Spionaggio parallelo alle spalle della Cia? L’incontro a Washington fu organizzato proprio dalla Cia, ed era con la Rice

Roma. L’incontro segreto del generale Nicolò Pollari (Sismi) e di Stephen Hadley (National Security Council) alle spalle della Cia fu organizzato dalla Cia, che era presente. L’incontro che secondo Repubblica è la prova regina del Nigergate italiano non era affatto segreto. E non era nemmeno con Hadley, ma con la Rice, alla presenza di numerosi testimoni. La prova del contributo diretto del nostro paese “agli sforzi clandestini dell’intelligence parallela creata da Dick Cheney” (parole di Repubblica) per superare le diffidenze e i dubbi della Cia riguardo alle prove sulle armi di Saddam si dissolve nella nebbia del giornalismo militante. Un normalissimo e protocollare incontro di una quindicina di minuti tra il capo del Sismi e Condoleezza Rice, al quale tra gli altri ha partecipato anche Hadley. Un’altissima fonte di intelligence comunica: “L’incontro avvenuto a Washington il 9 settembre 2002 era inserito nel contesto dell’agenda predisposta dalla Cia per la visita al Consigliere per la Sicurezza Nazionale, Condoleezza Rice, della delegazione italiana guidata dal Direttore del Servizio, Nicolò Pollari. L’incontro è avvenuto come previsto, anche alla presenza di un alto dirigente della Cia, con il Consigliere per la Sicurezza Nazionale Condoleezza Rice al cui seguito era, tra gli altri, anche il suo vice Stephen J. Hadley. Ogni interlocuzione è intervenuta esclusivamente tra il Consigliere per la Sicurezza Nazionale Condoleezza Rice e il Direttore del Sismi Nicolò Pollari. Gli altri membri, sia italiani sia statunitensi presenti, non sono intervenuti nel colloquio durato circa quindici minuti. Sono dunque rigorosamente false le indicazioni riportate da alcuni organi di stampa che prospettano un incontro diretto, o comunque un colloquio, tra il Direttore del Sismi e Stephen J. Hadley. Trattasi dunque di una circostanza che non corrisponde alla realtà. Peraltro gli argomenti trattati - tutti rigorosamente protocollari - non hanno riguardato problematiche concernenti l'Iraq o il Niger”.
La “conferma americana” dell’incontro “segreto”, lanciata dal Los Angeles Times e ripresa ieri da Repubblica, acquista una luce completamente diversa nel momento in cui il Foglio, sempre ieri, ha chiamato la Casa Bianca e si è fatto passare il portavoce di Hadley, Frederick Jones: “Ciò che è stato fatto della mia dichiarazione è un modo disononesto e scorretto di fare giornalismo”, dice al Foglio con voce adirata l’alto funzionario del Consiglio per la Sicurezza Nazionale.
A smentire punto per punto la ricostruzione spionistica del Nigergate fornita da Repubblica, già dimostrata per tabulas su queste colonne, non ci sono soltanto le dichiarazioni ufficiali, ma anche due diverse inchieste bipartisan e indipendenti, americane e inglesi, che sbriciolano i pilastri dell’inchiesta dei republicones. Non tornano i fatti, le circostanze, le date. A queste due inchieste pubbliche, rintracciabili da chiunque su Internet, la prima del Senato di Washington e la seconda di Lord Butler in Inghilterra, vanno aggiunte due ulteriori indagini, una della magistratura italiana e una dell’Fbi, che a loro volta escludono ogni coinvolgimento diretto dei servizi e del governo italiano sia nella fabbricazione del dossier (che peraltro risale al 2000, quando a Palazzo Chigi c’era Giuliano Amato), sia nella sua diffusione, sia nell’uso politico.

Il primo salto logico
Le smentite sono di ogni ordine e grado, italiane, americane, inglesi e poi politiche, istituzionali, giudiziarie, investigative e quasi si fa fatica a decidere da che parte cominciare. Eppure Repubblica continua a non tenerne conto. La tesi del giornale è questa: un ex agente dei servizi italiani, con l’aiuto di un dirigente Sismi, ha creato un dossier falso sull’acquisto iracheno di uranio nigerino. Il truffatore ha venduto quelle carte a Parigi, ma i servizi francesi hanno riconosciuto il bidone e cestinato il dossier. Ma qui c’è il primo salto logico dell’inchiesta militante di Repubblica. I francesi non hanno cestinato affatto il dossier patacca. Lo hanno usato, ufficialmente e in più occasioni, per confermare agli americani la veridicità dell’accordo Niger-Iraq sulla compravendita di uranio. Lo snodo è fondamentale, perché chiarito che i francesi non cestinano il dossier, crolla il fondamento della tesi di Repubblica. La prova è nel rapporto finale della Commissione bipartisan del Senato sull’Intelligence (luglio 2004).
Il rapporto del Senato dice: “Il 22 novembre 2002, durante un meeting con funzionari del Dipartimento di Stato, il direttore della nonproliferazione del ministero degli Esteri francese disse che la Francia aveva informazioni su un tentativo di acquisto di uranio dal Niger”. E anche “che la Francia pensava che l’uranio non fosse stato consegnato, ma credeva che l’informazione sul tentativo iracheno di procurarsi l’uranio dal Niger fosse vera”. E’ la stessa Francia, dunque, a promuovere, anche durante incontri diplomatici, il contenuto del falso dossier.
Il 3 febbraio e poi il 4 marzo 2003, cioè a pochi giorni dall’invasione dell’Iraq, i servizi francesi confermano la validità del dossier che, secondo Repubblica, tutti sanno essere una bufala. Il 3 febbraio gli americani chiedono a un “servizio straniero”, cioè alla Francia, se “l’informazione non provenga da un altro servizio straniero”, ovvero da quello italiano. I francesi rispondono di no, l’informazione è “di origine nazionale”.
Il 4 marzo 2003 Washington viene a sapere che “i francesi hanno basato la loro iniziale valutazione sul tentativo di acquistare uranio dal Niger dagli stessi documenti” fabbricati in Italia. Dopo aver dimenticato il ruolo attivo dei francesi riguardo il falso dossier acquistato dal loro agente, Repubblica manipola un dettaglio del rapporto del Senato: “Il 4 marzo il governo francese avverte Washington che il dossier sull’uranio è falso”. Ma al rapporto del Senato la smentita non risulta. Risulta piuttosto che i francesi confermano che le loro informazioni nascono“dagli stessi documenti inviati all’Aiea” (Il giorno precedente l’Aiea aveva detto che il dossier era falso). Dunque: il viaggio americano di Pollari non correva sul “doppio binario” dei fantomatici “sforzi clandestini di intelligence” di Hadley, né all’insaputa della Cia. Le conferme sulla veridicità di quei documenti agli americani è arrivata ripetutamente dai francesi, cioè da coloro che avevano richiesto e poi acquistato il falso dossier. Un dossier, peraltro, creato in un’altra epoca storica, tra il 1999 e il 2000, quando Rocco Martino usò una fonte italiana all’ambasciata di Roma del Niger e vecchie informazioni d’intelligence italiane per confezionare il bidone a uso dei francesi. Bush era in Texas, l’11 settembre era di là da venire, a Palazzo Chigi non c’era Silvio Berlusconi.
Gli americani vengono a conoscenza del falso dossier soltanto il 9 ottobre 2002, quando una giornalista di Panorama, contattata da Rocco Martino, lo consegna all’Ambasciata Usa a Roma. Un mese dopo, il 22 novembre, i francesi lo confermano. Bush però non ha mai citato quei documenti, nemmeno nel discorso sullo Stato dell’Unione 2003, affidandosi a prove inglesi. Gli inglesi non hanno mai usato la patacca italo-francese. E’ scritto a chiare lettere sia nel rapporto Butler di Londra, sia nel rapporto del Senato.
Christian Rocca

(28/10/2005)

Come al solito dal foglio di oggi.

Cordiali Saluti