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    Predefinito La deriva neoconservatrice della destra cattolica

    La deriva neoconservatrice della destra cattolica

    Luigi Copertino
    dicembre 2004 - articolo tratto da Alfa & Omega n°1/2004, Edizioni Il Segno -


    Premessa

    A seguito degli ultimi eventi internazionali si è imposta all’opinione pubblica una corrente di pensiero, il cosiddetto “neoconservatorismo”, i cui intellettuali di punta, Paul Wolfowitz, Robert Kagan, Richard Perle, Douglas Feith, William Kristol, appartengono tutti all’entourage di George W. Bush e sono i diretti ed indiretti elaboratori delle strategie politiche ed economiche degli Usa. Alcuni di questi intellettuali hanno per anni lavorato al Project for the New American Century, un think tank che ha rappresentato il terreno di incontro tra l’idea politica di un globalismo decisionista-imperiale a guida americana, propugnata da tale cerchia intellettuale, e le forze economiche del liberismo globale delle principali multinazionali e finanziarie americane, ossia la Halliburton, la Schlumberger, la ExxonMobil, la Chevron Texaco, la ConocoPhillips, la Warburg, la Merryll Linch, la Morgan, rappresentate in seno all’Amministrazione Bush, oltre che dallo stesso Presidente, da potenti personaggi come Donald Rumsfeld e Dick Cheney. Tuttavia, come diremo di seguito, a dispetto del nome che tale cerchia di intellettuali si è dato, il loro pensiero ha i caratteri di una vera e propria ideologia rivoluzionaria. Infatti, il neoconservatorismo americano rappresenta l’esito nichilista del pensiero vetero-(liberal)conservatore statunitense e più in generale anglosassone. Un esito nient’affatto inaspettato e del tutto legittimo se si parte dal presupposto stesso dell’ordine americano, ossia l’ideologia religiosa del calvinismo puritano. E’ ben noto che le radici del nichilismo contemporaneo si rinvengono nel furore “antiteologico” di Lutero, prima, e di Calvino, poi. Nonostante questi caratteri inquietanti, ampi settori di quel che, in Italia ed in Europa, è denominato (con espressione assolutamente incapace di individuare il suo oggetto di riferimento ma che usiamo per convenienza) “cattolicesimo tradizionalista” o, con termine più politico, “destra cattolica” hanno aderito all’ideologia neoconservatrice. La cosa è ancor più allarmante se si pensa che, perlomeno alcuni ambienti facenti capo al mondo del cattolicesimo tradizionalista, fino a ieri erano, per ovvie ragioni filosofiche, del tutto refrattari ad ogni moda culturale di provenienza statunitense.
    Vero e falso scontro di civiltà

    Il cambio di rotta della destra cattolica si deve, con tutta probabilità, al recente insorgere del pericolo “islamista”. Come già avvenne a fronte della minaccia comunista, questa improvvida destra cattolica si è schierata con l’America nella prospettiva huntingtoniana del prossimo “scontro di civiltà”, giustificando tale scelta in parte come scelta in favore del presunto male minore ed in parte addirittura come scelta in favore della “civiltà cristiana” incarnata e difesa dagli Stati Uniti. Quel che non è stato compreso, però, da parte di questi settori del cattolicesimo tradizionalista, è che la tesi di Huntington è falsa. Secondo la prospettiva del noto analista americano, tra le diverse civiltà che si confrontano attualmente sullo scenario mondiale, quella “euro-americana” costituirebbe un unicum ossia la “civiltà occidentale”. Questa tesi è strumentale alla politica di egemonia statunitense, che tenta oggi molti, troppi, cattolici tradizionalisti. Se di scontro si deve parlare, è più che evidente che siamo di fronte ad uno scontro del tutto interno al cosiddetto “mondo occidentale”. Si tratta dello scontro tra “la religione del Dio che si è fatto Uomo e la religione dell’uomo che pretende di farsi dio”. Uno scontro che, in chiusura del Concilio Vaticano II, Papa Montini, salvo poi ricredersi alla fine del suo pontificato, ha creduto di poter dichiarare risolto nell’irenico abbraccio tra Chiesa e mondo. Questo scontro è, invece, oggi nella sua fase finale, contrassegnata dal passaggio dalla modernità alla post-modernità. Quest’ultima, se da un lato manifesta l’essenza più luciferina e recondita della prima, con la quale non è in opposizione ma in continuità, dall’altro, a causa del suo nichilismo dissolutore delle certezze razionaliste della modernità, sembra capace di irretire persino i cattolici anti-moderni illusi di essere agli inizi di una rivincita della Tradizione sulla modernità. In realtà, da un punto di vista coerentemente cattolico, lo scorrere dei secoli che dalla Cristianità medievale ci hanno portato, mediante il passaggio per l’intermezzo dell’Europa cristiana cinque-seicentesca, all’Occidente globale di oggi, non può essere letto, sorvolando sulla grande frattura protestante che è la vera radice dell’Occidente americanocentrico, come un processo unitario e crescente. Tra il XVI ed il XVII secolo lo sviluppo storico dell’Europa cattolica mostrava tutti i segni di quella che poteva essere una differente modernità, in perfetta continuità storica con l’eredità della Cristianità medievale. Una concreta possibilità storica rimasta poi, purtroppo, inattuata soprattutto a causa della frattura protestante. Infatti, in quei secoli lo scenario epocale era incentrato politicamente sull’egemonia mondiale della Spagna asburgica (dalla quale avrebbe potuto nascere una globalizzazione cattolica ben diversa da quella anglo-protestante attuale), culturalmente sulla seconda scolastica della scuola teologico-giuridica di Salamanca (alla quale si deve la definitiva chiarificazione della dottrina cattolica sulla naturalità della comunità politica e sul diritto internazionale euro-cristiano, elaborata da Vitoria, Suárez e Bellarmino), religiosamente sulla Riforma Cattolica del Concilio Tridentino i cui prodromi si ebbero con un anticipo di cinquant’anni nella Spagna di Isabella e Ferdinando. E’ assolutamente necessario tenere sempre presente la svolta storica intervenuta nel XVI secolo per poter capire che non vi è affatto continuità tra Cristianità ed Occidente e che in quel cruciale albeggiare della modernità l’Europa ha purtroppo scelto di voltare le spalle alla Chiesa cattolica e di ripudiarsi come Cristianità, impedendo perciò il nascere di una diversa modernità e trasformando se stessa nell’attuale Occidente apostata, destinato all’implosione nichilista. La sconfitta dell’Invincibile Armada non segnò soltanto l’inizio dell’ascesa dell’Inghilterra anglicana e della decadenza della Spagna cattolica, ma anche e soprattutto il momento epocale nel quale inizia, nel discontinuo processo storico che ha caratterizzato l’avanzare della modernità, la deriva dell’Europa cristiana, moderna erede della Cristianità medievale, verso l’Occidente il cui baricentro è, senza dubbio, nel mondo anglosassone-protestante. Quando Michele Federico Sciacca distingueva tra “occidente cristiano” ed “occidentalismo illuminista”, intendeva sottolineare proprio quella svolta storica imprescindibile. Una distinzione ben colta, sulla scorta della serrata critica di Augusto Del Noce alla secolarizzazione, anche da Massimo Borghesi quando, in un articolo di qualche anno fa ai tempi della prima Guerra del Golfo, distingueva tra due occidenti, uno per l’appunto di radici cristiane e l’altro di radici laiciste, nato, quest’ultimo, dalla catastrofe luterana. William J. Bouwsma, docente di storia a Berkeley, ha recentemente descritto, in un pregevole saggio storico (1) , il declino dell’Europa all’alba stessa della modernità. Secondo l’autorevole storico, nel periodo compreso tra il 1550 ed il 1640 esistevano ancora una Cristianità e una comunità culturale euro-cristiana. Ma sia l’una che l’altra furono travolte dalla Riforma, dal comparire delle chiese nazionali come effetto del chiudersi degli Stati assoluti (superiorem non recognoscentes) all’Autorità della Chiesa, dal dilagare sull’onda della teologia luterana e della filosofia cartesiana del soggettivismo e dell’individualismo. L’epocale snodo segnato dall’età che va dalla metà del XVI secolo alla metà del XVII secolo scompigliò l’identità cristiano-cattolica dell’Europa proprio nel momento storico in cui il vecchio continente aveva iniziato, nel precedente cinquantennio, la sua espansione planetaria. Sicché, sostiene Bouwsma, la “modernità” nacque non tanto come esito positivo di uno splendido rinascimento, quanto piuttosto come tentativo di risposta, da parte di un’umanità cristiana in crisi di identità, all’inquietudine e all’angoscia che segnarono gli inizi stessi dell’età post-medievale, e quindi post-cattolica. Inquietudine ed angoscia che presero la forma, tuttora sussistente (si pensi alle nuove religioni del new age), della magia e, sul piano politico, di un fenomeno, ad essa strettamente connesso, come ha dimostrato un acuto politologo quale Giorgio Galli, sin dal richiamo all’immagine biblica del “mostruoso”, ossia l’affermarsi della concezione hobbesiana della comunità politica nell’idea dello Stato-Leviathan opposta alla dottrina cattolica dello Stato-comunità propria della scuola di Salamanca. La visione dei cattolici liberali, ad esempio di Baget Bozzo e di Antonio Socci, ossia quella del crociano “perché non possiamo non dirci cristiani”, recentemente ripresa, in funzione filoccidentale per giustificare lo scontro di civiltà, da Oriana Fallaci, contempla, senza soluzioni di continuità, una filiazione legittima dell’occidente americanocentrico, ossia di quella che oggi si definisce “globalizzazione”, dal presunto seno materno della Cristianità premoderna. In realtà, questa filiazione non è affatto legittima perché lungo il processo storico, che ha portato al tramonto dell’antica Cristianità ed al parallelo sorgere dell’egemonia occidentalista, vi è stata, per l’appunto, una profonda frattura costituita dal protestantesimo. E’ innegabile che la pretesa ultima e profonda dell’occidentalismo è quella, di indubbio sapore “anticristico”, dell’inveramento mondano della Promessa cristiana di Redenzione e Liberazione dell’umanità. Non è stato soltanto il marxismo a trasporre la Promessa del Regno dall’aldilà all’aldiquà. Questa indebita trasposizione è un inganno tipico anche del liberismo, che si va manifestando con maggior evidenza proprio nella sua fase globale quando, in nome della globalizzazione, viene mendacemente promesso all’umanità un avvenire di pacificazione e di benessere planetari. Franco Cardini ha spiegato molto bene il lungo percorso storico che ha portato, mediante il passaggio intermedio attraverso l’Europa cristiana dei secoli XVI-XIX, dall’antica Cristianità all’Europa-Occidente di oggi, incentrata sull’Atlantico(2) . Tale processo non è stato affatto un lineare compimento del Cattolicesimo ma al contrario un graduale perdere terreno da parte della Chiesa cattolica di fronte alla scristianizzazione. L’Europa-Occidente di oggi, ossia ciò che Sciacca definiva occidentalismo, è per l’appunto l’aborto matricida della Cristianità cattolica. Del resto, a ben rifletterci, il mistero di iniquità non poteva palesarsi storicamente che nelle antiche terre cristiane per poi, una volta sradicata quasi del tutto la Chiesa dalla vita dei popoli un tempo cattolici, globalizzarsi al di là dei confini storici della Cristianità. Ben 250 anni prima della dichiarazione rivoluzionaria dei diritti dell’uomo fu la scuola teologico-giuridica di Salamanca, nella Spagna cattolica del XVI secolo, ad elaborare su basi tomiste, ossia cristiane, i diritti umani e a chiarire definitivamente il fondamento di diritto naturale della comunità politica nel quadro della sua subordinazione al giudizio morale del Pontefice e, quindi, conseguentemente la distinzione, non conflittuale, tra Fede e Politica, Chiesa e Stato. Ma la frattura storica comportata dal protestantesimo, e dal conseguente assolutismo laicista e statolatrico, ha prodotto, agli inizi della modernità, una cesura, tuttora incolmabile, tra le radici cattoliche e medievali dell’Europa moderna e la sua deriva occidentalista. La mancanza di continuità nel processo storico, per via della frattura luterano-illuminista, ha fatto sì che quelli che erano i frutti di civiltà del Cattolicesimo siano stati sradicati dalla loro vitale pianta originaria ed arbitrariamente innestati sul secco tronco dell’umanitarismo. Il millenarismo, sotteso alla modernità protestante, ha reso possibile, ad esempio, la contraffazione liberale, ossia normativista e giuspositivista, del diritto naturale che è stato così pervertito nella concezione dell’origine contrattualista del diritto e delle forme politiche e sociali. Ma l’umanitarismo, oggi, nel momento in cui l’occidente americanomorfo globale va conoscendo il suo momento di trionfo planetario, si sta rivelando nient’altro che un tralcio disseccato. La filosofia umanitaria dell’Occidente globale sta sprofondando nel nichilismo e svelando la propria mera strumentalità. La retorica filantropica della “democrazia liberale” si rivela per quel che essa veramente è, ossia la maschera normativista di puri rapporti di forza. La maschera è definitivamente caduta con le umanitarie operazioni di polizia internazionale dell’ultimo decennio del XX secolo e da ultimo con la guerra unilaterale di Bush. L’inganno postmoderno si svela apertamente di fronte allo sfaldamento nichilista del razionalismo. La pretesa di autofondazione e di assoluta autonomia della ragione umana si è dimostrata inconsistente e, oggi, per salvare la sana razionalità dall’irrompere dal basso di un oltre-subrazionalismo, che definire inquietante è dir poco, è necessario che la ragione accetti i suoi naturali limiti, perché sono tali limiti a caratterizzarla nella sua alta dignità creaturale, essendo il suo campo di indagine, tomisticamente parlando, quello appunto dei preambula fidei, e soprattutto che si apra verso l’Alto, verso il Mistero cristiano. Un discorso analogo può farsi per l’Europa di oggi: se essa non prende piena consapevolezza di non essere affatto la parte minore di un più vasto Occidente, organizzato intorno alla potenza mondiale americana, e soprattutto se essa non torna alle sue radici cattoliche (e tornare a tali radici non è certo questione di improbabili preamboli su carte costituzionali), dichiarando senza ambiguità che la propria pretesa moderna di rifondarsi anticristianamente è stata scelta storico-filosofica suicida, non ha possibilità di salvezza, né spirituale né di civiltà, e finirà per trascinare nella sua parabola di dissoluzione nichilista anche tutti quei beni politici, giuridici, sociali e civili che originariamente appartenevano all’eredità cattolica. I tralci strappati dalla vite sono destinati a seccare.
    1) Cfr. J. Bouwsma, L’autunno del rinascimento, Il Mulino, Milano 2003.
    2) Cfr. F. Cardini, Europa. Le radici cristiane, Il Cerchio Iniziative Editoriali, Rimini 2002.

    (CONTINUA)

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    Predefinito Rif: La deriva neoconservatrice della destra cattolica

    In God we trust: l’infatuazione americana della destra cattolica italiana ed europea.

    Sulla banconota americana da un dollaro compare la scritta: in God we trust (in Dio noi crediamo). Ma, dal momento che tale scritta si accompagna ad una complessa simbologia esoterica mutuata dal culto gnostico e luciferino praticato dagli adepti nelle logge massoniche (3), è doveroso per un cattolico chiedersi a quale “dio” rivolge il suo culto la “religione civile e patriottica” che è fondamento dello “spirito americano”. Una domanda, questa, che molti esponenti della destra cattolica non vogliono assolutamente farsi, per non disturbare lo Zio Sam impegnato a fronteggiare l’islamismo. Costoro, infatti, preferiscono indulgere nella superficiale lettura del percorso storico, che dalla Cristianità ha portato all’Occidente globale, alla stregua di un processo sostanzialmente unitario, al di là delle fratture intervenute nei secoli passati. Una lettura propria, non da ora, dei cattolici liberali, ai quali si sono accodati, da ultimo, i cattolici tradizionalisti infatuati dall’equivoco pensiero dei cattolici neocon come Michael Novak (già teologo progressista) e paleocon Russel Kirk (che crede di individuare nella Cristianità medievale le radici dell’“ordine americano”). Destinata, per questo suo cieco e fideistico filo-americanismo, al ruolo dell’utile idiota del potere finanziario transnazionale e multinazionale, certa destra cattolica non coglie, sorvolando ecumenicamente sulla frattura protestante intervenuta all’origine della modernità, il significato storico ed escatologico dell’inquietante passaggio dall’Universalismo cristiano-romano medievale alla globalizzazione dell’Occidente americanocentrico, il cui umanitarismo, “cristomimetico” e pertanto “anticristico”, oggi va sempre più sfaldandosi nel nichilismo post-moderno, che è il suo esito ultimo ed inevitabile. Un passaggio storico che, come si è detto, è stato reso possibile dalla svolta epocale, tra il XVI ed il XVII secolo, di parte della Cristianità verso l’Occidente protestante. Questo percorso storico, prima di approdare all’egemonia americana impostasi nel secolo scorso, conobbe una fase intermedia nell’“Europa cristiana” dei secoli XVII-XIX, che fu l’epoca delle chiese nazionali, luterana, anglicana, gallicana, e degli Stati nazionali, nella forma delle monarchie assolute e successivamente delle repubbliche giacobine e liberali. Europa cristiana che andò organizzandosi, a partire dalla Pace di Westfalia (1648) nel sistema gius-internazionale dello jus pubblicum europaeum, ossia del diritto interstatuale cristiano eurocentrico. Certo laicato cattolico di destra - da “Alleanza Cattolica” a “Comunione e Liberazione”, dalla “Tradizione Famiglia Proprietà” al “Centro Culturale Lepanto”, dai cattolici padani alla Borghezio a certe frange del tradizionalismo legittimista che confondono il federalismo transnazionale e reticolare con l’ impossibile restaurazione dei corpi intermedi dell’antica Cristianità - è sempre più assurdamente convinto che gli Usa, con l’avamposto mediorientale di Israele, siano il nuovo impero romano, che la Chiesa dovrebbe battezzare come suo “braccio secolare”. Gli Stati Uniti sarebbero, in tale prospettiva, il nuovo Cesare provvidenzialmente suscitato da Dio per il trionfo del Cristianesimo nel mondo. Ora, per Divina Rivelazione (Mt. 24, 11-12), sappiamo che la vicenda storica del Cristianesimo è destinata a vedere, con il passare dei secoli, il dilagare del mistero di iniquità ed il raffreddamento dell’amore di molti. La predetta convinzione sul ruolo provvidenziale degli Usa, nutrita dai cattolici convertiti all’ideologia neoconservatrice, è il riproporsi, a destra, della lettura sulle sorti radiosa della Fede cristiana nel mondo moderno, che è stata tipica del progressismo della Nuova Teologia negli anni ’60 e ’70 dello scorso secolo e che riuscì talmente ad influenzare le gerarchie al punto da far denunciare da un Papa, in apertura di un Concilio Ecumenico, i cosiddetti “profeti di sventura”(4) . Allucinati dal pericolo islamista, che pure esiste, i cattolici neocon, incapaci di fidare più in Dio che negli uomini, non vogliono riconoscere nell’egemonia mondiale degli Stati Uniti d’America il volto di quel “padrone del mondo” così ben descritto da Robert Hugh Benson nel suo omonimo romanzo. Come è stato con ironia sottolineato, il pensiero e soprattutto le risorse finanziarie del neoconservatorismo americano, giungendo fino in Europa, sono riusciti laddove hanno fallito fior fiore di trattati teologici e filosofici: ossia nell’impresa di convertire, con estrema e sospetta rapidità, ampi settori del tradizionalismo cattolico, fino a ieri refrattari a tutto ciò che sapeva di moderno e di liberale e quindi di americano, all’idea che la nuova Cristianità sia l’Occidente egemonizzato dalla superpotenza statunitense e dalle lobby multinazionali e sostenuto dall’asse atlantico della Magna Europa, un asse che avrebbe nel continente europeo la sua Grecia votata alla bellezza e alla storia e negli States la sua Roma vigile sull’ordine e sulla pace del mondo(5) . E’, questa, la tesi di Robert Kagan, uno dei più perspicaci neoconservatori americani. Tesi, tuttavia, che dimenticando la frattura epocale del XVI secolo, non convince affatto e si rivela soltanto come un utile instrumentum regni dell’egemonia americana. Le tesi neoconservatrici sono riuscite a far breccia in ampi settori del tradizionalismo cattolico in quanto esso, pur esprimendo una innegabile coerenza sul piano teologico e religioso, si trova nell’impossibilità di proporre nel mondo (post)moderno un modello politico attuabile. Pertanto, in base al principio del “male minore” e senza chiedersi se trattasi effettivamente della scelta del male minore, il tradizionalismo cattolico, per poter avere uno spazio politico accessibile, è costretto ad appoggiarsi, facendosene subalterno e strumentale, alle forze liberal-conservatrici e ai poteri economici del capitalismo globale, ieri in funzione anticomunista e oggi, di fronte alla minaccia del fondamentalismo islamista(6), in funzione filo-occidentale. Atteggiamento speculare, questo, a quello del progressismo cattolico che tende, sempre in nome del presunto male minore, a liquefarsi nel solidarismo umanitario facendosi subalterno della sinistra ieri comunista ed oggi libertaria, ecologista e terzomondista. Del trinomio rivoluzionario la destra cattolica sposa la liberté, mentre la sinistra cattolica sposa l’égalité (7) . Entrambe accettano le categorie politiche proprie all’immanentismo ateo, nate dal dualismo antropologico post-cristiano. La rottura protestante dell’unità cattolica si è manifestata anche mediante il rifiuto della tradizione teologica patristica e scolastica. Tale rifiuto ha significato per il pensiero politico la perdita del presupposto di un’antropologia unitariamente complessa ed aperta verso l’Alto. Con tale perdita compare il dualismo antropologico che è il fondamento delle categorie politiche moderne. Mentre Francisco de Vitoria poteva affermare sulla base dell’antropologia cattolica che homo hominis homo, volendo con ciò dire che l’uomo vive la propria esistenza e dunque anche la propria politicità, essendo capace del bene come del male, il pensiero protestante-illuminista ha elaborato due speculari antropologie contrapponendo all’homo hominis lupus l’homo hominis deus. Queste contrapposte antropologie sono il presupposto dello schema “destra/sinistra” su cui sono fondate le categorie della politica moderna. Queste categorie, tuttavia, nascondono, dietro l’apparente dualismo, una comune origine filosofica. Entrambe originano, infatti, dall’immanentismo chiuso ad ogni trascendenza. Questa comune origine fa della “destra” e della “sinistra” le due polarità contrapposte e complementari del pensiero politico moderno. Polarità interdipendenti in questa loro comune origine immanentista e della quale la “destra” ha sviluppato l’antropologia negativa, sulla linea del pessimismo cosmico, e la “sinistra” l’antropologia positiva, sulla linea dell’ottimismo cosmico. La teologia cattolica del politico, invece, presuppone una cosmologia ontologicamente non negativa ed un’antropologia né disperatamente pessimista né ingenuamente ottimista. Nella prospettiva cattolica l’essere creaturale, nella sua dipendenza ontologica da Dio, esprime tutta la propria positività (in Gen. 1, 31, a conclusione della creazione, è detto: “Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona.”), sicché l’uomo, rivestito di Grazia all’atto della sua creazione, è creato in una originaria bontà e perfezione, riverbero dell’Amore di Dio, ma viene ben presto segnato dalla ferita del peccato originale, ossia dalla fallace pretesa di auto-consistenza, che lo rende bisognoso di Redenzione. La deriva neoconservatrice conduce pertanto la destra cattolica (e la cosa, se può considerarsi come un esito ovvio per il liberalismo cattolico, è invece perlomeno inquietante se non catastrofico per il tradizionalismo cattolico) a ricoprire, nel gioco apparentemente duale dello schema moderno “destra/sinistra”, una posizione di fiancheggiamento del liberismo globale e transnazionale ad egemonia americana. Posizione, questa, speculare e complementare a quella cui è costretto il progressismo cattolico nell’alleanza con la sinistra post-comunista ed anarco-libertaria con la quale esso finisce per condividere, in un generico solidarismo umanitario, il pacifismo no-global che, a dispetto del nome in apparenza anti-global, cela in effetti il sogno di una globalizzazione di segno terzomondista secondo la prospettiva politicamente corretta, e del tutto occidentale, della sinistra euro-americana. Non è, infatti, un caso che, in Europa, sia la destra neoconservatrice sia la sinistra post-comunista siano filoamericane, collegandosi, idealmente, la prima al mondo repubblicano-conservatore e la seconda a quello democratico-liberal statunitense. La sottovalutazione delle radici protestanti dell’ordine americano espone l’infatuata destra cattolica europea all’accettazione sostanziale dell’antropologia negativa, della sociologia contrattualista e del decisionismo “imperiale” che caratterizzano l’ideologia neocon statunitense, filiazione diretta della linea Lutero-Calvino-Hobbes-Schmitt che è la linea del pessimismo cosmico-antropologico. Linea speculare a quella, dell’ottimismo cosmico-antropologico, Kant-Rousseau-Marx-Popper della quale è erede la sinistra liberal. Non è un caso se, a proposito delle divergenze europee sulla guerra preventiva americana, i neocon statunitensi abbiano visto in tali divergenze l’espressione di uno scontro in atto tra i seguaci di Hobbes e quelli di Kant, naturalmente prendendo posizione tra i primi. E’ in queste due linee, che nascono certamente in Europa, lungo i secoli del processo di scristianizzazione del vecchio continente, ma come variabili contrapposte e complementari dell’immanentismo ateo del pensiero politico moderno, e non nella patristica, nell’agostinismo o nella scolastica, che l’ordine americano, sia nella declinazione conservatrice che in quella liberal, ha le sue vere radici. Nell’ambito della filosofia giuridica e sociale, l’errore sostanziale dei conservatori che si pretendono “cattolici”, come Russel Kirk e Michael Novak, sta nel non sottolineare la differenza essenziale esistente tra il gius-naturalismo della tradizione teologico-giuridica del Cattolicesimo ed il gius-contrattualismo, o gius-razionalismo, protestante ed illuminista. Né la distinzione che le intelligenze più accorte dei cattolici (neo)conservatori, come Marco Respinti, divulgatore in Italia delle tesi di Russel Kirk, fanno tra conservatorismo “a cielo chiuso”, dunque a-religioso, e conservatorismo “a cielo aperto”, cattolicamente approcciabile in quanto religioso, impedisce la deviazione in senso contrattualista e liberal-borghese del gius-naturalismo. La mancata demarcazione tra gius-naturalismo e gius-contrattualismo tradisce la convinzione di una presunta continuità storica che non rende conto del processo di immanentizzazione avviatosi con lo scisma luterano-calvinista-anglicano, e del quale l’ordine globale americano, compiuto totalitarismo della dissoluzione, è l’esito politico ultimo. Questo errore si riflette nel tentativo di intellettuali catto-destri, come Marco Respinti, Gianni Baget Bozzo e Antonio Socci (8) , di distinguere tra la Rivoluzione Americana, di presunta matrice cristiana perché rispettosa del “diritto naturale”, e la Rivoluzione Francese anticristiana nel suo giacobinismo totalitario e liberticida. Tesi, questa, già avanzata a suo tempo dal latifondista controrivoluzionario anglicano Edmund Burke che ha tentato di distinguere tra la Rivoluzione Inglese, fatta in nome delle “libertà naturali” dell’individuo, e la Rivoluzione Francese illiberale (9) . Distinzioni che certamente non erano tra le motivazioni spirituali e sociali presenti, all’insegna dei Sacri Cuori di Gesù e Maria, agli insorgenti cattolici antigiacobini in Vandea, in Italia, in Spagna. In realtà dietro queste, traballanti, distinzioni si palesa nient’altro che il tentativo di conciliare il Cattolicesimo con l’anima “conservatrice” della (post)modernità incentrata sull’Occidente americanocentrico. Tentativo speculare a quello della sinistra cattolica di conciliare il Cattolicesimo con il solidarismo umanitario, il terzomondismo rivoluzionario, la teologia della liberazione, il giacobinismo della massoneria di sinistra, il pacifismo condito in salsa ecologica e panteista. Associazioni della destra cattolica come “Alleanza Cattolica”, il “Centro Culturale Lepanto” e la “Tfp” (Tradizione Famiglia Proprietà), si dichiarano propagatrici di un “conservatorismo tradizionalista” che consiste in un miscuglio di legittimismo assolutista, simpatia per il protestantesimo fondamentalista anticomunista, assolutizzazione sacralizzante anticaritativa ed antisociale della proprietà privata (specie se latifondiaria), moderatismo liberal-conservatore, massoneria di destra. Dagli scritti degli esponenti più rappresentativi di tali associazioni si ha la triste impressione che il continuo invocare la legge morale naturale, l’essenza della quale è invece innanzitutto quel che i giuristi medioevali chiamavano aequitas e nella quale essi vedevano il riverbero di una più alta Giustizia radicata nella Misericordia Divina, sia in realtà funzionale al moralismo perbenistico-borghese ed alla copertura di chiari interessi sociali. In questo, gli intellettuali della destra cattolica neoconservatrice italiana si ricollegano con le posizioni pro-life e sessuofobiche del fondamentalismo evangelico protestante americano, ben radicate nelle radici puritane degli Stati Uniti. Ma queste posizioni, essendo strumentali al rigorismo calvinista ed alla difesa degli interessi economici del ricco ceto “W(hite) A(nglo) S(axon) P(rotestant)”, nulla hanno da spartire con la dottrina cattolica del diritto naturale la quale è, senza dubbio, condanna del relativismo etico e difesa della vita e della famiglia, ma è innanzitutto affermazione di un fondamento pre-giuridico, su cui modellare lo status giuridico, della dignità umana in tutta la complessità del suo essere, non solo quello del nascituro ma anche, contestualmente, quello dell’uomo che vive nella sua naturale dimensione sociale, sempre più negata dalle politiche liberiste. Quanto di più lontano, ad esempio, dal pensiero di Michael Novak che, credendo di individuare nella valutazione cattolica delle “opere” contro la luterana sola fides la molla dello spirito capitalista, invita i giovani cattolici americani a gettarsi nell’agone economico imprenditoriale ed affarista allo scopo di “realizzare il Regno di Dio sulla terra”, senza però spiegare ad essi che le “opere” cui faceva riferimento il Concilio Tridentino sono le opere di carità, segno della trasformazione interiore, negata da Lutero, del cuore umano, per effetto della grazia, e senza riuscire a confutare convincentemente Max Weber che, al contrario, la molla del capitalismo vedeva piuttosto nell’oscuro ascetismo intra-mondano del calvinismo, rendendo così chiara la ragione storica per la quale il capitalismo più crudo e spietato abbia messo radici nei paesi protestanti, mentre in quelli cattolici il capitalismo è sempre rimasto condizionato da istanze sociali imposte dal primato, di diritto naturale, del Bene Comune. Quel che è sinceramente insopportabile nella destra cattolica neoconservatrice è tutto quello sciacquarsi la bocca, sull’onda del fondamentalismo protestante statunitense, con i “valori morali” e i “valori familiari” puntualmente dimenticati tra le sudate lenzuola adulterine nelle quali si agitano managers, politici e telepredicatori euro-americani. La destra cattolica neoconservatrice perverte la dottrina morale cattolica ed il concetto stesso di “diritto naturale”, inteso secondo l’insegnamento millenario della Chiesa, per giustificare il più cinico, spietato e disumano liberismo e per coprire gli interessi economici globali e transnazionali più impresentabili. La situazione di un Cattolicesimo prigioniero del dualismo conservazione/rivoluzione, destra/sinistra, per cui i cattolici anti-abortisti fanno scelte neoconservatrici ed i cattolici sociali fanno scelte progressiste, è stata ben descritta da Mary Ann Glendon, membro del Pontificio Consiglio per i laici e professore di diritto all’Università di Harvad, secondo la quale: “…negli Stati Uniti, esiste una divisione fra i cattolici che si riconoscono negli insegnamenti morali della Chiesa, ma hanno problemi ad accettare la dottrina sociale, e quelli che invece si trovano a loro agio con la seconda, e hanno difficoltà con i primi…. I repubblicani infatti difendono la vita, ma sono troppo indifferenti alle necessità sociali …, mentre i democratici si impegnano a favore dei più deboli, ma poi dimenticano gli insegnamenti della religione quando si tratta di aiutare la famiglia o di contrastare la cultura della morte. Questa situazione lascia tutti i cattolici seri insoddisfatti, e temo che si ripeta anche altrove”(10) .
    3) Cfr. A. Di Nicola, La simbologia del dollaro, Marino Solfanelli Editore, Chieti 1977.

    4) Ci riferiamo a Giovanni XXIII ed al suo discorso di apertura del Concilio Vaticano II. Un discorso che sembra gli sia stato preparato e propinato dai consulenti progressisti dei vescovi dell’area anglo-franco-olandese-tedesca dell’episcopato intervenuto al Concilio.

    5) Cfr. F. Cardini, prefazione a Philip Jenkins, La Terza Chiesa. Il cristianesimo nel XXI secolo”, Fazi Editore, Roma 2004.

    6) Minaccia islamista che, ripetiamo, non intendiamo affatto negare e che tuttavia non può essere motivo o occasione per un’equivoca operazione tendente ad agganciare la Chiesa cattolica al carro dell’Occidente americanocentrico. Giovanni Paolo II, rifiutando di appoggiare moralmente le pretese unilateraliste di Bush nonostante gli sforzi di un neoconservatore cattolico come Michael Novak precipitatosi a Roma su ordine del suo Presidente, ha provvidenzialmente saputo rimarcare che la Chiesa non è disponibile a piegare il Depositum Fidei a strumento di giustificazione teologica della politica di chicchessia e neanche di quella americana. Del resto ad analogo ricatto seppe opporsi già Pio XII che pur di fronte alla minaccia del comunismo rifiutò, negli anni della guerra fredda, le sollecitazioni di Truman affinché il Papa si ergesse a “Guida spirituale del Mondo Libero” ed affinché la Chiesa appoggiasse una sorta di “crociata anticomunista”. Papa Pacelli nel suo radiomessaggio del 1951 spiegò chiaramente perché le pretese di Truman erano inaccettabili e perché il cosiddetto “mondo libero” non era, e non è, amico della Chiesa cattolica, affermando quasi ex cathedra: “Ora quelli che a torto considerano la Chiesa quasi come una qualsiasi potenza terrena, come una sorta d’Impero mondiale, sono facilmente indotti ad esigere anche da essa, come dagli altri, la rinunzia alla neutralità, la opzione definitiva in favore dell’una o dell’altra parte. Tuttavia non può per la Chiesa trattarsi di rinunziare ad una neutralità politica per la semplice ragione che essa non può mettersi al servizio di interessi puramente politici. (…) Il divin Redentore ha fondato la Chiesa al fine di comunicare mediante lei all’umanità la sua verità e la sua grazia sino alla fine dei tempi. La Chiesa è il suo corpo mistico. Essa è tutta di Cristo. Cristo poi è di Dio (cfr. 1 Corinzi 3,23). (…)Uomini politici e talvolta perfino uomini di Chiesa, che intendessero fare della Sposa di Cristo la loro alleata o lo strumento delle loro combinazioni politiche, nazionali o internazionali, lederebbero l’essenza stessa della Chiesa, arrecherebbero danno alla vita propria di lei; in una parola, l’abbasserebbero al medesimo piano, in cui si dibattono i conflitti d’interesse temporali. E ciò è e rimane vero anche se avviene per fini ed interessi in sé legittimi. (…). Coloro … che …attendono oggi il loro unico nutrimento spirituale quotidiano, sempre meno da loro stessi, - vale a dire dalle loro proprie convinzioni e conoscenze - e sempre più, già preparato, dalla stampa, dalla radio, dal cinema, dalla televisione, come potrebbero concepire la vera libertà, come potrebbero stimarla e desiderarla, se non ha più posto nella loro vita? Essi cioè non sono più che semplici ruote nei diversi organismi sociali; non più uomini liberi, capaci di assumere e di accettare una parte di responsabilità nelle cose pubbliche (…) Questa è la condizione dolorosa, la quale inceppa anche la Chiesa nei suoi sforzi di pacificazione, nei suoi richiami alla consapevolezza della vera libertà umana (…). Invano essa moltiplicherebbe i suoi inviti a uomini privi di quella consapevolezza, ed anche più inutilmente li rivolgerebbe ad una società ridotta a puro automatismo. Tale è la pur troppo diffusa debolezza di un mondo che ama chiamarsi con enfasi il mondo libero. Esso si illude e non conosce se stesso: nella vera libertà non risiede la sua forza. E’ un nuovo pericolo, che minaccia la pace e che occorre denunziare alla luce dell’ordine sociale cristiano. Di là deriva altresì in non pochi uomini autorevoli del cosiddetto mondo libero una avversione contro la Chiesa, contro questa ammonitrice importuna di qualche cosa che non si ha, ma si pretende di avere…”. In proposito, si veda quanto scrivono Matteo Napoletano e Andrea Tornelli in Il Papa che salvò gli ebrei, Piemme, Casale Monferrato (AL) 2004, pp. 173 – 183.

    7) La fraternité è infine appannaggio di quei fratelli che, nelle logge e nei salotti elitari, ispirano e manovrano i due errori contrapposti…

    8) Sia comunque ben chiaro che, da parte nostra, ci dichiariamo perfettamente concordi con costoro quando fanno una seria apologetica, storica e teologica, della Fede. Tuttavia sentiamo l’inderogabile dovere di rimproverare loro la difesa cieca che essi fanno dell’Occidente attuale, incoerentemente lamentando poi il laicismo di cui è permeato. In altre parole, costoro riducono il Cattolicesimo al ruolo di puntello teologico-morale dell’ideologia liberista neoconservatrice e la Chiesa a strumento dell’Amministrazione americana del protestante fondamentalista G.W. Bush. Costoro, ai quali calzano perfettamente i rimproveri papali del radiomessaggio del 1951, non sfuggirebbero, oggi, al severo richiamo di un redivivo Pio XII.

    9) Cfr. E. Burke, Riflessioni sulla Rivoluzione francese, Ciarrapico Editore, Roma 1984. L’inconsistenza di ogni lettura continuista delle radici dell’ordine americano nella Cristianità europea appare chiara nella stessa riflessione dell’intellighenzia americana sostenitrice di una presunta continuità storica. La Columbia University, nell’ambito di una strategia culturale strumentale all’egemonia politico-economica americana, ha da tempo istituito cattedre di “western civilization” presso le quali si insegna che la storia dell’Occidente sarebbe un continuo work in progress a partire dalla Grecia antica fino alla nascita e sviluppo degli Stati Uniti d’America, passando per il Rinascimento italiano ed il protestantesimo: in tale sequenza è esplicitamente accantonata, secondo uno schema vetero-illuminista, l’età di mezzo, condizionata dall’egemonia della Chiesa Cattolica, che, pertanto, rappresenterebbe l’unico vero momento di pericolosa involuzione che l’Occidente abbia vissuto e dal quale Lutero ci avrebbe salvati.

    (CONTINUA)

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    Predefinito Rif: La deriva neoconservatrice della destra cattolica

    Il Potere Globale (ossia il Mistero di Iniquità) ed i suoi “utili idioti” cattolici.

    Dopo il fallimento storico della modernità nella sua versione “socialista”, nella fase postmoderna del processo di scristianizzazione si svela, senza più maschere umanitarie, l’oscuro messianismo luciferino, ispiratore di tale processo, e del quale il fondamentalismo protestante della destra repubblicana americana, con la sua fede ancestralmente puritana nella missione che Dio avrebbe affidato all’America nella lotta del Bene contro l’impero del male (ieri il comunismo, oggi l’islamismo), è l’espressione più ridicola ma anche più tragicamente pericolosa. La destra cattolica europea, nella sua più vasta parte, si è accodata a questa prospettiva, erroneamente ritenuta provvidenziale, nella segreta speranza di convertire l’America al Cattolicesimo. I cattolici tradizionalisti europei, scopertisi all’improvviso cattolici neocon, intravedono nella dottrina Wolfowitz/Rumsfeld/Rice della guerra preventiva l’aggiornamento della dottrina patristica sulla “guerra giusta”, laddove invece la dottrina dell’Amministrazione Bush manifesta non solo l’antico unilateralismo americano ma anche un retaggio filosofico prometeicamente nichilista. La tradizionale dottrina cattolica del bellum iustum, che si richiama immediatamente allo ius e quindi al diritto e solo successivamente, come istanza ultima, rimanda anche alla giustizia in senso etico, presuppone alcune condizioni, quali quelle dell’extrema ratio, del “male minore” e dell’Autorità internazionalmente riconosciuta che la sancisca e la delimiti per negare agli Stati contendenti la possibilità di proclamarsi giudici in causa sua. Queste condizioni sono del tutto mancanti nel “National Security Strategy of United State of America”, il documento con il quale l’Amministrazione Bush ha proclamato il diritto storico dell’America di usare preventivamente la sua ineguagliata superiorità militare senza alcun limite legale e contro qualunque (ed è bene sottolineare quel “qualunque”) Stato od organizzazione che ne minacci gli interessi e la supremazia mondiale. La dottrina cattolica della guerra giusta prevede la possibilità di fare guerra in difesa dei diritti di altri ma, al di là di questo caso particolare, essa concepisce la guerra per lo più come legittima difesa da un’ingiusta aggressione. La dottrina neoconservatrice della guerra preventiva invece afferma semplicemente il diritto del più forte a discapito della forza del diritto, tradendo tutto il decisionismo hobbesiano del quod placuit princeps habet vigorem legis, che tale dottrina sottende. La dottrina della guerra preventiva ha scardinato quel che rimaneva dell’ordine di legalità interstatuale, che per secoli ha governato le relazioni internazionali tra gli Stati, sancito, a conclusione della Guerra dei Trent’anni, nel 1648 con la Pace di Westfalia. Alla fine della Guerra dei Trent’anni, al momento del sorgere degli Stati nazionali, l’Europa inaugurò, con la pace di Westfalia, quel sistema di relazioni internazionali pre-globale, conosciuto come jus publicum europaeum, fondato sul principio di sovranità nazionale, che gli Stati rispettavano reciprocamente. Nell’ambito di tale sistema gius-internazionale, la guerra, ultima ratio in quel tipo di diritto internazionale, venne concepita alla stregua di un duello tra contendenti statuali in posizione di formale parità giuridica. La contesa bellica, in tale contesto giuridico, era legittima soltanto se effettuata tra Stati, con esclusione quindi di qualsiasi soggetto non statuale (imprese, clan, eserciti mercenari o privati, etc.). Inoltre, nessuna motivazione di nessun tipo, etico o economico, poteva porre uno dei duellanti in posizione di supremazia giuridica rispetto all’altro e nessuno di essi poteva invocare per sé una legittimità d’azione negata all’altro e tanto meno pensare di ergersi a giudice del vinto imputandolo di “crimini”, come succederà con la comparsa del diritto internazionale umanitario globale. Contemporaneamente, allo scopo di regolare ed umanizzare la guerra, resa più violenta dalle nuove armi da fuoco, veniva elaborato nel XVII secolo un diritto bellico che imponeva ai contendenti un tipo di guerra (la cd. guerre en forme) ritualizzata mediante operazioni “geometriche” sul campo di battaglia nel rispetto di precise norme militari finalizzate alla salvaguardia del maggior numero possibile di vite umane, al rispetto dei prigionieri di guerra e del territorio di occupazione nonché dei suoi abitanti. Questo tipo di diritto internazionale, sebbene chiudeva il periodo delle guerre di religione sancendo di fatto la protestantizzazione di mezz’Europa e il disconoscimento della Chiesa come superiore Autorità internazionalmente riconosciuta, aveva, tuttavia, il suo presupposto teorico più autentico nella concezione euro-cristiana del diritto internazionale elaborata dagli scolastici della scuola di Salamanca, dei quali Grozio è stato soltanto un succedaneo, debitore e corruttore. Esso venne meno nel corso della prima metà del XX secolo a seguito dei due conflitti mondiali e a causa del graduale tentativo, oggi ormai quasi completamente concretizzato, di superare, per l’unificazione politico-economica globale, il concetto di sovranità nazionale e la forma politica dello Stato nazionale. Nacque così il diritto internazionale umanitario o globale, presupposto del quale è l’esistenza di un Potere Umanitario Mondiale sovraordinato ai singoli Stati e capace di imporre ad essi la kantiana “pace perpetua”, che poi è l’ordine mascherato del più forte a tutela dei propri interessi. In tal modo le relazioni internazionali tra Potere Umanitario Mondiale e Stati nazionali si sono conformate al modello del rapporto esistente, all’interno dei singoli Stati, tra il “poliziotto”, detentore di un potere legale, ed il trasgressore destinatario della sanzione penale. Nella concezione euro-cristiana della guerra, come elaborata dai teologi di Salamanca, all’Autorità internazionalmente riconosciuta era attribuita soltanto la funzione di sancire chi tra i contendenti fosse nel giusto etico e giuridico, e fino a che punto lo fosse o lo rimanesse, e quella di arbitrare tra torti e ragioni, ripartendoli equamente, lasciando poi ai contendenti stessi la risoluzione convenzionale, diplomatica o bellica della controversia. Secondo il sistema di diritto internazionale umanitario globale, invece, la guerra diventa “azione penale” e non a caso le guerre dell’ultimo quindicennio sono state puntualmente definite “operazioni di polizia internazionale”. Si tratta del peggior tipo di guerra possibile, perché punitiva, repressiva, nella quale i contendenti non hanno formale parità giuridica internazionale e che, di fatto, serve alla tutela degli interessi del più forte mascherandoli dietro motivazioni umanitarie e “democratiche”. Dopo il 1918 ed il 1945 si è creduto di individuare il Potere Umanitario Mondiale, presupposto dal diritto internazionale globale, prima nella Società delle Nazioni e poi nell’Onu. Ma tali organismi non hanno ben funzionato. Di fronte a questo fallimento e al cambiamento dello scenario geo-politico post-guerra fredda, conseguente alla fine della potenza sovietica, la “dottrina unilateralista della guerra preventiva”, nella quale si esprime tutto il millenarismo del fondamentalismo protestante dell’Amministrazione Bush, affermando che la politica internazionale degli Usa non è vincolata dalle decisioni dell’Onu, fa assurgere gli Stati Uniti d’America al rango di quel Potere Umanitario Mondiale necessario all’applicazione del diritto internazionale globale e quindi al duplice ruolo di giudice e di poliziotto mondiale. Sono gli Usa, unilateralmente, a decidere quale deve essere l’ordine mondiale e chi abbia infranto la legalità internazionale. Ogni altro Stato è quindi in perenne pericolo di essere dichiarato “Stato canaglia” da un Potere Umanitario Mondiale certamente più efficace di quello dell’Onu ma anche, orwellianamente, totalitario con la sua legge globale. Di fronte a tale tipo di Potere Umanitario Mondiale, politico, militare e finanziario, come quello che gli Stati Uniti d’America oggi esercitano senza più ostacoli, tornano irresistibilmente alla memoria le inquietanti parole di un’antica profezia: “… le fu dato potere sopra ogni stirpe, popolo, lingua e nazione. L’adorarono tutti gli abitanti della terra…Faceva sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi ricevessero un marchio sulla mano destra e sulla fronte; e che nessuno potesse comprare o vendere senza avere tale marchio…” (Ap. 13, 7-8; 13, 16-17). In passato, intelligenze, in tutto o in parte, cattoliche, come Donoso Cortés e Carl Schmitt, hanno intravisto scenari scristianizzati di unificazione mondiale dell’umanità mediante il telegrafo o mediante la realizzazione del sogno leniniano dell’elettrificazione socialista globale della terra. Ma esse non potevano affatto immaginare quel che invece è oggi sotto i nostri increduli occhi. Se, come sappiamo dalla Rivelazione, quello dell’Anticristo sarà un regno mondiale “cristomimetico”, l’Occidente globale americanocentrico, filosoficamente fondato sulla riduzione umanitaria del Cristianesimo e che abbiamo visto nascere come aborto matricida della Cristianità medioevale, non ha le chiare parvenze di un’anticristica parusia? Ed in tal caso dove individuare, nello scenario mondiale attuale, oltre che nella Chiesa cattolica, la presenza del Katéchon capace di resistere e di opporsi al manifestarsi del mistero d’iniquità? La globalizzazione va riducendo il mondo intero all’unica officina di sansimoniana memoria e di fronte al potere transnazionale finanziario ed economico delle multinazionali e delle banche d’affari anglo-americane, la destra cattolica neocon non spiega come sia possibile simpatizzare con l’Amministrazione Bush, solo perché anti-abortista, e come, inavvertiti ascari di quel potere, ci si possa trastullare con discorsi magniloquenti sul “diritto naturale” e sulla “tradizione europea nei valori del Nuovo Mondo” mentre sull’intero pianeta si dispiega, umanamente irresistibile, la forza del mistero d’iniquità. Ai cattolici neocon, secondo i quali la Chiesa dovrebbe diventare il puntello teologico dell’unilateralismo di Bush e gli Stati Uniti dovrebbero assurgere al ruolo di braccio secolare della sua Autorità spirituale, è bene ricordare che, grazie a Dio, la Chiesa non si è piegata nella sua lunga storia a nessun potere mondano e che il Papato non ha mai accettato il ruolo, blasfemo, di cappellano di corte neanche degli imperatori e dei re quando essi si proclamavano cristiani e cattolici. Dobbiamo, in proposito, richiamare una bellissima pagina di quel grande giurista cattolico che fu Alvaro d’Ors: “…la Chiesa è una società santa universale, cattolica. Ma si può dire di più: è l’unica società universale realmente santa. Le altre società che pretendono di essere universali … finiscono, di fatto con l’essere contrarie alla volontà di Dio, e, per ciò, compiono peccato, precisamente un peccato d’orgoglio. Questo è molto grave, perché vuol dire che l’unità, per se stessa, non è sempre buona, ma che può essere riconosciuta come dannosa,(…) A sua volta, la non-unità, che potremmo chiamare pluralismo, non è sempre biasimevole per se stessa, ma può essere voluta da Dio. (…). L’idea di uno Stato universale sembra contraria non solo alla naturalezza delle cose imposte da Dio, ma anche in quanto è utopica. Per ciò, l’ambizione ad un potere totale del mondo si prospetta oggi come il predominio di un controllo economico nascosto, mantenendo l’apparenza di un pluralismo politico universale. (…). L’unità forzata di uno Stato universale sarebbe contraria alla libertà e, per ciò, alla morale cristiana. Ma nemmeno sembra essere conforme alla volontà di Dio, poiché attenta ugualmente contro il dogma della Potestà regia di Gesù Cristo, l’unità universale che pretende conseguire il governo sinarchico … anzi, questo potere universale segreto, il cui fine è il dominio universale per il controllo economico, è essenzialmente anticristiano; presenta rischi chiaramente satanici, imitare l’unità universale della Chiesa di Cristo e nascondersi come autorità clandestina fingendo che i popoli siano liberi di eleggere altre podestà; effettivamente, la menzogna, che si manifesta nell’imitazione grottesca del divino e nel travestimento davanti agli uomini, è proprio del demonio, padre della menzogna e necessariamente nemico, pertanto, della verità, che è lo stesso Gesù Cristo. Come abbiamo detto, l’unica unità universale positivamente voluta da Dio è la Chiesa, e sembra conforme a questa stessa volontà il fatto che esistano diverse podestà nell’ordine politico, adattate alle differenze naturali delle nazioni: all’unità della Chiesa corrisponde la pluralità del mondo secolare, e l’unità politica del mondo secolare, in cambio, attenta sempre contro l’unità santa della Chiesa. (…). Tutta l’organizzazione politica del mondo deve partire dalla pluralità politica come qualcosa voluto da Dio, a differenza dell’unità della sua Chiesa. Tutta la pretesa di unificare il governo del mondo, sia chiaramente, in forma di Stato universale o altra forma di organizzazione con podestà unica su tutti i popoli, sia in maniera occulta a modo della Sinarchia economica, è contraria alla volontà di Dio e non merita di essere accettata come potere costituito.” (11)

    10) Mary Ann Glendon, “La Chiesa” (colloquio di Paolo Mastrolilli) in Terzo Millennio. Le grandi interviste della Fondazione Liberal, supplemento al numero 3/2000 di FL, bimestrale della Fondazione Liberal, p. 98.

    11) A. d’Ors, La violenza e l’ordine, Marco Editore, Lungro (CS) 2003, pp. 105-142.

    (CONTINUA)

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    Predefinito Rif: La deriva neoconservatrice della destra cattolica

    Origini, sviluppo ed egemonia di un’ideologia rivoluzionaria. L’aggressione neocon allo Stato sociale europeo.

    E’ stato notato che la dottrina neoconservatrice sulla guerra preventiva ed unilaterale manifesta, rispetto all’ordine internazionale previgente, una carica eversiva radicale analoga a quella della dottrina internazionalista sovietica la quale dichiarava l’Unione sovietica, in quanto rappresentante di tutti i lavoratori del mondo, unico Stato legittimo al cospetto di tutti gli altri di per sé stessi illegittimi perché “Stati borghesi” (12) . A questo punto sovviene il forte sospetto che quella neoconservatrice sia un’ideologia rivoluzionaria piuttosto che “conservatrice”, nel senso classico della parola. In effetti, come ha rilevato Franco Cardini, l’etichetta “conservative” si addice molto poco a quella che piuttosto appare come “una nuova destra agile, spregiudicata, proiettata in avanti, nostalgica del futuro, che deve alla sua eredità di sinistra la sua voglia di cambiare il mondo anziché di star a contemplarlo e alla sua vocazione il desiderio di possederlo appieno, d’informarlo, di risplasmarlo a sua immagine e somiglianza.” (13)I neoconservatori americani sono dei liberal assaliti dalla realtà, ossia intellettuali passati dall’utopia democratico-pacifista al cinismo decisionista-bellicista, e nella loro aspirazione a cambiare il mondo mediante l’esportazione universale del presunto “migliore dei sistemi possibili”, ossia la democrazia elitaria americana, si rinviene, non solo un “delirio giacobino” come ha osservato Sergio Romano, ma anche una profonda assonanza filosofica con il vecchio principio marxiano che attribuiva appunto alla filosofia il compito di trasformare il mondo rinunciando alle domande fondamentali sull’essere e sull’esistenza. I neoconservatori americani, in questo affini ai libertarians o anarcoliberisti, mutuano dalla filosofia marxiana anche l’avversione assoluta verso lo Stato. Lo Stato, infatti, è da essi inteso, anche in tal caso secondo una prospettiva marxiana, come “sovrastruttura autoritaria” e viene condannato perché con il suo limite territoriale è di ostacolo ad un ordine economico transnazionale che consegni l’umanità, sotto l’egemonia americana, non ad una giusta ed equilibrata modernizzazione, che apporti ad essa condizioni di vita dignitosa in un onesto ma modesto benessere, ma al sogno prometeico e millenarista della “fine della storia” e della “pacifica prosperità globale”. Questo sogno, che fu già proprio dell’internazionalismo marxista, è ricomparso oggi nella forma dell’utopia liberista del mercato mondiale, e costituisce, per coloro che hanno orecchi per intendere e occhi per vedere, la nuova versione dell’antica luciferina promessa di autodivinizzazione dell’umanità (“Eritis sicut Dei”). L’ideologia neoconservatrice è l’anima del turbocapitalismo iperconcorrenziale e globale, oggi egemone, che ha per obiettivo quello di abbagliare l’uomo con i luccichii delle sue vetrine sfavillanti facendogli dimenticare le realtà eterne ed il suo destino finale di salvezza o dannazione. L’uomo dell’età della globalizzazione turbocapitalista, stimolato alla conquista materiale del mondo, è costretto ad una vita di iperattivismo frenetico che non lascia spazi alla preghiera, alla meditazione, ai valori familiari, con quali conseguenze di dissoluzione psichica e sociale lo apprendiamo dalle cronache quotidiane ridondanti di omicidi-suicidi e di depressioni-ossessioni a sfondo sadomasochista ed orgiastico. Anche questo iperattivismo tradisce la propria origine marxiana nel principio, appunto, marxista del primato della prassi sull’Essere. Di fronte alla situazione di lucida follia epilettica nella quale l’umanità sta precipitando, trascinata dal turbocapitalismo globale, diventa imprescindibile, soprattutto da un punto di vista cattolico, difendere, oggi, quel che, ieri, è stato il nemico dell’Ecclesia Universalis ossia lo Stato nazionale. Ha scritto Franco Cardini molto opportunamente: “…il tema della dissoluzione dello Stato, e dello Stato-nazione in particolar modo, è fondamentale al giorno d’oggi. Un’altra funzione dello Stato nazionale moderno, specie da quando si è conquistata e accettata la dimensione di Stato sociale - una delle più grandi conquiste del Novecento, è stato detto – è quella del riequilibrio delle sperequazioni sociali, della riduzione delle ingiustizie, dell’eliminazione dalle fasce più deboli di quel livello d’indigenza che obbliga a vivere al di sotto di uno status dignitoso. Nell’Europa del XX secolo esso è stato sostanzialmente raggiunto dappertutto e sotto qualunque sistema politico: liberaldemocratico, fascista, socialista. Lo stesso non si può dire di tutto il resto del mondo: Stati Uniti compresi, a causa delle sacche di penosa miseria che vi permangono. Lo Stato sociale non punta certo all’uguaglianza ma si occupa di compensare le sperequazioni, ridistribuire in parte la ricchezza, eliminare la miseria, fornire a tutti un minimo di sicurezza sul piano almeno della salute e dell’anzianità, assicurare il diritto all’istruzione di base,…, dar fondamento credibile a un patto sociale che consenta la decente convivenza tra classi sociali differenti e quindi un ordine che non sia solo quello costrittivo, di polizia. Per questo non si può non mostrarsi preoccupati dinanzi ai sintomi della … crisi…della sovranità degli Stati nazionali, minacciata dall’esistenza degli organismi internazionali e sopranazionali al di sopra di essi, dall’insorgenza d’istanze variamente autonomistiche quando non separatistiche al di sotto o dall’interno e, infine, dalla crescente importanza di realtà che in qualche modo ne limitano l’azione nell’atto stesso in cui contribuiscono a renderla magari più funzionale ed efficace (e alludo per esempio alle Organizzazioni Non Governative e alle varie applicazioni del cosiddetto principio di sussidiarietà).” (14 )Uno dei problemi più gravi che si pone al mondo cattolico è quello di comprendere che il “principio di sussidiarietà” - un tempo, quando lo Stato giurisdizionalista era il nemico principale della Chiesa, caposaldo della Dottrina Sociale Cattolica - deve essere rielaborato tenendo conto che esso è oggi diventato il cavallo di battaglia delle pulsioni antistuatualiste, privatrizzatrici e liberiste. Infatti, nella sua versione “orizzontale”, la sussidiarietà tende verso una socialità reticolare, contrattualista e transnazionale. Tuttavia, della cosiddetta “sussidiarietà orizzontale” non c’è traccia nei documenti del Magistero sociale dei Pontefici. E’ necessario, pertanto, riaffermare l’originaria formulazione verticale della sussidiarietà, come ben espressa da Pio XI nell’enciclica Quadragesimo Anno (paragrafo 81, dove si parla di “ordine gerarchico tra le diverse associazioni”), in base alla quale, ad esempio, al contrario di quel che accade attualmente nell’U.E. organizzata sul modello monnetiano dell’Europa delle Regioni, si dovrebbe sempre rispettare l’intangibilità della gerarchia dei livelli istituzionali esistenti tra l’ organizzazione sopranazionale, ossia l’Unione Europea stessa, e gli Stati nazionali e gli enti locali infrastatuali, evitando di porre questi ultimi in diretto contatto con i livelli sopranazionali e, transnazionalmente, con gli enti locali interni ad altri Stati nazionali. Il neoconservatorismo ha assunto una visibilità pubblica mondiale con la presidenza Bush ma in realtà esso è frutto di un lungo processo di elaborazione culturale. Il pensiero neoconservatore muove i suoi primi passi verso l’egemonia culturale agli inizi degli anni ’70 del secolo scorso quando lo Stato sociale e l’economia keynesiana entrano in crisi per l’eccessiva spinta inflazionista causata dalla spesa pubblica fuori controllo per via dell’uso strumentale e demagogico dei principi keynesiani effettuato dalle classi politiche occidentali a scopo bassamente elettoralistico. Il neoconservatorismo, mano a mano che lo “statalismo” sprofondava verso la paralisi, diventò egemone, propugnando il liberismo nella sua versione più dura e preparando le successive vittorie politiche di Margaret Thatcher e di Ronald Reagan. In quanto sistema di pensiero il neoconservatorismo può farsi risalire perlomeno alla fondazione, nel 1947, per iniziativa di Friedrich August Von Hayek, il padre della liberista Scuola di Vienna, della “Mont-Pélerin Society”, una sorta di “massoneria liberista” che riuniva, oltre allo stesso Hayek, personaggi come Karl Popper, il teorico della “società aperta”, Walter Lippmann, portavoce giornalistico dei poteri forti americani, Salvador de Madariaga, filosofo liberalconservatore ispanico, Ludwig Von Mises, economista liberista della Scuola di Vienna, Milton Friedman, il noto economista neomonetarista all’epoca agli esordi universitari, Maurice Allais, futuro premio nobel e, tra i padri nobili del pensiero neoconservatore, l’unico che ha corretto criticamente le sue antiche posizioni per abbracciare le sue odierne coraggiose posizioni di spietato critico del liberoscambismo globale. Lo scopo di tale “setta” era quello, poi riuscito, di preparare l’ état d’esprit necessario affinché l’ideologia neoconservatrice, che a conti fatti rappresenta l’esito nichilista del pensiero liberalconservatore classico, diventasse egemone in occidente. Il programma di destrutturazione liberista delle società europee ed occidentali, propugnato dal neoconservatorismo, ebbe modo di prendere corpo nel corso degli anni ’80 e ’90 del secolo scorso quando, con la comparsa delle nuove tecnologie informatiche e telematiche, diventarono possibili, in termini globali, la delocalizzazione del lavoro e l’esplosione della frenesia concorrenziale. Iniziò così, in quegli anni, a delinearsi una trasformazione sociale che comportò la progressiva destrutturazione della grande impresa, lo sviluppo delle piccole e piccolissime imprese, la “terziarizzazione” e la “finanziarizzazione” dell’economia. Fu quella l’epoca dolorosa della crescita esponenziale dell’espulsione della forza lavoro dai processi produttivi ormai sempre più automatizzati. Per tutto il decennio degli anni Ottanta del XX secolo si è assistito all’aumento vertiginoso dei processi di “esternalizzazione” delle attività non più riconducibili, per via dell’ingresso delle nuove tecnologie, al core business aziendale, anch’esso sempre più ristretto mano a mano che le medesime innovazioni tecnologiche lo consentivano. Le conseguenze sociali di questa ristrutturazione dei processi produttivi non tardarono a farsi sentire in termini di richiesta di maggior flessibilità ed autonomizzazione del lavoro che diventò sempre più individuale e precario, fino alla comparsa delle più variegate forme di lavoro atipico dai “co.co.co.”, al “lavoro interinale”, al “lavoro a chiamata”, al “lavoro temporaneo” e via fantasticando. Emerse, sull’onda della destrutturazione dello Stato nazionale e sociale promossa dal pensiero neoconservatore, un’economia “nichilista” che si esprime nella distruzione del lavoro stabile ed a tempo indeterminato (negli Stati Uniti, soltanto nel gennaio 2001, sono stati distrutti quasi 2,7 milioni di posti di lavoro dipendente sostituiti da forme di lavoro precario) fino al paradosso, denunciato da molti economisti come fenomeno mai prima registrato nella storia economica dell’umanità, dell’aumento della produzione cui non consegue aumento dell’occupazione stabile. L’economia post-industriale, alla quale l’ideologia neoconservatrice insieme alle nuove tecnologie ha aperto la strada, produce ricchezza facile, immediata, immateriale e per questo però volatile ed illusoria, come i recenti crack di multinazionali sul tipo della americana Enron e dell’italiana Parmalat hanno dimostrato con la rovina di masse di ingenui risparmiatori e di ignari lavoratori. Il modello economico turbocapitalista anglo-americano è riuscito, a causa dell’abbattimento globale delle frontiere nazionali, a vincere in competizione con il modello europeo-continentale molto più attento alle esigenze sociali e nazionali. Quello europeo-continentale, infatti, è un modello che tende alla stabilità perché è nato in una cultura antica e millenaria che ha saputo sviluppare una modernità “sociale”. La globalizzazione liberista, invece, nasce e si sviluppa in una cultura - quella anglo-americana – giovane, senza storia e senza radici, nomade e per questo tendente alla dissoluzione di ogni legame e vincolo sociale. La globalizzazione è barbarie nichilista di fronte alla quale un pensiero veramente e sanamente “conservatore”, e pertanto per definizione difensore della stabilità sociale, dovrebbe ritrarsi inorridito. Cosa questa che prova ancora una volta, laddove ve ne fosse bisogno, che quello neocon, con la sua simpatia per l’unilateralismo bellico in politica e per il duro liberismo globale in economia, non è un vero pensiero conservatore, ma al contrario costituisce una ideologia nichilisticamente rivoluzionaria nel senso descritto da Dostoevskij ne I Demoni. Negli Stati Uniti e nel Regno Unito, storicamente, il processo di razionalizzazione del sistema produttivo è sempre stato connotato da profonde differenze rispetto all’Europa continentale e non è mai veramente giunto, per via della mancanza di una tradizione étatiste, alla concezione dello Stato sociale come conosciuto da Germania, Italia, Spagna, Francia etc. Le radici prevalentemente cattoliche dell’Europa continentale hanno reso possibile la recezione nella legislazioni sociali di tali Stati del principio cristiano enunciato da Leone XIII, nella Rerum Novarum, secondo il quale “il lavoro non è merce” cui fa da corollario l’altro fondamentale principio, anch’esso enunciato nella citata enciclica, della “giusta mercede”. Sulla base di tali principi, nel corso del XX secolo, gli Stati nazionali consolidarono la propria sovranità anche sul piano sociale ed economico attraverso il controllo pubblico del mercato del lavoro, la razionalizzazione del sistema di produzione e di circolazione della ricchezza, la composizione dei conflitti e delle tensioni sociali legati al processo di industrializzazione. In tal modo in Europa si affermò, durante il secolo scorso, l’idea che salari più alti, limitazioni dell’orario di lavoro, riconoscimento dei sindacati, politiche interclassiste, abolizione del lavoro minorile ed interventi sociali analoghi avrebbero permesso di contenere la disoccupazione, attenuare le tensioni sociali, innalzare il potere d’acquisto generale. Onde consentire il raggiungimento di tali obiettivi, in un clima di competizione politica ed economica internazionale, si concordarono strategie comuni tra gli Stati nazionali. Oggi la globalizzazione, avendo esautorato lo Stato nazionale come soggetto politico e di diritto ed avendo imposto, nell’illusione di disciplinare il mercato globale, organizzazioni transnazionali, controllate da poteri economici multinazionali, impedisce qualsiasi codificazione di un diritto sociale interstatuale. Non si stipulano più accordi bilaterali o plurilaterali tra Stati per la regolazione delle tutele di Welfare, in modo da rendere omogenei i costi sociali e di produzione delle diverse economie nazionali che si trovano a competere sul mercato internazionale e in modo da impedire forme di scambio ineguale e di reciproca concorrenza selvaggia. In nome della globalizzazione si mettono in concorrenza mercati a garanzia sociale avanzata con mercati semischiavistici costringendo i primi ad abolire il Welfare anziché i secondi ad adeguarsi ai livelli di socialità dei primi. Dal punto di vista cattolico, e purché non si giudichi soltanto sotto il profilo del Pil o della sola efficienza economica, come fanno i liberisti, è preferibile un’economia più stabile e meno dinamica sul modello del “capitalismo sociale”, ossia dell’economia mista pubblico-privato nella quale lo Stato interviene per dirigere oltre che per regolare e controllare a fini sociali il mercato, raccomandato dalla Dottrina Sociale Cattolica. Un modello storicamente realizzato, in Italia, a partire dagli anni trenta del secolo scorso, per iniziativa del regime fascista, e sviluppato, senza soluzioni di continuità nonostante il cambio di regime politico, nel dopoguerra dai governi a maggioranza democristiana, fino a quando ad iniziare dagli anni ’80 il neoliberismo ha aperto le porte al disumano, oltre che non cristiano, turbocapitalismo. Ora che il liberismo, soprattutto per via delle politiche deflazioniste imposte ai governi dalle Banche Centrali di tutto il mondo e per via della deregulation degli scambi che ha consentito la finanziarizzazione dell’economia a scapito della produzione, sta dimostrando tutta la sua inconsistenza, perché invece che il benessere planetario ci ha dato ripetute recessioni, che sembrano preludere ad una ancor più grave depressione sul tipo di quella del 1929, la condizione dell’uomo postmoderno, ingannato dallo sfavillare delle vetrine luccicanti del mercato globalizzato, si va facendo ancor più tragica dal momento che l’iperattivismo frenetico al quale è stato condannato gli diventa necessario non più per conquistare quanto più illusorio e volatile benessere possibile ma addirittura per sopravvivere. Infatti davanti ai suoi increduli occhi va gradualmente, ma recentemente con una inusitata velocità, scomparendo il miraggio della facile sovrabbondanza a portata di mano mentre si manifesta la sempre più palpabile realtà della precarietà del lavoro, della disoccupazione di massa e di un mondo nel quale i due terzi dell’umanità dovrà sopravvivere senza certezze in nome della flessibilità e un terzo, e forse anche meno, quello “che conta”, ossia il gotha tecnocratico e finanziario del mondialismo, vivrà, finché Dio non giudicherà colma ogni misura, nella sicurezza di un mondano paradiso dorato. La ybris gnostica, quella dell’umanità prometeica che nella sua superbia autodivinatoria disconosce ogni limite ed ogni autocontrollo etico, già in passato vera anima della modernizzazione, ha oggi rotto tutti gli argini a suo tempo posti per frenare il dilagare delle più oscure pulsioni umane, quelle stesse che si vanno manifestando nell’orgiastico e necrofilo turbocapitalismo globale. Giustamente Franco Cardini definisce la globalizzazione “totalitarismo liberistico” (15). In tal senso Augusto Del Noce, intuendo la portata nichilista di tale processo storico, denunziava il nuovo totalitarismo della dissoluzione, ritenendolo molto più capace di dominio assoluto che non i precedenti hitleriani e staliniani, ed individuava in esso l’anima profonda della società permissiva neoborghese di massa nata dalla contestazione giovanile di importazione americana e di impostazione libertaria del ’68, anno nel quale la mutazione antropologica dell’uomo occidentale si manifestò con tutta la sua virulenza e nel quale il pensiero neoliberale, sia nella sua forma liberalconservatrice che in quella liberalprogressista, recentemente ricongiuntesi nella forma dell’anarcoliberismo neoconservatore statunitense, iniziò la sua parabola verso l’egemonia di cui oggi gode. Furono quelli gli stessi anni in cui anche la Chiesa venne squassata dalle tempeste postconciliari delle quali Paolo VI lamentava la sorpresa per coloro che, come inizialmente egli stesso, si aspettavano invece una “nuova pentecoste” o una primavera per la cristianità. Ma se il fumo di Satana era penetrato nel tempio da qualche fessura, sempre per restare alle limpide parole di Papa Montini, la gerarchia ecclesiale avrebbe dovuto chiedersi di quale fessura si trattasse ed avrebbe dovuto dare un’occhiata ai documenti di attuazione del Concilio e ai nuovi canoni liturgici per verificare se le crepe del Bastione, del Katéchon, non fossero lì. Ma sembra che essa, salve rare eccezioni (come i cardinali Siri, Ratzinger, Biffi), a tutt’oggi non abbia affatto intenzione di effettuare alcuna verifica. La Chiesa sembrava in quegli anni dimentica del discorso escatologico di Cristo che preannunziava, con lo scorrere dei secoli, il trionfo dell’errore ed il raffreddamento dell’amore di molti, e delle ammonizioni di san Paolo sul mistero di iniquità e sul suo futuro momentaneo trionfo. Essa, preda in quegli anni di un insensato ottimismo di sapore pelagiano e gioachimita, sembrava dimentica del destino di passione e martirio cui, secondo quanto ha profetizzato il suo Fondatore, è destinata, nonché dimentica del fatto che la Parusìa sarà preceduta dalla manifestazione del “figlio della perdizione”, ossia dell’Anticristo. Anche in Italia le sconfitte cattoliche su divorzio ed aborto dimostrarono quanto la secolarizzazione avesse inciso in profondità nei cuori umani e nel tessuto sociale. Si consumò così la débâcle del maritainismo e dei sogni sulla “nuova cristianità” e lo stesso Maritain, dopo aver girovagato per tutte le più eterodosse esperienze alla sequela del tanfo gnostico di un Bloy, finì per ammettere e ritrattare i propri errori nell’ultima sua opera, Le paysan de la Garonne, e per dichiarare pubblicamente che dopo il Concilio Vaticano II la Chiesa si era inginocchiata al mondo. Fine del cattolicesimo democratico e del suo trionfalismo di segno progressista. Ed inizio, in quegli stessi anni, del nuovo inganno “neoconservatore” nel quale va cadendo, proprio quando il cattolicesimo progressista si dichiara ormai storicamente sconfitto, il laicato cattolico di estrazione “tradizionalista”, a dimostrazione che in effetti la dicotomia destra/sinistra, interna e propria della logica moderna, è la trappola nella quale con troppa facilità cadono i cattolici, a seconda del clima epocale in cui si trovano a vivere, nel loro insensato rincorrere il mondo ormai da secoli sulla via del rifiuto di Cristo e della sua Chiesa cattolica.

    12) Maurizio Blondet, Chi comanda in America, Effedieffe, Milano 2002, p. 165.

    13) F. Cardini, Astrea e i Titani. Le lobbies americane alla conquista del mondo”, Laterza, Roma-Bari 2003, p. 114.

    14) Idem, pp. 144-145.

    15) Idem, p. 155.

    Luigi Copertino:La deriva neoconservatrice della destra cattolica

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