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Risultati da 1 a 4 di 4
  1. #1
    torquemada
    Ospite

    Predefinito Articolo di Antonio Socci

    Non c’è nulla di più intollerante
    - nella Chiesa -
    dell’inquisizione progressista.

    Lo conferma, per l’ennesima volta, l’anatema che dalle colonne del “Manifesto” Adriana Zarri (teologa, o meglio giornalista cattoprogressista) ha scagliato contro Guido Ceronetti, definito “anticonciliare, di tipo lefebvriano” (lui che non è neanche cattolico).

    Di quale terribile colpa si sarebbe macchiato lo scrittore torinese?
    Semplice. In una lettera aperta al nuovo Papa, sulla Repubblica, ha chiesto “che sia tolto il sinistro bavaglio soffocatore della voce latina della messa” e sia possibile celebrarla accanto a quella in volgare “imposta da una riforma liturgica distruttiva”. Ceronetti aggiungeva: “Certamente non ignorerete quanto piacque alle autorità comuniste quella riforma conciliare dei riti occidentali; non erano degli stupidi, avevano nella loro bestiale ignoranza del sacro, percepito che si era aperta una falla”.

    In effetti il latino era il concreto legame universale che univa i cristiani di tutto il pianeta in un’unica Chiesa guidata da Pietro e in un’unica fede che nessun potere poteva intaccare. Cancellare quella liturgia ha enormemente indebolito i cristiani.

    La Zarri ieri ha irriso Ceronetti perché il progressismo cattolico italiano fu decisivo nello smantellamento della lingua della Chiesa. Ma è probabile che Benedetto XVI restauri proprio il tesoro dell’antica tradizione liturgica compreso il latino e il gregoriano (lo fa pensare anche il recente incontro del Papa con la fraternità lefebvriana). Anche se i progressisti grideranno al tradimento del Concilio.

    In realtà mai il Concilio ha decretato l’improvvisa e ingiustificata messa la bando della lingua sacra con cui la Chiesa per duemila anni ha espresso il suo Credo. Anzi, la distruzione della liturgia latina contraddice proprio l’art. 36 della Costituzione conciliare sulla liturgia.

    Contraddice la Lettera Apostolica “Sacrificium laudis” di Paolo VI, contraddice la “Veterum sapientia” di Giovanni XXIII (“nessun innovatore ardisca scrivere contro l’uso della lingua latina nei sacri riti”) e contraddice la “Mediator Dei” di Pio XII che riaffermava “l’obbligo incondizionato per il celebrante di usare la lingua latina”. Contraddice insomma tutta la tradizione cattolica.

    Ma come fu possibile allora far passare una simile “rivoluzione” contro la volontà della Chiesa?
    Gianni Baget Bozzo ha osservato:

    “il ‘partito rivoluzionario’, cioè il partito intellettuale si è impadronito della gestione della liturgia…la rivoluzione moderna non nasce dal popolo, è sempre il colpo di Stato di una minoranza… la riforma liturgica fu applicata in modo autoritario e violento...
    Nessuna obiezione venne ascoltata. Tutto sembrava così innovatore, intelligente, comprensibile… e il risultato è che la liturgia della Chiesa postconciliare è una liturgia morente, priva del sacro, del canto, priva di bellezza, di grandezza. Quando si celebra la Messa tradizionale, si sente in essa la Chiesa vibrare.
    La riforma liturgica fu un colpo di mano del partito intellettuale… ed è fallita… Dio non ha benedetto questa riforma”.

    Sono parole drastiche. Forse troppo. Ma è impressionante leggere ciò che Joseph Ratzinger scrive nell’autobiografia (“La mia vita”, ed. San Paolo) dove rievoca “la pubblicazione del messale di Paolo VI, con il divieto quasi completo del messale precedente”.

    Commenta Ratzinger: “Rimasi sbigottito per il divieto del messale antico, dal momento che una cosa simile non si era mai verificata in tutta la storia della liturgia. Si diede l’impressione che questo fosse del tutto normale. Il messale precedente era stato realizzato da s. Pio V nel 1570, facendo seguito al Concilio di Trento; era quindi normale che, dopo 400 anni e un nuovo Concilio, un nuovo papa pubblicasse un nuovo messale. Ma la verità storica è un’altra. Pio V si era limitato a far rielaborare il messale romano allora in uso, come nel corso vivo della storia era sempre avvenuto lungo tutti i secoli… senza mai contrapporre un messale a un altro. Si è sempre trattato di un processo continuativo di crescita e di purificazione, in cui però la continuità non veniva mai distrutta…
    Ora invece” scriveva Ratzinger “la promulgazione del divieto del messale che si era sviluppato nel corso dei secoli, fin dal tempo dei sacramentali dell’antica Chiesa, ha comportato una rottura nella storia della liturgia, le cui conseguenze potevano essere solo tragiche… si fece a pezzi l’edificio antico e se ne costruì un altro”.

    Ed ecco una pagina clamorosa che prefigura il programma del suo pontificato: “Per la vita della Chiesa è drammaticamente urgente un rinnovamento della coscienza liturgica, una riconciliazione liturgica, che torni a riconoscere l’unità della storia della liturgia e comprenda il Vaticano II non come rottura, ma come momento evolutivo. Sono convinto che la crisi ecclesiale in cui oggi ci troviamo dipende in gran parte dal crollo della liturgia, che talvolta viene addirittura concepita ‘etsi Deus non daretur’: come se in essa non importasse più se Dio c’è e se ci parla e ci ascolta”.

    Sarà una svolta straordinaria, innanzitutto per la Chiesa. Ma non solo. Significherà ritrovare anche “una sorgente fecondissima di civiltà” (come scrisse Paolo VI) e soprattutto di bellezza.
    E’ curioso. Il “progressismo” cattolico che ha provocato questo immenso disastro pretende sempre che si ascoltino “i segni dei tempi” (cioè l’opinione pubblica) e che si “dialoghi” con il mondo. Ma per quanto riguarda il “colpo di mano” sulla liturgia accadde esattamente il contrario. Perché tutta la migliore cultura contemporanea _ cattolica o laica _ si oppose a questo catastrofico azzeramento di una tradizione millenaria.

    In piena stagione sovversiva, ovvero nel 1966 e nel 1971, uscirono due manifesti in difesa della Messa tradizionale di s. Pio V. E furono firmati da personalità di eccezionale rilievo. Ne cito alcuni: Jeorge Luis Borges, Giorgio De Chirico, Elena Croce, W. H. Auden, i registi Bresson e Dreyer, Augusto Del Noce, Julien Green, Jacques Maritain (che pure era l’intellettuale prediletto di Paolo VI, colui a cui il Papa consegnò, alla fine del Concilio, il documento agli intellettuali), Eugenio Montale, Cristina Campo, Francois Mauriac, Salvatore Quasimodo, Evelyn Waugh, Maria Zambrano, Elémire Zolla, Gabriel Marcel, Salvador De Madariaga, Gianfranco Contini, Giacomo Devoto, Giovanni Macchia, Massimo Pallottino, Ettore Paratore, Giorgio Bassani, Mario Luzi, Guido Piovene, Andrés Segovia, Harold Acton, Agatha Christie, Graham Greene e molti altri fino al famoso direttore del “Times”, William Rees-Mogg.

    Curiosamente non se ne tenne alcun conto. Certo, è singolare vedere insorgere tanti intellettuali laici in difesa dell’antica liturgia laddove molti ecclesiastici (che pure capivano cosa stava accadendo) non ebbero il coraggio di fiatare.
    Con Benedetto XVI potremmo assistere al ritrovamento della grande tradizione liturgica della Chiesa.
    Sarà un evento straordinario. E forse sarà l’inizio della fine per il “progressismo” dentro la Chiesa. La fine dell’autodemolizione.
    Ritrovare le radici significa ritrovare il vigore, l’identità, la bellezza del rito e l’evidenza del Mistero in un tempo in cui gli uomini, assetati del sacro, lo trovano spesso in forme aberranti.

    Fonte: © Il Giornale - 18 settembre 2005

  2. #2
    torquemada
    Ospite

    Predefinito

    Benedetto colui che parla 03.10.2005


    Nel mondo i cattolici sono più di 1 miliardo e in totale i cristiani sono 2 miliardi.
    E’ la fede che unisce la maggior parte degli esseri umani sul pianeta nell’anno 2005.
    La Chiesa inoltre ha 2000 anni e ha letteralmente partorito la nostra civiltà europea.
    La Chiesa non impone nulla a nessuno, ma è ancora oggi la realtà più perseguitata nel mondo: nei sistemi comunisti (Cina, Corea del Nord, Vietnam, Cuba, Laos), in quelli islamici e nelle diverse autocrazie asiatiche e africane dove si cerca di estromettere Cristo dalla vita umana con ferocia e violenza fisica.

    Date queste premesse, ci si chiede: il Sommo Pontefice a cui guardano miliardi di esseri umani può commentare liberamente il Vangelo della domenica, al Sinodo mondiale dei Vescovi sull’Eucarestia, o deve chiedere il permesso di parlare a Fassino, Capezzone, Rizzo, Grillini e Livia Turco, facendosi dettare da loro cosa deve dire?
    Tutto il problema sta qui. La Chiesa che è in Italia da 2000 anni (un po’ prima che arrivassero i Ds, l’Arcigay e i radicali…), la Chiesa che ha salvato l’Italia dalla barbarie e l’ha trasformata nel giardino del mondo, può parlare di Dio?
    I Ds pensano che dovrebbe prima chiedere il permesso a loro che approverebbero (stravolgendone il senso) solo le parole del Papa sulla Pace e sulla giustizia sociale.
    Ma non volendo sembrare ancora comunisti, i Ds cercano di negare questo diritto di libertà ipocritamente. Ed ecco che ieri Fassino ha commentato il discorso del Papa contrapponendogli un altro discorso dello stesso Papa, quando Benedetto XVI chiese “una sana laicità dello Stato”.

    Fassino crede di aver colto in contraddizione il pontefice. Ma così dimostra solo di non averci capito nulla.
    Il Papa davanti a Ciampi intendeva dire esattamente ciò che ha ripetuto ieri, cioè che senza Dio l’uomo diventa preda di idoli e ideologie e viene schiavizzato, che eliminando Dio dalla vita pubblica i diritti naturali dell’uomo vengono facilmente conculcati dallo Stato e dal Potere, mentre la dignità umana viene prima dello Stato e di ogni potere, come afferma anche la filosofia liberale (per questo Wilhelm Ropke poteva dire che “il liberalismo è il legittimo figlio spirituale del cristianesimo”).
    Anche Livia Turco ammette che “il Papa ha diritto a dire tutto quello che pensa” (bontà sua), purché però corrisponda al pensiero della Turco.
    Se infatti il Papa parla come il cardinal Ruini – per l’esponente ds – non va più bene, allora diventa “lobby politica” ed è interferenza.
    Meno ipocrisia da Grillini, presidente onorario dell’Arcigay, il quale considera la libertà di parola del Papa sic et simpliciter come una minaccia che mette “in forte pericolo la laicità dello Stato”.
    Esattamente come pensavano i regimi dell’Est e come accade tuttora in Cina o a Cuba. Dove ai cristiani non è concessa libertà di parola perché ciò, appunto, minerebbe lo Stato.
    Marco Rizzo, dei Comunisti italiani, in perfetto stile cubano, sovietico e cinese esorta il centrosinistra a “non mostrare alcun segno di cedimento verso chi vorrebbe imporre la religione come fatto pubblico togliendolo dalla sfera privata”.
    Per lui i cristiani devono stare nelle catacombe. Così sembra pensarla pure Capezzone che a parole indica gli Stati Uniti come esempio di laicità e libertà, ma che dimentica l’eccezionale rilevanza pubblica che ha in America il pensiero cristiano, anche nell’elaborazione delle leggi.

    Alla fine viene da pensare che aveva ragione Tocqueville: “Ciò che caratterizza i socialisti di tutti i colori è un tentativo continuo, vario, incessante, per mutilare, per raccorciare, per molestare in tutti i modi la libertà umana


    Fonte: © Il Giornale - 3 ottobre 2005

  3. #3
    torquemada
    Ospite

    Smile

    Ma ita totu ses narendi? Socci ha ragione al 101%

  4. #4
    Super Troll
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    Predefinito

    Originally posted by torquemada
    Ma ita totu ses narendi? Socci ha ragione al 101%
    su questo forum è meglio non rispondere ai fessi!
    voi nazifascisti di oggi e i vostri servi siete solo gli ayatollah E I TALEBANI dell'occidente..

 

 

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