I vescovi tedeschi e polacchi, oggi come nel '65
La forza della profezia in quella riconciliazione
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Angelo Paoluzi
E'una dichiarazione comune fra due episcopati e, nello stesso tempo, un atto di amore reciproco: un documento congiunto in occasione dei quarant'anni dal messaggio che, nel 1965, i vescovi polacchi indirizzarono a quelli tedeschi per invitarli a celebrare con loro, nel 1966, i mille anni del battesimo della Polonia. Vi si ripete la formula che era stata usata allora: «Perdoniamo e chiediamo perdono», giustamente qualificata nel testo attuale come «commovente e addirittura profetica». Nel clima della conclusione del Concilio il gesto aprì prospettive nuove, e la risposta, da parte tedesca, fu sollecita: «Con profonda venerazione stringiamo le mani tese».
La dichiarazione odierna ricorda il cammino e il significato di quell'avvenimento, che sollecitava dialogo, riconciliazione, fraternità. «Con esso - afferma - i nostri predecessori hanno fatto in spirito cristiano un decisivo passo verso un nuovo inizio nei reciproci rapporti dei nostri popoli. In difficili circostanze politiche hanno posto una importante pietra militare per la comprensione tedesco-polacca».
L'iniziativa va letta in primo luogo dal punto di vista ecclesiale e spirituale, come una sottolineatura dei compiti che attendono le due comunità, in particolare l'impegno nella costruzione di un'Europa unita che valorizzi le proprie radici cristiane. Con un energico ammonimento: «tedeschi e polacchi non possono mai più usare le loro forze materiali e spirituali gli uni contro gli altri; sono chiamati a occuparsi del benessere di un'Europa da far crescere assieme e di rafforzare in essa l'identità cristiana». In questo senso viene richiamata la particolare circostanza che a un Papa venuto dalla Polonia, Giovanni Paolo II, sia seguito un Papa venuto dalla Germania.
Come sensibili antenne nella società civile, i vescovi dei due Paesi hanno anche colto l'occasi one per mettere in guardia da qualche tensione che si coglie nei rapporti politici. Con chiarezza si afferma: «Con preoccupazione da qualche tempo dobbiamo vedere che il ricordo di ore buie della nostra storia comune non ha comportato soltanto uno spirito di riconciliazione, ma ha riaperto anche vecchie ferite che non sono ancora guarite... Qualcuno nella politica e nella società rimesta addirittura sconsolatamente nelle ferite, che ancora fanno male, del passato. Altri ne vogliono notoriamente e addirittura brutalmente abusare per obiettivi personali o politici. Il quarantesimo anniversario dello scambio di lettere è per noi motivo, in un rapporto reciproco, di contrastare con ogni vigore simili mancanze di responsabilità».
Il documento non si nasconde le ragioni del persistere di reciproche diffidenze. Parla della «criminale guerra di aggressione della Germania nazionalsocialista», ammette gli innumerevoli torti inflitti, per colpa dei tedeschi, alla gente di Polonia, e ricorda anche le sofferenze che a molti tedeschi sono state causate dall'espulsione e dalla perdita della terra natale. Per questo, dicono i vescovi, abbiamo ripetuto ancora una volta le parole del 1965: «Perdoniamo e chiediamo perdono. Soltanto se noi ci mettiamo di fronte a tutta la verità e nello stesso tempo abiuriamo allo spirito di rivalsa, possiamo impedire una visione unilaterale della rispettiva storia e aprire il presente e il futuro a una fruttuosa collaborazione. In questo atteggiamento cresce la disponibilità a vedere la nostra storia e il nostro presente non soltanto con i nostri propri occhi, ma anche con quelli degli altri».
«Soltanto attraverso lo spirito della riconciliazione - avvertono i presuli - fra i nostri due popoli può mettere radici la pace che può portare a tutti i tedeschi e i polacchi il desiderato sentimento di sicurezza e ami cizia».