Il termine “neoconservatives” - più usato nella forma abbreviata “neocons” - apparve per la prima volta nel 1973, in un articolo pubblicato su Dissent, prestigiosa rivista liberal newyorkese. L’autore, Michael Harrington, intendeva indicare e criticare un gruppo di intellettuali appartenenti alla sua stessa area culturale e politica: la sinistra liberal, facente capo al Partito Democratico, contrapposto alla destra conservatrice, legata al Partito Repubblicano.

I “neoconservatori”, dunque, malgrado il loro nome e malgrado oggi siano una componente essenziale all’interno dell’amministrazione Bush, non nascono a destra. Originariamente non sono né conservatori né repubblicani. Di più: hanno contestato la politica di George Bush senior e, durante le primarie repubblicane del 2000, hanno sostenuto John McCain contro l’attuale presidente USA, che poi prevalse sul democratico Al Gore; quest’ultimo, a sua volta, era sostenuto da molti degli stessi neoconservatori. Si comprende dunque come sia un equivoco identificare tout court i neoconservatori con il Partito Repubblicano.
I neoconservatori erano, in effetti, liberal che dissentivano dalle posizioni del Partito Democratico sviluppatesi nella temperie culturale del ‘68. Saldi nel giudizio contro l’Unione Sovietica e tiepidi nella condanna della guerra in Vietnam, erano avversi agli ambienti cosiddetti radical chic caratterizzati da sentimenti ritenuti antiamericani. Il prefisso “neo”, poi, altro non è che un’espressione dispregiativa coniata dalla sinistra liberal per distinguere questa categoria da quella dei veri conservatori.
I neoconservatori, dunque, sono oggi ex liberal che seguono una filosofia che definiscono realistica e pragmatica, ancorché con una forte carica idealistia. Famosa è la definizione di uno dei padri del neoconservatorismo, Irving Kristol: “i neocons sono liberal assaliti dalla realtà. Sono i veri rivoluzionari, idealisti ma realisti”.

IDENTIKIT E STORIA
Seguendo i testi principali sul concetto di neoconservative, si può tratteggiare una sorta di identikit del neoconservatore: è un ex-liberal, fortemente anticomunista, sostenitore del sistema economico capitalista, favorevole all’idea di uno Stato minimo e, al tempo stesso, dedito ai valori della patria, della famiglia, della democrazia.
C’è da chiedersi se coloro che si definiscono neoconservatori costituiscano un movimento ideologico e istituzionale strutturato. Nel 1979 Irving Kristol scrisse che il forte individualismo dei neocons impediva loro di organizzarsi in un movimento. In effetti non esiste un “movimento” neoconservatore inteso come complesso di persone aventi un comune obiettivo, non esiste un “partito” neoconservatore. Il neoconservatorismo non è un’ideologia, ma un atteggiamento intellettuale. E’, come scrivono molti dei suoi esponenti storici, quali Norman Podhoretz, Joshua Muravchik, e lo stesso Irving Kristol, un convincimento, una sensibilità, una tendenza che non ha mai avuto o aspirato ad avere il tipo di organizzazione centrale caratteristico di un movimento. I neocons, dunque, costituiscono piuttosto una rete di ideologi, accademici, analisti, funzionari politici, opinionisti.
Molti tra i loro detrattori, sia negli Stati Uniti sia in Europa, li definiscono “idealisti disillusi”, “liberali di sinistra nervosi”, “liberal riformati”, “conventicola”, e sostengono l’idea della cospirazione della lobby neoconservatrice. Un’idea che trova poco riscontro nella realtà perché i neoconservatori agiscono pubblicamente attraverso dibattiti, pubblicazioni, analisi, commenti d’opinione.
Le origini culturali dei neocons risalgono agli anni Trenta del Novecento, alle posizioni di Irving Kristol, Melvin Lasky e Nathan Blazer, che si riunivano al City College di New York. Negli anni Quaranta e Cinquanta, Kristol prese le distanze dal socialismo e solo alla fine degli anni Sessanta si può cominciare compiutamente a parlare di neoconservatorismo quale sistema di idee, per lo più inerente alla politica estera. E’ di questi anni, infatti, il progressivo distanziamento dall’area liberal del Partito Democratico, l’avvicinamento e l’approdo a destra, condizionato da tre episodi: il conflitto arabo israeliano del 1967, che ebbe come conseguenza un progressivo isolamento internazionale di Israele; la guerra del Vietnam e il conseguente movimento pacifista, visto come una forza in grado di far recedere gli Satti Uniti dai suoi impegni internazionali, non ultimo il sostegno militare allo stato di Israele; l’allontanamento degli ebrei americani dagli afroamericani, dopo decenni di attività comuni sulla questione dei diritti civili, in seguito alla nascita del movimento “Black Power”. Quest’ultimo, infatti, assunse atteggiamenti estremistici nella difesa dei diritti civili dei neri. Ciò fu visto come un voltafaccia dagli ebrei, i quali si sentivano parte integrante della “società bianca” e si videro inoltre minacciati dal deciso sostegno del “Black Power” alla causa palestinese.
I neoconservatori, ormai divenuti una fazione interna ai democratici, formarono la “Coalizione per la maggioranza democratica” (CDM), affiancandosi al senatore dello Stato di Washington, Henry M. “Scoop” Jackson, deciso anticomunista e in conflitto, all’interno del Partito Democratico, con George McGovern, paficista, senatore del South Dakota. Intorno alla metà degli anni Settanta, la CDM si legò alla destra repubblicana - fautrice del motto “pace tramite la forza” -, nella quale spiccavano personaggi come Donald Rumsfeld, allora Segretario alla Difesa del Presidente Gerard Ford (1974-1976). Tale alleanza con la destra era tesa a contrastare la politica di distensione sugli armamenti con l’Unione Sovietica avviata dal Segretario di Stato Henry Kissinger.
Negli stessi anni, i neoconservatori si avvicinarono alla destra cristiana, preoccupata di una deriva culturale degli Stati Uniti profondamente lesiva dei “valori tradizionali” propri dello “spirito americano”. I neocons lanciarono, dunque, una campagna che denunciava un decadimento morale a livello globale assai pericoloso per i valori giudaico-cristiani.

LA SVOLTA DI REAGAN
Eletto Presidente il repubblicano (ed ex-democratico) Ronald Reagan (1980), si affermò la “Dottrina” che porta il suo nome, volta a sostenere nel mondo i gruppi ribelli in funzione antisovietica e, più generalmente, anticomunista e ad abbandonare progressivamente la politica dell’equilibrio della precedente amministrazione. Venne inaugurata una strategia mirata al ritiro del nemico sovietico, la roll back strategy (lett., “strategia dell’arretramento”), sostenuta dall’idea, espressa con la sigla TINA (There is No Alternative), secondo la quale non esisteva alternativa al modello capitalistico americano. La TINA e la roll back strategy di Reagan furono fortemente sostenute da molti gruppi di opinione, tra cui l’Heritage Foundation e l’American Enterprise Institute, oggi noti come i maggiori think tank (lett., “serbatori di pensiero”) neoconservatori.
Durante l’amministrazione Reagan il pensiero neocons si affermò in modo netto nel Partito Repubblicano, con il sostegno alla frontale contrapposizione anticomunista. L’Unione Sovietica divenne l’”impero del male”, così come oggi i cosiddetti “Stati canaglia” compongono l’”asse del male” (axis of devil), espressione coniata da David Frum, redattore dei discorsi di Bush.
Tuttavia la spinta più propulsiva dei neocons subì una battuta d’arresto negli ultimi anni della presidenza Reagan, con il disgelo tra USA e URSS e, in seguito, con la realpolitik di Bush senior tesa a porre fine ai conflitti nel Terzo mondo sostenuti dal suo predecessore. La fine della Guerra fredda fu un fatto traumatico per i neocons, sebbene rappresentasse una loro vittoria. L’anticomunismo, infatti, era stato per loro un formidabile collante ideologico.
I neocons tornarono però sulla scena nel ‘91 durante la prima guerra del Golfo, vista come un’occasione per gli Stati Uniti di affermare la propria leadership mondiale. Coniarono l’espressione “momento unipolare” per sostenere l’idea della supremazia degli Stati Uniti nel nuovo ordine mondiale. Contestarono, tuttavia, lo stretto rapporto tra Bush senior e le Nazioni Unite e il successivo ritiro dall’Iraq che permise a Saddam Hussein di restare al potere.

ISPIRAZIONI E OBIETTIVI
Secondo il pensiero neoconservative l’America è depositaria di una missione morale per portare la pace nel mondo e difende i propri valori di democrazia e libertà individuale, a costo di un uso massiccio della sua potenza militare specie laddove i cosiddetti “Stati canaglia” costituiscano una minaccia tanto per gli Stati Uniti quanto per i loro Paesi amici.
Questa idea ha origine nel credo puritano dei “Padri pellegrini” (primo nucleo di puritani, o calvinisti inglesi, rifugiatisi nel Massachusetts nel 1620 per sfuggire alle persecuzioni religiose) che, negli anni, hanno assunto due diverse tendenze culturali e politiche, una isolazionista e una interventista-internazionalista. I neocons seguono senza dubbio la seconda tendenza, promovendo il cosiddetto internazionalismo conservatore, ispirato dall’azione politica del presidente Theodore Roosevelt (1901-1909), contrapposto all’internazionalismo liberale proprio dei Presidenti Thomas Woodrow Wilson (1913-1921) e Franklin Delano Roosevelt (1932-1945), propugnatori del multilateralismo e degli accordi internazionali.
Theodore Roosevelt, tuttavia, sosteneva l’interventismo statunitense come un qualcosa che l’America avrebbe dovuto compiere per dovere, “controvoglia” e in “casi flagranti” di illeciti che l’avrebbero costretta a rendersi “forza di polizia internazionale”. I neocons vanno oltre, sostenendo la prevenzione, ovvero la necessità di “colpire il nemico prima che questo colpisca noi”. Le minacce di oggi sono, oltre al terrorismo internazionale, i regimi tirannici che, per rendersi credibili, devono dimostrare necessariamente la vulnerabilità del nemico: di qui la risposta neocons che giustifica l’uso della forza per provocare i “cambiamenti di regime”.
Il filosofo tedesco Leo Strauss, di origini ebraiche e fuggito dagli Stati Uniti poco prima dell’avvento del nazismo, influì fortemente sul pensiero neocons sostenendo che la democrazia deve imparare a fare uso della forza come deterrente contro qualunque tiranno. Altro punto ideale per i neocons è lo studioso di scienza politica Robert Kagan. Egli giusitifica l’avversione al multilateralismo, da un lato, citando l’esperienza fallimentare della politica di pacificazione a prezzo di concessioni adottata contro il nazismo, che ebbe luogo con l’accordo di Monaco del 1938, sostenuto dagli europei, dall’altro, esaltando la diversità culturale e politica tra Europa e USA. E’ sua la nota espressione: “l’America discende da Marte e l’Europa da Venere”.
Per i neocons l’esportazione della democrazia non è però solo una questione morale, ma coincide con gli interessi politici e materiali degli Stati Uniti. L’obiettivo ultimo, infatti, è perseguire e diffondere un ordine mondiale che sia compatibile sia con i valori morali, sia con gli interessi statunitensi. In questo senso gli interessi possono essere assicurati solo in un sistema che garantisca democrazia e libertà, e viceversa. Di qui l’idea neocons, a un tempo realistica e idealistica: gli interessi americani sono strettamente legati agli ideali di democrazia e libertà.
I neocons, dunque, avversano la visione cosiddetta utopistica, multilaterale, postnazionale, kantiana, propria della politica estera europea, vista da essi come perduta dietro al sogno della pace perpetua. I neocons hanno invece come obiettivo una pax americana e su tale programma hanno trovato il modo di incidere nelle scelte politiche dell’amministrazione di George W. Bush (occorre peraltro sottolineare che né il Presidente, né il suo vice Dick Cheney, né il suo Segretario di Stato Condoleeza Rice, né il Segretario alla Difesa Donald Rumsfeld sono neocons), soprattutto all’indomani dell’11 settembre 2001, quando, si disse, i neocons erano gli unici ad avere un piano politico militare già strutturato e in grado di gestire l’emergenza. Un piano che, come è noto, Bush ha deciso di attuare.

Vittorio V. Alberti
(Tratto da Aggiornamenti Sociali n.56 del Maggio 2005)
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