VIAGGIO DEL PAPA
TURCHIA QUEL RINVIO SOLO MIOPE
Vittorio E. Parsi
Quali saranno mai le ragioni che hanno condotto il governo di Ankara a una indelicatezza tanto gratuita e plateale nei confronti del Pontefice da poco eletto?
Invitato ufficialmente da Bartolomeos I, patriarca ortodosso di Costantinopoli, per celebrare insieme la festa di Sant'Andrea, il prossimo 30 novembre, Benedetto XVI si è visto, di fatto, "rinviare il visto".
Potrà sì andare in Turchia, ma in una data da definirsi nel corso del 2006. Nel frattempo, secondo indiscrezioni trapelate da fonti turche solitamente bene informate, Ankara lavorerà perché il Papa abbia a mutare opinione circa l'ammissione della Turchia nell'Unione Europea, cercando addirittura di ottenere una sua favorevole dichiarazione nel corso della futura visita.
Con tutta la simpatia per le aspirazioni della Turchia a veder definita in senso vantaggioso una questione che si trascina da tempo, è difficile non restare esterrefatti di fronte a un comportamento che a prima vista si direbbe autolesionista al limite dell'idiozia. Ma come, Ankara sa di avere gli occhi del mondo puntati addosso, di dover conquistare un'opinione pubblica europea in parte ancora ostile nei confronti della sua adesione, e se ne esce con un'azione così piccata e infantile da essere giornalisticamente rubricata come inqualificabile?
Alla ricerca delle possibili ragioni, va subito chiarito un punto.
È difficile concepire che la decisione del governo turco sia riannodabile alla tradizione rigidamente laica ereditata da Atatürk, per cui sono le autorità politiche a stabilire quando un capo di Stato straniero può visitare il Paese. Non è certo facendo la voce grossa con i cattolici e con gli ortodossi che ancora risiedono nel Paese che il partito islamico moderato al governo attesterà la propria laicità o rassicurerà i partner europei sul rispetto della libertà religiosa.
Ed appare altrettanto ingenuo che qualcuno all'interno delle istituzioni turche possa aver pensato che un semplice tatticismo basti a far mutare idea a Benedetto XVI, rispetto a quanto affermato dal cardinal Ratzinger circa le cautele da osservare per una piena membership turca nell'Unione. Ben altri gesti, orientati all'accoglienza e alla disponibilità, possono impressionare l'opinione pubblica e dunque presumibilmente anche chi, senza potere alcuno, gode però di un'enorme autorità spirituale e morale.
Viene allora da chiedersi se questo gesto, unito ad altri, non indichi piuttosto un deficit di apertura democratica, di una cultura cioè capace di investire fiducia e di distribuirla a 360 gradi, senza calcoli preventivi e senza sottigliezze bizantine. Non osiamo neppure pensare infatti che al fondo ci possa essere un surrettizio intento a provocare una rottura da esibire come offesa all'orgoglio nazionale.
Del resto, che il cammino verso l'adesione di Ankara all'Ue sia irto di ostacoli politici, è stato testimoniato ancora ieri dalla battuta a vuoto registrata nell'incontro tra i 25 Paesi della Ue che avrebbero dovuto formalizzare una risposta da dare alla Turchia, dopo il suo no al riconoscimento di Cipro. Un altro tassello mancante, quindi, in vista dei negoziati che dovrebbero iniziare il 3 ottobre.
Insomma, la decisione di procrastinare la visita pastorale - anzi ecumenica - del Papa rientra di fatto in un momento complessivamente difficile, con un'opinione pubblica turca in fase di raffreddamento nei confronti dell'adesione all'Unione che, secondo il recentissimo rapporto «Transatlantic Trends», è sceso addirittura di dieci punti. E proprio nell'anno in cui l'Unione europea ha aperto ufficialmente il negoziato d'adesione.
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