Originariamente Scritto da
Silvia
Raimondo de Sangro, ritenuto fino a pochi anni fa uno spietato mago-stregone, grazie soprattutto alla studiosa Clara Miccinelli è stato recentemente oggetto di un'adeguata riabilitazione, dovuta alla scoperta di numerosi documenti, anche autografi dello stesso Principe, che lo ripropongono come una delle menti più colte e geniali della sua epoca: filosofo, scienziato, mecenate, inventore di macchine idrauliche e pirotecniche. E soprattutto alchimista.
Clara Miccinelli (1)
DIAVOLO D'UN PRINCIPE: QUEL GENIO DEL '700
da Abstracta n° 2 (febbraio 1986)
Raimondo de Sangro, Principe di Sansevero, inventore eclettico, alchimista e primo Gran Maestro della Massoneria del Regno di Napoli, è certamente il genio più strano, più discusso e più temuto del Settecento napoletano. Assurto ad emblema del. male, è stato stigmatizzato assassino dai metodi sofisticati, quale "metallizzatore" e"pietrificatore" di servi; precursore "nazista" nel costruire sedie con ossa e pelle umana; tirannico mecenate di giovani artisti cui avrebbe commissionato l'esecuzione di lugubri statue per abbellire l'altrettanto ferale Cappella di famiglia. A grosse pennellate, questo è il ritratto del Sansevero. così come emerge dall'elenco di leggende — lungo due secoli –cui hanno dato l'avallo studiosi del rango di Croce, Salvatore Di Giacomo, Serao, Fabio Colonna di Stigliano.
E dì fronte a tale ritratto mi sono trovata, allorché decisi di occuparmi di lui (2); un ritratto le cui sfumature si diramavano in infiniti rivoli di sangue. Al confronto, la stessa storia di Gilles de Rais (meglio noto come Barbablù) presentava qualche attenuante. Invece per il Principe di Sansevero ecco nascere innumerevoli accuse spaventose, convergenti sul suo palazzo e sulla sua Cappella, ubicati nel cuore della vecchia Napoli. La Cappella: chiesa sconsacrata, attualmente museo privato ove s'impongono alla vista dei visitatori statue stranissime, ricoperte di veli d'assurda trasparenza (il Cristo Velato del napoletano G. Sammartino e la Pudicizia del Veneto A. Corradini), e quella denominata il Disinganno del genovese F. Queirolo, nella quale un uomo si divincola da una rete che risulta staccata dal suo stesso corpo. In che modo gli artisti riuscirono ad effettuarle? I critici d'arte hanno "partorito" emblematici ed inconcludenti giudizi, senza rispondere al quesito di fondo. La fantasia, pronta a librarsi ovunque, ha sciolto gli enigmi così: il Principe, forte dell'aiuto di Satana, plasmò marmo come molle cera insieme a grasso umano; oppure ipnotizzò e poi accecò l'artista Sammartino per impedirgli d'eseguire un duplicato del Cristo Velato; oppure ancora il de Sangro effettuava manipolazioni extrasensoriali a distanza sul marmo, grazie all'energia proveniente dai sotterranei della Cappella maledetta, nei quali aveva dimora il suo capo supremo Belzebù. In realtà un terrificante spettacolo attende il turista, quando imbocca la scaletta a chiocciola della cripta ovale (sottostante il Tempio) dove, in due armadi, due scheletri ritti lo attendono al varco, come Edipo alle porte di Tebe, per porgli il misterioso arcano della loro conservazione: un uomo e una donna, in cui tutto il sistema circolatorio — a prima vista — appare conservato sin nelle ramificazioni periferiche... Ma il visitatore non ha il tempo di formulare una sua interprelazione: su un cartello, stampato a cura dei possessori della Cappella, compare la parola "pietrificazione"; e poi, se la cosa non è chiara, gli verrà raccontato che quello è il frutto di un esperimento di "metallizzazione" del sangue, realizzato dal Principe iniettando in due servi ancora in vita un misterioso composto coagulante. […]
È giunto quindi il momento di strappare il falso canovaccio della farsa che maldisposti storici, critici e discendenti del Principe hanno messo in scena. Ecco il vero copione: come melagrana scagliata al suolo si apre il '700 e lì, in uno spicchio di rilievo, svetta Napoli quando era una capitale europea, artistica, letteraria, scientifica, militare e musicale. Prima che l'ennesima rimonta restauratrice della superstizione ufficiale, teologicamente crudele, la rigettasse nel rango di capitale canora degli spaghetti alle cozze, del ventre che non pensa e del pensiero che muore denutrito. […]
Sin dall'infanzia Raimondo aveva dato segni d'esuberanza, tanto che a dieci anni s'era ritenuto opportuno chiuderlo nel seminario di Roma, sotto la tutela dei Gesuiti: ci rimarrà a lungo con grande... gioia dei suoi maestri, costretti a subire le intemperanze del giovanetto che — superdotato intellettualmente - rifiutava i limiti del normale insegnamento. Col bagaglio culturale che in parte gli derivava dai Gesuiti e in parte dai suoi fecondi studi personali, egli cominciò a spiccare sulla mummificata aristocrazia napoletana, dall'infimo livello dottrinario. Ovviamente fu additato come un "diverso", nel senso che la sua sapienza non andava a genio. Raimondo lo sapeva e se ne disinteressava. In ciò consiste appunto il suo errore, se tale può definirsi: l'aver volutamente ignorato il duro giudizio di coevi e posteri, che si concretizzò omettendo, bluffando, celando fatti e documenti; e aver lasciato invece, quale unica completa testimonianza del suo universale sapere, pochi ermetici scritti e la sua Cappella Geritilizia, condensato d'ineffabili simboli arcani: massonici, alchemici, rosacrociani.
Mi sembrava comunque impossibile che documenti (contratti, corrispondenza, testamento) non esistessero, cosi come le favole sui due "corpi metallizzati" (Macchine Anatomiche ebbe a definirle lo stesso Raimondo in un suo scritto) mi parevano adatte solo per gonzi. Poi, nelle mie ripetute visite presso l'Archivio Notarile Distrettuale di Napoli, grazie ad un colpo di fortuna, riuscii a reperire non solo il testamento olografo del de Sangro, ma anche contratti di ingaggio agli scultori impegnati in Cappella ed all'anatomo-patologo Giuseppe Salerno, co-esecutore delle Macchine Anatomiche.
Crollavano così, una per una, le imposture esalanti odore di zolfo sulla figura del nobiluomo settecentesco: l'apparato circolatorio delle Macchine Anatomiche risultò infatti realizzato con fili di ferro e di spago, ricoperti da cera colorata con porporina, nero fumo e bleu di metilene (rosso per arterie, bleu per vene), attorcigliati su scheletri preesistenti. Un'eccellente opera anatomica eseguita a scopo didattico-scientifico, in un'epoca in cui ben poche erano le conoscenze dei "cerusici" sulla circolazione. Un altro documento giunge poi ad evidenziare l'interesse del Principe per la medicina: quello in cui Raimondo stesso descrive la terapia da lui usata nel 1746 per due ammalati, uno «Luigi Sanseverino, Principe di Visignano (...) tagliato allo stomaco per infermità malvagia senza speranza alcuna. (...) Lo stomaco fornito d'una efflorescenza dura straripante dal proprio acconcio Alveo, la quale mai i Medici eziandio potevano incidere e di Colore inchinante al Grigiastro. (...) Stomaco, il quale negli orli era a guisa di setolettc di spazzola».; l'altro «presentava pallore a guisa di cadavere. Il quale Pallore procurava a me la certezza di grave Alterazione del Circolo del Sangue». Si tratta — come hanno affermato i professori Nicola Magliaro e Giulio Tarro — di cancro allo stomaco e di leucemia, cui il Principe somministra "Estratto di Pervinca Bullita": le attuali Vinblastina e Vincristina, alcaloidi di natura vegetale (scoperti ufficialmente nel 1968!) usati per carcinomi gastrici e sanguigni. Tale scritto autografo del de Sangro è una delle "ricette" più preziose contenute, insieme ad altro, in una cassetta da lui sigillata e nascosta in una abitazione settecentesca che prese in affitto nella zona di Napoli denominata Infrascata, tra il centro storico e la collina del Vomero (3).
La cassetta contenente il tesoro del Sansevero
Il "tesoro" di don Raimondo è stato da me scoperto, durante una pericolosa spedizione speleologica effettuata nel centro antico cittadino: quaranta metri sotto, alla ricerca del laboratorio alchemico del Principe. Il "gabinetto chimico"' sotterraneo e segreto, da molti cercato invano, è stato ritrovato non già pieno di scheletri (come da azzardata leggenda), ma d'iscrizioni parietali di cifra argot (4) o ermetica.
Circa gli altri documenti rinvenuti nell'Archivio Notarile, vanno messi in rilievo quelli relativi alle statue del Cristo Velato e del Disinganno. Infatti da essi si viene a sapere che il velo del Cristo non fu scolpito dal Sammartino: un velo di stoffa sottilissima imbevuto di latte e di calce fu deposto sulla statua, indi il Principe, soffiando esalazioni di ossido di carbonio sul complesso, provocò la precipitazione del carbonato di calcio che trasformò la stoffa in velo "marmorizzato" , il quale divenne un tutt'uno con la statua sottostante. Procedimento analogo fu adoperato per la "rete" che avvolge l'uomo scolpito nel Disinganno. Vengono in tal modo scardinate tutte le congetture relative a manipolazioni negromantiche a distanza su elementi fisici, chimici ed organici, mediante le quali il Principe avrebbe ottenuto la trasformazione della materia: questa, in sostanza, veniva sì da lui conseguita, ma con procedimenti degni d'uno scienziato moderno, seppur realizzati con i metodi empirici usualmente adottati dall'alchimista. Perché Raimondo de Sangro fu in realtà alchimista, non già il dolce ed inconcludente soffiatore (5) : lo dimostrano i suoi appunti sull'opera alchemica (condotta per una trentina di anni) da cui si evince, oltre alla pura e raggiunta ricerca della divina Gnosi, una sua quasi certa esperienza con materiale radioattivo (6) e la conoscenza dell'acqua pesante. […]
Pagina autografa del Principe di Sansevero
E' ovvio, a questo punto, che il lettore si chieda: come mai nel corso di due secoli questo brillante ingegno è stato dimenticato non solo da storia e da scienza ufficiali, ma dagli stessi trattati di esoterismo? Sfortuna? Uno strano "destino" volto ad obnubilare la sua figura schietta? Di certo nell'Ottocento e agli inizi del nostro secolo, la cultura ufficiale si è sbizzarrita ad evidenziarne arbitrariamente le sfaccettature da leggenda. E, sommando mito a mito, don Raimondo si è guadagnato le etichette di: ciarlatano, faust, scultore senza scalpello, venduto a Satana, e — a grande effetto — metallizzatore di corpi umani.
Il Principe è diventato un mito, un personaggio da favola dell'horror, schiacciato dalle fantasie, che, simili a magma impetuoso, lo hanno ricoperto e reso un fossile raro per ignominia e sete di sangue. Se nell'Ottocento si può trovare una giustificazione, ove si consideri quella famosa esasperazione del "sentimento", pare assurdo che nessuno nel nostro secolo abbia tentato di passare una spugna su quanto già era stato affermato sul de Sangro. Anzi, non si è sentita alcuna spinta a prendere le distanze dal «già detto» per restituire una così vigorosa figura del passato al più vibrante e corporeo presente. E allora? Deve, evidentemente, essere subentrata una situazione di comodo per qualcuno, se si è continuato a mantener vivo nel popolo lo "status quo" di Principe assassino. Il popolo crede, crede nei miracoli, perché non dovrebbe credere nel Diavolo? Ma, come Dio, il Bene per eccellenza, si identifica e deve identificarsi nei Santi, così il Diavolo, da quell'imbroglione che è, va ad "incorporarsi" nella vecchia senza gamba, sorda e muta per chissà quale maleficio, ma deve pure albergare in un personaggio "importante" e noto che possa incutere paura: il Principe di Sansevero è colui che uccise, che bevve il sangue dei bimbi innocenti; la pestilenza del '700 fu lui a causarla; è lui che la notte della vigilia di Natale "risorge" e se ne va in carrozza per i vicoli stretti di Napoli... Insomma ci vuole un "emblema espiatorio" del male. E don Raimondo i requisiti li ha... […]
Estrapolando tutto l'immaginifico, e i vari favoleggiamenti, sarebbe opportuno mettere un punto fermo e andare a capo, in virtù della supremazia di scienza e cultura, che non possono essere soppiantate. L'uomo cui Napoli, per oltre due secoli, non ha voluto dare ciò che gli appartiene, fu alchimista, teosofo, chimico, fisico, protomedico, letterato, mecenate, inventore, artista. Un uomo rivolto al passato per proiettarsi nel futuro; un uomo superbo del proprio ingegno e costantemente assetato di giustizia, di verità, di sapere: teso con tutta l'anima e la forza di volontà verso l'ideale meta della perfezione umana. Anche la sua vita politica fu militanza di "giustizia e libertà", pur consapevole che queste due parole "multi habent in ore, in intellectu vero pauci". E Sansevero le aveva nel cuore.
NOTE
(1) Le ricerche di Clara Miccinelli sono state sistematizzate in tre volumi: Il Principe di Sansevero - Verità e riabilitazione (ECIG, Genova); II Tesoro del Principe di Sansevero -
Luce nei sotterranei (SEN, 1984); E Dio creò l'Uomo e la Massoneria. I documenti segreti, la Superloggia inquietante e tutti gli Arcani della Cappella del Principe di Sansevero (ECIG 1985).
(2) Le ricerche sono state effettuate con la collaborazione del Conservatore supcriore, Nicola Sciandone.
(3) Tutti gli scritti contenuti nella cassetta sono stati sottoposti a perizia grafoscopica e giudicati autentici.
(4) Argot: gergo usato nella Francia del XII secolo dalla malavita e dai mendicanti organizzati nella Confraternita Argot. Successivamente il termine ha indicato un linguaggio segreto, o particolare, usato da individui o gruppi al fine di scambiarsi informazioni senza essere capiti dagli altri, anche come mezzo per tenere uniti i membri e difenderli dal resto della società. Per gli alchimisti l'argot è il linguaggio degli iniziati (vedi: Fulcanelli, II mistero delle Cattedrali. Roma, 1972, p. 46).
(5) Soffiatore: a differenza dell'autentico alchimista, che perseguiva la trasmutazione di se stesso sul piano spirituale, il soffiatore era colui che tentava, con qualsiasi mezzo e con lo scopo unico di trame profitto, la trasmutazione dei metalli vili in oro. Le disordinate ricerche dei soffiatori, più che le teorie della vera alchimia, sono all'origine della chimica moderna.
(6) Proprio l'esposizione a tale "energia" condusse Raimondo de Sangro alla morte il 22 marzo 1771. Dopo una lunga veglia funebre fu tumulato nella sua amatissima Cappella.
Stralcio da un articolo pubblicato su Abstracta n° 2 (febbraio 1986, Stile Regina editrice)