Alberto Albertini, in "Brixiana (Ateneo di Brescia, 1973) scrive del nome antico della città (Brixa, al quale si è aggiunto il suffisso aggettivale "ia") e ipotizza che Brixia fosse una divinità delle acque. Albertini scrive di aver trovato menzione in alcuni dizionari dell'antichità di una dea di nome Brixia e di averne rinvenuta traccia anche in iscrizioni della Gallia transalpina, nel territorio dei Sequani, e precisamente a Luxovium (odierna Luxeuil - le - Bains), situata nelle propaggini meridionali dei Vosgi.

Nelle iscrizioni Brixia o Bricia era associata a Luxouio o Lussoio, divinità protettrice delle fonti.

"Tutta la mia ipotesi crollò - scrive Albertini - quando nell'Anée épigraphique (…) appresi che nell'incisione (…) si leggeva ora Brictae, non Briciae, e che era stato trovato un frammento, che secondo il Léret era probabilmente una parte dell'altra iscrizione (…) nel quale si leggeva Brixtae, non Brixiae … . Il nome della paredra di Luxovius pareva irrimediabilmente Bricta/Brixta, non Brixia".

Fatta la doverosa precisazione, Albertini scrive: "Di tutta l'ipotesi, ormai priva d'un sostegno tanto importante, può tuttavia, io credo, rimanere che il nome latino di Brixia (la città romana) sia, previa assunzione del suffisso ia, un derivato dal nome (divino) di una fonte, risalente allo strato linguistico e culturale "ligure", che trova corrispondenza con testimonianze archeologiche che fanno dei "Liguri" i più antichi abitanti del luogo. Può anche rimanere che il carattere del luogo sia stato nell'età preromana di centro religioso e che questo carattere sia stato rispettato anche quando fu organizzata la colonia (fittizia) latina nell'89 (come spiegare altrimenti un monumento come il tempio cosiddetto dell'età repubblicana?, che ha tutta l'imponenza e tutto il carattere di un grande santuario, capace di richiamare anche per le proporzioni il santuario prenestino della Fortuna?) e anche più tardi quando fu costituito il municipio di cittadini romani e poi la colonia augustea, ma attenuatosi per quanto riguarda i culti preromani, con l'avanzarsi dell'età imperiale in modo diverso e più romano fu il carattere del Capitolium flavio. Ma anche questo aveva una quarta cella, di destinazione oscura".

Torniamo a Brixta o Bricta.

Brixta, nella lingua del Galli cisalpini significava magia.

La paredra di Luxovius, divinità epicoria termale, è pertanto la magia: la Magia di Luxovius.

A Brescia, l'antico nome della città è associato a quello del dio Bergimo, divinità montana, che Albertini associa tuttavia anche alle acque. "Ricordavo anche – scrive Albertini - che una delle iscrizioni (CIL, V, 4981) era stata trovata sub ruinis aquarum Var [r]onis, ossia ai piedi della cascata del Varone, che si precipita per ottanta metri nell'orrido ben noto (distante circa tre chilometri da Riva) e mi sembra giustificata l'ipotesi che anche Bergimo fosse una divinità delle acque e che Brixia gli fosse associata". Brixia (Brixta), la Magia di Bergimo?
Immagine di Bergimo tratta dal Giornale di Brescia

In un ambiente di servizio del Tempio Capitolino, al di sotto di palazzo Pallaveri, durante gli scavi effettuati tra il 1992 e il 1998 sono stati rinvenuti, tra gli altri numerosi reperti, frammenti appartenenti ad un'unica coppa con orlo leggermente ingrossato con l’effigie di Bergimo (l’unica finora esistente).
Sui frammenti, studiati da Elisabetta Roffia, funzionario della Soprintendenza archeologica della Lombardia, è incisa, come riporta il
Giornale di Brescia, in data 29 maggio 2003 (pagina 27), "la porzione superiore di una figura maschile nuda, in posizione frontale, ottenuta attraverso piccoli punti ravvicinati che danno l'effetto di una linea continua. L'uomo raffigurato presenta sul capo due elementi ricurvi, interpretabili probabilmente come una falce di luna e indossa una collana con pendaglietti. Il volto è caratterizzato da grandi occhi ovali dall'iride nettamente incisa, sormontati dalle lunghe sopracciglia che formano una linea continua con il profilo del naso. La piccola bocca è resa con due linee parallele chiuse alle estremità da due puntini sovrapposti. I capelli scendono ai lati del viso fino all'attaccatura del collo; sopra la spalla sinistra sono visibili le estremità superiori di due frecce terminanti con ampie punte triangolari. A sinistra della figura è incisa un'iscrizione in chiare lettere capitali, incompleta ma integrabile con sicurezza: vi si legge Bergim(us)".

Bergimo, come viene precisato nell’articolo citato a firma dei Civici Musei di Brescia, "era una divinità preromana, probabilmente cenomane, comune a Brescia e a Bergamo benché, sino ad oggi, attestata solo da tre iscrizioni tutte provenienti dal territorio bresciano e datate tra la fme del I secolo a.C. e il II d.C.: due sono conservate al Museo Maffeiano di Verona, una presso i Civici Musei di Brescia. Il culto di questa divinità doveva essere di carattere popolare, particolarmente diffuso ed importante".

"La tipologia della coppa, la tecnica e lo schema decorativo – fa notare l’articolo a cura dei Civici Musei - riconduono il manufatto ai primi decenni del III secolo d.C., nell'ambito di ma produzione che doveva avere come centro la città di Colonia, in Germania. Questa collocazione cronologica testimonia inoltre la continuità del culto di Bergimus nel territorio bresciano fino al III secolo d. C., oltre i termini cronologici precedentemente attestati dalle epigrafi note".

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