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    Considerazioni sull'ideologia

    L'IDEOLOGIA: UNA RAZIONALITA' CHIUSA


    L'ideologia, a mio avviso, non è che una forma estrema di razionalismo, che consiste nel porre un principio, o dei principi, e nel dedurre tutto da questi. Il risultato è la creazione di una realtà propria, soggettiva, mentale. Questo modello mentale è ben diverso dalla realtà delle cose: i principi non sono in grado si spiegare tutta la realtà, di render conto della sua totalità, essa quindi viene forzata per adattarsi al modello che si è costruito. Modello in cui non ha nessun valore l'evidenza; conta solo il principio, ed esso porta spesso a negare l'evidenza delle cose. L'ideologia è come un tunnel, nel quale entra la ragione autolimitandosi, e in questo tunnel si nega tranquillamente l'evidenza, se contraddice il principio. Chi è fuori dal tunnel e parla con l'ideologizzato pensa che questo sia folle, perchè nega i fatti, al posto di spiegarli. Forse non è così sbagliato parlare di follia: l'ideologia è la vera malattia della ragione, che nega la sua apertura alla realtà, per chiudersi in se stessa, creando un sistema, anche potentissimo, che però rimane chiuso, finito, e quindi, come insegna Godel, contraddittorio. Questa operazione è una tentazione sempre presente, è forse il pericolo per eccellenza della ragione. Spesso sono le persone intelligenti a cadere in questo baratro, nel quale la realtà è strumentalizzata per garantire il principio. C'è una frase che viene erroneamente attribuita ad Hegel, ma che comunque spiega bene questo: "se i fatti contraddicono la mia teoria, tanto peggio per i fatti". L'ideologizzato pensa di avere in pugno la realtà, considera la verità come qualcosa che è racchiudibile entro i propri concetti. L'ideologizzato non si rende conto di esserlo, e spesso, a parole, è anche ostile al "sistema" che in realtà utilizza.


    IL RUOLO DELLA VOLONTA' NELL'IDEOLOGIA


    L'ideologizzato, spesso molto intelligente, tende ad escludere la volontà e quindi il fine e il motore, quindi la ragione rischia di essere statica, inerte contemplatrice del sistema che ha costruito. Tale esclusione nella prassi non può mai essere vera, totale e completa, essendo intelletto e volontà, per loro natura sinergici, si verificherà quindi nei fatti uno squilibrio nella relazione intelletto-volontà, il quale tende a far totalizzare l'intelletto. La volontà però, paradossalmente, assume nei razionalisti, che teoreticamente la negano, un ruolo chiave, nell'indurre la ragione a scegliere il principio, nell'indurre la ragione a rimanere legata ad esso, e quindi nel continuare ad indurre la ragione in errore. L'affettività, nell'affermazione della ragione, come dimensione unica dell'umano, viene considerata come qualcosa di poco valore, generalmente un disturbo per la ragione. Questa è la concezione che si trova, ad esempio, in Cartesio. Una affettività cui viene negata la propria relazione originaria con il logos, finisce spesso per manifestarsi in modi dirompenti e irrazionali.



    LA SVOLTA ANTROPOLOGIA DELLA FILOSOFIA MODERNA ALLA RADICE DELL'IDEOLOGIA

    I presupposti che portano all'ideologia sono i presupposti della filosofia moderna. Essi si configurano a partire dalla svoltà antropologica cartesiana, che porta all'inversione del rapporto tra ente e pensiero. Con Cartesio l'evidenza non è più criterio di verità; primo principio è la certezza di sè. Viene meno la specularità tra pensiero ed essere, si forma una vera e propria spaccatura. Oggetto della conoscenza non è più la realtà, ma le idee della ragione. L'esistenza della realtà fuori di me e il fatto che i miei concetti siano indirizzati ad essa, non è più una evidenza, ma deve essere dimostrato, attraverso una complessa argomentazione, che deve includere anche la prove dell'esistenza di Dio. Dio ricuce, in qualche modo, pensiero ed essere. Quando, più coerentemente, l'immanentismo della coscienza, porterà a negare l'esistenza di Dio, sarà tolto ogni ponte con la realtà. Con la filosofia moderna inizia quindi un nuovo modello di pensiero, nel quale oggetto della ragione sono le rappresentazioni della ragione. Modello costante nel dedurre tutto da un principio, diverso nei principi, che variano nei diversi filosofi. Spinoza così partira dalla definizione cartesiana di sostanza, per affermare l'unicità di essa. La volontà in questi modelli di pensiero tende ad essere emarginata, così l'affettività.


    L'IDEOLOGIA, L'ALTERITA' E IL TEISMO


    L'ideologia si regge sull'immanentismo della coscienza. Coscienza che tende a divenire soggetto conoscente e oggetto conosciuto. Questa chiusura della coscienza in se stessa non lascia spazio all'altro. Perfino l'esistenza stessa dell'altro diviene, a partire da questi presupposti, teoreticamente indimostrabile. Praticamente l'altro viene visto in funzione di sè, come un satellite che ruota attorno al pianeta-soggetto, e che quindi è accettabile nella misura in cui persegue i fini dell'io. La relazione viene considerata come una ragnatela che promana dal soggetto, come una proprietà del soggetto, e quindi può essere in qualsiasi momento negata: non esiste un bene proprio della relazione.La relazione con l'altro sarà quindi o di sottomissione dell'altro a sè, o irriducibilmente conflittuale. L'alterità "orizzontale", evidente, tende ad essere negata, a maggior ragione viene negata, o almeno non considerata, l'Alterità "verticale" di Dio, che non è immediatamente evidente. Un dio minore esiste già: la coscienza, una coscienza che si pretende creatrice e padrona della realtà che si crea. Dio può essere accettato, non con molta coerenza a dire il vero, solo se è in qualche modo utile alla coscienza. Si tratta comunque di una divinità del tutto concettualizzabile.

  2. #2
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    Fonte: io

  3. #3
    INNAMORARSI DELLA CHIESA
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    Originally posted by Thomas Aquinas
    Fonte: io



    *********************

    Ciò che ho imparato a distinguere dall'essere ideologia....da ciò che è il Cristianesimo:

    l'ideologia è seguire intanto UNA IDEA....anche fosse buona, corretta, moralmente lecita..è pur sempre una idea che proprio perchè tale è soggetta non solo a diverse interpretazioni (esempio concreto è l'idea diversa che si ha su alcuni aspetti della morale per i quali molta gente crede in buona fede essere LA VARITA'..), ma anche a cambiamenti spesso sostanziali (un altro esempio è l'aborto: 50 anni fa era un reato, oggi è per Legge, lecito)
    Ergo..quando L'IDEOLOGIA si arresta appunto in quella forma razionalistica come spiegava Thomas, non può che produrre pericolosi estremismi......e questo vale sia per l'etica, quanto per la morale, quanto per la politica ed anche per la RELIGIONE.....(esempio religioso è la dottrina ideologica della SOLA SCRIPTURA.....la quale conduce AD UNA IDEA DI DIO, di ciò che ha detto, di ciò che ha fatto, le conseguenze le vediamo: 33.000 denominazioni evangeliche tutte indipendenti fra loro, tutte con dottrine diverse.......)

    Il Cristianesimo invece......NON E' UNA IDEOLOGIA, perchè cristianesimo significa SEGUIRE UNA PERSONA=GESU' CRISTO...in questo caso essendo Egli non solamente un uomo ma UNA PERSONA AVENTE DUE NATURE INDIVISIBILI (=umana e divina), comporta una UNIONE DOTTRINALE CHE DA QUALCHE PARTE DOVEVA GIOCO FORZA CONCENTRARSI..ed è la Chiesa.......Per questo le sue dottrine sono immutabili e resistono ad ogni intemperia ideologica

    Il Cristianesimo al contrario dell'ideologia, è APERTURA e questo proprio contrariamente a quanto si pensa......Chi crede che l'ideologia sia più "aperta" del Cristianesimo, dimostra di non conoscere affatto il Cristianesimo puro
    Proprio dal confronto del Cristianesimo che in ogni tempo si è dovuto misurare con la storia, è nato il VERO DIALOGO....è nato l'illuminismo........si è espressa l'arte in ogni campo...sono nate le UNIVERSITA'....grazie al Cristianesimo è nata nell'uomo la cultura del VOLONTARIATO.....ci si è aperti al confronto CON gli altri......diversamente le ideologie, lo abbiamo visto, hanno portato LE DIDATTURE.......devastano gli animi e li chiudono in sè stessi......provocano quell'assolutismo che poi induce al relativismo di ogni cosa..........al nichilismo......a quel confronto esasperato che finisce per esasperare gli animi........

    Fraternamente Caterina LD
    Fraternamente Caterina
    Laica Domenicana

  4. #4
    INNAMORARSI DELLA CHIESA
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    " Senza il Lume soprannaturale che è Dio stesso, l'uomo non conosce il vero nè la gravezza del male, nè la grandezza del bene; il gusto dell'anima sua è falsato e pensando di operare nel bene, finisce col soddisfare soltanto ciò che crede essere il bene. Chi ama la virtù per amore della virtù, senza pensare di avere un contraccambio, e questo fa solo per amore di Dio, allora ama il prossimo d'affetto schietto e liberale; così ordina a un fine tutte le proprie potenzie, così potrà dire come il grande Apostolo - Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me -. E' il Dolce Cristo, Signore nostro Gesù, che compie il bene e che opera il bene, noi non siamo che il nulla! "

    (S.Caterina da Siena: Lettera CCXLIV, a Francesco, maestro Bartolomeo, medico di Siena )
    Fraternamente Caterina
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  5. #5
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    Interessante il tema, altrettanto le considerazioni.

    Io ritengo sia teologica la matrice dell'ideologia, una deficienza di riflessione teologica nella fattispecie. Mi spiego. E' stato l'aver sostituito la creatura con il Creatore il motore logico di ogni ideologia. Il razionalismo, ad esempio, è stato l'assolutizzazione della ragione, si è posta quindi la ragione, creatura, al rango di Creatore, dove strutturalmente non poteva stare. Altrettanto dicesi per comunismo, l'ipostatizzazione della nozione astratta di classe, subordinante l'uomo ad essa. Il nazismo ha fatto altrettanto per l'idea di razza, il fascismo l'ha fatto per quella di stato, il consumismo lo fa sacralizzando il mercato. Ogni ismo, ogni ideologia, ha un proprio idolo, al quale sacrifica il proprio grano d'incenso, e sono tutti idoli dovuti ad un'idebita sostituzione, quella alla quale accennavo sopra. In ultima analisi la matrice di tutti gli ismi ideologici riposa su quel razionalismo di cui sopra. L'aver posto la ragione a dio dell'uomo, ha aperto la via alle successive idolatrizzazioni, che in effetti non sono altro che la riedizione di quello, solo che anzichè porre la ragione sul piedistallo, vi si pongono i suoi prodotti, le idee... aspetti parziali di un analisi che si pretendono la totalità.

    Il Cristo, Che è persona, è l'antidoto. Una corretta epistemologia, quella che riconoscesse alla ragione i propri limiti, e la propria strutturale apertura alla trascendenza, è, sul piano culturale, l'antagonista più adeguata, a mio avviso.

    Due sono le secche da evitarsi, il sola fide et sola scriptura luterana, l'istanza che neghi alla ragione alcun credito; e la sua nemesi, uguale e contraria, il razionalismo: l'istanza per la quale la ragione può tutto. Una sana via ana-logica...

    Un saluto a tutti

  6. #6
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    ... doppio.

  7. #7
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    Predefinito La ragione, l'idolo, l'ideologia

    Luigi Giussani, Il senso religioso, Rizzoli, Milano, 1995
    Capitolo XIV (dal Tracce, n. 3, 1996 - www.tracce.it)

    Abbiamo parlato fondamentalmente della natura della ragione come rapporto con l'infinito, che si rivela come esigenza di spiegazione totale. Il vertice della ragione è l'intuizione dell'esistenza di una spiegazione che supera la sua misura. Per usare il gioco di parole che già abbiamo espresso, la ragione proprio come esigenza di comprendere l'esistenza è costretta dalla sua natura ad ammettere l'esistenza di un incomprensibile.
    Ora, quando la ragione prende coscienza di sé fino in fondo e scopre che la sua natura si realizza ultimamente intuendo l'inarrivabile, il mistero, essa non smette di essere esigenza di conoscere.

    1. Forza motrice della ragione
    Perciò una volta scoperto questo, lo struggimento, per così dire, della ragione è quello di poter conoscere quell'incognita. La vita della ragione è data dalla volontà di penetrare l'ignoto (l'Ulisse dantesco), di passare oltre le colonne d'Ercole, simbolo del limite continuamente, strutturalmente posto dalla esistenza a questo desiderio.
    Anzi è proprio la tensione ad entrare in questo ignoto che definisce l'energia della ragione. Come abbiamo già accennato, negli Atti degli Apostoli san Paolo davanti ai «filosofi» che si raccoglievano all'Areopago di Atene dice: «Il Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che contiene, che è signore del cielo e della terra non dimora in templi costruiti dalle mani dell'uomo, né dalle mani dell'uomo si lascia servire come se avesse bisogno di qualche cosa, essendo lui che dà a tutti la vita e il respiro ad ogni cosa. Egli creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini, perché abitassero su tutta la faccia della terra. Per essi ha stabilito l'ordine dei tempi e i confini del loro spazio, perché cercassero Dio, se mai arrivino a trovarlo andando come a tentoni, benché non sia lontano da ciascuno di noi. In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo, come anche qualcuno dei vostri poeti ha detto: "Poiché di lui noi stirpe siamo"».
    Tutto l'andare umano, tutto il tentativo di questa «forza operosa che ci affatica di moto in moto», è la conoscenza di Dio. Perché il movimento dei popoli riassume come formula tutto quanto l'immenso sforzo di ricerca dell'uomo. Scoprire il mistero, entrare nel mistero che sottende l'apparenza, sottende ciò che noi vediamo e tocchiamo è il motivo della ragione, la sua forza motrice.
    Così è il rapporto con quell'al di là che rende possibile anche l'avventura dell'al di qua, altrimenti la noia, origine della presunzione evasiva, illusiva o della disperazione eliminatrice, domina. È solo il rapporto con l'al di là che rende realizzabile l'avventura della vita. La forza umana nell'afferrare le cose dell'al di qua è data dalla volontà di penetrazione nell'al di là.
    Il mito antico più vicino alla mentalità di oggi ha trovato la sua espressione più potente sul suolo cristiano: è il mito dell'Ulisse. In Dante Alighieri questo ha trovato forza espressiva come mai altrove, in qualsiasi versione della letteratura antica.
    Ulisse, l'uomo intelligente che vuole misurare col proprio acume tutte le cose. Una curiosità irrefrenabile: egli è il dominatore del Mare Nostrum. Immaginate quest'uomo con tutti i suoi marinai, sul suo battello, che vaga da Itaca alla Libia, dalla Libia alla Sicilia, dalla Sicilia alla Sardegna, dalla Sardegna alle Baleari: tutto il «mare nostrum» è misurato e governato, tutto è percorso in lungo e in largo da lui. L'uomo è misura di tutte le cose. Ma arrivato alle colonne d'Ercole si trova di fronte alla persuasione comune che tutta la saggezza, vale a dire la misura sicura del reale, non è più possibile. Al di là delle colonne d'Ercole non v'è più nulla di sicuro, è il vuoto e la pazzia. Come chi va al di là di esse è un fantasioso che non avrà più nessuna certezza, così al di là dei confini sperimentali positivisticamente intesi c'è solo fantasia o, comunque, impossibilità di sicurezza. Ma lui, Ulisse, proprio per la stessa «statura» con cui aveva percorso il «mare nostrum», arrivato alle colonne d'Ercole, sentiva non solo che quella non era la fine, ma che era anzi come se la sua vera natura si sprigionasse da quel momento. E allora infranse la saggezza e andò. Non sbagliò perché andò oltre: andar oltre era nella sua natura di uomo, decidendolo si sentì veramente uomo. Questa è la lotta tra l'umano, cioè il senso religioso, e il disumano, cioè la posizione positivista di tutta la mentalità moderna. Essa direbbe: «Ragazzo mio, l'unica cosa sicura è quella che tu constati e misuri scientificamente, sperimentalmente; al di là di questo c'è inutile fantasia, pazzia, affermazione immaginosa».
    Ma al di là di questo «mare nostrum» che possiamo possedere, governare e misurare che cosa c'è? L'oceano del significato. Ed è nel superamento di queste colonne d'Ercole che uno comincia a sentirsi uomo: quando supera questo limite estremo posto dalla falsa saggezza, da quella sicurezza oppressiva, e si inoltra nell'enigma del significato. La realtà nell'impatto con il cuore umano suscita la dinamica che le colonne d'Ercole hanno suscitato nel cuore di Ulisse e dei suoi compagni, i volti tesi nel desiderio di altro. Per quelle facce ansiose e quei cuori pieni di struggimento le colonne d'Ercole non erano un confine, ma un invito, un segno, qualcosa che richiama oltre sé. Non perché andarono oltre, sbagliarono Ulisse e i nocchieri odisseici.
    Ma c'è una pagina più grande ancora di quella dell'Ulisse dantesco; ancora più espressiva di questa posizione esistenziale della ragione dell'uomo. È nella Bibbia, quando dall'esilio, cioè dalla dispersione o da una realtà estranea a sé, Giacobbe sta ritornando a casa sua. E giunge al fiume ormai all'imbrunire, e l'imbrunire è veloce. Sono passati gli armenti, i servi, i figli, le donne. Quando tocca a lui, ultimo, penetrare nel guado: è totalmente notte. E Giacobbe vuole continuare nel buio. Ma prima che metta il piede dentro l'acqua, sente un ostacolo davanti a sé; una persona che lo affronta e cerca di impedirgli il guado. E con questa persona, che non vede in viso, con cui gioca tutte le sue energie, si stabilisce una lotta che durerà tutta la notte. Finché al primo lucore dell'alba quello strano personaggio riesce a infliggere un colpo all'anca, sì che Giacobbe ne andrà per tutta la vita zoppo. Ma nello stesso momento quello strano personaggio gli dice: «Sei grande Giacobbe! Non ti chiamerai più Giacobbe, ma ti chiamerai Israele, che significa: "Ho lottato con Dio"». Questa è la statura dell'uomo nella rivelazione ebraico-cristiana. La vita, l'uomo è lotta, cioè tensione, rapporto - «nel buio» - con l'al di là; una lotta senza vedere il volto dell'altro. Chi giunge a percepire questo di sé è un uomo che se ne va tra gli altri, zoppo, vale a dire segnato; non è più come gli altri uomini, è segnato.

    2. Una posizione vertiginosa
    Se questa è la posizione esistenziale della ragione è abbastanza facile capire che una posizione del genere sia vertiginosa.
    Quasi che, come legge, come direttiva del mio vivere dovessi rimanere sospeso ad una volontà che non conosco, istante per istante. Sarebbe l'unico atteggiamento razionale. La Bibbia dirà «... come gli occhi di un servo attento ai cenni del padrone...». Per tutta la vita la vera legge morale sarebbe quella di essere sospesi al cenno di questo ignoto «signore», attenti ai segni di una volontà che ci apparirebbe attraverso la pura, immediata circostanza.
    Ripeto: l'uomo, la vita razionale dell'uomo dovrebbe essere sospesa all'istante, sospesa in ogni istante a questo segno apparentemente così volubile, così casuale che sono le circostanze attraverso le quali l'ignoto «signore» mi trascina, mi provoca al suo disegno. E dir «sì» ad ogni istante senza vedere niente, semplicemente aderendo alla pressione delle occasioni. È una posizione vertiginosa.

    3. L'impazienza della ragione
    La Bibbia rivela che «un eccessivo attaccamento a sé» (la formula psicologica identica è nota: «amor proprio») spinge la ragione dell'uomo, nel suo desiderio appassionato, nella sua pretesa di capire questo supremo significato da cui tutti i suoi atti dipendono, a dire, ad un certo punto: «Ecco, ho capito: il mistero è questo».
    Esistenzialmente cioè questa natura della ragione come esigenza di conoscere, di comprendere, penetra tutto, e perciò pretende penetrare anche l'ignoto da cui ogni cosa dipende, da cui il suo fiato e il suo respiro, istante per istante dipendono. La ragione non tollera, impaziente, di aderire all'unico segno attraverso cui seguire l'Ignoto, segno così ottuso, così cupo, così non trasparente, così apparentemente casuale, come è il susseguirsi delle circostanze: è come sentirsi in balia di un fiume che ti trascina in qua e in là.
    Nella sua situazione esistenziale la natura della ragione soffre una vertigine cui dapprima può resistere, ma poi vi cade. E la vertigine sta in questa prematurità o impazienza con cui dice: «Ho capito, il significato della vita è questo». Tutte le affermazioni secondo cui: «il significato del mondo è questo, il senso dell'uomo è questo, il destino ultimo della storia è questo», nella loro diversità e molteplicità sono tutte documentazioni di quella caduta.

    4. Un punto di vista alterante
    Ma quando la ragione dell'uomo dice: «il significato della mia vita è...», «il significato del mondo è...», «il significato della storia è...», identifica inevitabilmente questo è: il sangue della razza tedesca, la lotta del proletariato, la competizione per la supremazia economica, ecc...
    Ogni volta che questo è identificherà un contenuto di definizione, inevitabilmente partirà da un certo punto di vista.
    Vale a dire, se l'uomo pretende la definizione del significato globale non può che cadere nella esaltazione del suo punto di vista, di un punto di vista. Non potrà che pretendere la totalità per un particolare; un particolare del tutto viene pompato a definire la totalità.
    Allora questo punto di vista cercherà di far stare dentro la sua prospettiva ogni aspetto della realtà. E siccome è un particolare della realtà, questo far rientrare tutto dentro di esso non potrà che far rinnegare o dimenticare qualche cosa; non potrà che ridurre, negare e rinnegare, il volto completo e complesso della realtà.
    Il senso religioso, o ragione come affermazione di un ultimo significato, viene corrotto, viene degradato ad identificare il suo oggetto con qualche cosa che l'uomo sceglie: e lo sceglierà necessariamente dentro l'ambito della sua esperienza.
    Si tratterà di una scelta alterante il volto vero di tutta la vita, perché tutto quanto sarà dilatato o diminuito, esaltato o dimenticato, osannato o emarginato, secondo il coinvolgimento con il punto di vista scelto, con il fattore scelto.
    Dove sta il «pathos» di questo atteggiamento? Sta nel fatto che il senso religioso, cioè la natura dell'uomo nella sua statura ultima, identificherà il significato totale della sua vita con qualcosa di comprensibile a sé.
    Ed è qui la radice dell'errore: «con qualcosa di comprensibile a sé». Proprio perché la natura della ragione è esigenza di comprendere, di fronte all'intuizione dell'ignoto, del mistero, le viene il capogiro, e senza quasi accorgersene essa scivola, degrada il suo sguardo, e fissandolo su un aspetto, fra i vari della sua esistenza, su un fattore nella complessità dei fattori della sua esperienza, dice: «È questo il significato».
    La natura della ragione è tale che per ciò stesso che si mette in moto intuisce il mistero, l'incommensurabilità del significato totale con la sua possibilità di conoscenza, ma esistenzialmente non tiene se stessa, non regge al suo slancio originale, opera subito una parabola riduttiva. Degrada perciò l'identificazione del suo oggetto con qualcosa di comprensibile a sé, e quindi all'interno della sua esperienza, perché l'esperienza è l'orizzonte del suo comprensibile.
    Se è all'interno della esperienza del mio comprensibile è un particolare che viene esaltato a spiegar tutto.
    Avevamo detto che il vero problema, che sta a monte di tutto questo nostro discorrere, è che cosa sia la ragione: se la ragione è l'ambito del reale, o se la ragione è un varco sul reale. Ma all'evidenza della nostra esperienza la ragione si rivela come un occhio spalancato sulla realtà, un varco sull'essere, nel quale non si è mai finito di entrare, il quale per natura sua deborda da tutte le parti e perciò il significato globale è il mistero.
    La decadenza, la degradazione di cui parlavo, la parabola che immediatamente, secondo una specie di forza di gravità, opera dentro la ragione, sta nella pretesa che la ragione sia la misura del reale, vale a dire che la ragione possa essa identificare, e quindi definire, quale sia il significato di tutto. Pretendere di definire il significato di tutto, in fondo che cosa vuol dire? Pretendere di essere la misura di tutto, vale a dire, pretendere di essere Dio.

    5. Idoli
    È la suggestione del «peccato originale». Non è vero che c'è qualcosa che tu non puoi («mangiare», nel testo biblico) misurare; ma se tu ti decidi a farlo, se tu parti per questa avventura, «conoscerai il bene e il male e sarai come Dio». L'uomo misura di tutte le cose: la prima pagina della Bibbia è realmente la spiegazione più chiara.
    La Bibbia chiama con un determinato nome il particolare con cui la ragione identifica il significato totale del suo vivere e dell'esistere delle cose. Questo particolare nel quale la ragione identifica la spiegazione di tutto, la Bibbia lo chiama idolo. Qualcosa che sembra Dio, ha la maschera di Dio, e non lo è.
    La menzogna dell'idolo è definita da san Paolo (in Rm 1, 22-31):

    «Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti e hanno cambiato la gloria dell'incorruttibile Dio con l'immagine e la figura dell'uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili. Perciò Dio li ha abbandonati all'impurità secondo i desideri del loro cuore, sì da disonorare fra di loro i propri corpi, poiché essi hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e adorato la creatura al posto del creatore, che è benedetto nei secoli. Amen. Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in se stessi la punizione che s'addiceva al loro traviamento. E poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balìa d'una intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno, colmi come sono d'ogni sorta di ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; pieni d'invidia, di omicidio, di rivalità, di frodi, di malignità; diffamatori, maldicenti, nemici di Dio, oltraggiosi, superbi, fanfaroni, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia».

    Non solo viene descritta da san Paolo la genesi dell'idolo, ma anche la corruzione della verità umana conseguente. Quanto più si tenta di spiegare tutto con l'idolo, tanto più si capisce che esso non è sufficiente: «Hanno occhi, ma non vedono, hanno orecchi e non odono, hanno mani e non toccano» dice il salmo, cioè: gli idoli non mantengono le loro promesse e le loro pretese totalizzanti. Il mistero, invece, nella misura in cui è riconosciuto, tende a determinare la vita in modo tale che il terribile elenco paolino ammutolisce, quell'elenco si svuota. Nella misura in cui gli idoli sono esaltati l'umano viene meno. È l'abolizione della persona, della responsabilità dell'umano. Tutta la colpa sarebbe della struttura: l'idolo oscura l'orizzonte dello sguardo ed altera la forma delle cose. Allora, come profeticamente scriveva Eliot:

    Essi cercano ... d'evadere
    Dal buio esterno e interiore
    Sognando sistemi talmente perfetti
    che più nessuno avrebbe
    bisogno d'essere buono.
    Ma l'uomo che è adombrerà
    L'uomo che pretende di essere.


    6. Una conseguenza
    Ma c'è un corollario impressionante. Hitler ha il suo idolo, su cui intende costruire la vita del mondo per una migliore umanità. Ma questa sua costruzione, che cerca di implicare tutto, si trova ad un certo punto a scontrarsi con il dinamismo del progetto di Lenin o di Stalin, e allora? L'ideologia costruita sull'idolo è per sua natura totalizzante, altrimenti non potrebbe tentare una politica vincente. Se si tratta di ideologie entrambi totalizzanti non possono non generare uno scontro totale.
    Così si spiega perché per la Bibbia, l'origine della violenza come sistema dei rapporti, cioè della guerra, è l'idolo.
    C'è una favola esopica molto significativa. Questo particolare dell'esperienza che viene selezionato, scelto ideologicamente come luogo del significato del tutto, è come la rana di Esopo che si gonfia per diventare un bue, si gonfia fino a scoppiare. Questo è il simbolo della violenza della guerra.

    7. Dinamiche d'identificazione dell'idolo
    C'è un'altra osservazione importante da fare. L'uomo realizzerà l'identificazione del Dio con l'idolo, scegliendo qualcosa, come abbiamo già visto, che capisce lui: perché qui è il peccato originale, la pretesa di identificare il significato totale con qualcosa che l'uomo comprende. È come se l'uomo sostenesse: «Ciò che c'è è dimostrabile dall'uomo, ciò che non è dimostrabile dall'uomo non c'è». Ma, si è detto, il passaggio originale, quello più importante, di mettere in essere le cose, l'uomo non lo può fare; può manipolare quel che c'è, ma non può mettere in essere niente.
    In questa dinamica di identificazione dell'idolo, l'uomo sceglierà ciò che stima di più, o meglio ancora, ciò che gli fa più impressione. Potrà identificare addirittura il divino con il principio sociale: l'identificazione del senso della storia con il sangue della razza tedesca, secondo il mito nazista è un esempio di questo stadio «barbarico» in pieno secolo ventesimo!
    Don Gnocchi, appena tornato dall'ansa del Don, ad un certo gruppo di amici una sera raccontava che una volta durante la ritirata era entrato in un baraccamento di giovanissimi ufficiali tedeschi. E lui aveva la croce nera di cappellano militare. L'hanno ridicolizzato e poi hanno incominciato a discutere rabbiosamente. Ad un certo punto uno di loro è scattato in piedi e tendendo il braccio verso la foto di Hitler appesa alla parete, disse: «Questo è il nostro Cristo». Era vero, quello era il loro Cristo. Come i marxisti coerenti hanno il loro Cristo nel proletariato del cui dinamismo l'espressione suprema è il capo del partito.
    Perché l'uomo non può evitare questa alternativa: o è schiavo di uomini o è soggetto dipendente da Dio.
    Questa è realmente la pressione barbarica: la violenza delle forze sociali identificate come portatrici di significato ultimo è sempre giusta, per cui se si ammazza in nome di esse è bene (si veda la tragedia del Vietnam e della Cambogia). Così quello che fanno i propri partner è democrazia, se lo fanno altri è delitto.
    Da ultimo osserviamo: da che l'uomo è uomo, e tanto più maturando nella storia, tende a identificare il dio, cioè il significato del mondo in base ad una flessione o l'altra del proprio io.
    Ho già accennato che nella nostra inquietudine tutto questo gioco, il gioco dell'idolo, si ripete contraddicendosi cento volte al giorno. L'idolo non fa mai unità e totalità senza dimenticare o rinnegare qualcosa!

    Conclusione
    Il mondo è un segno. La realtà richiama ad un'Altra. La ragione, per essere fedele alla natura sua e di tale richiamo, è costretta ad ammettere l'esistenza di qualcosa d'altro che sottende tutto, e che lo spiega.
    Ma se, per natura, l'uomo intuisce l'Oltre, per una condizione esistenziale, non ci sta, cade. L'intuizione è come un impeto che cade. Come per una forza di gravità triste e maligna. Ulisse e i suoi furono folli non perché varcarono le colonne d'Ercole, ma perché pretesero di identificare il significato, cioè passare l'oceano, con gli stessi mezzi con cui navigavano tra le rive «misurabili» del Mare Nostrum.
    La realtà è segno e desta il senso religioso. Ma è un suggerimento male interpretato; esistenzialmente l'uomo è spinto ad interpretarlo male: male, cioè prematuramente, impazientemente. L'intuizione del rapporto col mistero si corrompe in presunzione.
    Per questo san Tommaso d'Aquino all'inizio della sua Summa theologiae dice:

    «La verità che la ragione potrebbe raggiungere su Dio sarebbe di fatto per un piccolo numero soltanto, e dopo molto tempo e non senza mescolanza di errori. D'altra parte, dalla conoscenza di questa verità dipende tutta la salvezza dell'essere umano, poiché questa salvezza è in Dio. Per rendere questa salvezza più universale e più certa, sarebbe dunque stato necessario insegnare agli uomini la verità divina con una divina rivelazione».

    È la più sintetica descrizione della situazione esistenziale del senso religioso dell'umanità.
    In tanti modi allora il genio religioso umano ha gridato la nostalgia di una liberazione da questa prigionia inestricabile dell'impotenza e dell'errore.
    Forse l'espressione più potente è quella che si trova nel Fedone di Platone:

    «Pare a me, o Socrate, e forse anche a te, che la verità sicura in queste cose nella vita presente non si possa raggiungere in alcun modo, o per lo meno con grandissime difficoltà. Però io penso che sia una viltà il non studiare sotto ogni rispetto le cose che sono state dette in proposito, e lo smettere le ricerche prima di avere esaminato ogni mezzo. Perché in queste cose, una delle due: o venire a capo di conoscere come stanno; o se a questo non si riesce, appigliarsi al migliore e al più sicuro tra gli argomenti umani e con questo, come sopra una barca, tentare la traversata del pelago. A meno che non si possa con maggiore agio e minore pericolo fare il passaggio con qualche più solido trasporto, con l'aiuto cioè della rivelata parola del dio».
    Gilbert

  8. #8
    INNAMORARSI DELLA CHIESA
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    Molto importante questo pensiero del Giussani riportato sopra da Gilbert:

    .........
    È la suggestione del «peccato originale». Non è vero che c'è qualcosa che tu non puoi («mangiare», nel testo biblico) misurare; ma se tu ti decidi a farlo, se tu parti per questa avventura, «conoscerai il bene e il male e sarai come Dio». L'uomo misura di tutte le cose: la prima pagina della Bibbia è realmente la spiegazione più chiara.
    La Bibbia chiama con un determinato nome il particolare con cui la ragione identifica il significato totale del suo vivere e dell'esistere delle cose. Questo particolare nel quale la ragione identifica la spiegazione di tutto, la Bibbia lo chiama idolo. Qualcosa che sembra Dio, ha la maschera di Dio, e non lo è.
    La menzogna dell'idolo è definita da san Paolo (in Rm 1, 22-31)
    .........

    molto importante........
    Fraternamente Caterina
    Laica Domenicana

  9. #9
    Ashmael
    Ospite

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    Citateni un solo passo in tutta la Bibbia dove si parli di "Peccato Originale" .

  10. #10
    INNAMORARSI DELLA CHIESA
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    Originally posted by Ashmael
    Citateni un solo passo in tutta la Bibbia dove si parli di "Peccato Originale" .
    citami un solo passo in tutta la Bibbia che TU esisti..... e il concetto è lo stesso.....il peccato originale è un dato di fatto, come la tua esistenza è un dato di fatto: il peccato originale non è invenzione o illusione, come tu stesso non sei illusione, nè una invenzione di altri......

    Tutta la Bibbia in verità è scritta in funzione di questo peccato che altro non significa: ALLONTANAMENTO DA DIO.......
    Il Male NON esiste di per sè, esso è la MANCANZA DI BENE CHE E' DIO....e tutta la Bibbia non fa altro che dimostrarci l'esistenza del peccato che in fin dei conti MUOVE DIO A VENIRE VERSO DI NOI rivelandosi ci ha insegnato che all'inizio della Creazione "tutto era buono", ma qualcosa si è rotto, Adamo ed Eva hanno rotto questa AMICIZIA CON DIO, dando origine al peccato, di qui il termine "peccato originale"

    Il Compendio del Catechismo dice:

    7. Quali sono le prime tappe della Rivelazione di Dio?

    54-58; 70-71

    Dio, fin dal principio, si manifesta ai progenitori, Adamo ed Eva, e li invita ad un'intima comunione con lui. Dopo la loro caduta, non interrompe la sua rivelazione e promette la salvezza per tutta la loro discendenza. Dopo il diluvio, stipula con Noè un'alleanza tra lui e tutti gli esseri viventi.

    ..............
    Negli Efesini 1 Paolo dice:

    [4] In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità,

    [5] predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo,

    [6] secondo il beneplacito della sua volontà.

    *************
    dunque "prima " ancora della creazione del mondo Dio, che è onniscente, aveva già predisposto TUTTO.........il piano della salvezza, della nostra redenzione.....
    Ci si potrebbe chiedere: ma allora anche il peccato era contemplato?
    Nel Progetto di Dio NON c'era il peccato perchè in Dio non c'è il Male.....ma ha creato l'uomo LIBERO........e in questa libertà dentro di essa aveva predisposto quella "pienezza del tempo" dentro il quale RIVELARSI per mezzo del Figlio e venirci incontro perchè "noi siamo suoi, prima della creazione del mondo".......
    non dimentichiamo che prima dell'uomo, furono gli angeli a peccare contro Dio....... e divennero "demoni" .....a causa del suo voler essere superiore a Dio, peccato di superbia... questi angeli divenuti demoni al seguito di Lucifero, sono la concausa, dice infatti Eva per giustificarsi: "il serpente mi ha INGANNATA"....l'inganno c'era, ma Adamo ed Eva avevano goduto dell'idea ingannatrice di DIVENTARE COME DIO....e liberamente scelgono DI PROVARCI......da qui l'origine di tutti i nostri guai, l'origine del peccato.......

    Come Adamo ed Eva ieri, anche noi oggi....tendiamo a rompere sempre questa Comunione con Dio, ma oggi abbiamo Cristo (IL NUOVO ADAMO...DICE SAN PAOLO), Dio si è rivelato portando a termine l'opera della salvezza e della nostra stessa DEBOLEZZA......in sostanza è questa debolezza (il peccato di superbia) che ci portiamo dietro dai nostri progenitori... e che il Battesimo ROMPE.........ANNULLANDO QUELLA PRIMA DIVISIONE E RICOMPONENDOCI IN DIO PER MEZZO DI CRISTO......da qui riparte quell'unione con Dio che il peccato interruppe e che una volta acquisita occorrerà mantenere attraverso il Sacramento dell'Eucarestia, della Confessione......

    Fraternamente Caterina LD
    Fraternamente Caterina
    Laica Domenicana

 

 
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