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    Predefinito Parola d'ordine nell'Unione....

    .....mentire...mentire...mentire

    Umberto Veronesi elogia il ministro Storace, di cui si dice orgoglioso perché, nella finanziaria, ha previsto un sostanzioso aumento dei fondi per la ricerca scientifica.
    La sinistra, che vorrebbe candidare l'ex ministro del governo Amato a sindaco di Milano, lo censura con durezza.
    Parole, parole, parole, soltanto parole, come cantava Mina nel secolo scorso: l'episodio sembrerebbe rientrare nell'abituale gioco delle dichiarazioni contrapposte in cui troppo spesso si esaurisce la politica italiana; una sorta di talk-show a distanza,che i quotidiani ricompongono nelle pagine di cronaca. Chissenefrega, passiamo ad altro.
    Invece no: soltanto un'inguaribile forma di miopia civile può indurre lettori e commentatori a ritenere normale, se non trascurabile, un grave episodio d'intolleranza ideologica.
    Una donna energica e intelligente qual è Patrizia Toia, democristiana di sinistra ora nei ranghi della Margherita, ha dettato la linea: «Chi ambisce a fare il sindaco», ha sentenziato lapidaria, «non può confondere il giudizio su un singolo provvedimento con un giudizio politico complessivo ». Significa che, in via di principio, non conta cosa che si fa, ma chi lo fa.
    A quel fascista impenitente di Storace, assiso nel governo del Grande Satana Berlusconi, non si può concedere niente; che si comporti bene o male nell'esercizio delle sue funzioni non riveste importanza alcuna: il «giudizio politico complessivo» non consente, a priori, assoluzioni, e tantomeno riconoscimenti.
    Il ministro della Salute potrebbe applicare punto per punto il programma dell'Unione - sul quale del resto grava ancora una fitta coltre di nebbia - ma sbaglierebbe egualmente, perché sono la sua appartenenza e il contesto nel quale opera, ovvero il centrodestra, a determinare il segno delle sue azioni.
    Chi esce dalla sacristia rossa non cambia mai; continua a considerare la politica una prosecuzione incruenta della guerra civile. L'avversario è sempre un nemico, al quale neppure si può riconoscere l'onore delle armi.
    Con questo spirito, quando e se vincerà le elezioni, la sinistra governerà il Paese, pervadendo con il proprio indomito istinto di sopraffazione ogni ambito della vita nazionale.
    I metodi saranno forse morbidi, le parole misurate, ma la sostanza resterà quella d'un tempo.
    Anni fa, Adelphi pubblicò Cioran.
    Sul Corriere della Sera, l'Illustre Recensore affermò trionfante, e senza provare la minima vergogna, che finalmente si poteva leggere e apprezzare quel testo; in precedenza, era stato infatti edito dal Borghese: quindi, era come se non esistesse.
    Libro e autore erano gli stessi, ma la collocazione politica di chi l'aveva stampato faceva la differenza.
    Fu, anche questa, un'applicazione, per quanto astutamente assurda, del giudizio politico complessivo.
    La pretesa spocchiosa d'essere gli unici depositari del Vero e del Bene - che altro non è se non una forma di razzismo culturale - induce tuttavia a marchiani errori di valutazione.
    Non hanno capito, i suoi scandalizzati detrattori, che Veronesi è il più furbo di tutti. Si appresta a una battaglia durissima e ha intuito che, per conquistare la poltrona di primo cittadino, deve assicurarsi consensi personali anche nello schieramento avverso. Si comporta quindi da moderato, infliggendo severe lezioni di stile a chi lo critica.
    Strizza l'occhio a Storace cercando di apparire bipartisan, come si dice oggi con deplorevole anglismo.
    I suoi ora meno convinti sostenitori avrebbero dovuto tenergli bordone. Il loro vetusto, ma sempre efficace, armamentario propagandistico offriva ben altri strumenti per criticarlo, ma senza eccedere.
    Per esempio l'ipocrisia: l'elogio a Storace, avrebbero potuto commentare, è giusto, ma solo in parte, perché Tremonti ha concesso le briciole; ci fossimo stati noi, allora sì che la ricerca avrebbe avuto di che prosperare.
    Ma anche l'attacco, benché in apparenza eccessivo, era forse preordinato, e mirava a far sembrare l'oncologo più famoso d'Italia più a destra di quanto non sia, in modo da accaparrarsi i voti di centro senza però apparire troppo indulgenti agli occhi dei propri sostenitori più intransigenti.
    Un capolavoro: botte piena e moglie ubriaca.
    Come sia davvero andata, però, non lo sapremo mai: il nostro è un Paese troppo curiale per capire quante maschere si nascondono dietro un solo volto.

    R.Besana su Libero

    p.s. credo che per "curiale" Basana intenda "democristiano".
    Altrimenti mi scuso con lui. Solo con lui

    saluti

  2. #2
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    Ha osato parlare bene!

    di Paolo Pillitteri


    Se un figlio, ancorché di una certa età, della Milano dinamica, laica, riformista e internazionale ritenesse di potere fare ancora qualcosa per la sua città, magari il sindaco, sarebbe un corri corri generale da parte della politica (di sinistra e non solo) per sponsorizzarlo. E se incontrasse un favorevole giudizio trasversale per la sua volontà di porsi al servizio di Milano sarebbe una ragione di più per agevolarlo. E se, ancora, rivolgesse, da scienziato e manager mondiale qual è, un caldo ringraziamento al ministro della Salute, tanto più che non è della sua parte politica, anche questo sarebbe un motivo in più per rafforzarlo nella sua decisione. Sarebbe. In realtà, e parlandone al presente non al condizionale, questa personalità indiscussa che è Umberto Veronesi invece di accogliere un generale consenso, sta incontrando proprio a sinistra le più ampie indisponibilità alla sua eventuale discesa in campo ambrosiana - peraltro sollecitata da altri e non da se stesso - ed ora, dopo i suoi pubblici ringraziamenti al ministro Francesco Storace, anche chi ha ha mantenuto un silenzio assordante, come i Ds, rispetto ai duri (e puri) attacchi della cosiddetta sinistra radical chic, ha trovato disdicevoli quei complimenti, rimettendo così in discussione quella candidatura.
    Cosa abbia detto di così scandaloso Veronesi-con a fianco la Levi Montalcini, Premio Nobel, che ne ha condiviso le parole-è francamente difficile da capire, a meno che la sinistra, questa sinistra che è già sicura di aver vinto e di avere un piede nel prossimo governo, abbia smarrito, insieme al senso delle proporzioni, anche quel minimo di fair play che è d’obbligo. Veronesi, che è stato ministro a sua volta, altro non ha fatto che ringraziare un suo successore che non soltanto ha ascoltato lui e altri scienziati impegnati nella ricerca, ma ne ha sposato le istanze al punto tale da ottenere dalla Finanziaria in discussione uno stanziamento di cento milioni di euro: siamo orgogliosi di questo ministro, ha aggiunto Veronesi, questo è un giorno storico. Apriti cielo! E’ stato un uragano di critiche, da Dalla Chiesa che mette in guardia dagli elogiatori di sindaci, governatori e ministri della maggioranza, concludendo che “non possiamo affidarci a uno così”, da quelli di Rifondazione Comunista, ai Verdi, e agli stesso diessini che, benchè silenti fino a ieri, l’avevano salutato calorosamente come una risorsa preziosa e autorevolissima, un candidato eccellente per Palazzo Marino. Adesso, a sentire quei dirigenti, le cose sono cambiate e c’è bisogno di una lunga riflessione dopo “questa rilevante novità”. La novità, quella vera, è che dietro polemiche e argomenti degni del clima d’insofferenza e di intolleranza di un certo stalinismo, si nascondono quei “sinistri” che hanno dimenticato il suo impegno nella battaglia referendaria, lo incolpano della capacità di far convergere pubblico e privato a favore della ricerca, della diagnosi e cura contro il male del secolo, tacciono sulla sua intraprendenza nel pubbico e nel privato per aprire nuove frontiere e strutture, non gli perdonano le sue posizioni su nucleare e ogm. Ciò che dunque non gli perdonano è il suo approccio politico degno di un moderno riformismo. Invece di tenerselo stretto, uno così, lo stanno perdendo. E perderanno, giustamente, Milano. E non solo.

  3. #3
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    La statistica dell'Istat secondo cui in Italia nel 2004 la povertà è aumentata è quasi propaganda elettorale, ovviamente a favore della sinistra, che vi ci si è scatenata, dando la colpa a Berlusconi di questo fatto.
    Ma ho scritto " quasi", perché la faccenda è più comica che seria. Infatti il comunicato dell'Istat informa che esso, per effettuare il calcolo per il 2004, ha aumentato la soglia convenzionale di povertà relativa per una famiglia di due componenti, rappresentata dalla spesa media mensile pro capite, dagli 874 euro del 2003 ai 920 euro del 2004.
    In sostanza due persone con meno di 919 euro, magari 900, adesso sono povere, mentre l'anno prima non lo erano.
    Si potevano classificare come povere, infatti, solo se avevano meno di 874 euro.
    Aumentando la soglia della povertà di oltre il 5 per cento, i poveri automaticamente sono aumentati dell' 1 per cento, sul totale dei residenti in Italia, dal 12 al 13 per cento.
    Ma il loro reddito nel frattempo è aumentato.
    Abbiamo più poveri, però con più soldi dell'anno prima.
    Questo aumento della soglia della povertà da un anno all'altro, che è pari al 5,2 per cento, è del tutto arbitrario, anche se gli esperti dell'Istat hanno le loro ragioni " tecniche" per sostenere che non lo è.
    Infatti, mi domando e domando ai lettori, con quale argomento si può sostenere che la linea della povertà si è spostata in su del 5,2 per cento, da un anno all'altro?
    Un pensionato potrebbe rispondere che dipende dall'aumento dei prezzi.
    Ma, almeno ufficialmente, i prezzi in Italia, dal 2003 al 2004 non hanno registrato quei grossi aumenti che ebbero, quando fu introdotto l'euro.
    Al contrario, in certi settori, i commercianti avendo, prima, tirato troppo la corda, sono stati indotti a rilassarla.
    E in effetti, l'indice dei prezzi nel 2003 ha frenato la corsa, limitando l'aumento a un 2,3 per cento. Si dirà che, però, questo è un indice di Trilussa, perché include la media dei prezzi degli alimentari, che interessano soprattutto ai non abbienti, e i prezzi dei telefonini che interessano soprattutto agli abbienti ( per quanto, se è vero che in Italia il 13 per cento dei residenti è povero, data la diffusione dei telefonini, è facile arguire che molti poveri hanno il telefonino: che cosa ci sarebbe di male, dopotutto?).
    Ma allora guardiamo ai prezzi dei generi alimentari.
    L'indice dà, per i prodotti trasformati, un aumento del 3,6 per cento, mentre per quelli " freschi" ( come il latte, le mele, le patate, le uova) esso è pari all' 1,9 per cento.
    La media fra i due indici dà il 2,7 per cento.
    E, supponendo che gli alimentari costituiscano la metà della spesa dei non abbienti ( per gli abbienti è minore), possiamo ricavarne che la media di rincaro fra non alimentari e alimentari, per loro, risulta del 2,5 per cento.
    Dunque quel 5,2 per cento di aumento della soglia della povertà, che l'Istat calcola, per dimostrare che in Italia i poveri sono aumentati non è dovuto all'aumento dei prezzi, né all'aumento degli alimentari, perché fra il 2,2 e il 5,2 c'è il 3 di differenza e fra il 2,5 e il 5, c'è il 2,7.
    Ma ecco, subito, che i soloni della sinistra ti vengono a spiegare che quando il reddito dei cittadini aumenta, anche i poveri hanno, automaticamente più bisogni, in proporzione e quindi, la povertà non è un concetto assoluto, ma relativo. Il che comporta che anche nei Paesi ricchissimi i poveri ci sono sempre, perché c'è sempre gente che ha meno degli altri.
    Ammettiamolo, ma il prodotto italiano, dal 2002 al 2003 è aumentato solo dello 1,2 per cento. Quindi il calcolo dell'Istat non tiene. La sua giustificazione per quel 5,2 sta nel fatto che essa ha esaminato un « campione di famiglie » e ha notato che la spesa di tale « campione » è aumentata del 5,2 per cento. Testualmente, l'Istat avverte « è opportuno tenere conto dell'errore che si commette osservando solo una parte della popolazione, cioè dell'errore campionario » .
    Dunque, l'Istat stesso dice che quel 5,2 può esser frutto di un « errore campionario » .
    Insomma questa statistica è vera o no? L'Istat dice, non lo so, ci può essere un errore campionario.
    Dunque l'aumento dei poveri in Italia, non solo come fatto assoluto, ma anche come fatto relativo non risulta.
    Tutto ciò a prescindere dal fatto che 920 euro per due persone in un paese del Sud sono una cifra maggiore che a Milano.
    Quindi il fatto che questa povertà stia quasi tutta nel Sud, ove una famiglia su quattro sarebbe povera, appare dovuto a un calcolo arbitrario.
    E ciò pur trascurando il reddito dell'economia informale, perché non è politicamente corretto menzionarlo.

    di FRANCESCO FORTE su Libero

    saluti

  4. #4
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    Predefinito Ho assunto un "no global"

    Prendete un giovane no global che sostiene di essere emarginato e disoccupato per colpa della società berlusconiana e quindi cattiva. Prendete il direttore di un giornale che pur non conoscendo il nome e la faccia del suddetto ragazzo si impegna solennemente ad assumerlo a tempo indeterminato (traduco: a vita) e a pagargli uno stipendio di duemila euro al mese. Secondo voi, come va a finire?
    La mia risposta, credo anche quella di molti di voi, è che il giovane corre a firmare il contratto e il direttore viene cacciato dal suo editore il giorno dopo non senza qualche ragione.
    Per mia fortuna questa non è la risposta esatta.
    E sì, perché il direttore in questione sono io e al posto ci tengo. Chi sia il giovane invece ancora non lo so.
    L'ho incontrato l'altra sera nello studio televisivo di Telelombardia alla trasmissione «Prima serata» condotta da David Parenzo.
    Il ragazzo disoccupato era un «incappucciato», ultima trovata dei disobbedienti no global, il movimento pacifista e non violento col vizio di sfasciare le città e tirare estintori e bombe Molotov contro i carabinieri (ricordate il G8 di Genova?).
    Ora, come forse sapete, questi bravi ragazzi hanno deciso di candidarsi alle primarie dell'Ulivo.
    Dalle piazze sono passati agli studi televisivi per fare campagna elettorale. Hanno cambiato il colore del passamontagna: era nero quando spaccavano vetrine e incendiavano macchine, ora è arcobaleno (in tv viene meglio).
    Non svelano nome e volto non solo perché magari qualcuno di loro è ricercato dalla polizia ma perché sostengono di non avere identità: parlano a nome delle migliaia di migranti (traduco: immigrati clandestini) e sfruttati di questo paese. Bene.
    Per metà trasmissione questo senza volto si è lamentato della «nostra condizione» (parlare al singolare è vietato), ha tenuto concione sui padroni cattivi e sulla non libertà di spinello spalleggiato in studio da un ex brigatista rosso, Cecco Bellosi e in collegamento da Genova dall'immancabile don Gallo il prete (?) disobbediente protettore dei teppisti.
    Devo dire che ero in difficoltà. Il senza volto era in gran forma e non sapevo come incalzarlo senza fare la parte del bieco reazionario.
    Ho provato a dirgli: guarda che quelli che hanno fatto la rivoluzione prima di te per metà sono finiti in carcere per omicidio e l'altra metà, i più furbi, sono al soldo dei padroni che gli hanno affidato la direzione dei più importanti giornali del Paese.
    Se proprio devi fare il comunista, almeno non farti fregare.
    Fai anche tu il furbo.
    Il senza volto negava e ribatteva: taci sfruttatore.
    Ho insistito: pensaci, Riccardo Barenghi, il direttore del tuo giornale di riferimento, il Manifesto, ti ha spinto sulla strada a bruciare la bandiera americana e poi, di recente, ha traslocato ben pagato a la Stampa, quotidiano della famiglia Agnelli, quello che secondo te affama gli operai.
    Vedendo il senza volto un attimo in difficoltà ho tentato l'affondo. Ok, gli ho detto, ti accelero la carriera: ti assumo io, in regola, duemila euro al mese. Accetti?
    Silenzio. Suo e mio che già mi vedevo la faccia di Vittorio Feltri. Insisto: ti assumo, se dici sì è fatta, non posso più tirarmi indietro.
    Dalla fessura del passamontagna ho visto gli occhi del senza volto cercare aiuto in quelli dell'ex brigatista.
    Poi la risposta: non accetto perché siete dei fascisti oppressori eccetera eccetera.
    Si dirà: che palle il ragazzo. Giusto. Fare il giornalista non è un obbligo, farlo a Libero tantomeno. Magari i senza volto si sentono più portati a intraprendere altre strade, che ne so, il medico, l'avvocato, oppure il meccanico o il panettiere.
    La questione dalla quale non si può prescindere è che per guadagnare la pagnotta bisogna lavorare, mettersi alla prova.
    E lavorare è faticoso, a tratti noioso, all'inizio sempre difficile e pagato male.
    Ammetto che l'esproprio proletario e il weekend a scorrazzare per le città urlando «una, cento, mille Nassiriya» è più divertente e se ci scappa il morto anche più eccitante.
    Siamo un po' tutti rivoluzionari.
    Ma chi lavora e guadagna lo è molto di più di chi passa le giornate a farsi di spinelli, a teorizzare che il lavoro non c'è e a fare le primarie dell'Ulivo.
    E anche se aveva il passamontagna calzato, la faccia del senza volto non mi è sembrata quella di un rivoluzionario.
    Fate voi che faccia era.

    su Libero di Alessandro Sallusti

    saluti

  5. #5
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    Predefinito L’Ambasciatore Usa sbugiarda la ritirata.... dell’Unione dall’Iraq

    _Quante facce ha Romano Prodi sulla futura politica estera dell’Unione? Una zapaterista e l’altra filoamericana? Dopo il caso Afghanistan, che ha fatto insorgere Fausto Bertinotti e non solo, è il caso Irak a creare scompiglio nel centrosinistra. Sul ripudio della guerra e sulla dottrina-Bush litigano l’ala più moderata
    e quella pacifista e ci si chiede come troveranno un programma comune.
    Tutto succede perché un Grillo Parlante si diverte a «sbugiardare» i vertici dell’Unione sulla volontà di ritirare le truppe dall’Irak, all’indomani dell’eventuale vittoria elettorale. Si chiama Ronald Spogli ed è il nuovo ambasciatore degli Usa a Roma.
    Racconta, in un’intervista sulla Stampa, che in questi giorni ha avuto varie conversazioni con ileader dell’opposizione e che nemmeno loro hanno intenzione di far tornare subito a casa i nostri militari, se andranno al governo.
    «Li ho trovati – assicura Spogli - molto prudenti, appoggiano la missione in Irak, vogliono capire meglio, ma sono convinto che qualunque governo ci sarà, l'Italia non rinuncerà ad appoggiare il governo iracheno».
    Poche frasi che provocano una levata di scudi nell’opposizione, dai Ds alla Margherita, dai Verdi al Prc. «Non c'è discussione nell’Unione - replica Fausto Bertinotti - sul ritiro delle truppe italiane dall'Irak, se un ambasciatore americano ha detto qualcosa al riguardo sono fatti suoi». Il leader del Prc è convinto che il suo
    schieramento abbia già stabilito, «in modo ufficiale», il ritiro delle truppe. «Se qualche singolo esponente - aggiunge – vuole dire qualche cosa sono fatti suoi».
    Bertinotti ha già attaccato il Professore per le sue «idee datate » sull’Afghanistan e i Balcani, dopo l’annuncio di voler mantenere lì i nostri militari e lo ha invitato a uscire allo scoperto, riconoscendo che «l’Atlantico è
    più largo». Ma sull’Irak, prima della dichiarazione di Spogli, concordava con Prodi sulla necessità di aprire le consultazioni per una decisione comune, in un programma non «calato dall’alto». Ora, però, non vuole aprire
    un altro fronte e lascia alla collega di partito Elettra Deiana il compito di chiedere chiarimenti sulle dichiarazioni di Spogli, «così categoriche e così deflagranti rispetto alle attese del vasto popolo della pace».
    Dalla Quercia anche Famiano Crucianelli, della commissione Esteri della Camera, sollecita gli esponenti di rilievo del centrosinistra a smentire, per eliminare ogni equivoco. «Sono dichiarazioni - dice l'esponente della sinistra Ds - sorprendenti e gravi. O l'ambasciatore mente e la cosa è di enorme gravità, oppure i leader
    dell'opposizione praticano la doppia verità: una per gli italiani e l'altra per l'ambasciata americana».
    Ma nessuno nei vertici risponde all’appello.
    Però il Ds Giuseppe Giulietti , responsabile per la Comunicazione delle primarie, dichiara:«Non so a cosa si riferisca l'ambasciatore Spogli: sul tema delle truppe italiane in Irak non si è svolto alcun incontro dell'Unione alla presenza di Prodi. Un tema di tale delicatezza non potrebbe che essere affrontato
    In una sede formale e appropriata di tutta l'Unione. Non so se l'ambasciatore sia stato tratto in errore da colloqui privati con singoli esponenti dell'alleanza».
    Rosi Bindi «interpreta» il Professore, dicendo che sull’Irak s’impone una modifica del quadro
    internazionale. «Noi non vogliamo abbandonare l’Irak - spiega l’esponente della Margherita -
    vogliamo essere presenti ma con le Nazioni Unite e con l’Europa, non con le forze che hanno fatto la guerra».
    Il coordinatore dei Verdi, Paolo Cento, accusa l’ambasciatore Usa di un «tentativo di ingerenza negli affari del nostro Paese da parte dell’amministrazione Bush». «Sono frasi provocatorie - aggiunge - visto che l’Unione ha già dichiarato pubblicamente che, se vincerà le elezioni, disporrà subito un piano di ritiro delle nostre truppe dal teatro di guerra iracheno».
    Ma la posizione dell’opposizione è proprio così chiara? O, alla fine, s’identifica con quella dell’attuale governo, ribadita dal sottosegretario Udc alla Difesa, Francesco Bosi: «È difficile dare una data precisa per il ritiro del contingente italiano dall'Irak, ma sicuramente c'è una tendenza a diminuire le presenze via via che le condizioni complessive di sicurezza vanno migliorando. Le fasi del futuro ritiro italiano verranno concordate con gli alleati e con il governo iracheno ». Forse, anche nell’Unione, sottoscriverebbero.

    A.M.Greco su il Giornale

    saluti

 

 

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