, e pel bene di tutti la libertà di coscienza, debellando nel Papato e nelle Istituzioni che lo reggono il baluardo che ferma l'umanità, non solo altri noti a tutti per le loro idee eccessive; ma uomini moderati altresì dell'antica destra, quali un Visconti Venosta, un Bonghi, un Riccardi".

    La rivista della Compagnia di Gesù aveva ragione: il nostro Risorgimento fu e non poteva essere che anticlericale perché si ispirò all'ideale della libertà, mentre il Vaticano era il centro di coordinamento di tutto quanto il mondo.

    L'eroe che, per il nostro popolo, ha incarnato meglio quell'ideale fu Giuseppe Garibaldi, ed il Garibaldi vero, non denicotinizzato dai testi scolastici, odiava il papa e i preti molto più di quanto odiasse Francesco Giuseppe e gli austriaci.

    Il 28 aprile 1961 ad esempio, egli scriveva alla Società operaia napoletana, che sarebbe stato un sacrilegio continuare nella religione dei preti di Roma.

    "Essi sono i più fieri e terribili nemici dell'Italia. Dunque fuori dalla nostra terra quella setta contagiosa e perversa".

    E, in un indirizzo alla società italiana degli operai, scritto nell'ottobre dello stesso anno, additava al disprezzo dei lavoratori la "razza satanica" dei preti, che, mentre l'Italia faceva ogni sforzo per costituirsi a nazione, erano disposti a venderla anche al sultano, "e venderebbero Cristo se non l'avessero già venduto da tanto tempo".

    "Fuggite la Chiesa, la vendetta che puzza d'infetti rettili e non la permettete ai vostri congiunti".

    Nella prefazione alle sue memorie, Garibaldi, il 3 luglio 1872, scriveva di aver sempre attaccato il "pretismo", perché aveva sempre trovato in esso "il puntello di ogni dispotismo, di ogni vizio, di ogni corruzione".

    "Il prete è la personificazione della menzogna. Il mentitore è ladro. Il ladro è assassino, e potrei trovare al prete una serie di altri infami corollari".

    Era questo il linguaggio abituale di Garibaldi, quando parlava dei preti. E tutta la sinistra, se pur non adoperava il suo linguaggio, condivideva i suoi sentimenti.

    Ma anche gli uomini più moderati, quelli che andavano in chiesa e prendevano i sacramenti, seppero far fronte a tutti i fulmini del papa: abolire, a suo dispetto, i privilegi ecclesiastici, combattere ogni pretesa della Chiesa di ingerirsi nell'amministrazione civile; cacciare i gesuiti, imprigionare e processare i vescovi e i cardinali ribelli alle leggi; e - cosa che a me sembra ancora più meravigliosa - seppero far la guerra contro l'Austria, figlia primogenita della Chiesa, e contro il Papa, con i quattrini dei preti.

    4. Infine il XX settembre ricordava a Pio XI che l'unificazione d'Italia si era compiuta contro tutte le minacce, le maledizioni, gli interdetti, le scomuniche del Papa, dando la prova migliore di quanto deboli fossero le radici della religione cattolica nell'animo popolare.

    Riandiamo insieme ad alcuni episodi del nostro Risorgimento:

    1831. La Romagna e l'Emilia cacciano i legati del Papa e dichiarano decaduta la sovranità pontificia. L'ordine viene ristabilito nel sangue delle truppe austriache.

    1848. Negli Stati sardi emancipazione dei Valdesi e degli Ebrei; tutti i cittadini ottengono eguali diritti civili e politici, indipendentemente dalla loro religione: l'istruzione pubblica è tolta al clero; i gesuiti sono cacciati e i loro beni confiscati. Violente proteste dell'episcopato e della Santa sede.

    1849. Rivoluzione popolare a Roma. Da Gaeta, dove si era rifugiato, il Papa fulmina la scomunica maggiore contro coloro che attestassero all'autorità dello Stato pontificio e contro coloro che partecipassero alle elezioni. L'assemblea costituente dichiara decaduto il potere temporale. Il Papa invoca l'aiuto delle potenze straniere. Il governo pontificio viene restaurato dalle baionette francesi a Roma e da quelle austriache nelle Legazioni.

    1850. Negli Stati Sardi, la legge Siccardi abolisce il privilegio del foro ecclesiastico, le immunità ecclesiastiche e il diritto di asilo. Il governo piemontese fa arrestare e processare gli arcivescovi di Torino e di Sassari per incitamento alla disobbedienza della legge; i due arcivescovi sono condannati ed espulsi dal regno; il beni delle loro mense sequestrati. Il Papa commina le più gravi pene canoniche contro i responsabili diretti e indiretti della legge Siccardi. In risposta, viene eretto, per sottoscrizione popolare, su una piazza di Torino, un obelisco, a perpetuo ricordo di quella vittoria anticlericale, con la scritta: "La legge è uguale per tutti". Il governo nega l'exequatur ai vescovi nominati dal Papa, ed il placet ai parroci nominati dai vescovi, che non danno garanzia di fedeltà al nuovo ordine e passa all'erario le rendite dei loro benefici, come fossero rimasti vacanti. Il Parlamento continua ad approvare leggi anticlericali: abolizione delle esenzioni tributarie; soprressione degli ordini monastici "contemplativi" e confisca dei loro beni; pene contro gli abusi dei ministri del culto; divieto alle corporazioni religiose di accrescere comunque i loro beni senza l'autorizzazione sovrana; liquidazione dell'asse ecclesiastico. Il Papa dichiara irrite le leggi e lancia scomuniche.

    20 giugno 1859. Stragi di Perugia ad opera delle soldataglie papaline.

    1860. Dopo il plebiscito per l'annessione della Romagna, dell'Emilia, delle Marche e dell'Umbria al Piemonte, scomunica maggiore contro tutti coloro che avevano perpetrata la nefanda usurpazione e contro i loro mandanti, fautori, aiutanti, consiglieri, aderenti: completa cilecca. La Civiltà cattolica calcolò che nel 1861 erano stati aboliti 721 conventi, dispersi 12 mila religiosi, confiscati patrimoni di 104 collegiate. Gli enti ecclesiastici soppressi con la legge del 1866 furono 1809; quelli soppressi con la legge del 1867 oltre 25 mila.

    A mano a mano che le diverse regioni sono annesse al Piemonte, le leggi anticlericali vengono estese a tutta l'Italia. Il Papa dichiara incorsi nelle maggiori censure ecclesiastiche coloro che acquistano o prendono in affitto i beni incamerati della Chiesa; i cattolici continuano ad acquistare e a prendere in affitto quei beni, come se niente fosse.

    "Nel giro di pochi mesi dall'impresa dei Mille" - ricorda Vittorio Gorresio in Risorgimento scomunicato (Firenze 1958, p.77) - "nelle sole province meridionali, (il governo piemontese) arrestò, processò, confinò sessantasei vescovi. Nel giro di quattro anni, a partire più o meno dalla stessa data, i cardinali che furono arrestati e processati, per motivi che oggi sembrano futili, furono otto: Corsi, Baluffi, De Angelis, Carafa, Riano-Sforza, Antonucci, Moriàchini ed il futuro Leone XIII, cardinal Pecci".

    25 marzo 1861. Nel suo più grande discorso sui rapporti fra lo Stato e la Chiesa, Cavour afferma che, senza Roma capitale d'Italia, l'Italia non si può costruire, e la Camera vota un ordine del giorno col quale impegna il governo a riunire Roma all'Italia.

    29 agosto 1862. Aspromonte. Le truppe regie arrestano Garibaldi, che vuole marciare su Roma con i suoi volontari.

    1864. Soppressione di canoni e delle decime ecclesiastiche. Il Papa emana il Sillabo, nel quale condanna, come gravissimi errori del secolo, tutte le libertà moderne.

    1866. Con l'entrata in vigore del nuovo codice viene reso obbligatorio il matrimonio civile.

    1867. Gli chassepots francesi "fanno meraviglie" a Mentana contro i garibaldini, arrestandone la marcia su Roma. Soppressione delle corporazioni religiose e liquidazione dell'asse ecclesiastico, in tutto il regno.

    1870. Il 18 luglio il Concilio ecumenico approva il dogma dell'infallibilità del papa. Mentre le truppe del generale Cadrona sono già sotto le mura di Roma, Pio IX è ancora in attesa fiduciosa di un miracolo. Nel ricevere Ponzo di San Martino, latore della lettera in cui, "con affetto di figlio e con fede di cattolico", Vittorio Emanuele chiede il libero ingresso dei soldati italiani in Roma, "per la sicurezza di sua santità e per il mantenimento dell'ordine", (e prega anche di impartirgli l'apostolica benedizione, frirmandosi "umilissimo, obbedientissimo e devotissimo Vittorio Emanuele"), Pio IX esce in questa esclamazione:

    "Non sono profeta, né figlio di profeta; ma vi assicuro che in Roma non entrerete".

    Dieci giorni dopo, 20 settembre: breccia di Porta Pia. Il potere temporale cade, come un vecchio tronco imputridito; all'appello del papa a tutte le potenze cattoliche risponde solo la protesta della repubblica dell'Equador. Nuova scomunica maggiore contro "tutti coloro, forniti di qualsiasi dignità, anche meritevoli di specialissima menzione, i quali compirono l'invasione, l'usurpazione, l'occupazione di qualunquesiasi delle province dei Nostri Stati e di questa alma città, o fecero alcuna di queste cose, e parimenti i loro mandanti, fautori, aiutatori, consiglieri, aderenti o altri qualisisiano, che procurarono all'esecuzione essi stessi in qualsivoglia modo o sotto qualunque pretesto": aria fritta. Nessuno se ne dà per inteso.

    Fra i nomi dei volontari che militarono sotto le bandiere del Papa fra il 1860 e il 1870 si trovano svizzeri, francesi, spagnoli, irlandesi, austriaci; non si trovano italiani. Per difendere il Santo Padre, gli italiani - come i romani descritti da Stendhal - non erano disposti a rischiare neppure una sgraffiatura.

    5. Aveva dunque tutte le ragioni Pio XI di dolersi perché, dopo la "Conciliazione" venisse ancora considerata festa nazionale la ricorrenza del 20 settembre. Per chi, come lui, aveva la pretesa di rappresentare la massima autorità spirituale del mondo, non ci poteva essere umiliazione maggiore di quella sconfitta, subita nell'urbe stessa che da tanti secoli era la sede del capo della cristianità; sconfitta inferta da cattolici alla Chiesa, proprio in nome dei principi che erano stati solennemente condannati dal Sillabo.

    Il popolo italiano - anche allora si diceva - è un popolo integralmente cattolico, perché il 99 per cento degli italiani hanno ricevuto il battesimo: ma veramente cattolico, per il papa, è solo chi ubbidisce al vicario di Dio in terra. Che razza di cattolici erano mai questi italiani che non tenevano conto neppure delle scomuniche, con le quali venivano esclusi dagli uffici divini e dai sacramenti? Le terribili bolle di scomunica eran diventate bolle di sapone? Neanche il moderatissimo e religiosissimo Alessandro Manzoni - lo scrittore che Pio XI amava spesso citare nelle allocuzioni su questioni riguardanti la fede - neanche Manzoni le aveva prese sul serio. Nel 1861 Manzoni aveva votato la proclamazione del regno d'Italia, e quando Roma era divenuta capitale, nonostante i suoi 85 anni, aveva voluto partecipare alla seduta di insediamento del Senato a palazzo Madama, ed aveva accettato il titolo di cittadino romano, conferitogli dalla rappresentanza comunale.

    Ed il bello, o meglio il brutto, era che lo stesso Pio IX, fulminatore di tante scomuniche, aveva dimostrato di non prenderle sul serio, continuando a scrivere affettuosamente ad uno dei maggiori responsabili della legislazione anticlericale e delle "nefande usurpazioni": consentendogli di tenere un cappellano di corte; concedendogli una licenza speciale per far celebrare la messa in Quirinale, dichiarato interdetto, quando Lamarmora lo aveva occupato manu militari; inviandogli, perfino, nel gennaio del 1878, una speciale assoluzione in articulo mortis.

    Se non era scomunicato Vittorio Emanuele, chi doveva considerarsi colpito dalle fragorosissime scomuniche di Pio IX?

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    IL BEATO PIO IX

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    la "santa" inquisizione
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    -Ama e fa ciò che vuoi.Sant'Agostino.Trattato sulla prima epistola di giovanni VIII
    -Noi siamo condannati a essere liberi.J.P.Sartre.L'esistencialisme est un humanisme.
    -L'uomo è per natura un animale politico.Aristotele.Politica

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    Quanta gente fecero fatto ammazzare il tuo "beato" Pio nono, ed i suoi predecessori per impedire agli Italiani di riavere una loro Patria nazionale?
    Quando le armi saranno fuorilegge, solo i fuorilegge avranno le armi

  7. #17
    a.k.a. tolomeo
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    In Origine Postato da Rick Hunter
    Quanta gente fecero fatto ammazzare il tuo "beato" Pio nono, ed i suoi predecessori per impedire agli Italiani di riavere una loro Patria nazionale?
    "riavere"? quando mai ce l'avevano avuta?

 

 
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