La città doveva simbolicamente mostrare ciò che sostanzialmente è. Nei confronti di Coly, ma anche di tutti coloro che la abitano. Una città aperta e solidale. L’immagine poi del giocatore con il polso fasciato del braccialetto antirazzismo, davanti all’icona comunale del Grifo, aveva senz’altro una intensa capacità evocativa. Evocava infatti la forza di una storia e di una tradizione a tutela della libertà. Dei singoli e della collettività. Sennonché la stessa immagine evocava anche un problema nuovo, perché quel Grifo così intenso, così onusto di gloria, strideva un po’ di fronte a quel braccialetto stile new age indossato dal terzino. Un braccialetto bianco e nero, senz’altro utile come messaggio immediato e come riconoscimento reciproco, ma anche un piccolo simbolo un po’ alla page, quasi modaiolo, non a caso visto sui polsi dorati di alcune stelline televisive, non propriamente attivissime sul tema dei diritti civili. Insomma Ferdinand lo porta con fierezza e partecipazione, molti altri ne fanno ornamento. Sullo stile vacuo e impalpabile appunto della cosiddetta new age. Questo per dire come le battaglie antirazziste vadano combattute con determinazione giorno dopo giorno. Questo per dire che la triste aggressività razzista veronese ci riguarda un po’ tutti. Tutti ne potremmo essere contagiati. E’ giusto così ricordare, a fronte dell’orgoglio di vivere in una città come Perugia, da sempre rispettosa della diversità della pelle, come anche dalle nostre parti sia presente, se non il razzismo, quell’intolleranza che di quest’ultimo è in qualche senso l’alimento. Nessuno può negare infatti come spesso la diversa opinione venga vista, anche qui da noi, come avversione verso il Grifo, e come la critica ad esempio verso le scelte societarie sia spesso rifiutata e bollata come una sorta di antipatriottismo squallido. Io stesso, per quanto conti, posso dire che nelle vesti di opinionista televisivo ho talora incontrato difficoltà, tentativi di censura e persino mortificanti, per chi le fa, aggressioni verbali. Cose che non fanno alcuna paura, stante anche i portatori delle medesime, ma che danno un segno della pericolosa china su cui viaggia il pallone. Dunque una volta stigmatizzato il razzismo degli stadi, sarà bene ricordare come spetti a ciascuna di noi cominciare, come dire, dal basso nel contrastarlo e conseguentemente accettare con serenità opinioni, critiche e quant’altro non ci faccia piacere. So che questo può apparire come un pistolotto moralistico e magari lo è. Ma sentirsi superiori agli altri e nella fattispecie alle altre tifoserie, quasi per dono divino è un errore. La nostra storia ci ha fatti diversi, non una presunta superiorità di popolo. La prima va difesa con i comportamenti. La seconda la lasciamo appunto ai razzisti. Potenziali ed effettivi.