di Maurizio Blondet

LONDRA - Pistole paralizzanti, ceppi per le gambe, manganelli «dolorizzanti» ad alta tecnologia: questa la merce che la ditta israeliana TAR Ideal Concepts ha esposto alla più importante fiera internazionale delle armi a Londra, la DSEI (Defence Systems and Equipment International).
Tutta roba ottima, perfezionata da anni di tormenti inflitti a prigionieri palestinesi. Merce garantita nelle sue qualità essenziali, aumentare il dolore e l’umiliazione della vittima.



Eppure, gli organizzatori della fiera di Londra hanno intimato alla TAR di chiudere lo stand ed andarsene sui due piedi: si trattava di «strumenti di tortura», vietati dalla legge inglese.
Tomer Avnon, il padrone dell’azienda israeliana, ha giustamente protestato: «siamo stati trattati da delinquenti solo perché nel nostro catalogo offrivamo catene per i piedi», ha dichiarato indignato al Jerusalem Post (1).
Ed ha spiegato che le sua specialità erano in realtà «strumenti non letali anti-sommossa, antiterrorismo e per la sicurezza interna», e comprendevano elmetti protettivi, cinghiame per cani d’assalto e per la fanteria: insomma tutta la panoplia repressiva che i soldati israeliani usano serenamente ogni giorno nei «territori occupati».



Il padrone Avnon s’è detto un perseguitato, come quei generali in pensione che hanno rischiato recentemente di essere arrestati a Londra per crimini di guerra e atrocità: ed ha ventilato l’accusa di antisemitismo: «secondo me c’è una campagna orchestrata contro di noi, ci vogliono far passare per gente che viola i diritti umani», ha detto.
Avnon ignorava che dall’anno scorso la Gran Bretagna, con apposita legge, ha vietato la vendita e la promozione di pistole elettriche paralizzanti e «ferri» per i piedi, sancendo che non si tratta di armi ma, appunto, di strumenti di tortura.
Gli israeliani sono così assuefatti a torturare, da aver perso ogni sensibilità, ogni senso di vergogna.
Nemmeno capiscono più che in altre civiltà, la tortura non è ammessa.

Maurizio Blondet

Note
1) Arieh O’Sullivan, «Israeli firm tossed out of UK fair», Jerusalem Post, 20 settembre 2005.