È andata, alla fine.
La prima reazione, adesso che in mano abbiamo finalmente un parto delle aule parlamentari da sottoporre al volere popolare, è una sorta di rimpianto per quello che non è stato creato, a cominciare dal federalismo fiscale, vero e unico fulcro attorno al quale far girare qualsiasi concetto di autonomia.
Intendiamoci, i cambiamenti si possono realizzare in due soli modi: o all'interno del sistema o al di fuori di esso. A parità di consenso popolare all'ideale, non ci sono particolari differenze nel tipo di obiettivi che si possono raggiungere: è solo che i primi richiedono molto tempo, mentre i secondi molto sangue. Abbiamo scelto i primi: bene, così sia.
Ma a giudicare dalla levata di scudi da parte dell'opposizione per le sciocchezze autonomiste di questa Devolution, ho l'impressione che qualunque altra richiesta avrebbe rischiato di essere un passo troppo lungo, o una pillola troppo indigesta, col risultato di far naufragare il progetto in una difficilmente gestibile bocciatura popolare. Se mai possiamo avere una qualche chance di superare lo scoglio del referendum, e di guadagnare qualcosa di "permanente" da portare a casa, con questa Devolution non potremmo essere messi meglio.
Cambiamento all'interno del sistema, dicevo, significa un passo alla volta: e allora un passo alla volta sia. Noi non abbiamo fretta.