Il rapporto tra cattolicesimo e fascismo sul terreno del «mito nazionale» si giocò in un intreccio di «convergenza» e «strumentalizzazione reciproca».

Da un lato il regime «inseriva sincreticamente il cattolicesimo nel suo mito politico nazionale e nella religione dello Stato fascista». Dall'altro i cattolici «cercavano di usare il regime e il suo apparato mitico simbolico in favore dell'Italia cattolica». I due attori erano, dunque, in una collaborazione che non escludeva la competizione. E se il primo aveva un progetto «totalitario», la Chiesa ne perseguiva uno «totale», cioè di organizzazione «massicciamente coesa e onnicomprensiva», che tendeva a rivaleggiare con «le nuove dimensioni religiose della politica».

Sono le conclusioni cui giunge Renato Moro in un articolo nel quale analizza le connessioni tra «Nazione, cattolicesimo e regime fascista», che appare sul primo numero della nuova Rivista di storia del cristianesimo, edita da Morcelliana.

Il saggio propone una conferenza tenuta dall'autore al Congresso internazionale su «Fascismo e franchismo», tenutosi a Roma nel gennaio 2001. E la domanda che soggiace alla ricostruzione è proprio quella che concerne l'esistenza anche in Italia di un nazional-cattolicesimo di tipo spagnolo. La nostra situazione si presenta più complessa e diversificata soprattutto dal punto di vista temporale e a partire dal diverso ruolo assegnato alla religione dal nazionalismo - che la vedeva più come fattore passivo di conservazione - e fascismo, che le riconosceva invece una valenza dinamica spiritualistica e vitalistica.

Nei «moderati» anni Venti si affermò un «cattolicesimo nazionale», in cui ci si richiamava da ambo le parti «al valore sociale della religione e a quello dell'unità religiosa». Insomma, al binomio «Patria a fede». Con i Patti Lateranensi del 1929 questo filone culminò in una vera e propria «ideologia nazional-cattolica», con la conseguente enfatizzazione dell'«Italia cattolica» conessa al mito di Roma «sacra» ai «padri della Patria» san Francesco e Dante, alla retorica del Medioevo cristiano. Tra consonanze e scossoni (la crisi del 1931) si passa alla fase (anni Trenta) di «nazionalizzazione della fede», che sfocia in un «cattolicesimo fascista» (in una chiesa Mussolini a cavallo appare addirittura accanto a Cristo crocifisso). Infine, al termine del decennio e in coincidenza con i successi coloniali si sviluppa un vero proprio universalismo, che stempera l'«Italia cattolica», in «civiltà cristiana».

L'interpretazione di Moro si avvale dell'approfondimento in corso (e lamenta l'autore, ancora non giunto a risultati rilevanti nell'àmbito in oggetto) degli studi sulla nazionalizzazione delle masse e le culture politiche totalitarie. Per questo la vicenda non va vista solo come relazione diplomatica tra regime e Chiesa, ma va affrontata come rapporto tra cattolici e ideologia fascista. Anche qui due prospettive - quella dell'alleanza organica di "manganello e aspersorio" e quella apologetica della resistenza della Chiesa alla dittatura - sono ormai datate.

Con la complessità che abbiamo visto si giunse a una grande rilevanza della religione per la nazione. Prova ne è che al crollo del regime il cattolicesimo emerse come elemento di rinascita.

(Fonte: avvenire.it del 26.2.2004)