Il posto dei socialisti

• da Il Mattino del 24 ottobre 2005, pag. 1

di Emanuele Macaluso
La politica italiana, da gran tempo, è in uno stato confusionale. Lo testimonia anche la presenza di gruppi di ex socialisti nella destra berlusconiana. E oggi, nel momento in cui si parla nel centrosinistra di dare vita al «Partito democratico» prodiano e si chiede ai Ds di rinunciare a ridefinirsi come forza socialista, è in corso uno scontro nell’area della diaspora socialista attorno alla proposta di unificazione dei piccoli partiti eredi del Psi. Unificazione che dovrebbe avvenire per dare vita a una forza politica che dovrebbe caratterizzarsi anche per l’incontro con i radicali di Pannella e Bonino. Come è noto, nel 1993 il partito socialista di Bettino Craxi praticamente si dissolse. Dalle sue ceneri era nato lo Sdi di Boselli con l’apporto di un gruppo di socialdemocratici del vecchio partito di Saragat. Un gruppo di socialisti è invece confluito nei Ds: Benvenuto, Ruffolo, Spini e altri, con Giuliano Amato che non ha formalmente aderito al partito ma è un autorevole esponente dell’Ulivo. Rino Formica presiede un’associazione socialista con l’ambizione di riunificare in un partito socialista autonomo tutti gli eredi del Psi. Altri gruppi di socialisti si sono invece collocati nel centrodestra: alcuni in Forza Italia (Cicchitto, Margherita Boniver, Sacconi e recentemente Stefania Craxi), altri, con De Michelis e Bobo Craxi, si sono collocati nella Casa delle Libertà costituendo il «Nuovo Psi».

Non c’è dubbio che l’anomalia storico-politica è costituita proprio da quei socialisti che si sono collocati nel centrodestra. Infatti, alcuni di loro hanno giustificato questa contraddizione solo come uno stato di necessità provvisorio in attesa di sviluppi delle posizioni dei socialisti che si trovano nei Ds e anche dello stesso partito di Fassino considerato, quest’ultimo, come responsabile della dissoluzione del Psi e della «persecuzione» subita da Craxi e altri esponenti socialisti. I quali, a mio avviso, non hanno mai voluto fare un’analisi seria, rigorosa e coraggiosa della crisi del Psi di Craxi individuando criticamente le loro responsabilità e quelle dello stesso Craxi, senza dimenticare certo quelle che appartengono al Pci prima e al Pds dopo. E non mi riferisco solo a Tangentopoli che è solo l’epilogo di una crisi che era tutta politica. Mi riferisco al modo come nell’89 fu affrontata la crisi del comunismo e la prospettiva di unificazione delle forze della sinistra.

Ma le domande che oggi si pongono sono essenzialmente due: È possibile riunificare i gruppi della diaspora socalista? Può un partito socialista che rinasce come l’erede del Psi di Craxi avere un ruolo nella società di oggi e nell’agone politico così come si è ridisegnato in questi anni? È difficile rispondere a questi interrogativi anche se l’adozione di un sistema elettorale proporzionale che al tempo stesso coalizza in due poli, centrodestra e centrosinistra, le forze politiche, consente una relativa ripresa di autonomia dei partiti minori ma non di quelli minuscoli. È il caso dell’Udc e di An nella casa delle libertà. È il caso di Rifondazione Comunista nei confronti del listone (Ds, Margherita) e potrebbe essere il caso di una forza socialista più consistente dell’attuale Sdi. In questo contesto lo sforzo iniziato dal partito di Boselli, dai Radicali e da quella parte del Nuovo Psi che fa capo a Bobo Craxi ha un senso. Quale senso? Rianimare la cultura liberal-socialista, riformista, garantista e laica costringendo il «listone» di centrosinistra a tenerne conto. Insomma un partito in grado di condizionare la politica di Prodi così come dall’altra sponda fa oggi solo Rifondazione Comunista. Ma una forza che deve avere un forte timbro riformista. Per assolvere a questa funzione un nuovo partito deve avere una consistenza numerica e politica e non deve essere una associazione di reduci. Voglio dire che deve essere un partito in grado di parlare alla società e soprattutto alle nuove generazioni. Altrimenti può solo sopravvivere.

In questo quadro l’apporto dei radicali può essere importante se anche’essi superano un modo d’essere molto datato, con comportamenti che sono propri di un piccolo gruppo di opinione. Sia chiaro, negli anni scorsi i radicali hanno assolto un ruolo importante e hanno contribuito a svecchiare la sinistra sui temi delle libertà civili. Nel momento in cui, però, i radicali mescolano la loro esperienza con la tradizione socialista, che non è solo quella di Loris Fortuna (autore della legge sul divorzio insieme al liberale Baslini) ma è la tradizione dei Saragat, Nenni, De Martino, Lombardi, Mancini e Craxi (esponenti di culture diverse ma tutti socialisti democratici e riformisti). Insomma, un socialismo libertario.

Lo spettacolo offerto dal congresso del «Nuovo Psi» non è certo incoraggiante e si è concluso nella confusione creata dall’ala ministeriale e berlusconiana che, in minoranza, ha giocato la carta dell’invalidazione dell’assise. Vecchi, vecchissime liti di gruppuscoli che non hanno più il carattere di minoranza di un partito. Gruppi che hanno un solo obiettivo: tirare a campare. Proprio l’andamento di questo congresso, però, deve suggerire ai socialisti che vogliono ricostituire un partito veramente autonomo, di liberarsi del clima che si è respirato nelle loro riunioni sino ad oggi, per guardare soprattutto ai problemi del paese. Una forza di cui abbiamo parlato può avere un ruolo solo se è collocata a sinistra e se ha come progetto l’unificazione di tutte le forze che si richiamano al socialismo democratico in un grande partito così come vediamo in tutta l’Europa.