La sindrome della quarta settimana
Quando gli ultimi giorni del mese diventano un incubo per le famiglie
La sindrome della quarta settimana
Le difficoltà sono molte, ma anche le vie d'uscita possibili. A cominciare da una energica ‘rilettura’ del sistema-Paese. Ne parliamo con Paolo Madron.
"Che una perdita del potere d’acquisto di molte retribuzioni si sia verificata negli ultimi tempi in Italia mi pare indubbio. È la sindrome della quarta settimana che lo dimostra al di là di ogni ragionevole
dubbio: quel fenomeno del tutto nuovo per cui la grande distribuzione, dopo il 20 del mese, registra un calo degli acquisti e un aumento dei pagamenti con carta di credito”. Per Paolo Madron, un certo ‘impoverimento’ delle famiglie c’è stato, al di là delle statistiche.
Ma come lo si potrebbe quantificare, e – soprattutto – come lo si potrà contrastare e recuperare?
Direi che la misura di questo fenomeno si può forse individuare in quella forbice di circa 8 punti percentuali che èstata individuata tra l’inflazione ufficiale e quella percepita. Poi è chiaro che in un ambito del genere contano molto anche fattori metaeconomici, come l’indice di fiducia, che certamente non è ai massimi.
Come prevede che possa evolvere questa situazione?
Non bene: l’inflazione ufficiale, con l’aumento della benzina dell’ultimo mese, certamente ripartirà e l’andamento stagionale tipico di alcuni settori, che tra l’estate e la ripresa di settembre hanno sempre piazzato i loro aumenti, non può che complicare le cose. Il dato di fondo resta insomma che il potere d’acquisto reale delle retribuzioni è diminuito.
Quanto pesa su questa situazione il nuovo scenario competitivo in cui si muove il Paese, che vede laproduzione asiatica vincere su tanti fronti prima indenni?
Le difficoltà competitive dell’industria italiana sono purtroppo note e non vanno certo attenuandosi. Il peso della concorrenza asiatica, e cinese in particolare, sta crescendo. In particolare bisogna riconoscere che la qualità della produzione cinese è elevata. Il ragionamento dietro il quale
potevamo trincerarci in passato non vale più: produzioni asiatiche a basso costo ma scadenti. Ormai quelle produzioni hanno raggiunto sufficienti standard qualitativi e, spesso, iniziano a presentare un’autonoma capacità d’innovazione. Senza per questo ridurre il vantaggio sul prezzo.
Quindi?
Parlando in termini molto generali ne consegue che se la nostra economia industriale va in affanno, le grandi dinamiche della redistribuzione dei redditi ne risentono direttamente: l’occupazione stabile diminuisce, quella precaria può anche aumentare grazie alle nuove forme contrattuali ma distribuisce redditi bassi, il gap tra inflazione ufficiale e perdita di potere d’acquisto non viene colmato da nessun
fattore positivo e ne deriva un sensibile impoverimento netto.
Se ne potrà uscire con un guizzo d’iniziativa e d’orgoglio imprenditoriale?
La strada c’è, ed è quella del rilancio di un made in Italy che si sposti dal puro prodotto al sistema-Paese. Non più il semplice manufatto ma un reticolo di competenze attorno ad esso. Bisogna trovare una chiave innovativa per rilanciare il made in Italy, insomma, e con esso la competitività del Paese. Da questo rilancio transita la ricerca del reddito perduto.
ser. luc.
da www.bnl.it