Sulle colonne compiacenti de "la Repubblica", principale giornale della "sinistra" borghese
Nell'accingersi a partire per la campagna elettorale per le primarie del "centro-sinistra", Prodi ha già anticipato quale sarà la sua "terapia d'urto" per risollevare l'economia del Paese depressa da oltre quattro anni di governo Berlusconi. E sarà, manco a dirlo, una politica di lacrime, sangue e sacrifici.
Il tecnocrate democristiano lo ha annunciato in un'intervista a "la Repubblica" del 5 settembre, principale giornale della "sinistra" borghese e megafono compiacente dell'Unione, rilasciata subito dopo il suo intervento all'annuale summit capitalista di Cernobbio, dove a detta dello stesso intervistatore era stato trattato "come il vincitore designato" delle prossime elezioni politiche, "un cambio di umori che lo galvanizza". è fiutando questo cambiamento di vento nel Gotha del capitalismo italiano che il leader dell'Unione si sente incoraggiato a scoprire le sue carte, annunciando che se sarà eletto nuovo presidente del Consiglio la sua sarà "una terapia rapida, forte e organica".
"Le misure che propongo - ha precisato - sono riforme di cui tutti hanno bisogno: dai poveri diavoli alla classe media fino ai cosiddetti `poteri forti'. Certo, ognuno dovrà fare sacrifici, rinunciare a qualcosa. Ma è uno sforzo che deve coinvolgere tutti senza penalizzare nessuno in particolare: una politica di ampio spettro ispirata ad un principio di equità". Come sia possibile una politica economica che serva a tutti, dai "poveri diavoli" fino ai "poteri forti", e senza penalizzare "nessuno in particolare", Prodi si è ben guardato dallo spiegarlo. Anzi, da buon democristiano si è subito premurato di abbassare i toni e smussare gli angoli, respingendo il termine "terapia-shock" suggerito dall'intervistatore, un termine "che non mi piace, perché ha un'accezione negativa", ha detto. Ma alla fine è venuto al dunque ammettendo che il problema principale del Paese, e dunque anche al centro della sua "terapia", è quello della "perdita di competitività dovuta alla mancata crescita della produttività".
Quindi siamo alle solite: occorre produrre di più e a costi minori, che è la ricetta che da anni la classe dominante borghese va ripetendo come un'ossessione, e tutti i suoi governi con essa, di destra, di "centro" o di "sinistra" che siano. E difatti che cosa propone Prodi? "Bisogna - spiega l'economista democristiano - alleggerire la pressione fiscale sul costo del lavoro. E poi bisogna completare le liberalizzazioni", aprendo "i mercati della distribuzione, dai supermercati alle farmacie, e delle professioni".
Ma non è la stessa politica economica basata sul principio neoliberista di "più mercato e meno Stato" applicata in dosi massicce dal governo neofascista di Berlusconi? E prima ancora dal suo stesso e dagli altri quattro governi di "centro-sinistra" che hanno governato nella precedente legislatura? Dove starebbe la "svolta", la "discontinuità" con la politica economica del neoduce?
Anche sulla legge Biagi, con la quale il governo Berlusconi ha completato la liberalizzazione del "mercato del lavoro" istituzionalizzando ed estendendo il precariato come rapporto di lavoro "normale" per i giovani, Prodi si guarda bene dall'annunciare brusche inversioni di rotta. Al contrario, "dobbiamo conservare il principio della mobilità per favorire l'apprendimento professionale dei giovani"; anche se allo stesso tempo "dobbiamo combattere la ormai totale precarietà del posto di lavoro", dice ricorrendo a tutta la sua untuosità democristiana il leader dell'Unione, ben consapevole che sono stati proprio i governi di "centro-sinistra", con il "pacchetto Treu" e altre misure di "riforma" del "mercato del lavoro" ad aprire la strada all'infame legge 30.
Per Prodi, come si deduce anche dal suo programma per le primarie, in cui sostiene "forme di flessibilità legate ai bisogni organizzativi e all'aumento della produttività più che alla riduzione dei costi", si tratterebbe quindi di apportare alla legge Biagi solo qualche correttivo al suo impianto neoliberista che la renda meno disumana e selvaggia, mantenendone però al tempo stesso inalterata la sostanza riguardo alla massima "flessibilità" nell'uso della mano d'opera da parte delle imprese. In poche parole, se verrà eletto premier, il tecnocrate democristiano non farà che proseguire il programma neoliberista e privatizzatore del suo precedente governo, riprendendo il discorso da dove era stato costretto ad interromperlo per lo sgambetto di Bertinotti. Che però stavolta è pronto, in cambio di uno strapuntino al governo, ad accettare senza fiatare una politica di "sacrifici" come e più drastica e antipopolare di quella che non si sentì di appoggiare allora.
Del resto Prodi aveva già anticipato questo possibile scenario in un'intervista rilasciata a "La7" ad inizio agosto, in cui aveva dichiarato: "Sono abbastanza emiliano per non pensare a lacrime e sangue: se i sacrifici sono necessari per raggiungere degli obiettivi si debbono chiedere". E al tempo stesso aveva assicurato che questo non avrebbe causato difficoltà con gli alleati di governo, e in particolare con Bertinotti: "Non si vince in solitaria", aveva sottolineato il leader dell'Unione, e Bertinotti "è d'accordo per il gioco di squadra, ne sono sicuro".
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