| Lunedi 26 Settembre 2005 - 13:13 | Mario Consoli e Ugo Gaudenzi |

L’improvviso ritorno di Giulio Tremonti alla guida del ministero dell’Economia, può aprire uno scenario dirompente, positivo, per rimettere in carreggiata un’Italietta condannata dai Signori del Denaro alla sudditanza ed al sottosviluppo.
Qualcosa, di profondo, è cambiato da quella notte tra venerdì e sabato 3 luglio 2004, quando un killer di governo, Gianfranco Fini, frastornato per i risultati delle elezioni europee e al fine di. collezionare cambiali di benemerenza tratte dai “poteri forti”, chiese ed ottenne la testa di Tremonti nel nome di una “collegialità” decisionale in matyeria di politica economica nazionale.
Allora Tremonti aveva pestato i piedi dei Signori del Denaro ed era stato sbattuto giù dal treno in corsa. Aveva manifestato un legittimo fastidio per la soggezione che il mondo politico dimostra di fronte alla tirannide bancaria e monetaria. E, conseguentemente, aveva lasciato intravvedere l’intenzione di trasferire alcuni poteri dalla Banca d’Italia a nuovi organi di controllo di nomina politica e governativa.
Bankitalia, sarà utile ricordarlo, non è una vera e propria istituzione dello Stato, ma uno strano Ente i cui proprietari sono soprattutto le Banche, quindi i privati, e il placet, quello reale, quello che conta veramente, per la scelta del suo Governatore spetta alla Banca dei Regolamenti Internazionali di Basilea, il cui massimo azionista è la Federal Reserve USA.
Nel 2003 era scoppiato il caso Cirio i cui bond erano stati offerti a piene mani dagli Istituti di Credito agli ignari risparmiatori.
Tremonti aveva imputato alla Banca d’Italia i mancati controlli e aveva proposto un nuovo strumento di tutela per il risparmio degli italiani. Per ricordare a tutti la necessità di limitare il potere della Grande Finanza utilizzava, come portapenne sulla sua scrivania al ministero, un barattolo di pelati Cirio.
Alla fine del 2003 scoppiava, con un botto ancora più forte, il caso Parmalat. Il duello Fazio-Tremonti, appena sopito, si era riacceso ancor più violento.
Dov’erano i controllori? Quali interessi copre Fazio? “Occorre costruire un’authority unica per la tutela del risparmio, togliendo molti poteri alla Banca d’Italia”. Con urgenza.
Ma Fazio forte del sostegno dei suoi azionisti, e dei suoi tutori, snobbava il governo e non si presentava nemmeno per dare spiegazioni del suo operato.
I guradiani dell’usurocrazia scattavano, come morsi dalla tarantola: “Attenti. Bankitalia non si tocca” tuonava Fassino. “L’indipendenza della Banca d’Italia è una questione costituzionale”, non può essere messa in discussione, faceva sapere l’ex banchiere Carlo Azeglio Ciampi. E con loro, sulla stessa onda, i Prodi, i Dini, gli strumenti cioè delle privatizzazioni selvagge, delle deregolamentazioni, dei poteri della City e di Wall Street, delle banche e dell’usurocrazia.
Il 27 marzo del 2004 denunciava che Bankitalia “ha perso 4,6 miliardi sui cambi con il dollaro perché ha dimenticato di fare la copertura... Qualcosa non gira. Invece Bank of Austria finanzia la ricerca e Bundesbank propone al suo governo di finanziarla mettendo a disposizione le riserve auree”.
Apriti Cielo! Si possono immaginare il livore e la rabbia sui volti di chi occupava ed occupa i grigi palazzi del potere monetario e usurario. Nella Festa del 2 giugno, al Quirinale, veniva invitata tutta la cupola bancaria, a scapito degli altri, in netta minoranza. Molti più banchieri che politici e imprenditori contati assieme. Una chiara minaccia. Fatto sta che passava un mese e la testa di Giulio Tremonti, il “nemico” di Fazio, era bella che saltata.
Anno di grazia 2005, giovedì 22 settembre.
Al termine di un nuovo braccio di ferro tra (una parte del) governo e i poteri forti, il ministro “tecnico” all’Economia, Siniscalco, bacchettato perché latore di un ddl di tutela del riapsrmio che prevedeva tra l’altro non soltanto un limite al mandato “a vita” del governatore di Banca d’Italia - travolto da una serie di biasimi per aver pilotato la Bnl verso Unipol e la Antonveneta verso la Bpi (scalata poi sospesa a beneficio della Amro) - ma anche e soprattutto una riforma del “sancta sanctorum” della banca Centrale, con la fuoriuscita degli attuali azionisti privati - banche, assicurazioni - dalla proprietà, è stato costretto alle dimissioni.
Tra il solito coro delle sentinelle dell’usurocrazia, da Fassino a Rutelli, da Prodi a Ciampi, tutti eretti a difesa della cosiddetta indipendenza (privatistica) della Banca d’Italia. E - si badi bene - all’indomani della pronuncia urbi et orbi del presidente dell’Associazione Bancaria Italiana che metteva in guardia il governo dal commettere un “esproprio” delle azioni detenute dalle banche (anche straniere, e dalle assicurazioni...): Sella conteggiava in circa 23 miliardi di euro (altro che la contestata “manovra” per contenere la spesa della legge finanziaria!) il valore, dichiarato intoccabile, delle azioni di Bankitalia - illegittimamente - possedute dalle banche.
Si badi bene: la Banca d’Italia dovrebbe teoricamente essere al servizio del popolo italiano ed emettere moneta di conseguenza. Non lucrarvi sopra interessi di “signoraggio”, non essere un “ente privato”, non essere posseduta da banche o assicurazioni o enti a scopo di lucro. Anzi dovrebbe - per statuto - “vigilare” sulla correttezza delle attività di credito e di raccolta del risparmio in Italia. Ma come può controllare i suoi controllori? Ecco il perché della sua immobilità perenne nelle truffe ai risparmiatori (Cirio, Parmalat, le più recenti, ma non si dimentichi la Banca 121, o i bond argentini o la tutela delle “piramidi” obbligazionarie)...
E qui qualcosa, però, non è andata nel verso giusto e i Signori del Denaro sono stati spiazzati. Invece di ottenere, con la testa di Siniscalco, anche la licenza di continuare a spadroneggiare ai danni del popolo italiano, si sono trovati di nuovo, schierato in prima linea contro i loro sordidi interessi, l’avversario che credevano di aver fatto fuori quel sabato del 2004, il 3 di luglio, Giulio Tremonti.
Con un macigno in più: con il suo ritorno lo stesso presidente del Consiglio ha finalmente dichiarato esplicitamente la sua sfiducia verso la permanenza di Fazio alla guida della Banca Centrale.
Non solo la guerra non era stata, dunque, dai signori dell’usura, vinta, ma anzi un rullare di tamburi ha annunciato una nuova battaglia contro di loro.
Ma i padroni del mondo ci sono davvero. Sono gli uomini del denaro e dell’usura. E non sono adusi a calare le armi. E sono forti, e vendicativi. E come tutti i poteri mafiosi sono soliti mandare i propri killer che, alla bisogna, sanno anche uccidere. Come accaduto, nella Germania di questi anni, nella Germania che voleva la riunificazione senza sottostare ai diktat del Fmi e della Banca Mondiale prima ad Alfred Herrnhausen e quindi a Detlev Rohwedder, ambedue uccisi in attentati rimasti senza colpevoli.
E spargono per il mondo tutti i loro affiliati, i loro servi, insomma i loro “picciotti”. Che corrompono, controllano, ricattano, minacciano e “riferiscono”. Sono grigi, viscidi e appiccicosi come quei giochini schifosi che andarono di moda qualche anno fa. Si attaccano ovunque ed è difficilissimo disfarsene. In Italia sono tutti aggregati alla cosiddetta “opposizione”.
Noi non amiamo particolarmente Berlusconi e il suo governo, non ci sembra certo un governo che curi gli interessi dei cittadini, anzi.
Ma non possiamo che augurarci che l’attuale ministro dell’Economia prosegua nella sacrosanta guerra ai Signori del Denaro che affamano i popoli.
D’altra parte questa, contro l’usurocrazia, è e sarà la storia di questo millennio appena iniziato.
E’ lo scontro tra i popoli e gli attuali padroni del mondo.
E’ il duello, che necessariamente sarà combattuto all’ultimo sangue, tra gli uomini liberi e i signori del denaro e dell’usura.
E’ una guerra vera.