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    Predefinito SANTI - 1 agosto - Sant' Alfonso Maria de' Liguori



    Il fondatore dei Redentoristi nasce a Marianella (Napoli) il 26 Settembre 1696. Dopo gli studi umanistici, a 13 anni affronta filosofia e diritto. Nel 1713, a 16 anni, è dottore in utroque (con 4 anni di dispensa sull'età richiesta). A 20 anni è maturo per imporsi nel foro napoletano. Contemporaneamente affina la sua formazione artistica presso i migliori maestri dell'epoca: poesia, pittura, architettura e musica. Nel 1723 la crisi: una causa importante, perduta a causa di intrallazzi politici, lo porta a lasciare il mondo, e a vestire l'abito ecclesiastico (23 Ottobre 1723). Il 21 Dicembre 1726 è sacerdote. Si lancia subito in un apostolato intenso tra il popolo minuto dei rioni più poveri di Napoli, specialmente tra i ragazzi della strada (scugnizzi o lazzaroni). Coadiuvato da laici istituisce le famose Cappelle serotine, che diventano una scuola di rieducazione civile e morale. Come socio delle Apostoliche Missioni percorre i paesi vesuviani, gli Appennini e le Puglie, annunciando con semplicità le verità eterne alle masse
    popolari.

    In un momento di relativo riposo per riprendersi dalle estenuanti fatiche apostoliche, a Scala, presso Amalfi, ha netta l'intuizione che segnerà il destino della sua vita: si dedicherà con i compagni alla salvezza delle «anime più abbandonate», più precisamente alla evangelizzazione della povera gente sparsa specialmente nelle campagne e nei paesetti rurali. E' il 9 Novembre 1732: data di nascita della Congregazione del SS. Salvatore, poi del SS. Redentore (CssR). La tradizione vuole che l'intuizione, sostenuta e incoraggiata da una grande mistica, la Venerabile suor Maria Celeste Crostarosa (1696-1755), fosse confortata dalle frequenti apparizioni della Madonna nella grotta in cui Alfonso sarebbe stato solito ritirarsi a pregare e far penitenza.

    Da ottimo stratega, egli cementa i compagni con la «vita comune», sigillata dai voti religiosi e dedita a un esercizio intenso di preghiera, di studio e di penitenza. Non, comunque, una comunità di stile monastico ripiegata su sé stessa, bensì una comunità finalizzata all'evangelizzazione. La preminenza assoluta della predicazione, attuata mediante le missioni popolari, gli esercizi spirituali, le catechesi, il voto di andare alle missioni estere, portò ad escludere altre attività, tra cui le scuole (intorno alle quali si accese un forte dibattito che si risolse nell'abbandono pressoché totale dei primi compagni), e le parrocchie, ritenute per più motivi un legame alla libertà dell'operaio apostolico.

    Diventato vescovo di Santa Agata dei Goti (1762-1775), sede rinomata che, tra gli altri, aveva avuto come pastore il futuro Sisto V, Alfonso porterà nel nuovo incarico l'ardore missionario che lo aveva bruciato per oltre 30 anni di vita apostolica. Sprigionerà un'attività che ha del miracoloso, non solo per ciò che riguarda il ministero pastorale diretto (estirpazione di abusi inveterati, restauro di chiese, cura del decoro liturgico e del Seminario, carità inesauribile che, nella carestia del 1763-64, lo induce a vendere ogni cosa, persino la carrozza con le mule), ma soprattutto per l'attività letteraria che non conosce soste. Nel 1775 lascia l'episcopato per motivi di salute e si ritira a Pagani, dove morirà il primo Agosto 1787. In quell'istante, a Varsavia, due Redentoristi, San Clemente Hofbauer e Taddeo Hùbl, sentirono battere ripetutamente su una tavola che avevano davanti, e vi riconobbero il segno della morte del Padre. Beatificato nel 1816, canonizzato nel 1839, Sant'Alfonso fu proclamato Dottore della Chiesa il 7 Luglio 1871, e Protettore dei confessori e moralisti nel 1950
    Ultima modifica di emv; 02-06-20 alle 14:10 Motivo: Rititolazione a scopo classificazione argomenti

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    Predefinito Spiritualità alfonsiana



    Spiritualità che parte dalla propria esperienza

    Alfonso in tutte le sue azioni e in tutti i suoi scritti sì basa sempre alla propria esperienza. Non fa e non scrive niente che lui stesso non abbia vissuto e sperimentato. Nei libri sulla preghiera erano le sue preghiere, i libri sulla meditazione erano piene delle sue meditazioni, libri sulla Passione erano fatte sui piedi del Crocifisso, le Visite del Santissimo Sacramento erano scritte sulle ginocchia davanti al tabernacolo.

    Sentirsi amato da Dio; scoprire che Dio non è un giudice senza pietà ma è un Padre misericordioso. Questo lo spinge a dedicarsi totalmente a Dio e dare così la sua risposta di amore. Per tutta la sua vita, questo che lui farà, sarà sempre risposta a questa esperienza della conversione al Dio del amore. I suoi scritti su Natale, sulla Passione o su Eucaristia, i suoi scritti sulla Madonna, sulla preghiera o sui principi di morale, sempre saranno una risposta alla sua personale e profonda esperienza del Dio di amore.

    Lo stesso si deve dire sulla sua opera della fondazione della Congregazione. Questa idea si basava sulla lunghissima esperienza della orazione nella quale cercava di capire la Volontà di Dio. Si basava sulla esperienza concreta dei abbandonati pastori incontrati a Scala, che era come una scintilla che ha infiammato tutta la sua persona. Se Dio è Padre misericordioso sperimentato da Alfonso, lui si sente obbligato, inviato a parlare di questo Dio ai abbandonati, perché anche essi ascoltino che sono amati dallo stesso Dio. Lui stesso ha sperimentato il Dio che non vuole la morte del peccatore, ma che sì converta e viva, e che Dio ha inviato suo Figlio per salvare tutti. Questa era esperienza di Alfonso e da qui proviene il motto della sua Congregazione "Copiosa apud eum redemptio" (Ps 129). Il fatto di incontrare tanta gente abbandonata lo ha motivato di fondare la Congregazione ed anche a rifare tutta la sua visione teologica, specialmente teologia morale, perché possa rispondere alla situazione concreta della gente.

    Spiritualità della redenzione abbondante

    Alfonso presenta il Cristo pieno di compassione, con le braccia ampiamente aperte, come per abbracciare tutta l'umanità e per salvare tutti. Cristo di Alfonso non è un salvatore di un gruppo eletto, ma è salvatore universale, perché presso di lui la redenzione è abbondante.

    Per Sant'Alfonso la redenzione è anzitutto un dono - dono gratuito e non meritato, la redenzione è: purificazione, giustificazione, soddisfazione, mediazione… però prima di tutto è il dono dell'amore, la donazione, il dono del Figlio dalla parte del Padre; è la grazia, dono, regalo, iniziativa amorosa del Padre. Questo dono di Dio ha un proprio nome e si chiama Gesù Cristo. Il Padre non riserva per se stesso il proprio Figlio, ma lo invia nel mondo, perché il mondo trovi in Lui la sua redenzione. E' interessante, che quando San Alfonso cita il testo di Giovanni 3.16 "Tanto Dio amò il mondo, da dare il suo proprio Figlio", quasi sempre sottolinea la prima parola e dice: "Oh quando significa questo tanto!".

    La redenzione perciò non è tanto la necessità di giustizia verso Dio, quanto è l'opera dell'amore di Dio verso l'uomo. Dio si ha dato a noi, perché lo ha spinto a questo il suo amore. Dal momento della Incarnazione Dio è nostro, perché si ha dato a noi senza riserve e senza condizioni. Dio dando a noi il suo Figlio ha pronunciato la sua ultima parola, così che questa riunione tra Dio e noi non si può rompere più, anche se noi possiamo rifiutarla con il nostro peccato.

    La risposta dell'uomo redento può essere soltanto una - la risposta dell'amore. Dio si è fatto Carne, per conquistare il nostro amore. Perciò tutti sono salvati e tutti sono stati chiamati alla santità. Alfonso comincia il suo libro "Pratica di amare Gesù Cristo" con tale frase; "Tutta la santità e la perfezione che un'anima consiste nel amare Gesù Cristo nostro Dio, nostro sommo bene, nostro Salvatore", E aggiunge più avanti: "Alcuni intendono che la santità dipende da molte orazioni, altri che da molti sacrifici, altri che da dare elemosine, però tutto quello che il cristiano deve fare è rispondere con amore a Dio che ci ha tanto amato nel suo Figlio". Da questo si vede che la santità è possibile per tutti, ognuno può raggiungerla nella sua propria professione. Ogni persona deve esprimere la propria gratitudine per la salvezza proprio nel servizio al opera della redenzione: ognuno che ha sperimentato il dono della salvezza diventa responsabile per la redenzione del prossimo. La opera delle "cappelle serotine" dove la gente semplice, preparata per Alfonso diventata un gruppo degli apostoli, ognuno nel suo ambiente è solo uno di tanti superbi esempi.

    Spiritualità cristocentrica

    Il nucleo essenziale della spiritualità alfonsiana è il cristocentrismo. Nell'incarnazione di Cristo, tutta la creazione incontra il suo pieno senso, nella Sua morte si restituisce il senso pieno dell'esistenza umana. Cristo diventa rivelatore del immenso amore di Dio verso l'uomo e verso tutta la creazione. Mistero della redenzione incomincia con incarnazione, pero si realizza sempre di più nella la Passione e nella Eucaristia. L'incarnazione arriva alla sua pienezza nella Passione e la Passione viene continuata nell'Eucaristia. Il cristocentrismo alfonsiano si concretizza nel Verbo incarnato, nel Gesù crocifisso e nel Gesù eucaristico. Questi sono i tre momenti della vita di Gesù, che sono i momenti privilegiati per noi, perché ogni volta di più esprimono il dono salvifico di Dio. È così l'Incarnazione ha fatto possibile Sua dedicazione per noi, la Passione l'ha fatta efficace e la Eucaristia la fa tangibile. Attraverso questi tre momenti possiamo noi, già adesso, sperimentare questa unione con Dio, che i santi godono nel cielo.

    Spiritualità dell'ottimismo

    Alfonso era uno dei più grandi asceti nella storia della Chiesa. Le sue penitenze e mortificazioni fanno impressione. Il distacco è una delle parole chiave della vita del Santo. Ma Alfonso non è un uomo triste, negativo, chiuso in se stesso. Tutto il contrario - lui era un uomo allegro, pieno del sole e di canto napoletano. Le sue canzoni si cantano fino ad oggi, certamente perché sotto piene di allegria e spontaneità che corrispondono alla natura del popolo napoletano. Lui è anche un uomo di arte. Non soltanto comprende il disegno, la pittura, la musica, ma gode di prendere lui stesso nelle sue mani la matita, il pennello, toccare il cembalo.

    L' ottimismo della spiritualità di Santo Alfonso si rispecchia anche nella sua benignità pastorale. Lui era convinto, che le prediche che provocavano paura, non conducevano a una conversione duratura, invece quelle che suscitavano l'amore, quelle si, portavano alla conversione profonda e definitiva. Nella speranza possiamo affidarsi a Dio, perché sappiamo che Lui prende la nostra parte e vuole per noi la salvezza. Nella preghiera possiamo ricevere la grazia necessaria e sufficiente per rispondere a Dio con amore e perseverare nel operare il bene.

    La spiritualità alfonsiana non è una spiritualità del ottimismo ingenuo e non è una ricetta facile. Essa esige una conversione sincera (conversione di amore) ed esige una lotta continua per scegliere il bene - vincere questa lotta è possibile soltanto con aiuto della preghiera.

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    Predefinito Brevi insegnamenti di s. Alfonso Maria dè Liguori

    *"È assai, molto difficile il salvarsi in mezzo al mondo, ma nella Congregazione non solo è molto facile il salvarci, ma ancora il farci santi."

    *Chi elegge lo stato a cui Iddio lo chiama, facilmente si salverà; e chi non ubbidisce alla divina vocazione, difficilmente, anzi sarà moralmente impossibile che si salvi. La massima parte di coloro che si son dannati, si son dannati per non aver corrisposto alle chiamate di Dio.

    *La prima tentazione di simil fatta suol essere il dubbio della vocazione, che il demonio ingerisce nella mente del novizio, dicendogli: Ma chi sa se la tua è stata vera vocazione, o pure è stato tuo capriccio? E se tu non sei stato veramente chiamato da Dio, tu non avrai l'aiuto a perseverare; e forse avverrà che, dopo fatti i voti, te ne pentirai ed apostaterai; e dove nel mondo ti saresti salvato, qui ti perderai. Per ribattere questa tentazione bisogna considerare come e quando alcuno possa star sicuro della sua vocazione. La vera vocazione è quando vi concorrono tre cose. La prima, il buon fine, cioè di allontanarsi da' pericoli del mondo, di meglio assicurar la salute eterna, e di stringersi maggiormente con Dio. La seconda, che non vi sia impedimento positivo di sanità, di talento e di necessità dei genitori, circa le quali cose dee quietarsi il soggetto col rimettersi al giudizio de' superiori, dopo che avrà loro esposta la verità con chiarezza. La terza, che i superiori l'accettino. Or essendo vere queste tre cose, non dee dubitare il novizio, che la sua sia stata vera vocazione.

    *i genitori, i quali senza giusta e certa causa distolgono i figli dallo stato religioso in qualunque modo, o con male arti, o con semplici preghiere, o promesse, non possono essere scusati da peccato mortale

    *l'eterno Padre, vedendo che noi per le nostre colpe eravamo condannati all'inferno, per l'amore che ci ha portato, ha mandato il suo Figlio in terra a morire sopra una croce per liberarci dall'inferno, e portarci seco in paradiso

    *non v'è alcuno, quantunque scelerato, che Maria non possa salvarlo colla sua intercessione

    *Oh Dio, e qual pena avrà un cristiano che si dannerà, pensando che potea in vita salvarsi con tanta facilità, ricorrendo a questa Madre di misericordia, e non l'ha fatto, e poi non sarà più a tempo di farlo!

    *ciascuno sia tenuto nelle cose dubbie ad ubbidire al suo prelato, purché non sia evidente peccato è sentenza comune e certa appresso i dottori.

    *per commettere un peccato mortale vi vuole una piena avvertenza per parte dell'intelletto ed un perfetto consenso deliberato per parte della volontà, in volere un'azione che offende gravemente Dio.

    *quelle cose che sono peccati a farle, son peccati a desiderarle.

    *ma come vuole stare allegro quel povero infermo, quando si vede colla coscienza aggravata di molti peccati, e vede che tra poco ha da comparire avanti Gesù Cristo a render conto di tutto; e che ha molta ragione di temere la sentenza della sua morte eterna?

    *Si pensa ad accumulare ricchezze, si pensa a banchettare, a festeggiare, a darsi bel tempo: e Dio non si serve, ed a salvar l'anima non si attende, e 'l fine eterno si tiene per bagattella! E così la maggior parte de' cristiani, banchettando, cantando e
    sonando se ne va all'inferno. Oh se essi sapessero che vuol dire inferno! O uomo, stenti tanto per dannarti, e nulla vuoi fare per salvarti! Moriva un segretario di Francesco re d'Inghilterra, e moriva dicendo: Misero me! ho consumato tanta carta per iscrivere le lettere del mio principe, e non ho speso un foglio per ricordarmi de' miei peccati, e farmi una buona confessione! Filippo III re di Spagna dicea morendo: Oh fossi stato a servire Dio in un deserto, e non fossi stato mai re! Ma che servono allora questi sospiri, questi lamenti? Servono per maggior disperazione. Impara tu a spese d'altri a vivere sollecito di tua salute, se non vuoi cadere nella medesima disperazione. E sappi che quanto fai, dici e pensi fuor del gusto di Dio, tutto è perduto. Su via è tempo già di mutar vita. Che vuoi aspettare il punto della morte a disingannarti? alle porte dell'eternità, sulle fauci dell'inferno, quando non v'è più luogo di emendare l'errore? Dio mio, perdonami. Io t'amo sopra ogni cosa. Mi pento d'averti offeso sopra ogni male. Maria, speranza mia, prega Gesù per me.

    *non dire più, cristiano mio: Ora vo' soddisfarmi, appresso mi darò a Dio, e spero salvarmi. Questa speranza falsa oh quanti ne ha mandati all'inferno, i quali pure diceano così, ed ora son dannati, e non ci è più rimedio per essi! Qual dannato volea proprio dannarsi? Ma Dio maledice chi pecca per la speranza del perdono ...Tu dici, voglio far questo peccato e poi me lo confesso. E chi sa, se avrai questo tempo? Chi t'assicura, che non morirai di subito dopo il peccato? Frattanto perdi la grazia di Dio, e se non la trovi più? Dio fa misericordia a chi lo teme, non a chi lo disprezza ... Né dire più, tanto mi confesso due peccati, quanto tre: no, perché Dio due peccati ti perdonerà, e tre no. Dio sopporta, ma non sopporta sempre ...Quando è piena la misura, Dio non perdona più, o castiga colla morte, o con abbandonar il peccatore, sì che da peccato in peccato se n'anderà all'inferno, castigo
    peggiore della morte. Attento, fratello, a questo ch'ora leggi. Finiscila, datti a Dio. Temi che questo sia l'ultimo avviso, che Dio ti manda. Basta quanto l'hai offeso. Basta quanto egli t'ha sopportato. Trema che ad un altro peccato mortale che farai, Dio non ti perdonerà più. Vedi che si tratta d'anima, si tratta d'eternità. Questo gran pensiero dell'eternità quanti ne ha cavati dal mondo, e gli ha mandati a vivere ne' chiostri, ne' deserti e nelle grotte! Povero me, che mi trovo di tanti peccati fatti? il cuore afflitto, l'anima aggravata, l'inferno acquistato, Dio perduto. Ah Dio mio e Padre mio, legami all'amor tuo.

    * Fratello mio, ti prego di dare un'occhiata a tutti gli anni scorsi della tua vita: vedi quante offese gravi hai fatte a Dio, e vedi quante misericordie egli ti ha usate, quanti lumi ti ha dati, quante volte ti ha chiamato a mutar vita! Oggi con questa predica ti ha tornato a chiamare, e parmi che ti dica: Quid debui ultra facere vineae meae, et non feci? Che più doveva fare per te, e non l'ho fatto? Che dici, che rispondi? Vuoi darti a Dio, o vuoi seguitare ad offenderlo? ...Se più ti abusi della divina misericordia, , presto ti verrà il castigo. Che aspetti? Aspetti che proprio Dio ti mandi all'inferno? ...Via su non resistere più a Dio che ti chiama; e trema che questa chiamata d'oggi sia l'ultima per te. Presto confessati, ed ora fa una ferma risoluzione di mutare vita; perché non serve confessarti e poi tornare da capo. Ma io, tu dici, non ho forza di resistere alle tentazioni. ...Dio è fedele non mai permetterà che tu sii tentato sopra le tue forze. E se tu da per te non hai forze da resistere al demonio, cercale a Dio, e Dio te le darà ...E così ancora tu raccomandati a Dio nelle tentazioni, e Dio ti darà forza di resistere, e non cadrai.

    *Una delle maggiori angustie che si prova in morte è di vedere il cattivo uso che si è fatto del tempo, nel quale in vece di acquistare meriti per il paradiso, si sono accumulati meriti per l'inferno.

    *ci avvisa lo Spirito Santo a prevedere da ora queste terribili angustie che avremo in punto di morte; e per tanto aggiustiamo da ora i conti da rendere a Dio, perché allora sarà impossibile aggiustarli in modo che l'anima si salvi.

    *Oh quanto è difficile che un peccatore, il quale ha dormito più anni in peccato, faccia una vera conversione in tempo di sua morte, avendo la mente ottenebrata e il cuore indurito

    *Povero quell'infermo che si mette a letto in peccato mortale! Chi vive in peccato sino alla morte, in peccato se ne morirà... È vero che in qualunque ora il peccatore si converte, Iddio promette di perdonargli; ma a niun peccatore promette Iddio che in morte lo farà convertire...Tu, dice Dio, mi hai tenute voltate le spalle sino alla tua morte, ed ora vuoi che io ti liberi dal castigo? Chiama i tuoi dei, cioè quelle creature, quei danari, quegli amici, che tu hai amati più di me, chiama essi che ora vengano ad aiutarti e liberarti dall'inferno che ti aspetta; ora a me tocca giustamente di vendicarmi delle offese che mi hai fatte. Tu hai disprezzate le mie minacce fatte a' peccatori ostinati, e non ne hai fatto conto

    *Nel tribunale del Signore non si pesano né la nobiltà né le dignità né le ricchezze; due sole cose si pesano, i peccati dell'uomo e le grazie fattegli da Dio

    *Dalle fatiche fatte per acquistare posti, robe, applausi nel mondo, niente si raccoglie in morte, tutto è perduto; solamente dalle opere fatte per Dio, o dalle tribolazioni sofferte per Dio si raccoglie frutto di vita eterna.

    *Una morte improvvisa, siccome è avvenuta a tanti, così può avvenire ad ognuno di noi. E bisogna intendere che tutte le morti che accadono agli uomini di mala vita, tutte sono improvvise, ancorché l'infermità dia qualche spazio di tempo; poiché i giorni di quella infermità mortale sono giorni di tenebre, giorni di confusione, ne' quali è difficile, anzi moralmente impossibile l'aggiustare una coscienza imbrattata di peccati. Dimmi, fratello mio, se ora ti ritrovassi in punto di morte disperato da' medici e già ridotto in agonia, quanto desidereresti un altro mese, un'altra settimana di tempo per aggiustare i conti da rendere a Dio? E Dio già ti dà
    questo tempo, e ti chiama e ti fa conoscere il pericolo in cui stai di dannarti. Presto datti a Dio; che aspetti? Aspetti che proprio Dio ti mandi all'inferno? ...Sappiti servire di questa luce e di questo tempo che ora Iddio ti dà, e rimedia ora che puoi; perché verrà tempo nel quale non potrai più rimediare.

    *Considera, come appena l'anima uscirà dal corpo, che sarà condotta innanzi al tribunale di Dio, per essere giudicata. Il giudice è un Dio onnipotente, da te maltrattato, adirato al sommo. Gli accusatori sono i demonii nemici: i processi i tuoi peccati: la sentenza è inappellabile: la pena un inferno. Non vi sono più compagni, non parenti, non amici;3 fra te e Dio te l'hai da vedere.
    Allora scorgerai la bruttezza de' tuoi peccati, né potrai scusarli come ora fai. Sarai esaminato sopra i peccati di pensieri, di parole, di compiacenze, d'opere, d'omissione e di scandalo. Tutto si ha a pesare in quella gran bilancia della divina giustizia, ed in una cosa, in cui ti troverai mancante, sarai perduto. Gesù mio e giudice mio, perdonami, prima che m'hai da giudicare.

    *Considera cristiano, e dì: Un'anima ho, se questa mi perdo, ho perduto ogni cosa: un'anima ho, se a danno di questa mi guadagno un mondo, che mi serve? se divento un grand'uomo, e mi perdo l'anima, che mi giova? Se accumulo ricchezze, se avanzo la casa, se ingrandisco i figli, e mi perdo l'anima, che mi giova? Che giovarono le grandezze, i piaceri, le vanità a tanti che vissero nel mondo, ed ora sono polvere in una fossa, e confinati già nell'inferno? Dunque, se l'anima è mia, se un'anima ho, se la sgarro una volta, l'ho sgarrata per sempre; deggio ben pensare a salvarmi. Questo è un punto, che troppo importa. Si tratta di essere o sempre felice, o sempre infelice. O mio Dio, confesso e mi confondo che finora sono vivuto da cieco, sono andato così
    lontano da te, non ho pensato a salvare quest'unica anima mia. Salvami, o Padre, per Gesù-Cristo: mi contento di perder ogni cosa, purché non perda voi, mio Dio. Maria, speranza mia, salvami tu colla tua intercessione.

    *O inferno, inferno! che non ti vogliono credere alcuni, se proprio non vi cadono!

    * Trema, fratello mio, che ad un altro peccato mortale che fai Iddio ti mandi all'inferno.

    *Come vuoi pretendere il paradiso, se cammini la via dell'inferno? È necessario dunque che muti strada, e perciò bisogna che ti metti in mano di un buon confessore, che ti guidi per la via del paradiso, e che tu all'incontro puntualmente l'ubbidisca.

    * Povero te, se ti danni! Vedi che non ci potrai rimediare più.

    *rimorso della coscienza: questo è quel verme che sempre roderà il dannato, nel pensare al perché si è dannato volontariamente, per pochi gusti avvelenati.

  4. #4
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    Predefinito Per riflettere: la preghiera secondo S. Alfonso Maria de' Liguori

    DEL GRAN MEZZO DELLA PREGHIERA
    (di sant'Alfonso Maria dè Liguori)



    INDICE

    Dedica a Gesù ed a Maria

    INTRODUZIONE

    CAPO I DELLA NECESSITA DELLA PREGHIERA

    I. - LA PREGHIERA E' NECESSARIA ALLA SALUTE, DI NECESSITA DI MEZZO.

    II. - SENZA LA PREGHIERA E' IMPOSSIBILE RESISTERE ALLE TENTAZIONI E PRATICARE I COMANDAMENTI.

    III. - DELLA INVOCAZIONE DEI SANTI.

    E' utile ricorrere alla intercessione dei Santi?

    E' conveniente ricorrere alle anime del Purgatorio?

    Dell'obbligo di pregare per le anime del Purgatorio.

    L'invocazione dei Santi è necessaria.

    Della intercessione della Madonna.

    Conclusione.

    CAPO II DEL VALORE DELLA PREGHIERA

    I. - DELL'ECCELLENZA DELLA PREGHIERA E DEL SUO POTERE PRESSO DIO.

    II. - DELLA FORZA DELLA PREGHIERA CONTRO LE TENTAZIONI.

    III. - DIO E' SEMPRE PRONTO AD ESAUDIRCI.

    IV. - DOMANDIAMO A DIO COSE GRANDI.

    E' meglio pregare che meditare.

    Conclusione.

    CAPO III DELLE CONDIZIONI DELLA PREGHIERA

    I. - PREGARE PER SE STESSO.

    Ha Dio promesso di esaudire la preghiera fatta per gli altri?

    Dobbiamo pregare per i peccatori.

    II. - CHIEDERE COSE NECESSARIE ALLA SALUTE ETERNA.

    III. - PREGARE CON UMILTÀ.

    Quanto l'umiltà sia necessaria alla preghiera

    Dobbiamo preferire la via comune alla via straordinaria

    IV. - PREGARE CON FIDUCIA.

    Eccellenza e necessità della fiducia.

    Fondamento della nostra fiducia.

    Anche i peccatori debbono aver fiducia.

    V. - PREGARE CON PERSEVERANZA.

    Necessità della perseveranza.

    Occorre chiedere di continuo la perseveranza finale.

    Motivi per cui Dio differisce di concederci la perseveranza finale.

    Conclusione: che non dobbiamo mai cessare di pregare.





    Per conseguire la salute eterna e tutte le grazie che desideriamo

    Al Verbo Incarnato Gesù Cristo diletto dall'eterno Padre benedetto del Signore, autore della vita, re della gloria, Salvatore del mondo, aspettato dalle genti, desiderio dei colli eterni, Padre celeste, giudice universale, mediatore tra Dio e gli uomini, maestro delle virtù, agnello senza macchia, uomo dei dolori, sacerdote eterno e vittima d'amore, speranza dei peccatori, fonte delle grazie, pastore buono, innamorato delle anime, ALFONSO peccatore quest'opera consacra.

    Dedica a Gesù ed a Maria

    O Verbo Incarnato, voi avete dato il sangue e la vita per ottenere alle nostre preghiere (come già avete promesso) tanto di valore, che impetrano quanto chiedono; e noi, oh Dio! siamo così negligenti della nostra salute che neppure vogliamo domandare le grazie che ci abbisognano per salvarci! Voi, con tal mezzo di pregare, ci avete data la chiave di tutti i vostri divini tesori, e noi per non pregare vogliamo restare miseri quali siamo! Deh, Signore, illuminateci e fateci conoscere quanto valgono appresso il vostro Eterno Padre le suppliche fatte in nome di Voi e per i vostri meriti. Io vi consacro questo mio libretto, beneditelo Voi, e fate che tutti quelli che l'avranno nelle mani s'invoglino a sempre pregare, e si adoprino ad infiammare anche gli altri affinché si valgano di questo gran mezzo della loro salute. A Voi anche raccomando questa mia operetta, o gran madre di Dio Maria: Voi proteggetela con ottenere a tutti coloro, che la leggeranno, lo spirito di pregare con ricorrere sempre in tutti i loro bisogni al vostro Figlio, ed a Voi, che siete la dispensatrice delle grazie, e siete la Madre della misericordia, che non sapete lasciare scontento alcuno che a Voi si raccomanda, e siete all'incontro la Vergine potente, che ottenete da Dio ai vostri servi, quanto chiedete.



    INTRODUZIONE

    Io ho dato alla luce diverse operette spirituali, ma stimo di non aver fatta opera più utile di questo libretto, in cui parlo della preghiera, per essere ella un mezzo necessario e sicuro, al fine di ottenere la salute, e tutte le grazie che per quella ci bisognano. Io non ho questa possibilità, ma se potessi, vorrei di questo libretto stamparne molte copie, quanti sono tutti i fedeli che vivono sulla terra, e dispensarle ad ognuno, affinché ognuno intendesse la necessità, che abbiamo tutti di pregare per salvarci. Dico ciò, perché vedo da una parte quest'assoluta necessità della preghiera, tanto per altro inculcata da tutte le Sacre Scritture, e da tutti i Santi Padri; ed al contrario vedo, che i cristiani poco attendono a praticare questo gran mezzo della loro salute. E quel che più mi affligge, vedo che i predicatori e confessori poco attendono a parlarne ai loro uditori e penitenti; e vedo che anche i libri spirituali, che oggidì corrono per le mani, neppure ne parlano abbastanza. Mentre invece tutti i predicatori, confessori e tutti i libri, non dovrebbero insinuare altra cosa con maggior premura e calore, che questa del pregare. Essi infatti inculcano tanti buoni mezzi alle anime per conservarsi in grazia di Dio: la fuga delle occasioni, la frequenza dei Sacramenti, la resistenza alle tentazioni, il sentir la divina parola, il meditare le Massime eterne, ed altri mezzi (non lo nego) utilissimi: ma a che servono, io dico, le prediche e meditazioni e tutti gli altri mezzi che danno i maestri spirituali senza la preghiera, quando il Signore si è dichiarato che non vuol concedere le grazie se non a chi prega? Chiedete ed otterrete (Gv 16,24). Senza la preghiera (parlando secondo la Provvidenza ordinaria) resteranno inutili tutte le meditazioni fatte, tutti i nostri propositi, e tutte le nostre promesse. Se non preghiamo saremo sempre infedeli a tutti i lumi ricevuti da Dio, ed a tutte le promesse da noi fatte. La ragione sta qui: che a fare attualmente il bene, a vincere le tentazioni, ad esercitare le virtù, insomma ad osservare i divini precetti non bastano i lumi da noi ricevuti, e le considerazioni e i propositi da noi fatti, ma vi è bisogno di una grazia attuale di Dio; e il Signore questo aiuto attuale (come appresso vedremo) non lo concede, se non a chi prega. I lumi ricevuti, le considerazioni ed i buoni propositi concepiti, servono a stimolarci a pregare nei pericoli e nelle tentazioni per ottenere il divino soccorso, che ci preservi poi dal peccato. Ma se allora non preghiamo, saremo perduti. Ho voluto, lettore mio, premettere questo mio sentimento a tutto quello che appresso scriverò, affinché ringraziate il Signore, che, per mezzo di questo mio libretto, vi dona la grazia di riflettere maggiormente sull'importanza di questo gran mezzo della preghiera; poiché tutti quelli che si salvano (parlando degli adulti), ordinariamente per questo unico mezzo si salvano. E perciò dico, ringraziatene Dio; perché è una misericordia troppo grande quella che Egli fa a coloro ai quali dà la luce e la grazia di pregare. Io spero che voi, amato mio fratello, dopo aver letta questa breve operetta, non sarete più trascurato d'ora innanzi a ricorrere sempre a Dio coll'orazione, quando sarete tentato ad offenderlo. Se mai per il passato vi trovaste aggravata la coscienza di molti peccati, intendiate che questa n'è stata la cagione: la trascuratezza di pregare e di cercare a Dio l'aiuto per resistere alle tentazioni, che vi hanno assalito. Vi prego intanto di leggerlo e rileggerlo e con tutta l'attenzione, non già perché è frutto del mio ingegno, ma perché egli è mezzo che il Signore vi porge per bene della vostra eterna salute: dandovi con ciò ad intendere in modo particolare, che vi vuol salvo. E dopo averlo letto; vi prego di farlo leggere ad altri (come potrete) amici o paesani, con cui converserete. Or cominciamo in nome del Signore. Scrisse l'Apostolo a Timoteo: Raccomando adunque prima di tutto, che si facciano suppliche, orazioni, voti, ringraziamenti (1 Tm 2,1). Spiega l'Angelico san Tommaso (2, 2.ae, q. 83, art. 17), che l'orazione è propriamente il sollevare la mente a Dio. La postulazione poi è propriamente la preghiera; la quale, quando la domanda contiene cose determinate, come quando diciamo: Muoviti, o Dio, in mio soccorso... si chiama supplica. La obsecrazione è una pia adiurazione, ossia contestazione, per impetrare la grazia, come quando diciamo: Per la tua croce e passione, liberaci, o Signore. Finalmente l'azione di grazie è il ringraziamento per i benefici ricevuti, col quale, dice san Tommaso, che noi meritiamo di ricevere benefici maggiori: Rendendo grazie meritiamo beni maggiori. L'orazione presa in particolare, dice il santo Dottore, significa il ricorso a Dio; ma presa in generale, contiene tutte le altre parti di sopra nominate; e tale noi l'intenderemo nominandola da qui in avanti col nome di orazione o di preghiera. Per affezionarci poi a questo gran mezzo della nostra salute quale è la preghiera, bisogna considerare, quanto sia ella a noi necessaria, e quanto valga ad ottenerci tutte le grazie che da Dio desideriamo, se sappiamo domandarle come si deve. Quindi parleremo prima della necessità e del valore della preghiera, e poi delle condizioni della medesima, affinché ella riesca efficace appresso Dio.

    CAPO I DELLA NECESSITA DELLA PREGHIERA

    I.- LA PREGHIERA E' NECESSARIA ALLA SALUTE, DI NECESSITA DI MEZZO.

    Fu già errore dei pelagiani il dire, che l'orazione non è necessaria a conseguire la salute. Diceva l'empio loro maestro Pelagio, che l'uomo in tanto solamente si perde, in quanto trascura di riconoscere le verità necessarie a sapersi. Ma gran cosa! diceva Santo Agostino: “Pelagio d'ogni altra cosa voleva trattare, fuorché dell'orazione” (De natura et orat. c. XVII), ch'è l'unico mezzo, come teneva ed insegnava il santo, per acquistare la scienza dei santi, secondo quel che scrisse già S. Giacomo: “Se alcuno di voi è bisognoso di sapienza, la chieda a Dio, che dà a tutti abbondantemente e non lo rimprovera, e gli sarà concesso” (Gc 1,5). Sono troppo chiare le Scritture, che ci fan vedere la necessità che abbiamo di pregare, se vogliamo salvarci. Bisogna sempre pregare, né mai stancarsi (Lc 18,1). Vegliate ed orate per non cadere in tentazione (Mt 26,41). Chiedete ed otterrete (Mt 7,7). Le suddette parole bisogna, chiedete, orate, come vogliono comunemente i teologi, significano ed importano precetto e necessità. Vicleffo diceva, che questi testi s'intendevano non già dell'orazione, ma solamente della necessità delle buone opere, sicché il pregare in suo senso non era altro che il bene operare: ma questo fu suo errore e fu condannato espressamente dalla Chiesa. Onde scrisse il dotto Leonardo Lessio, “non potersi negare senza errare nella fede, che la preghiera agli adulti è necessaria per salvarsi; constando evidentemente dalle Scritture, essere l'orazione l'unico mezzo per conseguire gli aiuti necessari alla salute” (De Iust. 1, 2, c. 37, dub. 3, n. 9). La ragione è chiara. Senza il soccorso della grazia, noi non possiamo fare alcun bene. Senza di me non potete far nulla (Gv 15,5). Nota S. Agostino su queste parole, che Gesù Cristo non disse: niente potete compire, ma niente potete fare. Per darci con ciò ad intendere il nostro Salvatore, che noi senza la grazia, neppure possiamo cominciare a fare il bene. Anzi scrisse l'Apostolo: Da per noi neppure possiamo avere desiderio di farlo (2 Cr 3,5). Se dunque non possiamo neanche pensare al bene, tanto meno possiamo desiderarlo. Lo stesso ci significano tante altre Scritture. Lo stesso Dio è quegli che fa in tutti tutte le cose (1 Cr 12,6). Farò che camminiate nei miei precetti, ed osserviate le mie leggi, e le pratichiate (Ez 36,27). In modo che, siccome scrisse san Leone I: “Noi non facciamo alcun bene, fuori di quello che Dio con la sua grazia ci fa operare”. Onde il Concilio di Trento nella Sess. 6, can. 3, disse: “Se alcuno avrà detto, che senza una preventiva ispirazione, ed aiuto dello Spirito Santo, l'uomo può credere, sperare, amare o pentirsi, come bisogna, per ottenere la grazia della giustificazione, sia scomunicato” (Sess. 6, can. 3). L'autore dell'Opera imperfetta, parlando dei bruti ci dice che il Signore altri ha provveduto di corso, altri di unghie, altri di penne, affinché possano così conservare il loro essere; ma l'uomo poi l'ha formato in tal stato, che esso solo, Dio, fosse tutta la di lui virtù (Hom. 18). Sicché l'uomo è affatto impotente a procurarsi la sua salute, poiché ha voluto Iddio, che quanto ha, e può avere, tutto lo riceva dal solo aiuto della sua grazia. Ma questo aiuto della grazia, il Signore per provvidenza ordinaria, non lo concede se non a chi prega, secondo la celebre sentenza di Gennadio: “Crediamo che niuno giunga a salute, se Dio non lo invita; niuno invitato operi la salute, se non è da Dio aiutato; niuno meriti aiuto, se non per mezzo della preghiera” (De Eccl. dogm. cap. 26). Posto dunque da una parte, che senza il soccorso della grazia niente noi possiamo; e posto dall'altra che tale soccorso ordinariamente non si dona da Dio se non a chi prega, chi non vede dedursi per conseguenza, che la preghiera ci è assolutamente necessaria alla salute? E' vero che le prime grazie, le quali vengono a noi senza alcuna nostra cooperazione, come sono la vocazione alla fede, alla penitenza, dice S. Agostino, che Dio le concede anche a coloro che non pregano; tuttavia il santo tiene poi per certo che le altre grazie (e specialmente il dono della perseveranza) non si concedono se non a chi prega (De Dono pers. c. 16). Ond'è che i teologi comunemente con san Basilio, san Giovanni Crisostomo, Clemente Alessandrino, ed altri col medesimo S. Agostino, insegnano che la preghiera agli adulti è necessaria non solo di necessità di precetto, come abbiamo veduto, ma anche di mezzo. Vale a dire che di provvidenza ordinaria, un fedele senza raccomandarsi a Dio, con cercargli le grazie necessarie alla salute, è impossibile che si salvi. Lo stesso insegna san Tommaso dicendo: “Dopo il battesimo poi è necessaria all'uomo una continua orazione, affine di entrare in cielo; poiché quantunque per mezzo del battesimo si rimettano i peccati, ciò nondimeno rimane il fomite del peccato che ci fa guerra internamente e il mondo e i demoni, che ci guerreggiano esternamente” (3 p. q. 39, art. 5). La ragione dunque, che ci fa certi, secondo l'Angelico, della necessità che abbiamo della preghiera, eccola in breve: Noi per salvarci dobbiamo combattere e vincere: Colui che combatte nell'agone non è coronato, se non ha combattuto secondo le leggi (1 Tm 2,5). All'incontro senza l'aiuto divino non possiamo resistere alle forze di tanti e tali nemici: or questo aiuto divino solo per l'orazione si concede; dunque senza orazione non v'è salute. Che poi l'orazione sia l'unico ordinario mezzo per ricevere i divini doni, lo conferma più distintamente il medesimo santo dottore in altro luogo dicendo che il Signore tutte le grazie che ab aeterno ha determinato di donare a noi, vuol donarcele non per altro mezzo che per l'orazione (2, 2.ae, q. 83, 2). E lo stesso scrisse S. Gregorio: “Gli uomini pregando meritano di ricevere ciò che Dio avanti i secoli dispone loro di dare” (Lib. i. Dial. cap. 8). Non già, dice S. Tommaso, è necessario di pregare, affinché Iddio intenda i nostri bisogni, ma affinché noi intendiamo la necessità, che abbiamo di ricorrere a Dio, per ricevere i soccorsi opportuni per salvarci, e con ciò riconoscerlo per unico autore di tutti i nostri beni (Ibid. ad 1 et 2). Siccome dunque ha stabilito il Signore che noi fossimo provveduti di pane col seminare il grano, e del vino col piantare le viti; così ha voluto che riceviamo le grazie necessarie i alla salute per mezzo della preghiera, dicendo: "Chiedete ed otterrete, cercate, e troverete" (Matth. 7,7). Noi insomma, altro non siamo che poveri mendicanti, i quali tanto abbiamo, quanto ci dona Dio per elemosina. Io per me sono mendico e senza aiuto (Ps. 39,18). Il Signore, dice S. Agostino, bene desidera e vuole dispensare le sue grazie, ma non vuol dispensarle se non a chi le domanda (In Ps. 102). Egli si protesta con dire: “Chiedete ed otterrete”. Cercate, e vi sarà dato; dunque dice santa Teresa, chi non cerca, non riceve. Siccome l'umore è necessario alle piante per vivere e non seccare, così dice il Crisostomo, è necessaria a noi l'orazione per salvarci. In altro luogo, dice il medesimo santo, che: “siccome il corpo senza dell'anima non può vivere, così l'anima senza l'orazione è morta, e manda cattivo odore” (De or. D. l. i.). Dice, manda cattivo odore, perché chi lascia di raccomandarsi a Dio, subito comincia a puzzare di peccati. Si chiama anche l'orazione cibo dell'anima perché “senza cibo non può sostentarsi il corpo, e senza l'orazione, dice S. Agostino, non può conservarsi in vita l'anima” (De sal. doc. c. 28). Tutte queste similitudini che adducono questi santi Padri, denotano l'assoluta necessità, ch'essi insegnano d'esservi in pregare per conseguire la salute.

    II. - SENZA LA PREGHIERA E' IMPOSSIBILE RESISTERE ALLE TENTAZIONI E PRATICARE I COMANDAMENTI.

    L'orazione inoltre è l'arma più necessaria per difenderci dai nemici: chi di questa non s'avvale, dice S. Tommaso, è perduto. Non dubita il Santo di ritenere che Adamo cadde perché non si raccomandò a Dio allora che fu tentato (P. I. q. 94, a. 4). E lo stesso scrisse S. Gelasio parlando degli angeli ribelli: “Che cioè ricevendo invano la grazia di Dio, senza pregare non seppero rimanere fedeli” (Epist. adversus Pelag. haeret.). San Carlo Borromeo in una lettera Pastorale (Litt. pastor. De or. in com.) avverte, che tra tutti i mezzi che Gesù Cristo ci ha raccomandati nel Vangelo, ha dato il primo luogo alla preghiera: ed in ciò ha voluto che si distinguesse la sua Chiesa e Religione dalle altre sette, volendo che ella si chiamasse specialmente casa d'orazione. La casa mia sarà chiamata casa d'orazione (Mt 21,13). Conclude S. Carlo nella suddetta lettera, che la preghiera è il principio, il progresso e il complemento di tutte le virtù. Sicché nelle tenebre, nelle miserie e nei pericoli, in cui ci troviamo (diceva re Giosafat) non abbiamo in che altro fondare le nostre speranze, che in sollevare gli occhi a Dio e dalla sua misericordia impetrare colle preghiere la nostra salvezza (2 Cron 20,12). E così anche praticava Davide; non trovando altro mezzo per non esser preda dei nemici, che pregare continuamente il Signore a liberarlo dalle loro insidie: “Gli occhi miei sono sempre rivolti al Signore perché Egli trarrà dal laccio i miei piedi (Sal 24,15). Sicché altro egli non faceva che pregare dicendo: “A me volgi il tuo sguardo, e abbi pietà di me, perché io son solo e son povero” (Ibid. 24,16). “Gridai a te: dammi salute affinché osservi i tuoi precetti” (Sal 118,146). Signore, volgete a me gli occhi, abbiate pietà di me, e salvatemi: mentre io non posso niente, e fuori di Voi non ho chi possa aiutarmi. Ed infatti come potremmo noi resistere alle forze dei nostri nemici, ed osservare i divini precetti, specialmente dopo il peccato di Adamo, che ci ha resi così deboli ed infermi, se non avessimo il mezzo dell'orazione, per cui possiamo già dal Signore impetrare la luce e la forza bastante per osservarli? Fu già bestemmia quella che disse Lutero, cioè che dopo il peccato di Adamo sia assolutamente impossibile agli uomini l'osservanza della divina legge. Giansenio ancora disse che alcuni precetti ai giusti erano impossibili secondo le presenti forze che hanno. E sin qui la sua proposizione avrebbe potuto spiegarsi in buon senso; ma ella fu giustamente condannata dalla Chiesa per quello che poi vi aggiunse, dicendo che mancava ancora la grazia divina a renderli possibili. E' vero, dice S. Agostino, che l'uomo per la sua debolezza non può già adempiere alcuni precetti con le presenti forze e con la grazia ordinaria, ossia comune a tutti; ma ben può con la preghiera ottenere l'aiuto maggiore, che vi bisogna per osservarli: “Iddio non comanda cose impossibili, ma nel comandare ti avvisa di fare quel che puoi, e chiedere quel che non puoi, ed aiuta affinché tu lo possa” (De nat. et grat. cap. XLIII). E' celebre questo testo del Santo, che poi fu adottato e fatto dogma di fede dal Concilio di Trento (Sess. VI, cap. II). Ed ivi immediatamente soggiunse il santo Dottore: “Vediamo in che modo... (cioè, come l'uomo può fare quel che non può). Per mezzo della medicina potrà quello che non può per la sua infermità” (Ibid. cap. LXIX). E vuol dire che con la preghiera otteniamo il rimedio alla nostra debolezza; poiché pregando noi, Iddio ci dona la forza a far quel che noi non possiamo. Non possiamo già credere, segue a parlare S. Agostino, che il Signore, abbia voluto imporci l'osservanza della legge, e che poi ci abbia imposto una legge impossibile; e perciò dice il Santo, che allorché Dio ci fa conoscere impotenti ad osservare tutti i suoi precetti, egli ci ammonisce a far le cose difficili con l'aiuto maggiore che possiamo impetrare per mezzo della preghiera (Sess. VI, cap. LXIX). Ma perché, dirà taluno, ci ha comandato Dio cose impossibili alle nostre forze? Appunto per questo, dice il Santo, affinché noi attendiamo ad ottenere con l'orazione l'aiuto per fare ciò che non possiamo (De gr. et lib. arb. c. 16). E in altro luogo: “La legge fu data affinché domandassimo la grazia; la grazia fu donata, affinché fosse adempita la legge” (De sp. et lit. c. 19). La legge non può osservarsi senza la grazia; e Dio a questo fine ha dato la legge, affinché noi sempre lo supplicassimo a donarci la grazia per osservarla. In altro luogo dice: “La legge è buona per chi ne usa legittimamente. Che vuol dire dunque servirsi legittimamente della legge?” (Serm. 156). E risponde: “riconoscere per mezzo della legge la propria infermità e domandare il divino aiuto onde conseguire la salute” (Serm. 156). Dice dunque S. Agostino, che noi dobbiamo servirci della legge, ma a che cosa? a conoscere per mezzo della legge (a noi impossibile) la nostra impotenza ad osservarla, affinché poi impetriamo, col pregare, l'aiuto divino che sana la nostra debolezza. Lo stesso scrisse S. Bernardo, dicendo: “Chi siamo noi, e qual è la nostra forza che possiamo resistere a tante tentazioni? Questo certamente ricercava Iddio che, vedendo noi la nostra debolezza, e che non abbiamo in pronto altro aiuto, ricorressimo con tutta umiltà alla sua misericordia” (Serm. v. De Quadrag.). Conosce il Signore, quanto utile sia a noi la necessità di pregare, per conservarci umili e per esercitarci alla confidenza: e perciò permette che ci assaltino nemici insuperabili dalle nostre forze, affinché noi con la preghiera otteniamo dalla sua misericordia l'aiuto a resistere. Specialmente, si avverta che niuno può resistere alle tentazioni impure della carne, se non si raccomanda a Dio quando è tentato. Questa nemica è sì terribile, che quando ci combatte, quasi ci toglie ogni luce: ci fa scordare di tutte le meditazioni e buoni propositi fatti e ci fa vilipendere ancora le verità della fede, quasi perdere anche il timore dei castighi divini: poiché ella si congiura con l'inclinazione naturale, che con somma violenza ne spinge ai piaceri sensuali. Chi allora non ricorre a Dio, è perduto. L'unica difesa contro questa tentazione è la preghiera; dice S. Gregorio Nisseno: “L'orazione è il presidio della pudicizia” (De or. Dom. I.). E lo disse prima Salomone: 'Tosto ch'io seppi come non poteva essere continente se Dio non mel concedeva, io mi presentai al Signore, e lo pregai" (Sap 8,21). La castità è una virtù che non abbiamo forza di osservare se Dio non ce la concede, e Dio non concede questa forza, se non a chi la domanda. Ma chi la domanda certamente l'otterrà. Pertanto dice S. Tommaso contro Giansenio, che non dobbiamo dire essere a noi impossibile il precetto, poiché quantunque non possiamo noi osservarlo con le nostre forze, lo possiamo nondimeno con l'aiuto divino (1, 2, q. 109, a. 4, ad 2). Né dicasi, che sembra un'ingiustizia il comandare ad uno zoppo che cammini diritto; no, dice S. Agostino, non è ingiustizia, sempre che gli sia dato il modo di trovare rimedio al suo difetto; onde se egli poi segue a zoppicare, la colpa è sua (De perfect. iust. c. III). Insomma, dice lo stesso santo Dottore, che non saprà mai vivere bene chi non saprà ben pregare (S. 55. in app.). Ed all'incontro, dice S. Francesco d'Assisi, che senza orazione non può sperarsi mai alcun buon frutto in un'anima. A torto dunque si scusano quei peccatori che dicono di non aver forza di resistere alla tentazione. Ma se voi, li rimprovera S. Giacomo, non avete questa forza, perché non la domandate? Voi non l'avete, perché non la cercate (Gc 4,2). Non vi è dubbio, che noi siamo troppo deboli per resistere agli assalti dei nostri nemici, ma è certo ancora, che Dio è fedele, come dice l'Apostolo, e non permette che noi siamo tentati oltre le nostre forze: "Ma fedele è Dio, il quale non permetterà che voi siate tentati oltre il vostro potere, ma darà con la tentazione il profitto, affinché possiate sostenere" (1 Cr 10,13). Commenta Primasio: “Con l'aiuto della grazia farà provenire questo, che possiate sopportare la tentazione”. Noi siamo deboli, ma Iddio è forte: quando noi gli domandiamo l'aiuto, allora egli ci comunica la sua fortezza, e potremo tutto, come giustamente vi prometteva lo stesso Apostolo dicendo: "Tutte le cose mi sono possibili in Colui che è mio conforto" (Fil 4,13). “Non ha scusa dunque, dice S. Giovanni Crisostomo, chi cade perché trascura di pregare, poiché se avesse pregato, non sarebbe restato vinto dai nemici” (Serm. De Moyse).

    III. - DELLA INVOCAZIONE DEI SANTI.

    E' utile ricorrere alla intercessione dei Santi?

    Qui cade poi il dubbio, se sia necessario il ricorrere ancora all'intercessione dei Santi, per ottenere le divine grazie. In quanto al dire che sia cosa lecita ed utile l'invocare i Santi, come intercessori ad impetrarci per i meriti di Gesù Cristo, quel che noi per nostri demeriti non siamo degni di ottenere; questa è dottrina già della Chiesa, come ha dichiarato il Concilio di Trento (In Decr. de invoc. Ss.). Tale invocazione era condannata dall'empio Calvino, ma troppo ingiustamente. Se è lecito e profittevole l'invocare in nostro soccorso i santi viventi, e pregarli che ci assistano con le loro azioni, come faceva il profeta Baruch che diceva: E per noi pure pregate il Dio nostro... (Bar 1,13). E S. Paolo: '"Fratelli, pregate per noi" (1 Ts 1,25). E Dio medesimo volle, che gli amici di Giobbe si raccomandassero alle di lui orazioni, acciocché per i meriti di Giobbe egli li favorisse: Andate a trovare Giobbe mio servo... e Giobbe mio servo farà orazioni per voi, e in grazia di lui non sarà imputata in voi la vostra stoltezza (Gb 42,8). Se è lecito dunque raccomandarsi ai vivi, perché non ha da esser lecito l'invocare i Santi, che in cielo più da vicino godono Dio? Ciò non è derogare all'onore che a Dio si deve, ma duplicarlo, com'è l'onorare il re non solo nella sua persona, ma ancora nei suoi servi. Che perciò dice S. Tommaso, essere bene che si ricorra a molti Santi, “perché con le orazioni di molti alle volte si ottiene ciò che non si consegue per l'orazione di un solo”. Che se poi dicesse taluno: ma che serve ricorrere ai Santi affinché preghino per noi, quando essi già pregano per tutti coloro che ne sono degni? Risponde lo stesso santo Dottore, che alcuno non sarebbe già degno che i Santi preghino per lui, ma ne è appunto fatto degno, perché ricorre con devozione al Santo medesimo (In 4 Sent. d. 45, q. 3 a. S.).

    E' conveniente ricorrere alle anime del Purgatorio?

    Si controverte poi, se giovi il raccomandarsi alle anime del Purgatorio. Alcuni dicono che le anime purganti non possono pregare per noi, indotti dell'autorità di S. Tommaso, il quale dice che quelle anime stando a purgarsi tra le pene, sono a noi inferiori, e perciò, non sono in stato di pregare, ma bensì che si preghi per esse (2, 2.ae, q. 83, a. 2). Ma molti altri Dottori, come il Bellarmino, Silvio, il Cardinale Gotti ecc., molto probabilmente l'affermano, dovendosi piamente credere, che Dio manifesta loro le nostre orazioni, affinché quelle sante anime preghino per noi, e così tra noi e loro si conservi questo bel commercio di carità, cioè che noi preghiamo per esse, ed esse per noi. Né osta, come dicono Silvio e Gotti, quel che ha detto l'Angelico, di non essere le anime purganti in stato di pregare: perché altro è il non essere in stato di pregare, altro il non poter pregare. E' vero, che quelle anime sante non sono in stato di pregare, perché, come dice S. Tommaso, stando a patire sono inferiori a noi, e più presto bisognose delle nostre orazioni; nulladimeno in tale stato ben possono pregare, perché sono anime amiche di Dio. Se mai un padre ama teneramente un figlio, ma lo tiene carcerato, affine di punirlo di qualche difetto commesso, il figlio allora non è in stato di pregare per sé, ma perché egli non può pregare per gli altri? E non sperare di ottenere ciò che chiede, sapendo l'affetto che gli porta il padre? Così essendo le anime del Purgatorio molto amate da Dio, e confermate in grazia, non v'è impedimento che possa loro vietare di pregarlo per noi. La Chiesa per altro non suole invocarle, ed implorare la loro intercessione, perché ordinariamente esse non conoscono le nostre orazioni. Ma piamente si crede, come si è detto, che il Signore faccia loro note le nostre preghiere, ed allora esse che sono piene di carità, non lasciano certamente di pregare per noi. Santa Caterina di Bologna, quando desiderava qualche grazia, ricorreva alle anime del Purgatorio, e ben presto si vedeva esaudita. Anzi attestava, che molte grazie che non aveva ottenute per intercessione dei Santi, le aveva poi conseguite per mezzo delle anime del Purgatorio.

    Dell'obbligo di pregare per le anime del Purgatorio

    Ma qui mi si permetta di fare una digressione a beneficio di quelle sante anime! Se vogliamo noi il soccorso delle loro orazioni, è bene che ancora noi attendiamo a soccorrerle con le nostre orazioni ed opere. Dissi, è bene, ma anche deve dirsi essere questo uno dei doveri cristiani, poiché richiede la carità, che noi sovveniamo il prossimo quando il prossimo sta in necessità del nostro aiuto, e noi possiamo aiutarlo senza grave incomodo. Or è certo che i nostri prossimi sono ancora le anime del Purgatorio, le quali benché non siano più in questa vita, nulladimeno non lasciano d'essere nella comunione dei Santi, dice S. Agostino. E più distintamente lo dichiara S. Tommaso a nostro proposito, dicendo che la carità dovuta verso i defunti, i quali sono passati all'altra vita in grazia, è un'estensione di quella stessa carità, che dobbiamo verso i nostri prossimi viventi (In Ps. 37). Ond'è che noi dobbiamo soccorrere secondo possiamo quelle sante anime come nostri prossimi. Ed essendo le loro necessità maggiori di quelle degli altri prossimi, maggiore ancora per questo riguardo par che sia il nostro dovere di sovvenirle. Ora in quali necessità si ritrovano quelle sante prigioniere? E' certo, che le loro pene sono immense. “Il fuoco che le cruccia, dice S. Agostino, è più tormentoso di qualunque pena, che possa affliggere l'uomo in questa vita” (In 4 Sent. d. 45, q. 2, s. 2). E lo stesso stima S. Tommaso, aggiungendo essere quello il medesimo fuoco dell'inferno. E ciò è in quanto alla pena del senso, ma assai più grande è poi la pena del danno, cioè la privazione di Dio, che affligge quelle sue sante spose; mentre quelle anime, non solo dal naturale, ma anche dal soprannaturale amore, di cui ardono verso Dio, sono tirate con tal impeto ad unirsi col loro Bene, che vedendosi poi impedite dalle loro colpe, provano una pena sì acerba che se esse fossero capaci di morte, morirebbero in ogni momento. Sicché, secondo dice il Crisostomo, questa pena della privazione di Dio tormenta immensamente più che la pena del senso. Ond'è che quelle sante spose vorrebbero patire tutte le altre pene, anziché esser private d'un sol momento di quella sospirata unione con Dio. Dice pertanto il maestro Angelico, che la pena del Purgatorio eccede ogni dolore che può patirsi in questa vita. E riferisce Dionisio Cartusiano, che un certo defunto, poi risorto per intercessione di S. Girolamo, disse a S. Cirillo Gerosolimitano, che tutti i tormenti di questa terra sono sollievi e delizie a rispetto della minor pena, che v'è nel Purgatorio. E soggiunse, che se un uomo avesse provato quelle pene, vorrebbe più presto soffrire tutti i dolori di questa vita che hanno patito gli uomini fino al giorno del giudizio, che patire per un giorno solo la minor pena del Purgatorio. Onde scrisse il nominato S. Cirillo, che quelle pene, in quanto all'asprezza, sono le stesse che quelle dell'Inferno; in questo solo differiscono, che non sono eterne. Le pene dunque di quelle anime sono troppo grandi; dall'altra parte non possono aiutarsi da sé; esse, secondo quel che dice Giobbe, sono in catena ed annodate dai lacci di povertà (Gb 36,8). Sono già destinate al regno quelle sante regine, ma sono trattenute sin tanto che non giunge il termine della loro purga; sicché non possono aiutarsi (almeno a sufficienza, se vogliamo credere a quei Dottori, i quali vogliono che quelle anime ben possano anche con le loro orazioni impetrare qualche sollievo) per sciogliersi da quelle catene, finché non soddisfano interamente la divina giustizia. Così appunto disse dal Purgatorio un monaco Cistercense al sacrestano del suo monastero: “Aiutatemi, vi prego, con le vostre orazioni, perché io da per me niente posso ottenere”. E ciò è secondo quel che dice S. Bonaventura, cioè che quelle anime sono sì povere, che non hanno come soddisfare. All'incontro essendo certo, anzi di fede, che noi possiamo coi nostri suffragi, e principalmente con le orazioni approvate od anche praticate dalla Chiesa, sollevare quelle sante anime; io non so come possa essere scusato da colpa, chi trascura di porgere loro qualche aiuto, almeno con le sue orazioni. Ci muova almeno a soccorrerle, se non ci muove il dovere, il gusto che si dà a Gesù Cristo, in vedere che noi ci applichiamo a sprigionare quelle sue dilette spose, acciocché le abbia seco in Paradiso. Ci muova almeno finalmente l'acquisto dei gran meriti che possiamo fare, con usare questo grande atto di carità verso di quelle sante anime, le quali all'incontro sono gratissime, e ben conoscono il gran beneficio che noi loro facciamo, sollevandole da quelle pene, e ottenendo con le nostre orazioni l'anticipo della loro entrata alla gloria; onde non lasceranno, allorché elle saranno ivi giunte, di pregare per noi. E se il Signore promette la sua misericordia a chi usa misericordia al suo prossimo: beati i misericordiosi, perché questi troveranno misericordia (Mt 5,7), con molta ragione può sperare la sua salute chi attende a sovvenire quelle sante anime così afflitte, e così care a Dio. Gionata, dopo aver procurata la salute degli Ebrei con la vittoria che ottenne dei nemici, fu condannato a morte da Saul suo padre per essersi cibato del miele, contro l'ordine da lui dato. Ma il popolo si presentò al re, e disse: E dovrà adunque morire Gionata, il quale ha salvato Israele (1 Re 14,45). Or così appunto dobbiamo sperare che se mai alcuno di noi ottiene con le sue orazioni, che un'anima esca dal Purgatorio e vada in Paradiso, quell'anima dirà a Dio: Signore, non permettere che si perda colui che mi ha liberato dalle pene. E se Saul concesse la vita a Gionata per le suppliche del popolo, non negherà Iddio la salute eterna a quel fedele per le preghiere di un'anima che gli è sposa. Inoltre, dice S. Agostino, che coloro che in questa vita avranno più soccorso quelle sante anime, nell'altra, stando nel Purgatorio, farà Dio che siano più soccorsi degli altri. Si avverta che il più gran suffragio per le anime purganti è il sentir la Messa per esse, ed in quella raccomandarle a Dio per i meriti della Passione di Gesù Cristo, dicendo così: Eterno Padre, io vi offro questo sacrificio del Corpo e Sangue di Gesù Cristo, con tutti i dolori ch'egli patì nella sua vita e morte; e per i meriti della sua Passione vi raccomando le anime del Purgatorio e specialmente... ecc. Ed è atto di molta carità raccomandare nello stesso tempo anche le anime di tutti gli agonizzanti.

    L'invocazione dei Santi è necessaria

    Quanto si è detto delle anime purganti circa il punto, se esse possono o no pregare per noi, e se pertanto a noi giovi o no il raccomandarci alle loro orazioni, non corre certamente a rispetto dei Santi. Poiché in quanto ai Santi non può dubitarsi essere utilissimo il ricorrere alla loro intercessione, parlando dei Santi già canonizzati dalla Chiesa, che già godono la vista di Dio. Nel che il credere fallibile la Chiesa, non può scusarsi da colpa o da eresia, come vogliono S. Bonaventura, il Bellarmino, ed altri, o almeno prossima all'eresia, come tengono il Suarez, l'Azorio, il Gotti ecc., poiché il sommo Pontefice nel canonizzare i Santi, principalmente come insegna l'Angelico (Quodlib. 9, art. 16, ad. l), è guidato dall'istinto infallibile dello Spirito Santo. Ma ritorniamo al dubbio di sopra proposto, se vi sia anche obbligo di ricorrere all'intercessione dei Santi. lo non voglio entrare a decidere questo punto, ma non posso lasciare di esporre una dottrina dell'Angelico. Egli primieramente in più luoghi rapportati di sopra, e specialmente nel libro delle Sentenze, suppone per certo esser tenuto ciascuno a pregare; poiché in altro modo non possono, come asserisce, ottenersi da Dio le grazie necessarie alla salute, se non si domandano (in 4 sent. d. 15, q. 4, a. l). In altro luogo poi dello stesso libro, il Santo propone appunto il dubbio: Se dobbiamo pregare i Santi, affinché interpellino per noi (in 4 sent. dist. q. 3, a. 2). E risponde così (per far bene capire il sentimento del santo bisogna riferire l'intero suo testo): “E' l'ordine divinamente istituito nelle cose (secondo Dionisio), che per via dei mezzi ultimi si riconducano a Dio. “E però i Santi che sono nella Patria, essendo vicinissimi a Dio, l'ordine della divina legge richiede questo, che noi, i quali rimanendo nel corpo pellegriniamo lungi dal Signore, veniamo ricondotti a Lui per la mediazione dei Santi. Il che appunto avviene, quando per mezzo di essi la divina bontà diffonde gli effetti suoi. E perché il nostro ritorno a Dio deve corrispondere al procedimento della bontà di lui verso di noi; (Siccome i benefici di Dio ci provengono mediante i suffragi dei Santi), così fa d'uopo che noi siamo ricondotti a Dio, affinché di nuovo riceviamo i benefici di Lui per la mediazione dei Santi. E quindi è che noi li stabiliamo nostri intercessori appresso Dio e quasi mediatori quando loro domandiamo che preghino per noi”. Si notino quelle parole: l'ordine della divina legge richiede questo; e specialmente poi si notino le ultime: siccome per intercessione dei Santi provengono in noi i benefici del Signore; così fa d'uopo che noi ci riconduciamo a Dio affinché dì nuovo riceviamo benefici per la mediazione dei Santi. Sicché secondo S. Tommaso, l'ordine della divina legge richiede, che noi mortali per mezzo dei Santi ci salviamo, col ricevere per mezzo loro gli aiuti necessari alla salute. Ed all'opposizione che si fa l'Angelico, cioè: che par superfluo ricorrere ai Santi, mentre Iddio è infinitamente più di loro misericordioso e propenso ad esaudirci, risponde, che ciò ha disposto il Signore, non già per difetto della sua clemenza, ma per conservare l'ordine retto, ed universalmente stabilito di operare per mezzo delle cause seconde. E secondo quest'autorità di S. Tommaso, scrive il continuatore di Tournely con Silvio, che sebbene solo Dio deve pregarsi come autore delle grazie, nulladimeno noi siamo tenuti di ricorrere anche all'intercessione dei Santi, per osservare l'ordine che circa la nostra salute il Signore ha stabilito, cioè che gl'inferiori si salvino implorando aiuto dai superiori.

    Della intercessione della Madonna

    E se così corre parlando dei Santi, similmente deve dirsi dell'intercessione della divina Madre, le cui preghiere appresso Dio valgono certamente più che quelle di tutto il Paradiso. Dice infatti S. Tommaso, che i Santi a proporzione del merito con cui si guadagnarono le grazie, possono salvare molti altri; ma Gesù Cristo e Maria SS. si sono meritati tanta grazia, che possono salvare tutti gli uomini (Expos. in salut. Ang.). E S. Bernardo parlando di Maria SS. scrisse: “Per te abbiamo accesso al Figlio, o inventrice di grazia, madre di salute, affinché per tuo mezzo ci riceva Colui, che per tuo mezzo fu dato a noi” (In adv. Dom. 1, 2). Col che volle dire: siccome noi non abbiamo l'accesso al Padre se non per mezzo del Figlio che è mediatore di giustizia; così non abbiamo l'accesso al Figlio se non per mezzo della Madre, ch'è mediatrice di grazia, e che ci ottiene con la sua intercessione i beni che Gesù Cristo ci ha meritati. E in conseguenza di ciò il medesimo S. Bernardo in altro luogo dice, che Maria ha ricevuto da Dio due pienezze di grazia. La prima è stata l'Incarnazione nel suo seno del Verbo eterno fatto Uomo. La seconda è stata la pienezza delle grazie, che per mezzo delle preghiere d'essa divina Madre noi riceviamo da Dio. Quindi soggiunse il Santo: “Iddio pose in Maria la pienezza di ogni bene in guisa che se in noi è qualche speranza, qualche grazia' qualche salute, riconosciamo ridondare da Lei, che ascende dal deserto ricolma di delizie. Orto di delizie, affinché d'ogni parte si spargano e si dilatino gli aromi di Lei, i carismi, cioè, delle grazie” (Serm. De Aquaed.). Sicché quanto noi abbiamo di bene dal Signore, tutto lo riceviamo per mezzo dell'intercessione di Maria. E perché mai ciò? perché (risponde lo stesso S. Bernardo) così vuole Dio. Ma la ragione più specifica si ricava da ciò che dice S. Agostino. Egli scrisse, che Maria giustamente si dice nostra madre, perché ella ha cooperato con la sua carità, affinché nascessimo alla vita della grazia nei fedeli, come membri del nostro capo Gesù Cristo (De S. Virginit. e. 6). Ond'è che siccome Maria ha cooperato con la sua carità alla nascita spirituale dei fedeli, così vuole Dio, ch'ella cooperi anche alla sua intercessione a far loro conseguire la vita della grazia in questo mondo, e la vita della gloria nell'altro. E perciò la Santa Chiesa ce la fa chiamare e salutare con termini assoluti: la vita, la dolcezza, e la speranza nostra. Quindi S. Bernardo ci esorta di ricorrere sempre a questa divina Madre, perché le sue preghiere sono certamente esaudite dal Figlio: “Fa' ricorso a Maria; lo dico francamente, certo il Figlio esaudirà la Madre”. E poi soggiunse: “Questa, o figlioli, è la scala dei peccatori, questa la mia massima fiducia, questa tutta la ragione di mia speranza” (Serm. De Aquaed.). La chiama scala il Santo, perché siccome nella scala non si ascende al terzo gradino, se prima non si mette il piede al secondo; e non si giunge al secondo, se non si mette piede al primo, così non si giunge a Dio che per mezzo di Gesù Cristo, e non si giunge a Gesù Cristo che per mezzo di Maria. La chiama poi la massima sua fiducia, e tutta la ragione di sua speranza, perché Iddio, come suppone, tutte le grazie che a noi dispensa, vuol che passino per mano di Maria. E conclude finalmente dicendo, che tutte le grazie che desideriamo, dobbiamo domandarle per mezzo di Maria, perché ella ottiene quando cerca, e le sue preghiere non possono essere respinte. E con sentimento conforme a san Bernardo parlano anche sant'Efrem: “Noi non abbiamo altra fiducia se non quella che è da te, o Vergine sincerissima” (De Laud. B. M. V.). San Ildefonso: “Tutti i beni che la divina Maestà decretò di loro compartire, stabilì di consegnarli nelle tue mani. Perciocché a te sono affidati i tesori e gli ornamenti delle grazie” (De Cor. Virg. c. 15). S. Germano: “Se tu ci abbandoni, che sarà di noi, o vita dei Cristiani?” (De Zon. B. V.). S. Pier Damiani: “Nelle tue mani sono tutti i tesori delle divine commiserazioni” (De Nat. S. I.). S. Antonio: “Chi domanda senza di essa tenta di volare senza ali” (P. 4 tit. 15. c. 22). San Bernardino da Siena in un luogo dice: “Tu sei la dispensatrice di tutte le grazie; la nostra salute è in tua mano”. In altro luogo non solo dice, che per mezzo di Maria si trasmettono a noi tutte le grazie, ma anche asserisce, che la Beata Vergine, da che fu fatta madre di Dio, acquistò una certa giurisdizione sopra tutte le grazie, che a noi si dispensano (Serm. De Nativ. B. M. V. c. 8). E poi conchiude: “Perciò si è che tutti i doni, le virtù, le grazie si dispensano per le mani della medesima a chi vuole, e come vuole”. Lo stesso scrisse S. Bonaventura: “Tutta la divina natura essendo stata nell'utero della Vergine, ardisco dire, che questa Vergine dal cui seno come da un oceano della divinità derivano i fiumi di tutte le grazie, acquistò una tal quale giurisdizione sopra tutte le effusioni delle grazie”. Onde poi molti teologi fondati sulle autorità di questi santi piamente e giustamente hanno difesa la sentenza, che non vi è grazia che a noi si dispensa, se non per mezzo dell'intercessione di Maria; così il Vega, il Mendozza, il Paciucchelli, il Segneri, il Poirè, il Crasset, e molti altri autori col dotto Padre Natale di Alessandro, il quale scrisse: “Dio vuole che tutti i beni aspettiamo da Lui, mediante la potentissima intercessione della Vergine Madre, quando la invochiamo come conviene” (Epist. 76 in calce, t. 4, Moral.). E ne adduce in conferma il riferito passo di S. Bernardo: “Questo è il volere di Colui che il tutto volle darci per Maria” (Serm. De Aquaed.). E lo stesso dice il P. Contensone, il quale sulle parole di Gesù in croce dette a S. Giovanni: Ecco la tua madre, così soggiunse: “Quasi dicesse, niuno sarà partecipe del mio sangue se non per intercessione di mia madre. Le piaghe sono fonti di grazie, ma a nessuno deriveranno i rigagnoli, se non per il canale di Maria. O Giovanni discepolo, tanto sarai da me amato, quanto avrai amato Lei” (Theol. ment. et cord. t. 2, 1. 10. d. 4. C. l.). Del resto è certo, che se Dio gradisce, che noi ricorriamo ai Santi, tanto più gli piacerà che ci avvaliamo dell'intercessione di Maria, acciocché ella supplisca col suo merito la nostra indegnità, secondo parla S. Anselmo. Parlando poi S. Tommaso della dignità di Maria, la chiama quasi infinita (1 part. q. 25. a. 6. ad 4.). Onde a ragione dicesi, che le preghiere di Maria sono più potenti appresso a Dio, che le preghiere di tutto il Paradiso insieme.

    Conclusione

    Terminiamo questo primo punto, concludendo insomma da tutto quel che si è detto, che chi prega, certamente si salva; chi non prega certamente si danna. Tutti i beati, eccettuati i bambini, si sono salvati col pregare. Tutti i dannati si sono perduti per non pregare; se pregavano non si sarebbero perduti. E questa è, e sarà la loro maggiore disperazione nell'inferno, l'aversi potuto salvare con tanta facilità, quant'era il domandare a Dio le di lui grazie, ed ora non essere i miseri più a tempo di domandarle.

    CAPO II DEL VALORE DELLA PREGHIERA

    I. - DELL'ECCELLENZA DELLA PREGHIERA E DEL SUO POTERE PRESSO DIO

    Sono sì care a Dio le nostre preghiere, che Egli ha destinati gli Angeli a presentargli subito quelle che da noi gli vengono fatte: "Gli Angeli, dice S. Ilario, soprintendono alle orazioni dei fedeli, e ogni giorno le offrono a Dio" (Cap. 18, in Matth.). Questo appunto è quel sacro fumo d'incenso, cioè le orazioni dei Santi, che S. Giovanni vide ascendere al Signore, offertogli per mano degli Angeli (Ap c. 8). Ed altrove (Ibid. c. 5), scrive il medesimo santo Apostolo, che le preghiere dei Santi sono come certi vasetti d'oro pieni di odori soavi, e molto graditi a Dio. Ma per meglio intendere quanto valgano presso Dio le orazioni, basta leggere nelle divine scritture le innumerabili promesse che fa Dio a chi prega, così nell'antico come nel nuovo Testamento: Alza a me le tue grida, ed io ti esaudirò (Ger 33,3). Invocami, ed io ti libererò (Sal 49,15). Chiedete; ed otterrete: cercate, e troverete: picchiate, e vi sarà aperto (Mt 7,7). Concederà il bene a coloro che glielo domandano (Mt 7,11). Imperciocché chi chiede riceve, e chi cerca trova (Lc 11,10). Qualsiasi cosa domanderanno, sarà loro concessa dal Padre mio (Mt 18,19). Qualunque cosa domandiate nell'orazione, abbiate fede di conseguirla, e la otterrete (Mr 11,24). Se alcuna cosa domanderete nel nome mio, io la darò (Gv 14,14). Qualunque cosa vorrete, la chiederete, e vi sarà conceduta (Gv 15,7). In verità, in verità vi dico, che qualunque cosa domandiate al Padre nel nome mio, ve la concederà (Gv 16,23). E vi sono mille altri testi consimili, che per brevità si tralasciano. Iddio ci vuol salvi, ma per nostro maggior bene ci vuol salvi da vincitori. Stando adunque in questa vita, abbiamo da vivere in una continua guerra, e per salvarci abbiamo da combattere e vincere. "Nessuno, dice S. Giovanni Crisostomo, potrà essere coronato senza vittoria" (Serm. I De Martyr.). Noi siamo molto deboli, ed i nemici sono molti, ed assai potenti: come potremmo loro far fronte, e superarli? Animiamoci, e dica ciascuno, come diceva l'Apostolo: Tutte le cose mi sono possibili, in Colui che è mio conforto (Fil 4,13). Tutto potremo con l'orazione, per mezzo della quale il Signore ci darà quella forza che noi non abbiamo. Scrisse Teodoreto, che l'orazione è onnipotente; ella è una, ma può ottenere tutte le cose. E S. Bonaventura asserì che per la preghiera si ottiene l'acquisto di ogni bene, e lo scampo da ogni male (In Luc. 2). Diceva san Lorenzo Giustiniani, che noi per mezzo della preghiera ci fabbrichiamo una torre fortissima dove saremo difesi e sicuri da tutte le insidie e violenze dei nemici (De cast. connub. c. XXII). Sono forti le potenze dell'inferno, ma la preghiera è più forte di tutti i demoni, dice san Bernardo (Serm. 49, De modo bene viv. 5). Sì, perché con l'orazione l'anima acquista l'aiuto divino, che supera ogni potenza creata. Così si animava Davide nei suoi timori: Io, diceva, chiamerò il mio Signore in aiuto, e sarò liberato da tutti i nemici (Sal 17,4). Insomma, dice S. Giovanni Crisostomo, l'orazione è un'arma valevole a vincere ogni assalto dei demoni, è una difesa, che ci conserva in qualunque pericolo; è un porto, che ci salva da ogni tempesta; ed è un tesoro insieme, che ci provvede d'ogni bene (In Ps. 145).

    II. - DELLA FORZA DELLA PREGHIERA CONTRO LE TENTAZIONI.

    Dio, conoscendo il gran bene che apporta a noi la necessità di pregare, a questo fine, (come si dice nel capo I) permette, che siamo assaliti dai nemici, affinché gli domandiamo l'aiuto che egli ci offre, e ci promette. Ma quanto si compiace allorché noi ricorriamo a Lui nei pericoli, altrettanto gli dispiace vederci trascurati nel pregare. Come il re, dice S. Bonaventura, stimerebbe infedele quel capitano, che trovandosi assediato nella piazza, non gli chiede soccorso; così Dio si stima come tradito da colui, che vedendosi insidiato dalle tentazioni, non ricorre a Lui per aiuto: mentre Egli desidera, e sta aspettando, che gli si domandi, per soccorrere abbondantemente. Ben lo dichiarò Isaia, allorché da parte di Dio disse al re Achaz, che gli avesse domandato qualche segno affine di accertarsi del soccorso, che il Signore voleva dargli: Domanda a tua posta un segno al Signore tuo Dio (Is 7). L'empio re rispose: Io non voglio cercarlo, perché non voglio tentare Dio (Ibid. 12). E ciò disse perché confidava nelle sue forze di vincere i nemici senza l'aiuto divino. Ma il profeta indi lo rimproverò con dire: Udite dunque, casa di Davide: E' egli adunque poco per voi il far torto agli uomini, che fate torto anche al mio Dio? (Ibid. 13). Significandoci con ciò, che si rende molesto ed ingiurioso a Dio, chi lascia di domandargli le grazie che il Signore gli offre. Poveri figli miei, dice il Salvatore, che vi trovate combattuti dai nemici, e oppressi dal peso dei vostri peccati, non vi perdete d'animo, ricorrete a me con l'orazione, ed io vi darò la forza di resistere, e darò riparo a tutte le vostre disgrazie (Mt 11,28). In altro luogo dice per bocca d'Isaia: "Uomini, ricorrete a me, e benché abbiate le coscienze assai macchiate, non lasciate di venire: e vi do licenza anche di riprendermi, per così dire, se mai dopo che sarete a me ricorsi, io non farò con la mia grazia, che diventiate candidi come la neve" (Is 1,18). Che cos'è la preghiera? "La preghiera, dice il Crisostomo, è un'ancora sicura a chi sta in pericolo di naufragare; è un tesoro immenso di ricchezze a chi è povero; è una medicina efficacissima a chi è infermo; ed è una custodia certa a chi vuol conservarsi in santità" (Hom. De Consubst. cont. Anon.). Che fa la preghiera? La preghiera, dice S. Lorenzo Giustiniani, placa lo sdegno di Dio, che perdona a chi con umiltà lo prega; ottiene la grazia di tutto ciò che si domanda; supera tutte le forze dei nemici: insomma muta gli uomini da ciechi in illuminati, da deboli in forti, da peccatori in santi (De Perfect., c. 12). Chi ha bisogno di luce, la domandi a Dio, e gli sarà data: subito ch'io sono ricorso a Dio, disse Salomone, egli mi ha concesso la sapienza (Sap 7,7). Chi ha bisogno di fortezza, la chieda a Dio, e gli sarà donata: subito ch'io ho aperta bocca a pregare, disse Davide, ho ricevuto da Dio l'aiuto (Sal 118,131). E come mai i santi Martiri acquistarono tanta fortezza da resistere ai tiranni, se non con l'orazione, che ottenne loro il vigore da superare i tormenti, e la morte? Chi si serve insomma di questa grande arma dell'orazione, dice san Pier Crisologo, non cade in peccato; perde affetto alla terra, entra a dimorare nel Cielo, e comincia sin da questa vita a godere la conversazione di Dio (Serm. 45). Che serve dunque angustiarsi col dire: Chi sa se io sono scritto o no nel libro della vita? Chi sa se Dio mi darà la grazia efficace e la perseveranza? Non vi affannate per niente, dice l'Apostolo, ma in ogni cosa siano manifestate a Dio le vostre richieste per mezzo dell'orazione e delle suppliche unite al rendimento di grazie (Fil 4,6). Che serve, dice l'Apostolo, confondervi in queste angustie e timori? Via, discacciate da voi tutte queste sollecitudini, che ad altro non valgono che a scemarvi la confidenza, e a rendervi più tiepidi e pigri a camminare per la via della salute. Pregate, e cercate sempre, e fate sentire le vostre preghiere a Dio, e ringraziatelo sempre delle promesse che v'ha fatte, di concedervi i doni che bramate, sempre che glieli cerchiate: la grazia efficace, la perseveranza, la salute e tutto quello che desiderate. Il Signore ci ha posti nella battaglia a combattere con nemici potenti, ma Egli è fedele nelle sue promesse, né sopporta che noi siamo combattuti più di quel che valiamo a resistere (1 Cr 10,13). E' fedele perché subito soccorre chi l'invoca. Scrive il dotto eminentissimo cardinale Gotti, che il Signore non è già tenuto per altro a darci sempre una grazia che sia uguale alla tentazione, ma è obbligato, quando siamo tentati, e a Lui ricorriamo, di somministrarci per mezzo della grazia che a tutti tiene apparecchiata, ed offre la forza bastante con cui possiamo attualmente resistere alla tentazione (De div. grat. q. 2 d. 5, par. 3). Tutto possiamo col divino aiuto, che si dona a ciascuno che umilmente lo chiede, onde non abbiamo scusa, allorché noi ci lasciamo vincere dalla tentazione. Restiamo vinti solo per nostra colpa, perché non preghiamo. Con l'orazione, scrive S. Agostino, ben si superano tutte le insidie e forze dei nemici (De sal. doc. c, 28).

    III. - DIO E' SEMPRE PRONTO AD ESAUDIRCI.

    Dice S. Bernardino da Siena, che la preghiera è un'ambasciatrice fedele, ben nota al Re del Cielo, e solita d'entrare fin dentro al suo cuore, e di piegare con la sua importunità l'animo pietoso del Re a concedere ogni soccorso a noi miserabili, che gemiamo fra tanti combattimenti e miserie in questa valle di lacrime (I. 4 in Dom. 5 p. Pasc.). Ci assicura ben anche Isaia, che quando il Signore sente le nostre preghiere, subito si muove a compassione di noi e non ci lascia molto piangere, ma nello stesso punto ci risponde e concede quanto domandiamo (Is 30,19). Ed in altro luogo parla il Signore per bocca di Geremia, e di noi lagnandosi, dice: Perché voi dite che non volete più ricorrere a me, forse la mia misericordia è terra sterile per voi, che non sappia darvi alcun frutto di grazie? o terra tardiva che renda il frutto molto tardi? (Ger 2,31). Con ciò il nostro amoroso Signore volle darci ad intendere ch'egli non lascia mai d'esaudire, e subito, le nostre preghiere; e con ciò vuol anche rimproverare coloro che lasciano di pregarlo per diffidenza di non essere esauditi. Se Dio ci ammettesse ad esporgli le nostre suppliche una volta al mese, sarebbe pur un gran favore. I re della terra danno udienza poche volte all'anno, ma Dio dà sempre udienza. Scrive il Crisostomo, che sta continuamente apparecchiato a sentire le nostre orazioni né si dà mai caso, che egli essendo pregato come si deve, non esaudisca chi lo prega (Hom. 52 in Matth.). E altrove dice, che quando noi preghiamo Dio, prima che terminiamo di esporgli le nostre suppliche, egli già n'esaudisce. Anzi di ciò ne abbiamo la promessa da Dio medesimo. Prima che abbiano finito di dire, li avrò uditi (Is 65,24). Il Signore, dice Davide, sta dappresso a tutti coloro che lo invocano con cuor verace. Egli farà la volontà di coloro che lo temono, ed esaudirà la loro preghiera, e li salverà (Sal 144,18). Ciò era quello di cui si gloriava Mosé dicendo: Non v'ha certo altra nazione, per grande che ella sia, la quale abbia tanto vicini a sé i suoi dei, come il Dio nostro è presente a tutte le nostre preghiere (Dt 4,7). Gli dei dei Gentili erano sordi a chi li invocava, perché erano misere creature che niente potevano; ma il nostro Dio, che può tutto non è già sordo alle nostre preghiere, ma sta sempre vicino a chi lo prega, e pronto a concedere tutte le grazie che gli si domandano. Signore (diceva il Salmista), ho conosciuto che Voi siete il mio Dio tutto bontà e misericordia, perché ogni volta che a Voi ricorro, subito mi soccorrete (Sal 55,10).

    IV. - DOMANDIAMO A DIO COSE GRANDI

    E' meglio pregare che meditare

    Noi siamo poveri di tutto, ma se domandiamo non siamo più poveri. Se noi siamo poveri, Dio è ricco, e Dio è tutto liberale, dice l'Apostolo, con chi lo chiama in aiuto (Rm 12). Giacché dunque, ci esorta S. Agostino, abbiamo a che fare con un Signore d'infinita potenza, e d'infinita ricchezza; non gli cerchiamo cose piccole e vili, ma domandiamogli qualche cosa di grande (In Ps. 62). Se uno cercasse al re una vile moneta, un quattrino, mi pare che costui farebbe al re un disonore. All'incontro noi onoriamo Dio, onoriamo la sua misericordia e la sua liberalità, allorché vedendoci miseri come siamo, ed indegni di ogni beneficio, gli cerchiamo nondimeno grazie grandi, affidati alla bontà di Dio, ed alla sua fedeltà per la promessa fatta di concedere a chi lo prega qualunque grazia che gli domanda: qualunque cosa vorrete, la chiederete e vi sarà concessa (Gv 15,7). Diceva S. Maria Maddalena de' Pazzi, che il Signore si sente così onorato, e tanto si consola quando gli cerchiamo le grazie, che in certo modo egli ci ringrazia, poiché così allora par che noi gli apriamo la via a beneficarci ed a contentare il suo genio, ch'è di fare bene a tutti. E persuadiamoci, che quando noi cerchiamo le grazie a Dio, egli ci dà sempre più dì quello che domandiamo: Che se alcuno di voi è bisognoso di sapienza, la chieda a Dio, che dà a tutti abbondantemente e non lo rimprovera (Gc 1,5). Così dice S. Giacomo, per dimostrarci che Dio non è come gli uomini, avaro dei suoi beni. Gli uomini ancorché ricchi, ancorché pii e liberali, quando dispensano elemosine, sono sempre stretti di mano, e per lo più donano meno di ciò che loro si domanda, perché la loro ricchezza, per quanto sia grande, è sempre ricchezza finita, onde quanto più danno, tanto più loro viene a mancare. Ma Dio dona i suoi beni, quando è pregato, abbondantemente, cioè, con la mano larga, dando sempre più di quello che gli si cerca, perché la sua ricchezza è infinita; quanto più dà, più gli resta da dare. Perché soave sei tu, o Signore, e benigno e di molta misericordia per quei che t'invocano (Sal 85,4). Voi, mio Dio, diceva Davide, siete troppo liberale e cortese con chi v'invoca. Le misericordie che voi gli usate sono tanto abbondanti, che superano le sue domande. In questo adunque, dice il Crisostomo, ha da consistere tutta la nostra attenzione, in pregare con confidenza, sicuri che pregando si apriranno a nostro favore tutti i tesori del Cielo. L'orazione è un tesoro: chi più prega, più ne riceve. Dice S. Bonaventura, che ogni volta che l'uomo ricorre devotamente a Dio con la preghiera, guadagna beni che valgono più che tutto il mondo (De perf. vitae, c. S). Alcune anime devote impiegano gran tempo nel leggere e in meditare, ma poco attendono a pregare. Non v'ha dubbio, che la lettura spirituale, e la meditazione delle verità eterne siano cose molto utili, ma assai più utile, dice S. Agostino, è il pregare. Nel leggere e meditare noi intendiamo i nostri obblighi, ma con l'orazione otteniamo la grazia di adempirli (In Ps. 75). Che serve conoscere ciò che siamo obbligati a fare, e poi non farlo, se non renderci più rei innanzi a Dio? Leggiamo e meditiamo quanto vogliamo, non soddisferemo mai le nostre obbligazioni, se non chiediamo a Dio l'aiuto per adempirle. E perciò, riflette S. Isidoro, che in nessun altro tempo il demonio più s'affatica a distoglierci col pensiero delle cure temporali, che quando si accorge, che noi stiamo pregando, e cercando le grazie a Dio (Lib. 3, Sent. e. 7). E perché? perché vede il nemico che in nessun altro tempo noi guadagniamo più tesori di beni celesti che quando preghiamo. Il frutto più grande dell'orazione mentale è questo: il domandare a Dio le grazie che ci abbisognano per la perseveranza, e per la salute eterna. Per questo principalmente l'orazione mentale è moralmente necessaria all'anima per conservarsi in grazia di Dio, se la persona non si raccoglie in tempo della meditazione a domandare gli aiuti che gli sono necessari per la perseveranza, non lo farà in altro tempo. Infatti senza meditare, non penserà al bisogno che ha di chiederli. All'incontro chi ogni giorno fa la sua meditazione ben vedrà i bisogni dell'anima, i pericoli in cui si trova, la necessità che ha di pregare; e così pregherà ed otterrà le grazie che lo faranno poi perseverare e salvarsi. Diceva parlando di sé Padre Segneri, che a principio della meditazione egli più si tratteneva in fare affetti, che in preghiere; ma conoscendo poi la necessità, e l'immenso utile della preghiera, d'indi in poi per lo più, nella molta orazione mentale ch'egli faceva, si applicava a pregare. Io strideva come un tenero rondinino, diceva il devoto re Ezechia (Is 38,14). I pulcini delle rondini non fanno altro che gridare, cercando con ciò l'aiuto e l'alimento alle loro madri. Così dobbiamo sempre gridare, chiedendo a Dio soccorso per evitare la morte del peccato, e per avanzarci nel suo santo amore. Riferisce il padre Rodriguez, che i padri antichi, i quali furono i nostri primi maestri di spirito, fecero consiglio fra di loro, per vedere qual fosse l'esercizio più utile e più necessario per la salute eterna, e risolsero esser il replicare spesso la breve orazione di Davide: Muoviti, o Dio, in mio soccorso (Sal 69,1). Lo stesso (scrive Cassiano) deve fare chi vuol salvarsi, dicendo sempre: Dio mio, aiutatemi, Dio mio, aiutatemi. Questo dobbiamo fare dal principio che ci svegliamo la mattina, poi seguitarlo a fare in tutti i nostri bisogni e in tutte le applicazioni in cui ci troviamo, così spirituali, come temporali; e più specialmente poi quando ci vediamo molestati da qualche tentazione o passione. Dice S. Bonaventura, che alle volte più presto si ottiene la grazia con una breve preghiera, che con molte altre opere buone (De prof. rel. 1. 2. c. 65). Soggiunge S. Ambrogio, che chi prega, già ottiene, poiché lo stesso pregare è ricevere. Quindi scrisse S. Crisostomo che non vi è uomo più potente di un uomo che prega; perché costui si rende partecipe della potenza di Dio. Per salire alla perfezione, diceva S. Bernardo, vi bisogna la meditazione e la preghiera; con la meditazione vediamo quel che ci manca, con la preghiera riceviamo quel che ci bisogna (De S. Andr. Serm. I).

    Conclusione

    Il salvarsi insomma senza pregare è difficilissimo, anzi impossibile, come abbiamo veduto, secondo la divina Provvidenza ordinaria, ma pregando, il salvarsi è cosa sicura e facilissima. Non è necessario per salvarsi andare tra gli infedeli e dar la vita; non è necessario ritirarsi nei deserti a cibarsi di erbe. Che ci vuole a dire: Dio mio, aiutami, assistimi, abbi pietà di me? Vi è cosa più facile di questa? e questo poco basterà a salvarci, se saremo attenti a farlo. Specialmente esorta S. Lorenzo Giustiniani, a sforzarci di fare orazione almeno in principio di qualunque azione (Lig. vit. de or. e. 16). Attesta Cassiano, che i Padri esortavano sommamente a ricorrere a Dio con brevi ma frequenti preghiere. "Niuno faccia, diceva S. Bernardo, poco conto della sua orazione, giacché ne fa conto Iddio il quale, o ci dona allora ciò che cerchiamo, o ciò che è più utile per noi" (Serm. v, De Quadrag.). Ed intendiamo, che se non preghiamo, per noi non v'è scusa, perché la grazia di pregare è data a ognuno: in mano nostra sta l'orare, sempre che vogliamo, come di sé parlando, diceva Davide: Meco avrò l'orazione a Dio, che è mia vita; dirò a Dio: tu sei mio aiuto (Sal 41,9-10). Dio dona a tutti la grazia di pregare, acciocché pregando possiamo poi ottenere tutti gli aiuti, anche abbondanti, per osservare la divina Legge, e perseverare sino alla morte; se non ci salveremo, tutta la colpa sarà nostra, perché non avremo pregato.

    CAPO III DELLE CONDIZIONI DELLA PREGHIERA

    I. - PREGARE PER SE STESSO

    In verità, in verità vi dico, che qualunque cosa domandiate al Padre nel nome mio, ve la concederà (Gv 16,23). E' promessa adunque di Gesù Cristo, che, quando, in nome suo, domanderemo al Padre, tutto il Padre ci concederà; ma sempre si intende quando domanderemo con le dovute condizioni. Molti, dice S. Giacomo, cercano e non ottengono, perché malamente cercano (Gc 4,3). Onde S. Basilio, seguendo il detto dell'Apostolo, dice: "Appunto talvolta chiedi, e non ottieni, perché malamente hai domandato, o infedelmente, o con leggerezza, o chiedesti cose non convenienti, o hai desistito" (Const. mon. e. i, vers. fin.). Infedelmente, cioè con poca fede, ossia poca confidenza: con leggerezza; con poco desiderio di avere la grazia: cose non convenienti, cercando beni non giovevoli alla salute: hai desistito, senza perseveranza. Pertanto S. Tommaso riduce a quattro le condizioni richieste nella preghiera, acciocché si ottenga il suo effetto; cioè che l'uomo domandi: per se stesso, le cose necessarie alla salute, devotamente e con perseveranza (Qu. 83, a. 7, ad 2).

    Ha Dio promesso di esaudire la preghiera fatta per gli altri?

    La prima condizione dunque della preghiera è che si faccia per sé; poiché l'Angelico tiene che un uomo non può impetrare agli altri ex condigno (a titolo di giustizia) la vita eterna, e per conseguenza neppure quelle grazie che appartengono alla loro salute; mentre la promessa, come dice, sta fatta non per gli altri ma solamente a coloro che pregano: Ve la concederà (Gv 16,23). Ma ciò nonostante, vi sono molti dottori (CORN. A LAPID., Sylvest., Tolet., Habert et alii) che tengono l'opposto, appoggiati all'autorità di san Basilio, il quale insegna che l'orazione in virtù della divina promessa, ha infallibilmente il suo effetto, anche per gli altri per cui si prega, purché gli altri non vi mettano positivo impedimento. E si fondano sulle Scritture: Orate l'un per l'altro per essere salvati; imperciocché molto può l'assidua preghiera del giusto (Gc 5,16). Orate per coloro che vi perseguitano e vi calunniano (Mt 5,44). E meglio sul testo di S. Giovanni: Chi sa che il proprio fratello pecca di peccato, che non mena a morte, chieda, e sarà data la vita a quello che pecca non a morte (Gv 5,16). Spiegano quel che pecca non a morte, S. Agostino, Beda, sant'Ambrogio ed altri, purché quel peccatore non sia tale che intenda di vivere ostinato sino alla morte; poiché per costui si richiederebbe una grazia molto straordinaria. Del resto per gli altri peccatori non rei di tanta malizia, l'apostolo promette a chi per essi prega, la loro conversione: chieda, sarà data la vita a quello che pecca (Mt 5,44).

    Dobbiamo pregare per i peccatori

    Per altro non si mette in dubbio, che le orazioni degli altri molto giovano ai peccatori, e sono molto gradite a Dio; e Dio si lamenta dei servi suoi che non gli raccomandano i peccatori, come se ne lamentò con S. Maria Maddalena de' Pazzi; onde le disse un giorno: "Vedi, figlia mia, come i cristiani stanno nelle mani del demonio; se i miei diletti con le loro orazioni non li liberassero, resterebbero divorati". Ma specialmente ciò lo desidera il Signore dai sacerdoti e dai religiosi. Diceva la suddetta Santa alle sue monache: "Sorelle, Iddio non ci ha separate dal mondo perché facciamo bene solo per noi, ma ancora perché noi lo plachiamo a favore dei peccatori". E il Signore stesso un giorno disse alla medesima: "Io ho dato a voi, elette spose, la città di rifugio, cioè la Passione di Gesù Cristo, acciocché abbiate dove ricorrere per aiutare le mie creature: perciò ricorrete ad essa, ed ivi porgete aiuto alle mie creature, che periscono, e mettete la vita per esse". Quindi la Santa infiammata di santo zelo, cinquanta volte al giorno offriva a Dio il Sangue del Redentore per i peccatori, e si consumava per desiderio della loro conversione, dicendo: "Oh che pena è, o Signore, il vedere di poter giovare alle tue creature, con mettere la vita per esse, e non poterlo fare!". Del resto ella in ogni esercizio raccomandava i peccatori a Dio, e si scrive nella sua vita, che quasi non passava ora del giorno, che la Santa non pregasse per essi; frequentemente anche si levava di notte, e andava al SS. Sacramento a pregare per i peccatori: e con tutto ciò una volta fu ritrovata a piangere dirottamente, ed interrogata perché, rispose: "Perché mi pare di non far niente per la salute dei peccatori". Giungeva ad offrirsi per la loro conversione patire anche le pene dell'inferno, purché ivi non avesse a odiare Dio; e più volte fu compiaciuta da Dio d'esser afflitta con gravi dolori ed infermità per la salute dei peccatori. Specialmente pregava per i sacerdoti, vedendo che la loro buona vita era cagione della salute degli altri, e la mala vita cagione della rovina di molti; e perciò pregava il Signore, che punisse le colpe sopra di lei, dicendo: "Signore, fammi tante volte morire, e tornare a vivere, sino ch'io soddisfaccia per essi alla tua giustizia". E narrasi nella sua Vita, che la Santa con le sue orazioni liberò molte anime dalle mani di Lucifero. Ho voluto dire qualche cosa più particolare dello zelo di questa santa. Del resto tutte le anime, che sono veramente innamorate di Dio, non cessano di pregare per i poveri peccatori. E com'è possìbile, che una persona che ama Dio, vedendo l'amore che porta alle anime, e quel che ha fatto e patito Gesù Cristo per la loro salute, e il desiderio che ha questo Salvatore, che noi preghiamo per i peccatori; com'è possibile, dico, che possa poi vedere con indifferenza tante povere anime, che, vivono senza Dio, schiave dell'inferno, e non muoversi ed affaticarsi a pregare frequentemente il Signore a dar luce e forza a quelle infelici per uscire dallo stato miserabile in cui dormono, e vivono perdute? E' vero, che Dio non ha promesso di esaudirci, quando coloro, per cui preghiamo, mettono positivo impedimento alla loro conversione; ma molte volte il Signore per sua bontà, a riguardo delle orazioni dei suoi servi, con grazie straordinarie si è compiaciuto di ridurre a stato di salute i peccatori più accecati e ostinati. Pertanto non lasciamo mai, nel dire o sentir la Messa, nel far la Comunione, la Meditazione, o la visita del Santissimo Sacramento, di raccomandare sempre a Dio i poveri peccatori. E dice un dotto autore, che chi prega per gli altri, tanto più presto vedrà esaudite le preghiere che per se stesso. Sia detto ciò di passaggio, ma ritorniamo a vedere le altre condizioni che richiede S. Tommaso, affinché la preghiera abbia effetto.

    II. - CHIEDERE COSE NECESSARIE ALLA SALUTE ETERNA.

    L'altra condizione che il Santo assegna è che si domandino quelle grazie, che bisognano alla salute: cose necessarie alla salute; poiché la promessa alla preghiera non è fatta per le grazie temporali, che non sono necessarie alla salute dell'anima. Dice S. Agostino spiegando le parole del Vangelo, nel nome mio, riferite di sopra, che "non si chiede nel nome del Salvatore, tutto ciò che si chiede contro l'affare della salute" (Tract., 102 in Joan.). Alle volte noi cerchiamo alcune grazie temporali, e Dio non ci esaudisce; ma non ci esaudisce, dice lo stesso S. Dottore, perché ci ama, e vuole usarci misericordia (Ap. S. Prosp. Sent. 212). Il medico che ama l'infermo, non gli concede quelle cose, le quali vede che gli farebbero nocumento. Oh quanti se fossero infermi o poveri, non cadrebbero nei peccati, in cui cadono essendo sani o ricchi! E perciò il Signore taluni che gli cercano la sanità del corpo, o i beni di fortuna, glieli nega, perché li ama, vedendo che quelli sarebbero loro occasione di perdere la sua grazia, o almeno d'intiepidirsi nella vita spirituale. Del resto con ciò non intendo dire, essere difetto il chiedere a Dio le cose necessarie alla vita presente, per quanto convengono alla salute eterna, come lo chiedeva il Savio, dicendo: Concedimi quel che è necessario al mio vivere (Pro 30,8). Né è -difetto, dice S. Tommaso (2.a, 2.ae, q. 83. a. XVI) l'avere per tali beni una sollecitudine ordinata. Il difetto sta nel desiderare e cercare questi beni temporali, e l'aver per essi una sollecitudine disordinata; come in essi consistesse tutto il nostro bene. Perciò quando noi domandiamo a Dio queste grazie temporali, dobbiamo domandarle sempre con rassegnazione, e colla condizione se sono per giovarci all'anima. E quando vediamo che il Signore non ce le concede, teniamo per certo ch'egli ce le nega per l'amore che ci porta, e perché vede che ci sarebbero dannose alla salute spirituale. Molte volte noi chiediamo a Dio che ci liberi da qualche tentazione pericolosa, e Dio neppure ci esaudisce, e permette che la tentazione seguiti a molestarci. Intendiamo che allora Dio ciò permette anche per nostro maggior bene. Non sono le tentazioni ed i mali pensieri, che ci allontanano da Dio, ma i mali consensi. Quando l'anima nella tentazione si raccomanda a Dio, e col suo aiuto resiste, oh, come avanza allora nella perfezione, e viene a stringersi di più con Dio! e perciò il Signore non l'esaudisce. Pregava san Paolo istantemente per essere liberato dalle tentazioni d'impurità: Mi è stato dato lo stimolo della carne, un angelo di Satana che mi schiaffeggia. Sopra di che tre volte pregai il Signore, che me ne fosse tolto (2Cr 12,7-8). Ma il Signore gli rispose: Basta a te la mia grazia. Sicché anche nelle tentazioni dobbiamo pregare Dio con rassegnazione, dicendo: Signore, liberatemi da questa molestia, se è espediente il liberarmene: e se no, almeno datemi l'aiuto per resistere. E qui fa quel che dice S. Bernardo, che quando noi cerchiamo a Dio qualche grazia, Egli o ci dona quella, o qualche cosa più utile di quella. Dio molte volte ci lascia a patire nella tempesta, al fine di provare la nostra fedeltà, e per nostro maggior profitto. Sembra, che allora Egli sia sordo alle nostre preghiere; ma no, stiamo sicuri, che Dio allora ben ci sente e ci aiuta di nascosto, fortificandoci con la sua grazia a resistere ad ogni insulto dei nemici. Ecco come Egli stesso ce ne assicura per bocca del Salmista: M'invocasti nella tribolazione, ed io ti liberai: ti esaudii nella cupa tempesta: feci prova di te alle acque di contraddizione (Sal 80,7). Le altre condizioni finalmente, che assegna S. Tommaso alla preghiera, sono che si preghi devotamente, e con perseveranza. Devotamente, s'intende con umiltà e confidenza; con perseveranza, senza lasciar di pregare sino al la morte. Or di queste condizioni, cioè dell'umiltà, confidenza e perseveranza, che sono le più necessarie alla preghiera, bisogna qui di ciascuna distintamente parlare.

    III. - PREGARE CON UMILTÀ.

    Quanto l'umiltà sia necessaria alla preghiera.

    Il Signore ben guarda le preghiere dei suoi servi, ma dei servi umili (Sal 101,18). Altrimenti non le riguarda, ma le ributta. Dio resiste ai superbi, e agli umili dà la grazia (Gc 6,6). Dio non sente le orazioni dei superbi, che confidano nelle loro forze, e perciò li lascia nella loro propria miseria; ed in tale stato essi, privi del divino soccorso senza dubbio si perderanno. Ciò piangeva Davide: Io, diceva, ho peccato, perché non sono stato umile (Sal 118,67). E lo stesso avvenne a S. Pietro, il quale quantunque fosse stato avvisato da Gesù Cristo, che in quella notte tutti essi discepoli dovevano abbandonarlo: Tutti voi patirete scandalo per me in questa notte (Mt 26,31), egli nondimeno invece di conoscere la sua debolezza, e di domandare aiuto al Signore per non essergli infedele, troppo fidando nelle sue forze, disse, che se tutti l'avessero abbandonato, egli non l'avrebbe mai lasciato: Quando anche tutti fossero per patire scandalo per te, non sarà mai che io sia scandalizzato (Mt 26,33). E ancorché il Redentore nuovamente gli predicesse, che in quella notte prima di cantare il gallo l'avrebbe negato tre volte, pure fidando nel suo animo si vantò dicendo: Quand'anche dovessi morire teco, non ti negherò (Ibid. 35). Ma che avvenne? Appena il miserabile entrò nella casa del Pontefice e fu rimproverato per discepolo di Gesù Cristo, egli tre volte infatti lo negò con giuramento, dicendo di non averlo mai conosciuto (Ibid. 72). Se Pietro si fosse umiliato, e avesse domandata al Signore la grazia della costanza, non lo avrebbe negato. Dobbiamo tutti persuaderci, che noi stiamo come sulla cima di un monte sospesi sull'abisso di tutti i peccati, e sostenuti dal solo filo della grazia; se questo filo ci lascia, noi certamente cadiamo in tale abisso, e commetteremo le scelleratezze più orrende: Se Dio non mi avesse soccorso, sarei caduto in mille peccati, ed ora starei nell'inferno (Sal 93,17); così diceva il Salmista, e così deve dire ognuno di noi. Questo intendeva ancora san Francesco di Assisi, quando diceva, ch'esso era il peggiore peccatore del mondo. Ma, padre mio, gli disse il compagno, questo che dite, non è vero; vi sono molti nel mondo che certamente sono peggiori di voi. Sì che è troppo vero quel che dico, rispose il Santo, perché se Dio non mi tenesse le mani sopra, io commetterei tutti i peccati. E' di fede che senza l'aiuto della grazia non possiamo noi fare alcuna opera buona, e neppure avere un buon pensiero. “Gli uomini, dice S. Agostino, senza la grazia, nulla possono fare di bene o col pensare, o con l'operare” (De correct. et grat. c. II). Come l'occhio non può vedere senza la luce, così diceva il Santo, l'uomo non può fare alcun bene senza la grazia. E prima già lo disse l'Apostolo: Non perché noi siamo idonei a pensare alcuna cosa da noi come da noi, ma la nostra idoneità è da Dio (2 Cr 3,5). E prima dell'Apostolo lo disse già Davide: Se il Signore non edifica egli la casa, invano si affaticano quelli che la edificano (Sal 126,1). Indarno si affatica l'uomo a farsi santo, se Dio non vi mette la sua mano: Se il Signore non sarà egli il custode della città, indarno vigila colui che la custodisce (Ibid.). Se Dio non custodisce l'anima dai peccati, invano attenderà ella a custodirsi con le sue forze. E perciò si protestava poi il santo Profeta: Dunque non voglio sperare nelle mie armi ma solo in Dio che può salvarmi (Sal 42,7). Onde chi ritrovasi fatta qualche cosa di bene, o non si trova caduto in maggiori peccati di quelli che ha commessi, dica con san Paolo: Per la grazia del Signore, sono quel che sono (1 Cr 15,10). E per la stessa ragione non deve lasciar di tremare e temere di cadere in ogni occasione: Per la qual cosa chi si crede di stare in piedi, badi di non cadere (1 Cr 10,12). E con ciò il santo Apostolo vuole avvertirci, che sta in gran pericolo di caduta, chi si tiene sicuro di non cadere. E ne assegna la ragione in altro luogo dove dice: Imperocché se alcuno si tiene di esser qualche cosa, mentre non è nulla, questi seduce se stesso (Gal 6,3). Onde scrisse saggiamente sant'Ambrogio “che in molti la presunzione di esser fermi è di ostacolo alla loro fermezza; nessuno certamente sarà fermo, se non chi si crede infermo” (Serm. 76, n. 6. E. Bn.). Se taluno dice di non aver timore, è segno che costui fida in se stesso, e nei suoi propositi fatti; ma questi con tal confidenza perniciosa da sé medesimo viene sedotto, perché fidando nelle proprie forze, lascia di temere, e non temendo, lascia di raccomandarsi a Dio ed allora certamente cadrà. E così parimenti bisogna che ciascuno si guardi di ammirarsi con qualche vanagloria dei peccati degli altri; deve allora più presto tenersi in quanto a sé, per peggiore degli altri e dire: Signore, se voi non mi aveste aiutato avrei fatto peggio. Altrimenti permetterà il Signore, in castigo della sua superbia, che cada in colpe maggiori e più orrende. Pertanto ci avvisa l'Apostolo a procurarci l'eterna salute; ma come? sempre temendo e tremando (Fil 2,12). Sì, perché quegli che molto teme di cadere, diffida delle sue forze, perciò riponendo la sua confidenza in Dio, a Lui ricorrerà nei pericoli; Dio lo soccorrerà, e così vincerà le tentazioni, e si salverà. S. Filippo Neri, camminando un giorno per Roma, andava dicendo: “Sono disperato”. Un certo religioso lo corresse: ma il Santo allora disse: “Padre mio, sono disperato di me, ma confido in Dio”. Così bisogna che facciamo noi, se vogliamo salvarci; bisogna che viviamo sempre disperati delle nostre forze; poiché così facendo, imiteremo S. Filippo, il quale, dal primo momento in cui si svegliava la mattina, diceva a Dio: “Signore, tenete oggi le mani sopra Filippo, perché se no, Filippo vi tradisce”. Questa dunque per concludere, è tutta la grande scienza di un cristiano, dice sant'Agostino, il conoscere che niente egli è, niente può (In Ps. 70). Perciò così non cesserà di procurarsi da Dio con le preghiere quella forza che non ha, e che gli bisogna per resistere alle tentazioni e per fare il bene, ed allora farà tutto col soccorso di quel Signore, che non sa negare niente a chi lo prega con umiltà. La preghiera di un'anima umile penetra i cieli, e presentandosi al trono divino, di là non parte senza che Dio la guardi e l'esaudisca (Ecli 35). E siasi quest'anima resa rea di quanti peccati si voglia, Dio non sa disprezzare il cuore che si umilia (Sal 50,19). Quando il Signore è severo con i superbi e resiste alle loro domande, altrettanto è benigno e liberale con gli umili (Gc 4,6). Questo appunto disse un giorno Gesù a S. Caterina da Siena: “Sappi o figlia, che chi umilmente persevera a chiedermi le grazie, farà acquisto di tutte le virtù" (Ap. Blos in concl. c. 3).

    Dobbiamo preferire la via comune alla via straordinaria

    Giova qui addurre un bell'avvertimento, che fa alle anime spirituali che desiderano di farsi sante, il dotto e piissimo mons. Palafox vescovo d'Osma, nell'annotazione che fa sulla lettera XVIII di S. Teresa. Ivi la Santa scrive al suo confessore, e gli dà conto di tutti i gradi d'orazione soprannaturale, con cui il Signore l'aveva favorita. All'incontro il citato prelato scrive che queste grazie soprannaturali, che Dio si degnò di fare a S. Teresa, ed ha fatte ad altri santi, non sono necessarie per giungere alla santità, poiché molte anime senza di esse vi sono giunte: e per contrario molte vi sono giunte, e poi si sono dannate. Pertanto dice di esser cosa superflua anzi presuntuosa, il desiderare e cercare tali doni soprannaturali, mentre la vera ed unica strada per diventare un'anima santa è l'esercitarsi nelle virtù, nell'amare Dio; al che si arriva per mezzo dell'orazione, e col corrispondere ai lumi ed aiuti di Dio, il quale altro non vuole che vederci santi (1 Ts 4,3). Quindi il suddetto pio scrittore, parlando dei gradi dell'orazione soprannaturale, di cui scriveva la Santa, cioè dell'orazione di quiete, del sonno e sospensione delle potenze, dell'estasi, del ratto, del volo ed impeto di spirito e della ferita spirituale; saggiamente scrive e dice, che in quanto all'orazione di quiete, ciò che noi dobbiamo desiderare e domandare a Dio è, che ci liberi dall'attacco e dal desiderio dei beni mondani, che non danno pace, ma apportano inquietudine ed afflizione allo spirito: vanità delle vanità, ben li chiamò Salomone, afflizione di spirito (Ecli 1,2.14). Il cuore dell'uomo non troverà mai vera pace, se non si vuota di tutto ciò che non è Dio, per lasciare luogo al di Lui santo amore, affinché egli solo tutto lo possieda. Ma ciò l'anima da sé non può farlo; bisogna che l'ottenga dal Signore con replicate preghiere. In quanto al sonno e sospensione delle potenze, dobbiamo chiedere a Dio la grazia di tenerle sopite per tutto il temporale, e solamente svegliate per considerare la divina bontà e per ambire l'amor divino, ed i beni eterni. In quanto all'unione delle potenze, preghiamo che ci doni la grazia di non pensare, di non cercare, e di non volere se non quello che vuole Iddio; poiché tutta la santità e la perfezione dell'amore consiste nell'unire la nostra volontà con la volontà del Signore. In quanto all'estasi e ratto, preghiamo Dio, che ci tragga fuori dall'amor disordinato di noi stessi e delle creature per tirarci tutti a sé. In quanto al volo di spirito, preghiamolo a darci la grazia di vivere tutti staccati da questo mondo, e far come fanno le rondini che anche per alimentarsi non si fermano sulla terra, ma volando prendono il loro alimento: viene a dire che ci serviamo di questi beni temporali per quanto bisogna a sostenere la vita, ma sempre volando, senza fermarci sulla terra a cercare i gusti mondani. In quanto all'impeto di spirito, preghiamo Dio, che ci doni il coraggio e la fortezza di farci violenza quanto bisogna per resistere agli assalti dei nemici, per superare le passioni, per abbracciare il patire anche in mezzo alle desolazioni e tedii spirituali. In quanto finalmente alla ferita d'amore, siccome la ferita con il suo dolore rinnova sempre la memoria del suo male, così dobbiamo pregare Iddio di ferirci talmente il cuore col suo santo amore, che abbiamo sempre a ricordarci della sua bontà, e dell'affetto che ci ha portato; e con ciò viviamo continuamente amandolo e compiacendolo con le nostre opere ed affetti. Ma tutte queste grazie non si ottengono senza l'orazione; e con l'orazione, purché ella sia umile, confidente e perseverante, tutto si ottiene.

    IV. - PREGARE CON FIDUCIA.

    Eccellenza e necessità della fiducia

    L'avvertimento principale che ci fa l'Apostolo S. Giacomo, se vogliamo con la preghiera ottenere da Dio le grazie, è che preghiamo con confidenza sicura di essere esauditi se preghiamo, come si deve, senza esitare: Ma chieda con fede senza niente esitare (Gc 1,6). Insegna S. Tommaso, che l'orazione, siccome prende la forza di meritare dalla carità, così all'incontro ha efficacia di impetrare dalla fede e dalla confidenza (2, 2.ae, q. 83, a. 15). Lo stesso insegna S. Bernardo, dicendo che la sola nostra confidenza è quella che ci ottiene le divine misericordie (Serm. III, De annunt.). Troppo si compiace il Signore della nostra confidenza nella sua misericordia perché allora noi veniamo ad onorarlo ed esaltare quella sua infinita bontà, che egli col crearci ha inteso di manifestare al mondo. Si rallegrino pure, o mio Dio, dice il profeta regale, tutti quelli che sperano in voi, poiché essi saranno eternamente beati, e voi sempre abiterete in essi (Sal 5,11). Iddio protegge e salva tutti coloro che in Lui confidano (Sal 17,31; Sal 16,7). Oh, le gran promesse che sono fatte nelle divine Scritture a coloro che sperano in Dio! Chi spera in Dio non cadrà in peccato (Sal 33,22). Sì, perché dice David: il Signore tiene gli occhi rivolti a tutti coloro che lo temono e confidano nella sua bontà per liberarli col suo aiuto dalla morte del peccato (Sal 32,18-19). Ed in altro luogo dice il medesimo Dio: Perché egli ha sperato in me, lo libererò, lo proteggerò... lo trarrò (dalla tribolazione), e lo glorificherò (Sal 90,14-15). Si noti la parola perché egli ha confidato in me, io lo proteggerò, lo libererò dai suoi nemici, e dal pericolo di cadere; e finalmente gli darò la gloria eterna. Parlando Isaia di coloro che ripongono la loro speranza in Dio dice: Questi lasceranno di esser deboli come sono, ed acquisteranno in Dio una gran fortezza; non mancheranno, anzi neppure proveranno fatica nel camminare la via della salute, ma correranno e voleranno come aquile (Is 40,31). Tutta insomma la nostra fortezza, ci avvisa lo stesso Profeta, consiste nel mettere tutta la nostra confidenza in Dio, e nel tacere, cioè nel riposare nelle braccia della sua misericordia, senza fidare alle nostre industrie, ed ai mezzi umani (Is 30,15). E dove mai s'è dato il caso che alcuno abbia confidato in Dio, e si sia perduto? (Ecli 2,11). Questa confidenza era quella che teneva sicuro Davide di non aversi mai a perdere: In te ho posta la mia speranza, non resti io confuso giammai (Sal 30,1). E che forse, dice sant'Agostino, Iddio può essere ingannatore, mentre egli si offre a sostenerci nei pericoli, se a lui ci appoggiamo, e poi vorrà da noi sottrarsi, quando ad esso ricorriamo? David chiama beato chi confida nel Signore (Sal 33,13). E perché? Perché, dice lo stesso profeta, chi confida in Dio, si troverà sempre circondato dalla divina misericordia (Sal 31,10). Sicché costui sarà talmente d'ogni intorno cinto e guardato da Dio, che resterà sicuro dai nemici e dal pericolo di perdersi. Perciò l'Apostolo tanto raccomanda di conservare in noi la confidenza in Dio, la quale (ci avvisa) certamente riporta da Lui una gran mercede (Eb 10,35). Quale sarà la nostra fiducia, tali saranno le grazie che riceveremo da Dio; se sarà grande la fiducia, grandi saranno ancora le grazie. Scrive S. Bernardo, che la divina misericordia è una fonte immensa; chi vi porta il vaso più grande di confidenza, quegli ne riporta maggior abbondanza di beni (Serm. 3, De annunt.). E già prima lo espresse il Profeta dicendo: Sia sopra di noi, o Signore, la tua misericordia conforme noi in te abbiamo sperato (Sal 32,22). Ciò ben si avverò nel Centurione, a cui disse il Redentore, lodando la sua confidenza: Va', e ti sia fatto conforme hai creduto (Mt 8,13). E rivelò il Signore a S. Geltrude che chi lo prega con confidenza, gli fa in certo modo tanta violenza, che egli non può non esaudirlo in tutto ciò che gli cerca. La preghiera, dice S. Giovanni Climaco, fa violenza a Dio, ma violenza che gli è cara e gradita (Scal. gr. 28). Accostiamoci adunque, ci avvisa san Paolo, con fiducia al trono di grazia, a fine di ottenere misericordia, e trovare grazia per opportuno sovvenimento (Eb 4,16). Il trono della grazia è Gesù Cristo, che al presente siede alla destra del Padre, non in trono di giustizia, ma di grazia, per ottenerci il perdono, se ci ritroviamo in peccato, e l'aiuto a perseverare, se godiamo la sua amicizia. A questo trono bisogna che ricorriamo sempre con fiducia, cioè con quella confidenza che ci dà la fede nella bontà e fedeltà di Dio, il quale ha promesso di esaudire chi lo prega con confidenza, ma con confidenza stabile e sicura. Chi all'incontro lo prega con esitazione, dice S. Giacomo, che costui non pensi di ricevere niente: Imperocché chi esita è simile al flutto del mare mosso e agitato dal vento. Non si pensi dunque un tal uomo di ottenere cosa alcuna dal Signore (Gc 1,6-7). Niente riceverà perché la sua ingiusta diffidenza, da cui viene agitato, impedirà alla divina misericordia di esaudire le sue domande. “Non hai ricevuto la grazia, dice S. Basilio, perché l'hai domandata senza confidenza” (Const. Monac. c. 2). Disse Davide, che la nostra confidenza in Dio dev'essere ferma come un monte, che non si muove a qualunque urto di vento: Coloro che confidano nel Signore, sono come il monte Sion; non sarà vacillante in eterno chi abita in Gerusalemme (Sal 124,1). E ciò è quello di cui ci ammonì il Redentore, se vogliamo ottenere la grazia che cerchiamo. Qualsivoglia grazia che domandiate, state sicuri di averla e così l'otterrete (Mr 11,24).

    Fondamento della nostra fiducia

    Ma dove, dirà taluno, io miserabile debbo fondare questa confidenza certa di ottenere quel che domando? dove? sulla promessa fatta da Gesù Cristo Cercate ed avrete (Gv 16,24). Come possiamo dubitare, dice sant'Agostino, di non essere esauditi, quando Iddio che è la stessa verità promette di concederci ciò che pregando gli domandiamo? Certamente il Signore non ci esorterebbe a chiedergli le grazie, se non ce le volesse concedere (Serm. 105). Ma questo è quello a cui Egli tanto ci esorta, e tante volte ce lo replica nelle sacre Scritture: pregate, domandate, cercate ecc., ed otterrete quanto desiderate. E perché noi lo preghiamo con la confidenza dovuta, il Salvatore ci ha insegnato nell'orazione del Pater noster, che noi ricorrendo a Dio per ricevere le grazie necessarie alla nostra salute (che già nel Pater noster tutte si contengono), lo chiamiamo non Signore, ma Padre, Pater noster. Mentre vuole, che noi chiediamo a Dio le grazie con quella confidenza, con la quale il figlio povero o infermo cerca il sostentamento o la medicina al suo proprio padre. Se un figlio sta per morire di fame, basta che lo palesi al padre, e questi subito lo provvederà di cibo. E se ha ricevuto qualche morso di serpe velenoso, basterà che presenti al padre la ferita ricevuta, perché il padre applichi il rimedio che già tiene. Fidati dunque alle divine promesse, domandiamo sempre con confidenza, non vacillanti, ma stabili e fermi, come dice l'Apostolo (Eb 10,23). Come è certo intanto, che Dio è fedele nelle sue promesse, così deve essere certa ancora la nostra confidenza, che egli ci esaudisca quando lo preghiamo. E se qualche volta, ritrovandoci forse noi in stato di aridità, o disturbati da qualche difetto commesso, non proviamo nel pregare quella confidenza sensibile che vorremmo sentire, sforziamoci ugualmente a pregare, perché Dio non lascerà di esaudirci. Anzi allora meglio ci esaudirà, poiché allora pregheremo più diffidati da noi, e solo confidati nella bontà e fedeltà di Dio, il quale ha promesso di esaudire chi lo prega. Oh, come piace al Signore in tempo di tribolazioni, di timori e di tentazioni il nostro sperare, anche contro la speranza, cioè contro quel sentimento di diffidenza che proviamo allora per causa della nostra desolazione. Di ciò l'Apostolo loda il patriarca Abramo: il quale contro alla speranza credette (Rm 4,18). Dice S. Giovanni, che chi ripone una ferma confidenza in Dio, certamente si santifica come egli pure è santo (1 Gv 3,3). Perché Dio fa abbondare le grazie in tutti coloro che in lui confidano. Con questa confidenza tanti martiri, tante verginelle, tanti fanciulli, nonostante lo spavento dei tormenti che loro preparavano i tiranni, hanno superato i tormenti e le sofferenze. Talvolta, dico, noi preghiamo, ma ci sembra che Dio non voglia ascoltarci; deh, non lasciamo allora di perseverare a pregare ed a sperare! Diciamo allora con Giobbe: Quand'anche mi desse la morte, in lui spererò (Gb 13,15). Quasi dicesse: Dio mio, ancorché mi discacciaste dalla vostra faccia, io non lascerò di pregarvi, e di sperare nella vostra misericordia. Facciamo così, e ne avremo quel che vorremo dal Signore. Così fece la donna Cananea, ed essa ottenne tutto ciò che volle da Gesù Cristo. Questa donna, avendo la sua figlia invasata dal demonio, pregò il Redentore che ne la liberasse: Abbi pietà di me, Signore, figlio di Davide: mia figlia è malamente tormentata dal demonio (Mt 15,22). Il Signore le rispose ch'egli non era stato mandato per i Gentili, come ella era, ma per i Giudei. Ma quella non si perdette d'animo, e ritornò a pregare con confidenza: Signore, voi potete consolarmi, mi avete da consolare. Replicò Gesù Cristo: Ma il pane dei figli non è bene darlo ai cani. Ma, Signor mio, ella soggiunse, anche ai cagnolini si dispensano le briciole di pane che cadono dalla mensa. Allora il Salvatore, vedendo la grande confidenza di questa donna, la lodò, e le fece la grazia, dicendo: O donna, grande è la tua fede: ti sia fatto, come desideri. E chi mai, dice l'Ecclesiastico, ha chiamato Dio in suo aiuto, e Dio l'ha disprezzato e non l'ha soccorso? (Ecli 2,12). Dice S. Agostino, che la preghiera è una chiave, la quale apre il cielo a nostro bene: nello stesso punto in cui la nostra preghiera sale a Dio, discende a noi la grazia che domandiamo (Serm. 47). Scrisse il profeta regale, che vanno unite insieme le nostre suppliche con la misericordia di Dio: Benedetto Dio, il quale non ha allontanato da me né la mia orazione, né la sua misericordia (Sal 65,19). E dice il medesimo S. Agostino, che quando noi ci troviamo pregando il Signore, dobbiamo star sicuri, che egli già ci esaudisce (In Ps. 45). Ed io, dico la verità, non mai mi sento più consolato nello spirito, e con maggior confidenza di salvarmi, che quando mi trovo pregando Dio, ed a lui mi raccomando. E lo stesso penso, che avvenga a tutti gli altri fedeli, poiché gli altri segni della nostra salvezza sono tutti incerti e fallibili; ma che Dio esaudisca chi lo prega con confidenza, è verità certa ed infallibile, com'è infallibile, che Dio non può mancare alle sue promesse. Quando ci vediamo deboli ed impotenti a superare qualche passione o qualche difficoltà, per eseguire ciò che il Signore da noi domanda, diciamo animosi con l'Apostolo: Tutte le cose mi sono possibili in Colui che è mio conforto (Fil 4,13). Non diciamo, come dicono alcuni: Non posso, non mi fido. Con le forze nostre non possiamo certamente niente, ma col divino aiuto possiamo tutto. Se Dio dicesse ad uno: prendi questo monte sulle tue spalle, e portalo, perché io ti aiuto; non sarebbe colui uno sciocco, un infedele, se rispondesse: io non lo voglio prendere, perché non ho forza di portarlo? E così, quando noi ci conosciamo miseri ed infermi quali siamo, e ci troviamo più combattuti dalle tentazioni, non ci perdiamo d'animo, alziamo gli occhi a Dio, e diciamo con David: Con l'aiuto del mio Signore io vincerò, e disprezzerò tutti gli assalti dei miei nemici (Sal 117,7). E quando ci troviamo in qualche pericolo di offendere Dio, o in altro affare di conseguenza, e confusi non sappiamo che dobbiamo fare, raccomandiamoci a Dio dicendo: Il Signore è la mia luce e mia salute: che ho io da temere? (Sal 26,1). E siamo sicuri, che Iddio allora ben ci illuminerà, e ci salverà da ogni danno.

    Anche i peccatori debbono aver fiducia

    Ma io sono peccatore, dice taluno, e nella Scrittura si legge: Iddio non esaudisce i peccatori (Gv 9,31). Risponde S. Tommaso con Sant'Agostino che ciò fu detto dal cieco, il quale parlava allorché non era stato illuminato ancora perfettamente, e perciò non fa autorità (2, 2.ae, q. 83, art. 16. ad 1). Per altro, soggiunge l'Angelico, che ciò sta ben detto, parlando della domanda che fa il peccatore, in quanto è peccatore, cioè quando egli domanda per desiderio di seguitare a peccare: per esempio, si chiedesse aiuto per vendicarsi del suo nemico, o per seguire altra sua prava intenzione. E lo stesso dicesi di quel peccatore che prega Dio a salvarlo, senza avere alcun desiderio di uscire dallo stato di peccato... Vi sono alcuni infelici che amano le catene, con le quali il demonio li tiene legati da schiavi. Le preghiere di costoro non sono esaudite da Dio, perché sono preghiere temerarie e abominevoli. E qual maggior temerità di colui che domanda grazia ad un principe, che non solo ha più volte offeso, ma che pensa di seguitare ad offendere? E così s'intende quel che dice lo Spirito Santo, esser detestabile e odiosa a Dio, la preghiera di colui che volta le orecchie per non ascoltare ciò che Dio comanda (Pro 28,9). A questi tali dice il Signore: Non occorre che voi mi preghiate, perché io volterò gli occhi da voi, e non vi esaudirò (Is 1,15). Tale era appunto l'orazione dell'empio re Antioco, che pregava Dio, e prometteva grandi cose, ma fintamente, e col cuore ostinato nella colpa, pregando solo per sfuggire il castigo che lo sovrastava: perciò il Signore non diede orecchio alle sue preghiere, ma lo fece morire roso dai vermi (2 Mc 9,13). Altri poi che peccano per fragilità, o per impeto di qualche gran passione, o gemono sotto il giogo del nemico e desiderano di rompere quelle catene di morte ed uscire da quella misera schiavitù, e perciò domandano aiuto a Dio; l'orazione di costoro, se ella è costante, ben sarà esaudita dal Signore il quale dice, che ognuno che domanda, riceve, e chi cerca la grazia, la ritrova (Mt 7,8). Ognuno, spiega l'autore dell'opera imperfetta, o giusto sia o peccatore (Homil. XVIII). Ed in san Luca, parlando Gesù Cristo di colui che chiede tutti i pani che aveva all'amico, non tanto per l'amicizia, quanto per la di lui importunità disse: Vi dico che quando anche non si levasse a darglieli per la ragione che quegli è un suo amico, si leverà almeno a motivo della sua importunità, e gliene darà quanti gliene bisogna (Lc 11,8). Sicché la preghiera perseverante ottiene da Dio la misericordia anche a coloro che non sono suoi amici. “Quel che non si ottiene per l'amicizia, dice il Crisostomo, si ottiene per la preghiera”. Anzi dice lo stesso Santo che “vale più appresso a Dio l'orazione, che l'amicizia; e che l'orazione compie ciò che l'amicizia non aveva compiuta” (Hom. Non esse desp.). E S. Basilio non dubita, che “anche i peccatori ottengono quel che chiedono, se sono perseveranti in pregare” (Const. Monast. c. i.). Lo stesso dice S. Gregorio: “Alzi le grida anche il peccatore, e la sua orazione giungerà a Dio” (In Ps. 6, Paenitent.). Lo stesso scrive san Girolamo, dicendo che anche il peccatore può chiamare Iddio suo Padre, se lo prega ad accettarlo di nuovo per figlio, con l'esempio del figlio prodigo, che lo chiamava padre. Padre, ho peccato, ancorché non fosse stato ancora perdonato (Epist. ad Damas. De filio prod.). “Se Dio non esaudisse i peccatori, disse sant'Agostino, invano il Pubblicano avrebbe domandato il perdono (In Io. tract.). Ma ci attesta il Vangelo, che il Pubblicano col pregare, ben ottenne il perdono (Lc 18,15). Ma sopra tutti esamina più a minuto questo punto il Dottore Angelico (2, 2.ae, q. 83, c. 16), e non dubita di asserire, che anche il peccatore è esaudito, se prega; dicendo, che sebbene la sua orazione non è meritoria, ha nondimeno la forza d'impetrare; poiché l'impetrazione non si appoggia alla giustizia, ma alla divina bontà. Così appunto pregava Daniele: Porgi, Dìo mio, il tuo orecchio e ascolta... poiché sulla fidanza non della nostra giustizia, ma delle molte tue misericordie, queste preci umiliamo davanti alla tua faccia (Dn 9,18). Allorché dunque preghiamo, dice S. Tommaso, non è necessario l'essere amici di Dio, per impetrarne le grazie che cerchiamo; la stessa preghiera ci rende suoi amici (Comp. Theol. p. 2, c. 2). Inoltre aggiunge S. Bernardo una bella ragione, dicendo che tal preghiera del peccatore di uscire dal peccato, nasce dal desiderio di tornare in grazia di Dio; or questo desiderio è un dono che, certamente non gli viene dato da altri, che da Dio medesimo. A che dunque, dice poi il Santo, darebbe Iddio al peccatore un tal desiderio, se non volesse esaudirlo? E ben di ciò ve ne sono tanti esempi nelle stesse divine Scritture, di peccatori che pregando sono stati liberati dal peccato. Così fu liberato il re Acab (1 Re 21). Così il re Manasse (1 Sam 33). Così il re Nabucco (Dn 6). Così il buon ladrone. Gran cosa e gran valore della preghiera! Due peccatori muoiono sul Calvario accanto a Gesù Cristo, uno perché prega (ricordati di me) (Lc 23,42), si salva; l'altro perché non prega, si danna! Insomma dice il Crisostomo (Hom. De Moyse): “Nessun peccatore pentito ha pregato il Signore e non ha ottenuto quanto ha desiderato”. Ma che servono più autorità e ragioni a ciò dimostrare, mentre Gesù medesimo dice: Venite a me tutti voi che siete affaticati e aggravati, e io vi ristorerò'? (Mt 11,28). Per aggravati, s'intendono comunemente, secondo S. Gìrolamo, S. Agostino ed altri, i peccatori che gemono sotto il peso delle loro colpe, i quali ricorrendo a Dio ben saranno da lui, giusta tal promessa, ristorati e salvati colla sua grazia. Ah! che non tanto noi, dice S. Giovanni Crisostomo, desideriamo d'esser perdonati, quanto anela Dio di perdonarci! (In act., Hom. 36). Non vi è grazia, soggiunge il Santo, che non si ottenga colla preghiera, ancorché questa si faccia da un peccatore il più perduto che sia, se ella è perseverante (Hom. 33 in Matth.). E notiamo quel che dice San Giacomo: Se alcuno è bisognoso di sapienza, la chieda a Dio, che dà a tutti abbondantemente, e nol rimprovera (Gc 1,5). Tutti coloro adunque che ricorrono coll'orazione a Dio, egli non lascia d'esaudirli e di colmarli di grazie: dà a tutti abbondantemente. Ma si faccia special riflessione alla parola che segue: e nol rimprovera. Ciò significa che non fa Iddio come fanno gli uomini, che quando viene a domandare loro qualche favore, taluno, che prima in qualche occasione li ha offesi, subito gli rimproverano l'oltraggio da lui ricevuto. Non fa così il Signore con chi lo prega, fosse anche il maggior peccatore del mondo, quando gli domanda qualche grazia utile alla sua eterna salute, non gli rimprovera già i disgusti che ha dati, ma come se non l'avesse mai offeso, subito l'accoglie, lo consola, l'esaudisce, e abbondantemente l'arricchisce dei suoi doni. Sopra tutto per animarci a pregare, il Redentore dice: In verità, in verità vi dico, che qualunque cosa voi domandiate al Padre nel nome mio, ve la concederà (Gv 16,23). Come dicesse: Orsù peccatori, non vi disanimate, non fate che i vostri peccati vi trattengano di ricorrere al mio Padre, e di sperare da esso la vostra salute, se la desiderate. Voi non avete già i meriti di ottenere le grazie che chiedete, ma solo avete demeriti per ricevere castighi; fate così, andate al Padre in nome mio, per i meriti miei chiedete le grazie che volete, ed io vi prometto e vi giuro, in verità, in verità vi dico (dice sant'Agostino esser questa una specie di giuramento), che quanto domanderete, il mio Padre vi concederà. O Dio! e qual maggior consolazione può avere un peccatore dopo le sue rovine, che sapere con certezza che quanto chiederà a Dio in nome di Gesù Cristo, tutto riceverà? Dico, tutto, circa la salute eterna, perché intorno ai beni temporali già abbiamo detto di sopra che il Signore, anche pregato, alle volte non ce li concede, vedendo che tali beni ci nuocerebbero all'anima. Ma in quanto ai beni spirituali la sua promessa di esaudirci non è condizionata, ma assoluta; e perciò esorta S. Agostino che quelle cose che Dio assolutamente promette, noi dobbiamo domandarle con sicurezza di riceverle (Serm. 354, E. B.). E come mai, scrive il Santo, può negarci qualcosa il Signore, allorché noi lo preghiamo con confidenza, quando desidera più esso di dispensarci le sue grazie, che noi di averle? (Serm. 105). Dice il Crisostomo che il Signore si adira con noi solo quando noi trascuriamo di cercargli i suoi doni (In Matth., Hom. 23). E come mai può succedere che Iddio non voglia esaudire un'anima, che gli cerca cose tutte di suo gusto? Quando l'anima gli dice: Signore, io non vi cerco beni di questa terra, ricchezze, piaceri, onori; ma solo vi domando la grazia vostra, liberatemi dal peccato, datemi una buona morte, datemi il Paradiso, datemi il Santo amor vostro (ch'è quella grazia, come dice san Francesco di Sales, che deve chiedersi a Dio sopra tutte le altre), datemi rassegnazione nella vostra volontà; com'è possibile che Dio non voglia esaudirla? E quali domande mai, dice sant'Agostino, esaudirete voi, mio Dio, se non esaudirete queste che sono tutte secondo il vostro cuore? (De Civ. Dei, LXXII. c. 8). Ma sopra tutto deve ravvivarsi la nostra confidenza, allorché chiediamo a Dio le grazie spirituali, ciò che disse Gesù Cristo. Se voi, dice il Redentore (Lc 11,13), che siete così cattivi, così attaccati ai vostri interessi, perché pieni d'amor proprio, non sapete negare ai vostri figli ciò che vi domandano; quanto più il vostro Padre celeste, che vi ama più d'ogni padre terreno, vi concederà i beni spirituali, allorché voi lo pregherete?

    V. - PREGARE CON PERSEVERANZA

    Necessità della perseveranza

    E' necessario dunque che le nostre preghiere siano umili e confidenti; ma ciò non basta per conseguire la perseveranza finale e con quella la salute eterna. Le preghiere particolari otterranno bensì le particolari grazie che a Dio si chiederanno, ma se non sono perseveranti, non otterranno la perseveranza finale, la quale, perché contiene il cumulo di molte grazie insieme, richiede moltiplicate preghiere, e continuate sino alla morte. La grazia della salute non è una sola grazia, ma una catena di grazie, le quali tutte poi si uniscono con la grazia della perseveranza finale. Ora a questa catena di grazie deve corrispondere un'altra catena, per così dire, delle nostre preghiere. Se noi trascurando di pregare spezziamo la catena delle nostre preghiere, si spezzerà ancora la catena delle grazie che ci devono ottenere la salute e non ci salveremo. E' vero che la perseveranza finale non si può da noi meritare, come insegna il Concilio di Trento, dicendo: “Non può ottenersi da nessun altro, se non da Colui che ha la potenza di rendere stabile quello che sta, acciocché perseverantemente stia” (Sess. VI. c. 13). Nulladimeno, dice S. Agostino, che questo gran dono della perseveranza in qualche modo ben può meritarsi con le preghiere, cioè pregando impetrarsi (De dono persev. e. 6). E soggiunge il P. Suarez, che chi prega infallibilmente l'ottiene. Ma per ottenerlo e salvarsi, dice san Tommaso, è necessaria una perseverante e continua preghiera (P. 3. q. 39, a. 5). E prima lo disse più volte il nostro medesimo Salvatore: Bisogna sempre orare, né mai stancarsi (Lc 18,1). Vegliate adunque in ogni tempo, pregando di essere fatti degni di schivare tutte queste cose che debbono avvenire; e di star con fiducia dinanzi al Figliolo dell'Uomo (Lc 21,36). Lo stesso sta detto prima nel Vecchio Testamento: Nessuna cosa ti ritenga dal sempre orare (Ecli 18,22). Benedici Dio in ogni tempo e pregalo, che regga i tuoi andamenti (Tb 4,20). Quindi l'Apostolo inculcava ai suoi discepoli, che non lasciassero mai di pregare: Orate senza interruzione (1 Ts 5,17). Siate perseveranti nell'orazione, vegliando in essa (Col 4,2). Bramo adunque che gli uomini preghino in ogni luogo (1 Tm 2,8). Il Signore certamente vuole dare la perseveranza, e la vita eterna. Ma dice S. Nilo, non vuol concederla se non a chi perseverantemente gliela domanda (De orat., c. XXXII). Molti peccatori con l'aiuto della grazia giungono a convertirsi a Dio, ed a ricevere il perdono; ma poi perché lasciano di cercare la perseveranza, tornano a cadere e perdono tutto.

    Occorre chiedere di continuo la perseveranza finale

    Né basta, dice il Bellarmino, chieder la grazia della perseveranza una volta o poche volte; dobbiamo cercarla sempre, in ogni giorno sino alla morte, se vogliamo ottenerla. Chi la cerca in un giorno, per quel giorno l'otterrà; ma se non la cerca nel domani, domani cadrà. E ciò è quel che vuole darci ad intendere il Signore nella parabola di quell'amico, che non volle dare i pani a colui che glieli domandava, se non dopo molte ed importune richieste, dicendo: Quando anche non si levasse a darglieli per la ragione, che quegli è suo amico, si leverà almeno a motivo della sua importunità, e gliene darà quanti gliene bisogna (Lc 11,8). Ora se un tale amico, dice S. Agostino, solo per liberarsi dell'importunità di lui, gli darebbe anche contro sua voglia i pani che chiede; quanto più Dio, ch'essendo bontà infinita ha tanto desiderio di comunicarci i suoi beni, ci donerà le sue grazie, quando gliene cerchiamo? (Serm. 61). Tanto più che Egli stesso ci esorta a chiederle, e gli dispiace se non le domandiamo. Ben vuole dunque il Signore concederci la salute e tutte le grazie per quella, ma vuole che noi non lasciamo di continuamente domandargliele sino all'importunità. Dice Cornelio a Lapide sul citato Evangelo: Dio vuole che perseveriamo nell'orazione sino a renderci importuni. Gli uomini della terra non possono sopportare gli importuni, ma Dio non solo ci sopporta, ma ci desidera importuni in cercargli le grazie, e specialmente la santa perseveranza. Dice S. Gregorio, che Dio vuole che gli si faccia violenza con le preghiere, poiché una tal violenza non già lo sdegna, ma lo placa (In Ps. 6, Poenit.). Sicché per ottenere la perseveranza, bisogna che ci raccomandiamo sempre a Dio, la mattina, la sera, nella Meditazione, nella Messa e nella Comunione. E specialmente in tempo di tentazione, con dire, e replicare: Signore, aiutami, tienimi le mani sopra, non mi abbandonare, abbi pietà di me. Vi è cosa più facile di questa, che dire: Signore, aiutami, assistimi? Sulle parole del Salmista: Meco avrò l'orazione a Dio, che è mia vita (Sal 41,8), dice la Glossa: Taluno dirà: non posso digiunare. fare elemosina. Ove gli si dica, prega; non può similmente rispondere; perché non v'è cosa più facile che il pregare. Ma bisogna che non lasciamo mai di pregare, bisogna che continuamente facciamo, per così dire, forza a Dio, affinché ci soccorra, ma forza che gli è cara e gradita. Questa violenza è grata a Dio (Apol. c. 29), scrisse Tertulliano. E S. Girolamo disse, che le nostre preghiere, quanto sono più perseveranti ed importune tanto più sono accette a Dio (Hom. in Matth.). Beato quell'uomo, dice Dio, che mi ascolta, e vigila continuamente alle porte della mia misericordia (Pro 7,34). Ed Isaia dice: Beati coloro che sino alla fine aspettano pregando, la loro salute dal Signore (Is 30, 18). Perciò nel Vangelo ci esorta Gesù Cristo a pregare, ma in qual modo? Chiedete, e vi sarà dato: cercate, e troverete: picchiate, e vi sarà aperto (Lc 11,9). Bastava aver detto chiedete: che serviva aggiungere quel cercate, e picchiate? Ma no, che non fu superfluo l'aggiungerli; con ciò ha voluto il Redentore insinuarci, che noi dobbiamo fare, come fanno i poveri che vanno mendicando: questi se non ricevono l'elemosina che chiedono e sono licenziati, non lasciano di domandarla, e di tornarla a chiedere, e se più non comparisse il padrone della casa, si mettono a bussare le porte, sino a rendersi molto importuni e molesti. Ciò vuole Dio che facciamo ancor noi: che preghiamo, e torniamo a pregare, e non lasciamo mai di pregare che ci assista, che ci soccorra, che ci dia luce, ci dia forza, e non permetta che mai abbiamo a perdere la sua grazia. Dice il dotto Lessio che non può esser scusato da colpa grave chi non prega stando in peccato, o in pericolo di morte; o pure chi per notabile tempo trascura di pregare, cioè (come dice) per uno o due mesi. Ma ciò s'intende fuori del tempo di tentazioni; poiché chi si ritrova combattuto da qualche grave tentazione egli senza dubbio pecca, gravemente, se non ricorre per resistere a quella, vedendo che altrimenti si mette a prossimo, anzi certo pericolo di cadere.

    Motivi per cui Dio differisce di concederci la perseveranza finale

    Ma dirà taluno: giacché il Signore può e vuole darmi la santa perseveranza, perché non me la concede tutta in una volta, quando gliela domando? Sono molte le ragioni che ne assegnano i santi Padri. Iddio non la concede in una volta, e la differisce: primieramente per meglio provare la nostra confidenza; inoltre, dice S. Agostino, acciocché maggiormente noi la sospiriamo. Scrive il Santo che i doni grandi richiedono gran desiderio giacché i beni presto ricevuti non si tengono poi in quel pregio, che si tengono quelli che per lungo tempo sono stati desiderati (Serm. 61). Inoltre lo fa, acciocché noi non ci scordiamo di Lui: se noi stessimo sicuri già della perseveranza e della nostra salute, e non avessimo continuo bisogno dell'aiuto di Dio, per conservarci nella sua grazia e salvarci, facilmente ci scorderemmo di Dio. Il bisogno fa che i poveri frequentino le case dei ricchi. Onde il Signore per tirarci a sé, come dice S. Giovanni Crisostomo, per vederci spesso ai piedi suoi, affinché possa così maggiormente beneficarci, a questo fine si trattiene di darci la grazia compita della salute sino al tempo della nostra morte (Hom. XXX in Gen.). Inoltre lo fa, secondo lo stesso Crisostomo, affinché noi col proseguire nella preghiera ci stringiamo maggiormente a Lui con dolci legami d'amore (In Ps. 4). Quel continuo nostro ricorrere a Dio con le preghiere, e quell'aspettare con confidenza da Lui le grazie che desideriamo, oh, che grande incentivo e vincolo d'amore egli è, per infiammarci e legarci più strettamente con Dio! Ma sino a quando si ha da pregare? Sempre, risponde il medesimo Santo, sino che riceviamo la sentenza favorevole della salute eterna, vale a dire sino alla morte: “Non cessare (di pregare), finché non ottieni” (Hom. XXIV in Matth.). E soggiunge che colui il quale dice: Io non lascerò di pregare fintanto che non mi salvo, quegli certamente si salverà. Se dirai: se non otterrò, non cesserò (dal pregare), certamente otterrai. Scrive l'Apostolo, che molti corrono al pallio, ma quell'uomo solamente lo riceve, che giunge a prenderlo: Non sapete voi che quelli che corrono nello stadio, corrono veramente tutti, ma uno solo riporta la palma? Correte in guisa da far vostro il premio (1 Cr 9,24). Non basta dunque il pregare per salvarci, bisogna che preghiamo sempre, finché arriviamo a ricevere la corona che Dio promette, ma promette solamente a coloro che sono costanti a pregarlo sino alla fine.

    Conclusione: che non dobbiamo mai cessare di pregare

    Sicché se vogliamo salvarci, dobbiamo fare come faceva Davide, che teneva sempre gli occhi rivolti al Signore, per implorare il suo soccorso, e non restare vinto dai suoi nemici: Gli occhi miei sono sempre rivolti al Signore: perché egli trarrà dai lacci i miei piedi (Sal 24,15). Siccome il demonio, non lascia di tenderci continue insidie per divorarci, secondo quel che scrive san Pietro (1 Pt 5,8), così dobbiamo noi continuamente star con le armi alla mano, per difenderci da un tal nemico, e dire col Profeta regale: Io non lascerò mai di combattere, sino a tanto che non vedrò sconfitti i miei avversari (Sal 17,37). Ma come potremo noi ottenere questa vittoria, così per noi importante e così difficile? Solo con le preghiere, ci risponde sant'Agostino, ma preghiere perseverantissime. E sino a quando? Sino che durerà il combattimento. Siccome di continuo dobbiamo combattere, così, dice S. Bonaventura, di continuo dobbiamo chiedere a Dio l'aiuto per non essere vinti (De uno conf. Serm. 5). Guai, dice il Savio, a chi in questa battaglia lascia di pregare! (Ecli 2,16). Noi ci salveremo, ci avvisa l'Apostolo, ma con questa condizione: se saremo costanti a pregare sempre con confidenza sino alla morte (Eb 3,6). Diciamo dunque con lo stesso Apostolo, animati dalla misericordia di Dio, e dalle sue promesse: chi avrà da dividerci dall'amore di Gesù Cristo? Forse la tribolazione, il pericolo di perdere i beni di questa terra? le persecuzioni dei demoni o degli uomini? i tormenti dei tiranni? (Rm 8,35). No, egli diceva, niuna tribolazione, niuna angustia, pericolo, persecuzione o tormento potrà mai separarci dall'amore di Cristo: perché vinceremo tutto col divino aiuto, e combattendo per amore di quel Signore che ha data la vita per noi (Rm 8,37). Il P. Ippolito Denazzo in quel giorno in cui risolse di lasciar la prelatura di Roma, e di darsi tutto a Dio, con l'entrare nella Compagnia di Gesù, temendo della sua infedeltà per causa della debolezza, diceva a Dio: “Signore, or che mi sono dato tutto a voi, per pietà non mi abbandonate”. Ma sentì dirsi da Dio nel suo cuore: “Tu non mi abbandonare”. Più presto, gli diceva Iddio, io dico a te che non mi lasci. E così finalmente il servo di Dio, confidato nella divina bontà e nel suo aiuto, concluse dicendo: Dunque, mio Dio, voi non lascerete me, ed io non lascerò voi. Se vogliamo in conclusione che Dio non ci lasci, non dobbiamo lasciar noi di pregarlo sempre a non abbandonarci. Facendo così certamente egli sempre ci assisterà, e non permetterà mai che lo perdiamo, e ci separiamo dal suo amore. Ed a questo fine non solamente procuriamo di chiedere sempre la perseveranza finale, e le grazie necessarie per ottenerla, ma cerchiamo nello stesso tempo la grazia di seguire a pregare. Questo fu appunto quel gran dono che egli promise ai suoi eletti per bocca del Profeta: E spanderò sopra la casa di Davide, sopra Gerusalemme lo spirito di grazia e di orazione (Zc 12,10). Oh che grazia grande è lo spirito delle preci, cioè la grazia che Dio concede ad un'anima di sempre pregare! Non lasciamo adunque di chiedere sempre a Dio questa grazia, e questo spirito di preghiera, perché se pregheremo sempre, otterremo certamente dal Signore la perseveranza, ed ogni altro dono che desideriamo, poiché non può mancare la sua promessa di esaudire chi lo prega. Con questa speranza di sempre pregare, possiamo tenerci per salvi (Rm 8,24). “Questa speranza, diceva il Venerabile Beda, ci darà l'entrata sicura nella Città del Paradiso” (In Solemn. omn. Ss. Hom. 2).
    Viva Gesù nostro Amore e Maria nostra Speranza.


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    Il 1° agosto la Chiesa celebra la memoria del grande dottore della Chiesa e patrono dei teologi moralisti, S. Alfonso Maria de' Liguori. In suo onore riporto in auge questo thread aperto dall'amico Adriano

    Augustinus

  6. #6
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    Dal sito SANTI E BEATI

    Sant' Alfonso Maria de' Liguori Vescovo e dottore della Chiesa

    1° agosto - Memoria

    Napoli, 1696 - Nocera de' Pagani, Salerno, 1 agosto 1787

    Già avvocato del foro di Napoli, lasciò la toga per la vita ecclesiastica. Vescovo di sant'Agata dei Goti e fondatore dei Redentoristi (1732), attese con grande zelo alle missioni al popolo, si dedicò ai poveri e ai malati, fu maestro delle scienze morali, che ispirò a criteri di prudenza pastorale, fondata sulla sincera ricerca oggettiva della verità, ma anche sensibile i bisogni e alle situazioni delle coscienze. Compose scrittiascetici di vasta risonanza. Apostolo del culto all'Eucaristia e alla Vergine, guidò i fedeli alla meditazione dei novissimi, alla preghiera e alla vta sacramentale. (Mess. Rom.)

    Patronato:Napoli, Teologi

    Etimologia: Alfonso = valoroso e nobile, dal tedesco

    Emblema: Bastone pastorale

    Alfonso Maria de Liguori - missionario, fondatore della Congregazione del Santissimo Redentore (C. Ss. R.), vescovo, dottore della Chiesa, patrono del confessori e dei moralisti - nacque a Marianella, presso Napoli, il 27 settembre 1696, e morì a Pagani (Salerno) il 1° agosto 1787. Compiuti in casa, come tutti i ragazzi di nobili famiglie, gli studi letterari e scientifici, nei quali ebbero la loro parte rilevante anche la pittura e la musica (è sua la canzoncina natalizia "Tu scendi dalle stelle" ), nel 1708 si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza all'università di Napoli, dove si laureò col massimo dei voti in diritto civile ed ecclesiastico appena sedicenne, con quattro anni di anticipo sull'età richiesta dalle leggi del tempo. Dopo dieci anni di memorabili successi come avvocato nel foro napoletano, a causa di una violenta delusione morale dovuta a interferenze politiche in una causa dai grandi risvolti sociali, decise di farsi prete. Ricevuta l'ordinazione sacerdotale il 21 dicembre 1726, cominciò immediatamente a svolgere il suo ministero in mezzo al popolo più abbandonato e più bisognoso di aiuti spirituali. Osservando la miseria di tante anime, non riusciva a darsi pace né si concedeva riposo. Si portava dovunque: nei paesi intorno al Vesuvio, lungo la costa amalfitana, nelle sparute e dimenticate contrade di campagna lungo gli Appennini della Puglia e della Calabria, dove il clero locale, pur numeroso, rifiutava di andare. La salvezza di quelle anime era la sua idea dominante, l'elemento catalizzatore di tutte le sue energie e delle straordinarie doti intellettuali. E per rendere la sua opera più profonda e duratura, e per giungere con la sua azione di salvezza anche dove non poteva arrivare con la voce, e per andare oltre il tempo della sua esistenza terrena ed oltre gli spazi - troppo ristretti per il suo zelo evangelico - del Regno di Napoli, fondò un istituto essenzialmente missionario e si diede, con altrettanto entusiasmo, all'apostolato della penna. Come scrittore, sant'Alfonso è popolarissimo. Pubblicò centoundici opere tra grandi e piccole. Alcune di esse hanno raggiunto centinaia di edizioni in gran parte delle lingue del mondo. Quelle di ascetica e di spiritualità si ristampano continuamente ancora oggi: Uniformità alla volontà di Dio; Modo di conversare continuamente e alla familiare con Dio; Pratica di amare Gesù Cristo; Visite al Ss. Sacramento e a Maria santissima; Meditazioni sulla Passione di Nostro Signore Gesù Cristo; Glorie di Maria; Massime eterne; Necessità della preghiera. Nel 1748 stampava la sua THEOLOGIA MORALIS, l'opera per la quale il papa Leone XIII lo definì "il più insigne e il più mite dei moralisti". Come fondatore Alfonso de Liguori sta continuando ancora oggi la sua missione di annunciatore della salvezza attraverso gli oltre 5.600 discepoli (i missionari redentoristi) in oltre 60 paesi dei cinque continenti. La Congregazione del Ss. Redentore, da lui fondata a Scala (Salerno) il 9 novembre 1732, ha lo scopo di "continuare l'esempio del nostro Salvatore Gesù Cristo in predicare alle anime più abbandonate, specialmente ai poveri, la divina parola". E si impegna a raggiungere questa finalità prima di tutto con le missioni popolari e con la predicazione degli esercizi spirituali. All'occorrenza i congregati accettano la predicazione in terre straniere, particolarmente in quelle del terzo mondo (i Redentoristi italiani hanno aperto, già da alcuni decenni, una missione in Paraguay e una in Madagascar). Anche se raramente essi si fanno carico dell'insegnamento nelle scuole e della cura di parrocchie. Nel 1762 Alfonso fu eletto vescovo di Sant'Agata dei Goti (Benevento). Ma dopo 13 anni dovette rinunciarvi a causa dell'artrite deformante. Canonizzato nel 1839, fu dichiarato dottore della Chiesa nel 1871, patrono dei confessori e dei moralisti nel 1950.

    Autore: Padre Ezio Marcelli




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    Predefinito Dalla «Pratica di amare Gesù Cristo» di sant'Alfonso Maria de' Liguori, vescovo

    (Cap. 1, 1-5)

    Tutta la santità e la perfezione di un'anima consiste nell'amar Gesù Cristo nostro Dio, nostro sommo bene e nostro Salvatore. La carità è quella che unisce e conserva tutte le virtù che rendono l'uomo perfetto.
    Forse Iddio non si merita tutto il nostro amore? Egli ci ha amati sin dall'eternità. «Uomo, dice il Signore, considera ch'io sono stato il primo ad amarti. Tu non eri ancora al mondo, il mondo neppure v'era ed io già t'amavo. Da che sono Dio, io t'amo». Vedendo Iddio che gli uomini si fan tirare dà benefici, volle per mezzo de' suoi doni cattivarli al suo amore. Disse pertanto: «Voglio tirare gli uomini ad amarmi con quei lacci con cui gli uomini si fanno tirare, cioè coi legami dell'amore». Tali appunto sono stati i doni fatti da Dio all'uomo. Egli dopo di averlo dotato di anima colle potenze a sua immagine, di memoria, intelletto e volontà, e di corpo fornito dei sensi, ha creato per lui il cielo e la terra e tante altre cose tute per amor dell'uomo; acciocché servano all'uomo, e l'uomo l'ami per gratitudine di tanti doni.
    Ma Iddio non è stato contento di donarci tutte queste belle creature. Egli per cattivarsi tutto il nostro amore è giunto a donarci tutto se stesso. L'Eterno Padre è giunto a darci il suo medesimo ed unico Figlio. Vedendo che noi eravamo tutti morti e privi della sua grazia per causa del peccato, che fece? Per l'amor immenso, anzi, come scrive l'Apostolo, per il troppo amore che ci portava, mandò il Figlio diletto a soddisfare per noi, e così renderci quella vita che il peccato ci aveva tolta.
    E dandoci il Figlio (non perdonando al Figlio per perdonare a noi), insieme col Figlio ci ha donato ogni bene: la sua grazia, il suo amore e il paradiso; poiché tutti questi beni sono certamente minori del Figlio: «Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui?» (Rm 8, 32).

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    Predefinito Da "Apparecchio alla morte", Riflessione XXXI, Gribaudi Ed., Milano, 1995, 410-414

    Il Redentore ci ammoní a guardarci non tanto dai demòni, quanto dagli uomini: «Guardatevi dagli uomini» (Cavete autem ab hominibus - Mt 10, 17). Gli uomini spesso sono peggiori dei demòni, perché i demòni fuggono quando si prega o si invocano i nomi santissimi di Gesú e Maria. Ma se qualcuno dà una risposta di tipo spirituale ai cattivi compagni che lo tentano al peccato, essi anziché fuggire, aumentano la tentazione e lo deridono, definendolo essere spregevole, maleducato, persona di nessun valore. E nel caso non possano dire altro, lo chiamano ipocrita che si finge santo. Per non sentire questi rimproveri o derisioni, certe anime deboli si accodano sciaguratamente a tali ministri di Lucifero e tornano al vomito.

    Fratello mio, persuaditi che se vuoi vivere santamente, senza dubbio dovrai venir preso in giro e disprezzato dai malvagi: «Gli uomini retti sono in abominio ai malvagi» (Abominantur impii eos, qui in recta via sunt - Pr 29, 27)

    […] Non esiste alternativa a questo, perché le massime del mondo sono diametralmente opposte a quelle di Gesú. Ciò che è stimato dal mondo, è chiamato da Gesú stoltezza: «Perché la sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio» (Sapientia enim huius mundi stultitia est apud Deum - 1 Cor 3, 19). Al contrario, il mondo chiama stoltezza ciò che è stimato da Gesú, come le croci, i dolori, il disprezzo: «La parola della croce infatti è stoltezza per quelli che vanno in perdizione» (Verbum enim crucis pereuntibus quidem stultitia est - 1 Cor 1, 18).

    Ma consoliamoci: se i cattivi ci maledicono e ci biasimano, Iddio ci benedice e ci loda: «Maledicano essi, ma tu benedicimi» (Maledicent illi, et tu benedices - Sal 108, 28). Non ci basta forse essere lodati da Dio, da Maria Santissima, da tutti gli angeli e i santi e dagli uomini onesti? Lasciamo dunque che i peccatori dicano quello che vogliono. Noi continuiamo a far piacere a Dio, che è cosí grato e fedele verso chi lo serve.

    […] Non vergogniamoci di apparire cristiani, perché se noi ci vergogniamo di Gesú, anch’Egli ha dichiarato che si vergognerà di noi e di metterci alla sua destra nel giorno del giudizio: «Chi si vergonerà di me e delle mie parole, di lui si vergognerà il Figlio dell’uomo, quando verrà nella sua gloria» (Qui me erubuerit, et sermonem meum, hunc Filius hominis erubescet, cum venerit in maiestate sua - Lc 9, 26)
    Se vogliamo salvarci, bisogna che ci decidiamo a soffrire e a farci forza, anzi violenza: «Angusta è la via che conduce alla vita» (Arta est via, quae ducit ad vitam - Mt 7,14); «Il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono» (Regnum coelorum vim patitur, et violenti rapiunt illud - Mt 11,12). Chi non si fa forza non si salva. Non c’è altra soluzione, perché dobbiamo contrastare la nostra natura ribelle, se vogliamo compiere il bene. Specialmente all’inizio dobbiamo farci forza, per estirpare le cattive inclinazioni e acquisirne di buone: infatti, possedendo l’abitudine al bene, diventa facile, anzi dolce, osservare la legge di Dio.

    Il Signore rivelò a Santa Brigida che chi soffre le punture delle spine prima, mentre pratica la virtú con pazienza e coraggio, vedrà poi le spine trasformarsi in rose. Mio caro cristiano, sta’ dunque attento. Gesú ora ti rivolge le stesse parole che disse al paralitico: «Ecco che sei guarito: non peccare piú, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio» (Ecce sanus factus es: iam noli peccare, ne deterius tibi contingat - Gv 5,14)

    Cerca di capire, afferma ancora San Bernardo, che se per disgrazia ricadi, la tua rovina sarà peggiore di tutte le tue precedenti cadute nel peccato (Audis, recidere quam incidere esse deterius - Bernardo, In Cantica, sermone 54). Guai a quanti imboccano la via di Dio, dice il Signore, e poi la lasciano: «Guai a voi, figli ribelli» (Vae, filii desertores - Is 30,1). Tutti costoro sono puniti, perché «furono ribelli alla luce» (Ipsi fuerunt rebelles lumini - Gb 24, 13).

    Il castigo di questi ribelli i quali, dopo essere stati favoriti da Dio con il dono della luce, gli sono poi infedeli, è rimanere nella cecità. E cosí finiscono la vita nei loro peccati: «Ma se il giusto si allontana dalla giustizia (…), potrà vivere? Tutte le opere giuste da lui fatte, saranno dimenticate (…): nel peccato egli morirà (Si autem averterit se iustus a iustitia sua (…), numquid vivet? Omnes iustitiae eius, quas fecerat, non recordabuntur (…): in peccato morietur - Ez 18,24).

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    Predefinito Da "Le Glorie di Maria", cap. V

    A te sospiriamo, gementi e piangenti in questa valle di lacrime

    1. Della necessità che abbiamo dell'intercessione di Maria per salvarci

    Che invocare e pregare i santi e particolarmente la loro regina Maria santissima, affinché ci impetrino la grazia divina, sia cosa non solamente lecita, ma utile e santa, è verità di fede già enunciata dai Concili contro gli eretici, i quali la condannano come ingiuria a Gesù Cristo, che è il nostro unico mediatore. Ma se Geremia dopo la sua morte prega per Gerusalemme (2 Mac 15,14); se i vegliardi dell'Apocalisse presentano a Dio le preghiere dei santi (Ap 5,8; cfr. 8,3-4); se san Pietro promette ai suoi discepoli di ricordarsi di loro dopo la sua morte (2 Pt 1,15); se santo Stefano prega per i suoi persecutori (At 7,59); se san Paolo prega per i suoi compagni (At 27,24; Ef 1,16; Fil 1,4); se insomma i santi possono pregare per noi, perché non possiamo noi implorare i santi affinché intercedano in nostro favore? San Paolo si raccomanda alle preghiere dei suoi discepoli: "Pregate per noi" (1Ts 5,25); san Giacomo esorta: "Pregate gli uni per gli altri" (Gc 5,16). Dunque lo possiamo fare anche noi. Nessuno nega che Gesù Cristo sia l'unico mediatore di giustizia che con i suoi meriti ci ha ottenuto la riconciliazione con Dio. Ma al contrario è cosa empia il negare che Dio si compiaccia di fare le grazie per intercessione dei santi e specialmente di Maria sua Madre, che Gesù tanto desidera di vedere da noi amata e onorata. Chi non sa che l'onore tributato alle madri si riflette sui figli? "Gloria dei figli, i loro padri" (Prov 17,6). Perciò san Bernardo dice che non deve pensare di oscurare la gloria del figlio chi loda molto la madre, perché "quanto più si onora la madre, tanto più si loda il figlio". Sant'Ildefonso dice: "Tutto l'onore che si rende alla madre si riflette su suo figlio e fino al re s'innalzano gli omaggi rivolti alla regina del cielo". Si sa che per i meriti di Gesù è stata concessa a Maria l'autorità di essere la mediatrice della nostra salvezza: mediatrice non di giustizia, ma di grazia e d'intercessione, come appunto è chiamata da san Bonaventura: "Maria la fedelissima mediatrice della nostra salvezza". E san Lorenzo Giustiniani dice: "Come non è piena di grazia colei che è stata scelta scala del paradiso, porta del cielo e la più autentica mediatrice tra Dio e gli uomini?". Perciò con ragione sant'Anselmo scrive che quando noi preghiamo la santa Vergine di ottenerci le grazie, non è che diffidiamo della divina misericordia, ma piuttosto che diffidiamo della nostra indegnità e ci raccomandiamo a Maria affinché la sua dignità supplisca alla nostra miseria. Dunque soltanto quelli che mancano di fede possono dubitare che il ricorrere all'intercessione di Maria sia cosa molto utile e santa. Ma il punto che qui intendiamo provare è che l'intercessione di Maria è necessaria anche per la nostra salvezza: necessaria diciamo, non di una necessità assoluta, ma, propriamente parlando, di una necessità morale. Diciamo che questa necessità nasce dalla stessa volontà di Dio, il quale vuole che tutte le grazie che egli ci dispensa passino attraverso le mani di Maria, secondo il pensiero espresso da san Bernardo. E si può dire con l'autore del Regno di Maria che questa sentenza è oggi comune tra i teologi e i dottori. La seguono Vega, Mendoza, Paciuchelli, Segneri, Poiré, Crasset e molti altri dotti autori. Persino il padre Natale di Alessandro, autore peraltro così riservato nelle sue proposizioni, dice anch'egli essere volontà di Dio che noi aspettiamo tutte le grazie per l'intercessione di Maria. "Dio vuole - sono le sue parole - che ogni bene che speriamo da lui ci sia concesso per l'intercessione della Vergine Madre, quando la invochiamo come si conviene". E a conferma della sua asserzione, cita il celebre passo di san Bernardo: "E' volontà di Dio che tutto ci sia concesso per mezzo di Maria". Vincenzo Contenson esprime lo stesso pensiero. Spiegando le parole dette da Gesù Cristo in croce a san Giovanni: "Ecco tua madre", egli scrive: "Come se dicesse: Nessuno sarà partecipe del mio sangue, se non per intercessione della Madre mia. Le mie ferite sono sorgenti di grazie; ma a nessuno perverranno questi torrenti, se non per mezzo di Maria. Giovanni, mio discepolo, tanto da me sarai amato, quanto tu l'amerai". Questa proposizione, cioè che tutto il bene che riceviamo dal Signore ci viene per mezzo di Maria, non piace molto a un certo autore moderno, il quale peraltro, sebbene tratti con molta pietà e sapienza della vera e della falsa devozione, tuttavia parlando della devozione verso la divina Madre, si è dimostrato molto avaro nell'accordarle questa gloria, che non hanno avuto scrupolo a riconoscerle diversi santi come Germano, Anselmo, Giovanni Damasceno, Bonaventura, Antonino, Bernardino da Siena, il venerabile abate di Selles e tanti altri dottori, i quali non hanno avuto difficoltà a dire che per la suddetta ragione l'intercessione di Maria non solo è utile, ma necessaria. Quest'autore dice che una tale proposizione, cioè che Dio non faccia alcuna grazia se non per mezzo di Maria, e un iperbole e un'esagerazione sfuggita al fervore di alcuni santi ma che, propriamente parlando, significa semplicemente che da Maria abbiamo ricevuto Gesù Cristo, per i cui meriti riceviamo poi tutte le grazie. Altrimenti, conclude, sarebbe errore il credere che Dio non ci potesse concedere le grazie senza l'intercessione di Maria, poiché san Paolo dice che noi riconosciamo un solo Dio e un solo mediatore tra Dio e gli uomini: Gesù Cristo (1 Tm 2,5). Tali sono le idee di quest'autore. Ma come egli stesso ci insegna nel suo libro, altro è la mediazione di giustizia per via di merito, altro la mediazione di grazia per via di preghiere. Altro è il dire che Dio non possa, altro che Dio non voglia concedere le grazie senza l'intercessione di Maria. Noi confessiamo che Dio è la fonte di ogni bene e il Signore assoluto di tutte le grazie e che Maria non è che una pura creatura la quale riceve da Dio gratuitamente tutto quello che ottiene. Ma chi mai può negare quanto sia ragionevole e conveniente affermare che Dio voglia che tutte le grazie concesse alle anime redente passino e si dispensino attraverso le mani di lei, per esaltare questa incomparabile creatura, che più di tutte le altre creature lo ha onorato e amato durante la sua vita e che egli ha eletto come Madre del Figlio suo, nostro comun Redentore? Noi confessiamo, conformemente alla distinzione fatta sopra, che Gesù Cristo è l'unico mediatore di giustizia, che con i suoi meriti ci ottiene le grazie e la salvezza, ma diciamo che Maria è mediatrice di grazia e che, se tutto ciò che ottiene l'ottiene per i meriti di Gesù Cristo e perché prega e lo domanda in nome di Gesù Cristo, nondimeno tutte le grazie che noi chiediamo, le riceviamo per mezzo della sua intercessione. In ciò non vi è certamente nulla di contrario ai sacri dogmi, anzi tutto è conforme ai sentimenti della Chiesa, che nelle pubbliche preghiere da lei approvate ci insegna a ricorrere continuamente a questa divina Madre e ad invocarla: "Salute degli infermi, rifugio dei peccatori, aiuto dei cristiani, vita, speranza nostra". La stessa santa Chiesa nell'officio che fa recitare nelle festività della Vergine, applicando a lei le parole della Sapienza, ci fa capire che in Maria troveremo ogni speranza: "In me ogni speranza di vita e di virtù"; in Maria ogni grazia: "In me ogni grazia di via e di verità" (Eccli [= Sir] 24,25 Volg.). In Maria insomma troveremo la vita e la salvezza eterna: "Chi mi avrà trovato, avrà trovato la vita e riceverà la salute dal Signore" (Prov 8,35). E altrove: "Quelli che operano per me, non peccheranno; quelli che mi mettono in luce, avranno la vita eterna" (Eccli [= Sir] 24,30-31 Volg.). Tutte queste parole ci dicono la necessità che abbiamo dell'intercessione di Maria. In questo sentimento ci confermano molti teologi e santi padri che lo hanno espresso. Infatti non è giusto dire, come fa l'autore suddetto, che per esaltare Maria essi si siano lasciati sfuggire iperboli ed esagerazioni. L'esagerare e il proferire iperboli è oltrepassare i limiti del vero, il che non si può dire dei santi, che hanno parlato con lo spirito di Dio, il quale è spirito di verità. Mi si permetta qui una breve digressione per esprimere un mio sentimento. Quando un'opinione onora in qualche modo la santa Vergine, ha un certo fondamento e non ha nulla di contrario né alla fede né ai decreti della Chiesa, né alla verità, il non accettarla e il contraddirla perché anche l'opinione opposta potrebbe essere vera, denota poca devozione verso la Madre di Dio. Io non voglio essere annoverato fra questi spiriti poco devoti, né vorrei che lo fosse il mio lettore, ma piuttosto vorrei essere annoverato fra coloro che credono pienamente e fermamente tutto ciò che senza errore si può credere delle grandezze di Maria. Secondo l'abate Ruperto, "credere fermamente alle sue grandezze" è uno degli omaggi più graditi alla nostra Madre. Del resto, per toglierci il timore di eccedere nelle nostre lodi basti l'opinione di sant'Agostino, il quale afferma che tutto ciò che diciamo in lode di Maria època cosa rispetto a quel che ella merita per la sua dignità di Madre di Dio. E la santa Chiesa fa leggere nella messa della beata Vergine: "Sei infatti beata e degnissima di ogni lode, o santa Vergine Maria". Ma torniamo al punto e vediamo quello che i santi dicono a questo proposito. San Bernardo afferma che Dio ha riempito Maria di tutte le grazie affinché gli uomini, per mezzo di lei, come da un canale, ricevessero quanto viene loro di bene: "Un acquedotto sempre pieno, affinché tutti ricevano dalla sua pienezza". Inoltre il santo fa un'importante riflessione al riguardo e dice che, se prima della nascita della santa Vergine non vi fu per tutti questa corrente di grazia, è perché non vi era ancora questo acquedotto. "Ma, aggiunge, Maria è stata data al mondo affinché per mezzo di lei, come da un canale, arrivassero continuamente da Dio agli uomini i doni celesti". Come Oloferne per conquistare la città di Betulia ordinò che si rompessero gli acquedotti (Gdt 7,6-13), così il demonio cerca con ogni mezzo di far perdere alle anime la devozione verso Maria perché, chiuso questo canale di grazie, gli riesce poi facilmente d'impadronirsi di esse. San Bernardo riprende: "Guardate, o anime, con quale affetto e devozione il Signore vuole che noi onoriamo la nostra regina ricorrendo sempre con fiducia alla sua protezione, poiché ha posto in lei la pienezza di ogni bene affinché ormai tutto quanto abbiamo di speranza, di grazia e di salvezza, riconosciamo che tutto ci viene dalle mani di Maria". Ugualmente dice sant'Antonino: "Per mezzo di lei è sceso dal cielo tutto ciò che la terra ha ricevuto di grazia". Perciò Maria è paragonata alla luna. Dice san Bonaventura che, come la luna sta tra il sole e la terra e quel che dal sole riceve lo rifonde alla terra, così la Vergine regina, posta tra Dio e gli uomini, riceve le celesti influenze della grazia per trasfonderle a noi su questa terra. Perciò la Chiesa la chiama "Porta felice del cielo". San Bernardo spiega che, come ogni rescritto di grazia che viene mandato dal re passa per la porta della sua reggia, così "nessuna grazia discende dal cielo sulla terra se non passa per le mani di Maria". San Bonaventura aggiunge che Maria viene chiamata porta del cielo perché nessuno può entrare in cielo se non passa per Maria che ne è la porta. Nello stesso sentimento ci conferma san Girolamo -o secondo altri un antico autore del sermone dell'Assunzione inserito tra le sue opere - il quale dice che in Gesù Cristo fu la pienezza della grazia come nel capo, da cui poi si diffondono alle sue membra, che siamo noi, tutti gli spiriti vitali, cioè gli aiuti divini necessari per conseguire la salvezza eterna. In Maria poi fu anche la stessa pienezza come nel collo che la distribuisce alle membra. Lo stesso pensiero è espresso da san Bernardino da Siena, il quale dice che per mezzo di Maria si trasmettono ai fedeli, che sono il corpo mistico di Gesù Cristo, tutte le grazie della vita spirituale che discendono da Gesù loro capo. San Bonaventura ce ne dice la ragione: "Essendosi Dio compiaciuto di abitare nel seno di questa santa Vergine, non temo di affermare che ella ha acquisito una certa giurisdizione sopra tutte le grazie, poiché da questo seno purissimo, come da un oceano celeste, sono usciti con Gesù tutti i fiumi dei doni divini". Lo stesso pensiero esprime con termini più chiari san Bernardino da Siena: "Dal tempo in cui la Vergine Madre concepi nel suo seno il Verbo divino, ha acquisito per così dire un diritto speciale sui doni che a noi procedono dallo Spirito Santo, in modo che nessuna creatura ha poi ricevuto da Dio alcuna grazia se non per mezzo di Maria e dalle sue mani". Così appunto viene interpretato da un autore quel passo di Geremia in cui parlando dell'Incarnazione del Verbo e di Maria sua madre, il profeta dice che una donna doveva circondare quest'Uomo-Dio (Ger 31,22 Volg.). Quest'autore spiega: "Come dal centro di un circolo non esce nessuna linea che non passi per la circonferenza che lo circonda, così da Gesù, che è il centro di ogni bene, nessuna grazia può venirci se non per mezzo di Maria, che lo ha circondato dopo averlo ricevuto nel suo seno". San Bernardino da Siena dice che "perciò tutti i doni, tutte le virtù e tutte le grazie sono dispensate per mano di Maria a quelli che ella vuole, quando vuole e come vuole". Allo stesso modo Riccardo di san Lorenzo dice che "Dio vuole che quanto di bene fa alle sue creature, tutto passi per le mani di Maria". Il venerabile abate di Selles esorta dunque a ricorrere a colei che egli chiama "Tesoriera delle grazie", poiché solo per suo mezzo il mondo e tutti gli uomini possono ricevere tutto il bene che possono sperare. Dal che si vede chiaramente che i santi e gli autori citati, affermando che tutte le grazie ci vengono per mezzo di Maria, non hanno inteso dire ciò solamente perché da 'Maria abbiamo ricevuto Gesù Cristo, che è la fonte di ogni bene, come pretende l'autore suddetto, ma ci assicurano che Dio, dopo averci donato Gesù Cristo, vuole che tutte le grazie che da allora sono state dispensate, che lo sono ancora adesso e lo saranno sino alla fine del mondo, siano tutte dispensate attraverso le mani e per l'intercessione di Maria. Il padre Suarez conclude dunque: "È oggi sentimento universale della Chiesa che l'intercessione della santa Vergine ci è non soltanto utile, ma necessaria". Necessaria, come abbiamo detto, non di necessità assoluta, perché solamente la mediazione di Gesù Cristo ci è assolutamente necessaria; ma di necessità morale, poiché, secondo il pensiero della Chiesa espresso da san Bernardo, Dio ha determinato che nessuna grazia sia dispensata a noi se non per mano di Maria. E prima di san Bernardo, sant'Ildefonso si era rivolto alla Vergine dicendo: "O Maria, il Signore ha decretato di raccomandare alle tue mani tutti i beni che egli ha disposto di dare agli uomini e perciò a te ha affidato tutti i tesori e le ricchezze delle grazie". Per questo san Pier Damiani dice che Dio non volle farsi uomo se non col consenso di Maria; anzitutto affinché noi tutti le fossimo sommamente obbligati, poi affinché comprendessimo che da lei dipende la salvezza di tutti. Isaia (11,1-3) aveva profetizzato la nascita di Maria e quella del Verbo incarnato che doveva nascere da lei come un fiore: "Una verga spunterà dal tronco di lesse, un fiore dalle sue radici, su di lui si poserà lo Spirito del Signore". Meditando su queste parole san Bonaventura esclama: "Chiunque desidera ottenere la grazia dello Spirito Santo, cerchi il fiore nella verga, cioè Gesù in Maria, poiché attraverso la verga si arriva al fiore e attraverso il fiore si arriva a Dio". E aggiunge: "Se vuoi avere questo fiore, cerca con le preghiere d'inclinare a tuo favore la verga del fiore e l'otterrai". D'altra parte a proposito delle parole: "Trovarono il bambino con Maria sua madre" (Mt 2,11), il santo dice: "Non si troverà mai Gesù se non con Maria e per mezzo di Maria". E conclude: "Invano cerca Gesù chi non cerca di trovarlo insieme con Maria". Così sant'Ildefonso diceva: "Io voglio essere servo del Figlio e poiché non lo sarà mai chi non è servo della Madre, ambisco al servizio di Maria".

    Esempio

    Il Belluacense (Vincenzo di Beauvais) e il Cesario narrano che un giovane nobile che il padre aveva lasciato ricco, essendosi ridotto per i suoi vizi così povero che doveva mendicare, si allontanò dalla patria per andare a vivere con minor vergogna in un paese lontano dove non fosse conosciuto. Durante il viaggio incontrò un vecchio servo di suo padre il quale, vedendolo così afflitto per la povertà in cui era caduto, gli disse di farsi coraggio perché voleva presentarlo a un principe molto generoso che lo avrebbe provveduto di tutto. Ma il vecchio servo era un empio stregone. Un giorno, prese con sé il povero giovane e lo portò attraverso un bosco fino a uno stagno dove cominciò a parlare con una persona che non si vedeva; sicché il giovane gli domandò con chi parlasse. Rispose: "Con il demonio". Vedendo il giovane spaventato, gli disse di non temere e seguitò a parlare con il demonio: "Signore, questo giovane è ridotto in miseria estrema e vorrebbe ritornare nella sua condizione originaria". "Se vorrà ubbidirmi, rispose lo spirito del male, lo renderò più ricco di prima; ma anzitutto deve rinnegare Dio". A queste parole il giovane inorridì, ma poi, istigato da quel maledetto mago, rinnegò Dio. "Non basta, riprese il demonio; bisogna che rinneghi anche Maria. Da lei infatti derivano le nostre maggiori perdite. Quante anime toglie dalle nostre mani, le riconduce a Dio e le salva!". "Questo no! rispose il giovane. Non rinnegherò la Madre mia che è tutta la mia speranza. Preferisco piuttosto andar mendicando per tutta la vita". E si allontanò da quel luogo. Mentre se ne ritornava, si trovò a passare davanti a una chiesa "Ma quest'ingrato, Madre mia, mi ha rinnegato". Vedendo però che la Madre non cessava di pregarlo, rispose infine: "Madre, io non ti ho negato mai niente; sia perdonato, poiché tu me lo chiedi". Un uomo, che aveva comperato i beni di quel dissipatore, assisteva segretamente a questa scena. Avendo visto la misericordia di Maria verso quel peccatore, gli diede per moglie la sua unica figlia e lo nominò erede di tutti i suoi averi. Così il giovane per mezzo di Maria ricuperò la grazia di Dio e anche i beni temporali.

    Preghiera

    Anima mia, vedi che bella speranza di salvezza e di vita eterna ti dona il Signore nell'averti dato, per sua misericordia, fiducia nella protezione di sua Madre, dopo che tu per i tuoi peccati hai meritato tante volte la sua disgrazia e l'inferno. Ringrazia dunque il tuo Dio e ringrazia la tua protettrice Maria, che si è degnata di prenderti sotto il suo manto, come ti dimostrano le tante grazie che per suo mezzo hai ricevuto. Sì, ti ringrazio, amorevole Madre mia, di tutto il bene che hai fatto a me sciagurato, degno dell'inferno. Mia regina, da quanti pericoli mi hai liberato! Quanta luce e quanta misericordia mi hai ottenuto da Dio! Quale grande bene o quale grande onore hai ricevuto da me per esserti così impegnata a beneficarmi? Tu non hai ascoltato che la tua bontà. Anche se dessi per te il sangue e la vita, sarebbe poca cosa rispetto alla riconoscenza che ti devo per avermi liberato dalla morte eterna. Tu mi hai fatto riacquistare, come spero, la grazia divina; da te insomma riconosco di aver ricevuto tutto. Mia amabile regina, io misero non posso far altro che lodarti sempre e amarti. Degnati di accettare l'affetto di un povero peccatore, conquistato dalla tua bontà. Se il mio cuore è indegno di amarti, perché pieno di brutture e di affetti terreni, dipende da te cambiarlo, cambialo tu. Legami tu al mio Dio, legami così fortemente che io non possa separarmi mai più dal suo amore. Questo tu mi chiedi, che io ami il tuo Dio; questo io ti chiedo: ottienimi di amarlo, di amarlo sempre e non desidero altro. Amen.

    2. Seguito dello stesso argomento

    San Bernardo dice che come un uomo e una donna hanno cooperato alla nostra rovina, così fu conveniente che un altro uomo e un'altra donna cooperassero alla nostra riparazione: Gesù e Maria sua Madre. Senza dubbio, dice il santo, Gesù Cristo da solo sarebbe stato pienamente sufficiente per redimerci, ma "fu più conveniente che alla nostra redenzione collaborassero l'uno e l'altro sesso, non essendo stato estraneo alla nostra perdizione né l'uno né l'altro". Perciò il beato Alberto Magno chiama Maria la "cooperatrice della redenzione". La santa Vergine stessa rivelò a santa Brigida che, come Adamo ed Eva vendettero il mondo per una mela, così ella e il Figlio riscattarono il mondo con un solo cuore. Sant'Anselmo conferma: "Dio ha potuto creare il mondo dal nulla, ma essendosi perduto il mondo per il peccato, Dio non ha voluto ripararlo senza la cooperazione di Maria". Il padre Suarez spiega che la divina Madre ha cooperato in tre modi alla nostra salvezza: in primo luogo con l'aver meritato, con merito di convenienza (de congruo), l'incarnazione del Verbo. In secondo luogo, con il suo zelo a pregare per noi, mentre viveva su questa terra; infine con l'offrire a Dio il sacrificio della vita del Figlio per la nostra salvezza. Perciò il Signore ha stabilito che avendo Maria cooperato con tanto amore verso gli uomini e con tanta gloria per Dio alla redenzione di tutti, tutti poi per mezzo della sua intercessione ottengano la salvezza. "Maria viene chiamata la cooperatrice della nostra giustificazione perché Dio ha affidato a lei tutte le grazie che vengono dispensate a noi". Perciò san Bernardo la proclama universale mediatrice della salvezza: "Tutti quelli che ci hanno preceduto, noi che esistiamo e quelli che seguiranno dobbiamo tutti rivolgere i nostri sguardi verso Maria, come verso il centro e il punto culminante di tutti i secoli". Disse Gesù Cristo: "Nessuno può venire a me se il Padre non lo attira" (Gv 6,44). Così pure, secondo Riccardo di san Lorenzo, Gesù dice di sua Madre: "Nessuno viene a me se la madre mia non lo attira con le sue preghiere". Gesù fu frutto di Maria, come le disse santa Elisabetta: "Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo seno" (Lc 1,42). Chi vuole il frutto, deve andare all'albero. Chi vuole dunque Gesù, deve andare a Maria e chi trova Maria trova certamente anche Gesù. Santa Elisabetta, quando vide la santa Vergine che era andata a visitarla nella sua casa, non sapendo come ringraziarla, esclamò umilmente: "A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?" (Lc 1,43). Ma come? Non sapeva santa Elisabetta che non solo Maria, ma anche Gesù era venuto nella sua casa? Perché poi si dice indegna di ricevere la Madre e non piuttosto di vedere il Figlio venuto a trovarla? Il fatto è che la santa comprendeva che quando viene Maria, porta anche Gesù e perciò le bastò ringraziare la Madre senza nominare il Figlio. "E come la nave di un mercante, che fa venire da lontano il suo pane" (Prov 31,14). Maria fu questa felice nave che dal cielo portò a noi Gesù Cristo, pane vivo, disceso dal cielo per dare a noi la vita eterna: "Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se qualcuno mangia di questo pane, vivrà in eterno" (Gv 6,51). Riccardo di san Lorenzo scrive: "Nel mare di questo mondo si perderanno tutti coloro che non saranno ricevuti in questa nave", cioè non protetti da Maria. "Perciò, ogni volta che ci vediamo in pericolo di perderci per le tentazioni e le passioni della vita presente, dobbiamo ricorrére a Maria gridando: Presto, Signora, aiutaci, salvaci se non vuoi vederci perduti". Si noti qui per inciso che Riccardo di san Lorenzo non dubita che si possa dire a Maria: "Salvaci, siamo perduti", come fa difficoltà l'autore più volte citato nel paragrafo precedente, il quale proibisce di poter dire alla Vergine che ci salvi, poiché, secondo lui, il salvarci spetta solo a Dio. Ma se un condannato a morte può chiedere a un favorito del re che lo salvi intercedendo presso il principe affinché gli faccia grazia della vita, perché non possiamo noi dire alla Madre di Dio che ci salvi ottenendoci la grazia della vita eterna? San Giovanni Damasceno non esitava a dire alla Vergine: "Regina immacolata e pura, salvami, liberami dalla dannazione eterna". San Bonaventura chiamava Maria: "Salvezza di quelli che ti invocano". La santa Chiesa approva che la si invochi "Salute degli infermi". E noi ci faremo scrupolo di chiederle che ci salvi, dal momento che, come dice un autore, "a nessuno se non per mezzo suo si apre il cammino della salvezza". Già prima san Germano aveva esclamato: "Nessuno sarà salvo se non per mezzo tuo". Ma vediamo altre parole dei santi sulla necessità che abbiamo dell'intercessione della divina Madre. Diceva il glorioso san Gaetano che noi possiamo chiedere le grazie, ma non potremo mai ottenerle senza l'intercessione di Maria. Sant'Antonino lo confermava con queste belle parole: "Chi domanda e vuole ottenere le grazie senza l'intercessione di Maria, pretende di volare senza le ali". Come Faraone disse a Giuseppe: "La terra d'Egitto è nelle tue mani" (Gn 47,6) e mandava da Giuseppe tutti coloro che ricorrevano a lui per soccorso: "Andate da Giuseppe" (Gn 41,55), così Dio, quando noi gli chiediamo le grazie, ci manda da Maria: "Andate da Maria". Egli infatti, dice san Bernardo, "ha decretato di non concedere alcuna grazia se non per mano di Maria". Perciò Riccardo di san Lorenzo osserva: "La nostra salvezza è nelle mani di Maria, sicché con maggior ragione che gli Egiziani a Giuseppe, noi cristiani possiamo dire: "La nostra salvezza è nelle sue mani" ". Anche Raimondo Giordano, il venerabile Idiota, dice: "La nostra salvezza è nelle sue mani". Con maggior forza Cassiano asserisce: "Tutta la salvezza del mondo sta nella moltitudine dei favori di Maria". Egli afferma dunque che la salvezza di tutti consiste nell'essere favoriti e protetti da Maria. Chi è protetto da Maria si salva; chi non è protetto, si perde. San Bernardino da Siena le dice: "Tu sei la dispensatrice di tutte le grazie: la nostra salvezza è nelle tue mani" e da te dipende. Perciò Riccardo di san Lorenzo aveva ragione di dire che come una pietra cade appena viene tolta la terra che la sostiene, così un anima, tolto l'aiuto di Maria, cadrà prima nel peccato e poi nell'inferno. San Bonaventura aggiunge che Dio non ci salverà senza l'intercessione di Maria e continua: "Come un bambino senza la nutrice non può vivere, così senza la nostra regina non si può avere la salvezza". Conclude dunque esortando: "Che l'anima tua abbia sete di devozione a Maria; conservala sempre e non lasciarla, finché tu non abbia ricevuto in cielo la sua materna benedizione". Ascoltiamo le belle parole di san Germano: "Nessuno arriva alla conoscenza di Dio se non per mezzo tuo, Maria santissima; nessuno si salva se non per mezzo tuo, Madre di Dio; nessuno sarebbe libero dai pericoli se non fosse per te, Vergine madre; nessuno riceverebbe alcuna grazia da Dio se non fosse per te, piena di grazia". E altrove san Germano le dice: "Se tu non gli aprissi la via, nessuno sarebbe libero dai morsi della carne e del peccato". Come abbiamo accesso presso l'eterno Padre soltanto per mezzo di Gesù Cristo, così, dice san Bernardo, noi abbiamo accesso presso Gesù Cristo soltanto per mezzo di Maria. Il Signore, prosegue san Bernardo, ha determinato che ci salviamo tutti per intercessione di Maria affinché per mezzo di Maria ci riceva quel Salvatore che per mezzo di lei è stato a noi donato e perciò il santo la chiama madre della grazia e della nostra salvezza: "Che ne sarà di noi, riprende san Germano, quale speranza ci rimarrà di salvarci se ci abbandoni, Maria, tu che sei la vita dei cristiani?". Ma, replica l'autore moderno di cui abbiamo parlato, se tutte le grazie passano per le mani di Maria, quando noi imploriamo l'intercessione dei santi, devono essi ricorrere alla mediazione di Maria per ottenerci le grazie? Questo, nessuno lo crede né lo ha mai sognato. In quanto al crederlo, rispondo che in ciò non vi può essere alcun errore o inconveniente. Quale inconveniente vi sarà nel dire che Dio per onorare sua Madre, che ha costituito regina dei santi, volendo che tutte le grazie siano dispensate per mano di lei voglia anche che i santi stessi ricorrano a lei per ottenere grazie ai loro devoti? In quanto poi al dire che nessuno lo ha mai sognato, io trovo che l'hanno asserito espressamente san Bernardo, sant'Anselmo, san Bonaventura, il padre Suarez e altri. "Invano, dice san Bernardo, si pregherebbero gli altri santi per ottenere qualche grazia, se Maria non intervenisse". Così un autore spiega questo passo di Davide: "I ricchi del popolo cercano il tuo volto" (Sal 44,13). I ricchi del grande popolo di Dio sono i santi, i quali quando vogliono impetrare qualche grazia per i loro devoti si raccomandano a Maria per ottenerla. Giustamente, dice il padre Suarez, noi preghiamo i santi che siano i nostri intercessori presso Maria, loro signora e regina: "Non ci rivolgiamo ai santi perché uno di loro interceda a nostro favore presso un altro, perché sono tutti uguali. Ma possono intercedere presso la Vergine come loro signora e regina". Il padre Marchese racconta che san Benedetto apparve un giorno a santa Francesca Romana e prendendola sotto la sua protezione le promise di essere suo avvocato presso la divina Madre. A conferma di ciò, sant'Anselmo così parla alla Vergine: "Quello che possono ottenere le intercessioni di tutti questi santi uniti con te, puoi ben ottenerlo da sola, senza il loro aiuto. Perché, seguita a dire il santo, tu sola hai tanta potenza? Perché tu sola sei la Madre del nostro comune Salvatore, la sposa di Dio, la regina universale del cielo e della terra. Se tu non parli per noi, nessun santo pregherà per noi e ci aiuterà. Ma se tu vorrai pregare per noi, tutti i santi si faranno premura di supplicare per noi il Signore e di soccorrerci". "Il giro del cielo da sola ho percorso" (Eccli [= Sir] 24,8 Volg.). Nel suo libro Divoto di Maria, il padre Segneri, con la santa Chiesa, applica a Maria queste parole della Sapienza e dice che come la prima sfera con il suo movimento fa muovere tutte le altre, così quando Maria si mette a pregare per un' anima fa sì che tutto il paradiso si metta a pregare con lei. "Anzi, dice san Bonaventura, quando la santa Vergine avanza verso il trono di Dio per intercedere in nostro favore, comanda con la sua autorità di regina agli angeli e ai santi che l'accompagnino e uniscano insieme alla sua le loro preghiere all'Altissimo". Comprendiamo così la ragione per cui la santa Chiesa ci impone di invocare e salutare la divina Madre col grande nome di Speranza nostra: Spes nostra, salve. Lutero diceva di non poter sopportare che la Chiesa romana chiamasse Maria, una creatura, la nostra speranza, la nostra vita. Egli diceva infatti che solo Dio e Gesù Cristo, come nostro mediatore, sono la nostra speranza e che Dio maledice invece chi ripone la propria speranza nella creatura, secondo le parole di Geremia: "Maledetto l'uomo che confida nell'uomo" (Ger 17,5). Ma la Chiesa ci insegna a invocare sempre Maria e a chiamarla nostra speranza, Spes nostra, salve. Chi ripone la sua speranza nella creatura indipendentemente da Dio, questi certamente viene maledetto da lui, poiché Dio è l'unica fonte e il dispensatore di ogni bene e la creatura senza di lui non ha niente né può dare niente. Ma se, come abbiamo dimostrato, il Signore ha disposto che tutte le grazie passino per le mani di Maria come per un canale di misericordia, possiamo, anzi dobbiamo affermare che Maria è la nostra speranza, per mezzo di cui riceviamo le grazie divine. Perciò san Bernardo esclamava: "Figlioli, in lei è la mia più grande fiducia, in lei tutto il fondamento della mia speranza". E san Giovanni Damasceno così parlava alla santa Vergine: "Mia regina, in te ho posto tutta la mia speranza e con gli occhi fissi su di te da te attendo la mia salvezza". San Tommaso dice che Maria è tutta la nostra speranza di vita. Sant'Efrem esclama: "Vergine fedele, se vuoi vederci salvi, accoglici sotto le ali della tua misericordia, poiché non abbiamo altra speranza di salvarci che per mezzo tuo".Concludiamo dunque con san Bernardo: "Procuriamo di venerare con tutti gli affetti del cuore la nostra divina Madre, poiché è volontà di Dio che noi riceviamo tutto il bene per mano di Maria". Perciò il santo ci esorta: ogni volta che desideriamo e domandiamo qualche grazia, raccomandiamoci a Maria e confidiamo di ottenerla per mezzo suo. Poiché "se sei indegno di ricevere la grazia desiderata, meriterà di ottenerla Maria che la chiederà a tuo favore". San Bernardo ammonisce quindi: "Se non vuoi avere un rifiuto da parte di Dio, per tutto ciò che gli offri di opere o di preghiere, ricordati di raccomandarlo a Maria".

    Esempio

    È famosa la storia di Teofilo scritta da Eutichiano, patriarca di Costantinopoli, che fu testimone oculare del fatto qui narrato e che è confermata da san Pier Damiani, da san Bernardo, san Bonaventura, sant'Antonino e altri citati dal padre Crasset. Teofilo era arcidiacono della chiesa di Adana, città della Cilicia. Era tanto stimato che il popolo lo voleva come suo vescovo, ma egli rifiutò per umiltà. In seguito però ad accuse di alcuni calunniatori, egli fu deposto dalla sua carica e ne provò un tale dolore che, accecato dalla passione, andò a trovare un mago ebreo il quale lo fece incontrare con Satana, perché lo aiutasse nella sua disgrazia. Il demonio rispose che se voleva il suo aiuto doveva rinunziare a Gesù e a Maria sua Madre e consegnargli l'atto di rinunzia scritto di propria mano. Teofilo scrisse l'atto esecrando. Il giorno seguente il vescovo, avendo saputo il torto che gli era stato fatto, gli chiese perdono e lo reintegrò nella sua carica. Allora Teofilo, lacerato dai rimorsi per l'enorme peccato commesso, non faceva altro che piangere. Se ne va quindi in una chiesa, si butta piangendo ai piedi di un'immagine di Maria e dice: "Madre di Dio, io non mi voglio disperare, poiché tu sei così pietosa e mi puoi aiutare". Passò così quaranta giorni a piangere e a pregare la santa Vergine.
    Ed ecco che una notte la Madre di misericordia gli appare e gli dice: "Teofilo, che hai fatto? Hai rinunziato all'amicizia mia e di mio Figlio e per chi? Per il nemico mio e tuo". "Signora, rispose Teofilo, ci devi pensare tu a perdonarmi e a farmi perdonare da tuo Figlio". Allora Maria, vedendo la sua fiducia, gli disse: "Fatti coraggio, perché voglio pregare Dio per te". Rianimato da queste parole Teofilo raddoppiò le lacrime, le penitenze e le preghiere, rimanendo davanti a quell'immagine. Ed ecco che Maria gli comparve di nuovo e con aria gioiosa gli disse: "Teofilo, rallègrati; ho presentato le tue lacrime e le tue preghiere a Dio. Egli le ha accettate e già ti ha perdonato, ma da oggi in poi sii grato e fedele a lui". "Signora, replicò Teofilo, ciò non mi basta per essere pienamente consolato; il demonio ha ancora in mano sua quell'atto esecrando in cui ho rinunziato a te e a tuo Figlio. Tu puoi farmelo restituire". Tre giorni dopo Teofilo si sveglia di notte e si trova sul petto lo scritto. L'indomani, mentre il vescovo stava in chiesa alla presenza di una grande folla, Teofilo andò a gettarsi ai suoi piedi, gli narrò tutto il fatto piangendo dirottamente e gli consegnò l'infame scritto, che il vescovo fece subito bruciare davanti a tutta la gente che piangeva di gioia, esaltando la bontà di Dio e la misericordia di Maria verso quel misero peccatore. Teofilo ritornò nella chiesa della Vergine e li dopo tre giorni morì serenamente, ringraziando Gesù e la sua santa Madre.

    Preghiera

    O regina e madre di misericordia, che dispensi le grazie a tutti coloro che ricorrono a te, con tanta liberalità perché sei regina e con tanto amore perché sei la nostra amorevole madre, a te oggi mi raccomando io così povero di meriti e così carico di debiti verso la giustizia divina. Maria, tu detieni la chiave di tutte le misericordie divine; non ti scordare delle mie miserie, non mi lasciare nella mia così grande povertà. Tu sei così generosa con tutti, pronta a dare più di quello che ti si chiede, sii così anche con me. Signora, proteggimi: è tutto ciò che ti domando. Se tu mi proteggi, io non temo nulla. Non temo i demoni, perché tu sei più potente di tutto l'inferno; non temo i miei peccati, perché basterà una parola detta da te a Dio per ottenermene il perdono generale. Non temo neppure, se ho il tuo favore, la collera di Dio, poiché a una tua preghiera egli subito si placa. Insomma, se tu mi proteggi, io spero tutto, perché tu puoi tutto. Madre di misericordia, io so che tu trovi il tuo piacere e la tua gloria nell'aiutare i più miserabili quando, non trovandoli ostinati nel male, li puoi aiutare. Io sono peccatore, ma non sono ostinato; voglio cambiare vita. Tu dunque puoi aiutarmi: aiutami e salvami. Oggi mi metto tutto nelle tue mani. Dimmi che cosa devo fare per piacere a Dio, perché lo voglio fare e con il tuo aiuto spero di farlo, Maria, Maria, madre, luce, consolazione, rifugio e speranza mia. Amen, amen, amen.

 

 
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