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    Predefinito Cina: aborti forzati. Pechino fa "mea culpa"

    CINA: ABORTI FORZATI NELLO SHANDONG, PECHINO FA 'MEA CULPA'


    (Tq/Agi) - Pechino, 20 set. - Le autorita' cinesi hanno ammesso che
    nella provincia orientale dello Shandong, all'inizio del 2005, migliaia
    di persone sono state forzate ad abortire o ad essere sterilizzate.
    Secondo l'agenzia 'Xinhua', gli abusi sono avvenuti nella citta' di
    Linyi, dove l'agenzia di pianificazione familiare locale ha obbligato
    le donne a sottoporsi al'interruzione di gravidanza oppure ha arrestato
    i familiari dei contadini che rifiutavano di essere sterilizzati. "I
    responsabili sono stati destituiti dagli incarichi", ha detto Yu
    Xuejun, portavoce della Commissione Nazionale per la popolazione e
    pianificazione familiare. "Le indagini preliminari indicano che
    pratiche di pianificazione famigliare illegale hanno violato i diritti
    legali e gli interessi dei cittadini", ha aggiunto Yu. Nei giorni
    scorsi, il settimanale 'Time' aveva scritto che 7.000 persone erano
    state sterilizzate contro la loro volonta', mentre alcune
    organizzazioni a tutela dei diritti civili avevano denunciato la morte
    di alcune persone picchiate dopo l'arresto. Uno degli attivisti locali,
    Chen Guangcheng, che e' cieco e che ha fatto filtrare sulla stampa
    straniera la notizia degli abusi, e' in sciopero della fame da domenica
    scorsa, perche' le autorita' non gli permettono visite esterne.

  2. #2
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    Viaggio in Cina, la patria degli aborti forzati

    di Stefano Caredda/ 22/09/2005

    Mentre nel nostro paese, dopo lo stop alla sperimentazione della pillola abortiva Ru486, si ritorna a parlare di interruzione della gravidanza, dall’estremo oriente giungono storie di aperta e costante violazione dei diritti umani.



    Ritorna in primo piano l’aborto, ritorna in primo piano in Italia dopo la notizia dello stop alla sperimentazione della pillola Ru486, avviata poco più di dieci giorni fa all’ospedale Sant’Anna di Torino. Uno stop deciso dal ministero della Salute, che contesta il mancato rispetto delle procedure, particolarmente per ciò che riguarda la mancata previsione di un costante controllo ospedaliero della donna che si sottopone ad aborto chimico. Una decisione tecnica, criticata aspramente da molti rappresentanti del mondo sociale e politico, e che riaccende un dibattito sempre vivo sulle norme della legge 194.

    In questa giornata di veleni e di botta e risposta politici, gettiamo una luce sulle condizioni di un paese in cui cautele di tipo etico sull’interruzione volontaria della gravidanza non ve ne sono mai state, al punto che le interruzioni di gravidanza sono imposte in forma coatta ad un gran numero di donne. Una violazione dei diritti umani palese e deliberata, che continua nella quasi totale indifferenza del mondo civile, interessato a fare affari e ad invadere il mercato che ha la più grande capacità di ampliamento dei prossimi decenni.

    Parliamo della Cina, ovviamente. Di quella Cina nient’affatto vi...cina ai diritti umani, e che con il suo governo ammette ora in forma indiretta l’effettuazione obbligatoria di aborti e sterilizzazioni di massa, a danno soprattutto delle popolazioni di alcune zone rurali del paese. Una storia che ha viaggiato per un certo periodo sui canali sotterranei di comunicazione interna e che è poi giunto alla stampa internazionale, che l’ha reso pubblico in tutto il pianeta.

    La denuncia parla di settemila donne costrette ad abortire o a farsi sterilizzare. Il tutto nel solo arco di due mesi – aprile e giugno 2005 – e nella sola contea di Yinan, nella provincia settentrionale dello Shandong. Abusi commessi dal personale amministrativo presente sul luogo, ad iniziare dal presidente stesso della contea e dal capo del locale Dipartimento per la pianificazione familiare, organismo creato da Pechino per il controllo capillare delle norme sulla natalità. Norme che prevedono severe punizioni contro chi viola la politica del figlio unico, valida in tutto il paese con la sola eccezione delle campagne, laddove (in caso di nascita di una femmina primogenita) si può concepire anche un altro figlio. I fatti – emersi per la denuncia di un avvocato del luogo, confermata poi da un professore universitario di Pechino che si è recato sul posto per sentire dalla viva voce dei protagonisti (centinaia di donne e di famiglie) il susseguirsi degli eventi – parlano di migliaia di persone arbitrariamente arrestate e picchiate selvaggiamente, costrette ad aborti contro la loro stessa volontà, e di vere e proprie rappresaglie contro parenti e vicini di casa, costretti a partecipare per giorni e settimane a "sedute di addestramento” riguardanti mezzi e modalità della pianificazione familiare in Cina. Con annesse anche bastonate e frustate.

    Tutti gli episodi sembrano accadere sullo sfondo di una sostanziale libertà assoluta di disporre dei propri sudditi da parte degli amministratori locali, tutti funzionari governativi con il placet del regime di Pechino. L’apparato gerarchico centralizzato comunica in misura netta e definita alle singole realtà locali gli “obiettivi” da raggiungere in termini di nuove nascite, mostrandosi alquanto “rammaricato” quando tali limiti non vengono rispettati. Sono proporzioni fra numero di nuove nascite e numero di abitanti assolutamente innaturali, che vengono dunque ricercati con la forza e la violenza. Pur di rispettare l’obiettivo giunto dall’alto, con relativi compensi premio, non ci si fa scrupolo ad ordinare aborti a parto ormai imminente, con non infrequenti sortite di carattere infanticida.

    Ora, di fronte alla grande eco raggiunta dalla storia, l’Agenzia cinese per la pianificazione familiare ammette l’effettuazione di alcuni “aborti forzati” e “sterilizzazioni”, ricordando però trattarsi di pratiche “illegali” di pianificazione familiare, che “violano i diritti e gli interessi legali dei cittadini" e che dunque meritano l’allontanamento dall’incarico dei responsabili.

    Al di là delle parole ufficiali, dovute e motivate esclusivamente alla comparsa di tali notizie sulla stampa internazionale, in Cina continua una totale deregolamentazione delle pratiche abortive, utilizzate come la più comune tecnica di controllo delle nascite. Nonostante un qualche ripensamento sulla politica del figlio unico, la Cina rimane – soprattutto nelle sue aree rurali - profondamente segnata dall’intervento statale nell’ambito procreativo, figlio della filosofia secondo cui i diritti del cittadino cedono di fronte all’interesse statale. Quello stato che decide, in base ai suoi parametri di riferimento, che la vita di un essere umano che si appresta a nascere e la serenità e i diritti della donna che lo vuol partorire possono passare in secondo piano. Ubi maior...


    korazym.org

 

 

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