di PINO RAUTI
E’ sorprendente ma è così: nonostante il moltiplicarsi e l’aggravarsi dei disastri climatici e mentre giungono notizie incontestabili sullo “scioglimento dei ghiacci” ai Poli, ancora, a livello politico si prende coscienza di come stanno andando le cose sulla Terra. Stanno andando male, come noi cominciavamo a sostenere a suo tempo, un tempo oramai lontano, ancora prima che si facessero avanti ecologisti, ambientalisti e Verdi.
E anzi – per sottolineare un’annotazione, ricordo di natura personale – se ci chiedessero qual è stata l’omissione maggiore che si è avuta nella nostra azione politico-culturale di una trentina di anni fa, non avremmo dubbi nell’individuarla proprio in questo, proprio nel non diventare – come avremmo facilmente potuto – i battistrada ed i capintesta dell’ambientalismo. Che poi ci appartiene a pieno diritto, è nostro in termini di DNA politico-culturale molto più di quanto non possa dire nessun altro.
Pensavamo ancora una volta a tutto questo mentre, qualche settimana fa, suscitava polemiche – specie a sinistra- un articolo critico di Joseph E. Stiglitz su “lo sviluppo e il pianeta”; uno scritto documentato in cui si sosteneva che si stanno commettendo errori dalle conseguenze gravi a proposito del clima, e soprattutto per quello che riguarda le foreste pluviali e la condizione nella quale si trovano i Paesi “tropicali”. Infatti questi Paesi hanno offerto alla Terra un “aiuto inestimabile” preservando le loro foreste pluviali, ma non sono stati ricompensati “per aver evitato la deforestazione”.
Anche nel Protocollo di Kyoto è stato commesso un errore, dimenticando questo dato di fatto.
Senza fare qualcosa di concreto su questo versante, non si possono più chiudere gli occhi di fronte alla realtà: i Paesi detti in via di sviluppo, non hanno – e non avranno mai- i mezzi necessari per accollarsi la preservazione delle foreste. Il che è davvero grave, visto che ci sono “2,7 miliardi di persone in 60 Paesi in via di sviluppo, che vivono in zone della Terra coperte da foreste tropicali. Per loro “abbattere le foreste di alberi da legna – anche quando, come al momento, ricevono poi soltanto il 5 per cento del prezzo finale di New York, per esempio – è l’unico modo per la gente di far quadrare i conti….”
Il premio Nobel per l’economia – che è stato anche vice-presidente della Banca Mondiale – sottolinea che adesso sono gli stessi Paesi in via di sviluppo a sostenere queste tesi e a battersi contro la deforestazione.
Ma l’Occidente – e soprattutto gli Stati Uniti e la stessa UE, sorda e muta com’è stata con la gestione Prodi – non sente queste voci; l’importante è che il legname venga pagato il 5% del prezzo finale, e che intermediari, grassi commercianti e affaristi delle multinazionali su quel legname guadagnino il “loro” 95 per cento.
MAGARI TUTTI I RINCOGLIONITI NOVANTENNI CHE NON SI REGGONO IN PIEDI PARLASSERO E SCRIVESSERO COSI'.