Per quel che riguarda personalmente Kees Popinga, si deve convenire che alle otto c'era ancora tempo, perché a ogni buon conto il suo destino era segnato. Ma tempo per che cosa? E poteva lui agire diversamente da come avrebbe poi agito, persuaso com'era che i suoi gesti non fossero più importanti di quelli di mille altri giorni del suo passato?
Avrebbe scrollato le spalle se gli avessero detto che la sua vita sarebbe cambiata di punto in bianco, e che quella fotografia sulla credenza, che lo ritraeva in piedi tra i familiari, una mano distrattamente poggiata sulla spalliera di una sedia, sarebbe stata riprodotta da tutti i giornali d'Europa.
Se, insomma, avesse cercato in se stesso, in tutta coscienza, qualcosa che lo predisponesse a un burrascoso avvenire, sicuramente non avrebbe pensato a quella certa emozione furtiva, quasi vergognosa, che lo turbava vedendo passare un treno, un treno della notte soprattutto, dalle tendine calate sul mistero dei viaggiatori.
(Georges Simenon, "L'uomo che guardava passare i treni", Adelphi)