Vi sentireste garantiti se una ricerca sulla pranoterapia venisse
affidata a Giucas Casella? E se una commissione d'indagine sul
disturbo dell'identità di genere fosse presieduta da Platinette?
Questo, grosso modo, è avvenuto a Torino con la Ru486, la pillola
brevettata per sopprimere il concepito entro il secondo mese di
vita: a coordinarne la sperimentazione, poi bruscamente interrotta
dal ministro della Salute, è stato chiamato il dottor Silvio Viale,
ginecologo dell'ospedale Sant'Anna, presidente dell'associazione
radicale Adelaide Aglietta (pace all'anima sua, la militante del
Centro italiano sterilizzazione aborto che in un appartamento del
capoluogo piemontese praticava illegalmente l'interruzione di
gravidanza con il metodo Karman, isterosuzione la chiamano i cólti,
con una pompa per bicicletta, in sostanza) nonché consigliere di
Exit Italia, il sodalizio pro eutanasia già inquisito per omicidio
del consenziente. Un medico che dal 2000 si batte con tutte le sue
forze per introdurre la Ru486 su vasta scala, manco avesse
intravisto nella morte, anziché nella vita, la cifra della sua
crescita professionale.
Lo guardavo due giorni fa al telegiornale, questo dottor Viale, e
m'impressionava la spensieratezza con cui, a uso e consumo delle
telecamere, pescava la chiave giusta dal mazzo, apriva la
cassaforte, afferrava uno dei flaconi di pillole affidati alla sua
custodia e lo esibiva con orgoglio, quasi dovesse ingolosire le
potenziali clienti. Ma che c'era da mostrare? Fossi stato nel suo
camice bianco, avrei maneggiato quella roba con prudente riserbo,
come si conviene a un veleno, a uno strumento di morte che - cito la
Société suisse de gynécologie & obstétrique - «nel 5% dei casi
provoca un'interruzione incompleta della gravidanza per cui è
necessario effettuare un'aspirazione o un raschiamento dell'utero»
e «in casi eccezionali fa sì che la gravidanza prosegua
apparentemente intatta», per cui «è vivamente raccomandata
un'interruzione chirurgica, perché i medicamenti assunti possono
provocare malformazioni del feto». Altro che panacea incruenta e
indolore.
È l'intero curriculum del dottor Viale a lasciare interdetti.
All'università di Torino rappresenta gli studenti con una lista
chiamata «Il clistere»: sorvoliamo sugli effetti conseguiti.
Divenuto uno dei leader di Lotta continua, viene arrestato, passa
sei mesi in galera, esce e scappa all'estero. Nell'83 è l'unico
latitante al processo per gli scontri culminati col rogo del bar
Angelo azzurro, in cui morì arso vivo uno studente-lavoratore che si
trovava lì per caso: lo assolvono per insufficienza di prove.
Emigra nei Verdi e viene fermato dalla polizia mentre fuma spinelli
davanti alla prefettura. Eletto in Consiglio comunale, nel '96 fa
passare un ordine del giorno «per la sperimentazione di
somministrazioni controllate di oppiacei» e l'anno dopo chiede lo
stesso per l'eroina. Per convincere i colleghi meno fumati, nel '99
organizza un «cannabis buffet» in sala consiliare e regala piantine
di canapa indiana. Nella campagna elettorale per le regionali offre
migliaia di bustine di cannabis, sostenendo che l'omaggio «è adatto
per tisane, confezionare torte o insaporire arrosti».
Candidato sindaco di Torino nel 2001, Viale inserisce nel suo
programma «una politica innovativa sulle droghe» e, già che c'è,
aggiunge: «Pure le attività legate alla prostituzione, sia femminile
sia maschile, devono essere affrontate con soluzioni di tolleranza
per tutelare la parte più debole (la persona che si prostituisce)».
Ormai è lanciatissimo. Propone che a Torino si tengano i Giochi
olimpici gay. Si batte per far rimuovere il crocifisso dall'aula
civica. Reclama l'intitolazione di una strada a Che Guevara.
Manifesta davanti all'eros center Viva Lain, frequentato da
calciatori e divi, per invocare la legalizzazione della
prostituzione. Lancia un appello perché sia mandata in onda a
Domenica in l'intervista con Monica Lewinsky, la stagista che
intratteneva il presidente Clinton nello Studio ovale.
Riccardo Ferracini gli dedica un capitolo del libro Medici (Edizioni
Sonda). Viale, nell'occasione, si descrive così: «La mia categoria
si divide in due fazioni: i playboy e i frustrati. Io, ahimè,
appartengo alla seconda, ma a dispetto dei primi confesso che loro
raccontano un mucchio di barzellette sporche». Dal che si deduce che
i ginecologi o sarebbero impegnati a sedurre le pazienti e a
divertire gli amici con racconti pecorecci oppure a rosicchiarsi le
unghie e a eseguire aborti. Bella categoria, davvero.
Ma è sulle questioni di vita o di morte che il dottor Viale cava
fuori il meglio di sé. L'8 marzo 2004 firma 100 ricette che
prescrivono la cosiddetta «pillola del giorno dopo» e si mette a
distribuirle alle studentesse universitarie: è il suo modo di
celebrare la festa della donna. Due mesi dopo, in conferenza stampa,
inghiotte una pillola di Norlevo («al massimo mi procurerà un po' di
nausea», rassicura i colleghi di partito perplessi), per dimostrare
che «non vi è alcuna obiezione medica che impedisca di vendere
liberamente la contraccezione d'emergenza senza ricetta». E quando
nel marzo di quest'anno Theresa Marie Schindler Schiavo, l'americana
in stato vegetativo, viene lasciata morire di fame e di sete dopo
una terribile agonia durata 14 giorni, detta trionfante
all'Ansa: «Terri è finalmente libera e lo sono anche i suoi
familiari». La coerenza, innanzitutto: attraverso Exit Italia il
dottor Viale vorrebbe accompagnarne verso l'uscita un bel po', di
comatosi e malati terminali, mediante la legalizzazione
dell'eutanasia «passiva, attiva e l'assistenza al suicidio», come
specificato in un ordine del giorno fatto approvare dal Consiglio
comunale.
Exit Italia è un'associazione in cui vige una straordinaria libertà
di pensiero. Infatti il suo presidente, Emilio Coveri, mi confidò
d'essere sì favorevole alla dolce morte ma contrario all'aborto, un
trapasso che evidentemente giudica a basso contenuto
zuccherino. «Ritengo che sia un omicidio, però non lo scriva, per
favore», aggiunse spaurito. Indovinate chi temeva di mettersi
contro.
L'ospedale Sant'Anna pare abbia stabilito un record nazionale:
pratica ogni anno circa 4.000 interruzioni chirurgiche, che
corrispondono al 37% di quelle eseguite in Piemonte e al 3% di
quelle eseguite in Italia. Una catena di montaggio, o di smontaggio,
fate voi. Nel giugno scorso i carabinieri dei Nas hanno avviato
accertamenti dopo che un parroco, don Piero Gallo, ha denunciato che
feti di 5-6 mesi, usciti vivi da aborti terapeutici avvenuti nella
divisione di ostetricia e ginecologia, vengono lasciati morire dai
medici. A riferirglielo sono stati alcuni dipendenti dello stesso
ospedale.
Una delle prime gestanti ammesse a inghiottire la pillola Ru486,
tale Carla, trentenne, ha dichiarato a Repubblica: «Non è mai
superfluo ricordare che per una donna quella dell'aborto è sempre
una scelta difficile e dolorosa». Parlava per esperienza personale,
visto che nel 1995 aveva già abortito col metodo tradizionale. Sono
ben sfortunate le donne che si rivolgono all'ospedale Sant'Anna: due
scelte «difficili e dolorose» nel giro di soli dieci anni non si
augurano alla peggior nemica. La prossima volta che cosa le faranno
sperimentare?
Intralciato nei suoi piani, il dottor Viale l'ha subito buttata in
politica, dando del fascista a Francesco Storace con questa elegante
perifrasi: «Un ministro del Ventennio proiettato nel XX secolo».
Saremmo già nel XXI, ma gli veniva bene la battuta.
Conta niente che le due pagine con cui gli ispettori ministeriali
hanno bocciato la sperimentazione della Ru486 rechino la firma del
dottor Nello Martini, direttore generale dell'Agenzia italiana del
farmaco, conosciuto nella sua città - che è anche la mia - come un
ex socialista che ha fatto carriera quand'era ministro Rosy Bindi.
Conta niente che il procuratore Raffaele Guariniello, formatosi alla
scuola dei noti reazionari Norberto Bobbio e Alessandro Galante
Garrone, avesse aperto fin dal 2003 un'inchiesta sulla
sperimentazione della Ru 486 e proprio per i medesimi motivi che
hanno indotto Storace a intervenire.
Conta niente che il presidente della Federazione nazionale degli
Ordini dei medici, Giuseppe Del Barone, abbia dichiarato fin dal
2002: «Non riesco a considerare l'adozione della pillola abortiva
come una conquista o un segno di evoluzione e di modernità. Il fatto
che sia adoperata da anni negli Stati Uniti e in quasi tutti i Paesi
europei non rende meno penoso il suo uso».
Il dottor Viale tira dritto per la sua strada: «Procediamo finché
non arriverà la lettera del ministero: abbiamo 20 donne in lista,
tre abortiranno domani». Cioè ieri. Oggi quante? Va di fretta, il
dottor Viale. Il paradiso non può attendere.
Il medico che tifa per la morte
Stefano Lorenzetto