IL COMMENTO
Le carte coperte
del guardasigilli
di GIUSEPPE D'AVANZO
A QUESTO punto, soltanto il capo dello Stato può raddrizzare un affare che è tanto grottesco quanto insostenibile per il suo illegalismo istituzionale. Il Parlamento è chiamato dalle convenienze del presidente del Consiglio ad approvare una legge che toglie l'amico Cesare Previti dai guai di una doppia condanna per baratterie giudiziarie (dodici anni di carcere, la condanna). La legge, si sa, lavora sulla prescrizione predeterminandola. Dimezza il tempo oltre il quale viene meno l'interesse dello Stato ad accertare il reato e ad infliggere la pena. Il reato che era cancellato (perché prescritto) in quindici anni, lo si butta via in sette anni e mezzo.
Legittimo, meglio doveroso che il Parlamento chieda al ministro di Giustizia di fornire un quadro dell'"impatto" sui processi del nuovo regime, come si dice. Si sa che la richiesta fa andare su tutte le furie chi deve innanzitutto beneficiarne. Cesare Previti, appena l'altro giorno, ha maltrattato nel Transatlantico di Montecitorio il sottosegretario alla Giustizia, Luigi Vitali, che timidamente gli riferiva la disponibilità del ministero a uno screening accurato. "Il tempo è scaduto", l'ha strapazzato Cesare con brusquerie da caserma.
Il ministro Castelli, nonostante quei dati glieli chieda ufficialmente anche il presidente della Camera, si acconcia ai desideri dell'eccellentissimo. E spedisce in Parlamento numeri approssimativi, monchi, minimalisti condendoli per di più di una ridicola arroganza. A chi gli rimprovera che quello studio è gaglioffo replica che bisogna "alfabetizzarsi" in statistica. A peggiorare la sua condizione, il malaccorto aggiunge di non aver considerato la Cassazione perché "allo stato non si può calcolare alcun impatto" in quanto "il prolungamento di un anno (per questo giudizio) consentirà la celebrazione di un numero allo stato non quantificabile di procedimenti pendenti".
Al contrario, accade che il primo presidente della Corte invii, al ministro e al capo dello Stato, uno studio "asettico" con "dati sottostimati" degli effetti della nuova legge sui processi pendenti in Cassazione. Il quadro che affiora è catastrofico. Saranno "bruciati" l'88 per cento dei processi per corruzione; il 40 per cento delle ricettazioni; il 64 per cento delle usure; il 65 per cento delle truffe ordinarie e il 73 per cento delle truffe aggravate, il 56 per cento degli omicidi colposi; il 26 per cento delle bancarotte (non sono stati prese in considerazione le "fraudolente" e le "preferenziali"); il 67 per cento dei maltrattamenti in famiglia; il 68 per cento dei falsi in atto pubblico; il 50 per cento dei reati contro il patrimonio.
La Waterloo della giustizia, la Piedigrotta del delinquente, il giorno dell'umiliazione della vittima del reato. E non è tutto. Gli altissimi giudici avvertono il ministro (e il Parlamento) che del prolungamento di un anno non sanno che farsene perché se un processo arriva alla Corte "prescritto", i giudici della Corte non possono far altro che firmarne il certificato di morte.
Che sarà un caso (nonostante le cabale sconnesse di Ignazio La Russa) è giustappunto quel che accadrà all'amico Cesare. Il suo ultimo pagamento sottobanco a un giudice è del 1993. Prima della legge, prescrizione di 15 anni. Processo morto nel 2008. Con la nuova legge, prescrizione a 10 anni. Processo morto nel 2004, l'anno scorso: quando arriverà in Cassazione, i giudici non potranno che prenderne atto (d'altronde la legge è stata scritta dopo aver accertato qual è stato l'ultimo pagamento corruttivo individuato dalle sentenze di condanna).
Ora dinanzi a questo quadro così disastroso e, per la sua fonte, attendibilissimo, la correttezza istituzionale avrebbe dovuto imporre al ministro della Giustizia di inviare ad horas il plico in Parlamento. Invece, è ormai sera, e niente. Silenzio. Il sapiente in matematica e statistica tace. E allora non c'è che il capo dello Stato a poter restituire decoro al confronto istituzionale e dignità al Parlamento. Presidente, invii Lei alle Camere lo studio della Corte di Cassazione. Il ministro non sembra averne il coraggio. Cesare Previti deve fargli una paura del diavolo.
(6 ottobre 2005)