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  1. #1
    liber
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    Predefinito L'Italia Unico Paese G8 Senza Energia Atomica...

    Se l'Italia NON HA NESSUNA FONTE ENERGETICA AUTONOMA rispetto a TUTTI I PAESI DEL G8 CHE HANNO TUTTI LE CENTRALI ATOMICHE, poi perchè ci si domanda per quale motivo non siamo competitivi?

    A già, la colpa è sempre di Berlusconi...

    Il nucleare non era l’Apocalisse
    di Stefano Mensurati

    Molti ricorderanno il disastroso black-out elettrico che nel gennaio del 2001 mise in ginocchio la California. Colpa della sfrenata liberalizzazione del sistema, si sottolineò allora in Italia con malcelata soddisfazione; da noi tutto questo non potrà mai accadere – si disse – perché l’Enel e le varie municipalizzate che distribuiscono l’elettricità a livello locale saranno sempre in grado di garantire il fabbisogno nazionale di corrente elettrica. Sta di fatto che l’11 dicembre di quello stesso anno, con un inverno che si era annunciato con largo anticipo e che ci avrebbe fatto patire alcune delle settimane più fredde a memoria d’uomo, il rischio di rimanere al buio e senza riscaldamento lo abbiamo corso anche noi. E non certo, come sulla West Coast, per colpa di una guerra delle tariffe che aveva ridotto alcuni distributori di energia elettrica sul lastrico e altri a lesinare le forniture per sostenere i prezzi.

    Il motivo, a ben guardare, era ancora più grave. Quel giorno, attorno alle 17, la domanda di elettricità aveva toccato i 51.980 megawatt, superando di slancio la capacità produttiva del sistema energetico italiano, che è di 49 mila megawatt. Il caos è stato scongiurato solo grazie al tempestivo ricorso all’importazione dalla Francia dell’energia mancante. Un episodio, questo, del quale si è parlato molto poco ma che la dice lunga sull’inadeguatezza del nostro sistema. Da un lato, l’aspetto dei costi, con le imprese italiane che pagano le tariffe elettriche più care d’Europa (e ai vertici della classifica ci sono anche le utenze domestiche); dall’altro, siamo al limite della capacità produttiva e il deficit di offerta è come una bomba a orologeria innescata e con il timer appannato: non sappiamo quando, ma prima o poi è destinata ad esplodere.

    La domanda di energia è infatti in continuo aumento, più 2,6 per cento nel 2001, più 3 per cento nel 2002 – e stiamo parlando di due anni di quasi stagnazione per la nostra economia e dunque anche di risparmio energetico – mentre se guardiamo al medio periodo, dal 1980 ad oggi il fabbisogno di elettricità è cresciuto del 40 per cento a fronte di un’offerta aumentata solo del 30.
    Ne consegue che la nostra incapacità di soddisfare la domanda ci obbliga ogni anno ad aumentare le importazioni, con un sensibile aggravio della nostra bolletta energetica e soprattutto con un aumento della nostra dipendenza dall’estero, tanto che da qualche anno siamo saldamente in testa anche alla classifica dei maggiori importatori di elettricità sia nell’Unione europea sia nella più vasta famiglia dei paesi dell’Ocse.

    Non basta. Il sistema energetico italiano oltre ad essere il più costoso e il meno autosufficiente, è anche il più inquinante dell’intero mondo industrializzato. Le ragioni, come sempre, sono molteplici, ma l’errore più grave – e prima o poi bisognerà avere il coraggio di ammetterlo – risale al 1987, quando sull’onda emotiva della tragedia di Chernobyl dell’anno precedente l’Italia decise frettolosamente di abbandonare il nucleare. Su richiesta del governo, nell’88 venne calcolato il danno per la rinuncia all’energia derivante dall’atomo: 120 mila miliardi di lire dell’epoca, quando fra l’altro il prezzo del petrolio oscillava attorno ai 15 dollari al barile e non in prossimità di quota 25 come risulta dalla media di tutti gli anni successivi.

    Sarebbe quindi interessante ricalcolare questa cifra al giorno d’oggi, tenendo sì conto di quanto avremmo risparmiato facendo funzionare le quattro centrali di Trino Vercellese, Caorso, Latina e Garigliano anziché importare idrocarburi, ma anche di numerose altre variabili non meno importanti: tutti i soldi che abbiamo speso e stiamo tuttora spendendo per smantellare le nostre quattro centrali nucleari, che invece di rendere costano (la spesa per la dismissione, che lievita ogni anno, attualmente è stimata in 2,6 miliardi di euro); il grave ritardo di competitività accumulato dal sistema Italia e la mancata crescita economica derivanti da un prezzo dell’energia molto più elevato rispetto ai concorrenti (un kilowatt di origine nucleare costa meno della metà di un kw generato dalle centrali alimentate da idrocarburi e un quarto di un kw di origine eolica); i costi economici e sociali della cosiddetta inflazione importata (effetto combinato del prezzo delle materie prime e del decennale strapotere del dollaro), la cui incidenza è la più alta rispetto a qualunque altro paese dell’Unione europea; la ricaduta in termini di potenziale occupazione andata perduta e la fuga di cervelli; il costo diretto (mancata costruzione di nuove centrali, sempre più sicure) e indiretto (rinuncia alla possibilità di partecipare con pari dignità a progetti internazionali) derivante dal contestuale abbandono della ricerca, in un settore estremamente promettente nel quale l’Italia aveva accumulato un’esperienza di tutto rispetto a livello mondiale; il maggior prestigio e peso politico che corrisponde in maniera naturale a un Paese proteso verso l’indipendenza energetica rispetto a un altro in affannosa e perenne ricerca del soddisfacimento del suo fabbisogno.

    Il tabù italiano sulla scelta nucleare

    E così, mentre dopo la crisi petrolifera del ’73 tutti i maggiori paesi industrializzati si sono attrezzati a ridurre sensibilmente la loro dipendenza dall’estero – grazie anche o soprattutto al nucleare, come nel caso della Francia – l’Italia, unico esempio controcorrente, questa sua dipendenza l’ha accresciuta, tanto che ora l’energia di cui fa uso l’acquista per oltre l’80 per cento oltreconfine: petrolio, gas, carbone e anche energia elettrica, prodotta – ironia del destino – dalle centrali nucleari dei cugini francesi (attualmente ci forniscono il 15 per cento del nostro fabbisogno complessivo). Insomma, dipendiamo dai reattori nucleari transalpini che hanno gli stessi livelli di sicurezza dei nostri, che invece abbiamo preferito spegnere. Senza con questo metterci al riparo da nuove Chernobyl nell’Est europeo, dove quello della sicurezza è invece un problema serio. A sedici anni dal referendum italiano, il nucleare contribuisce per circa il 18 per cento alla produzione elettrica mondiale, per il 25 per cento a quella dei paesi Ocse e per il 35 per cento nell’Unione europea, dove l’atomo è addirittura la prima fonte di produzione di elettricità. Anzi, secondo l’Ocse nei prossimi cinquant’anni il peso del nucleare è destinato a crescere fino al 25 per cento nel Nordamerica e dal 40 al 60 per cento nell’Europa occidentale e in Giappone.

    Eppure in Italia il nucleare è ancora un argomento tabù. Per mantenere alta la guardia, c’è poi anche chi periodicamente rivendica la giustezza di quella scelta referendaria isolata, anche in termini ambientali. Facendo finta di ignorare che il nucleare, oltre a garantire la stabilità dei prezzi e delle forniture, non produce inquinamento atmosferico. In altre parole, come ha recentemente ricordato il commissario europeo ai Trasporti e all’Energia, Loyola de Palacio, se oggi l’Europa decidesse di sostituire le centrali nucleari con impianti a gas o a carbone si ritroverebbe a fare i conti con 300 milioni di tonnellate l’anno in più di emissioni di gas a effetto serra. E sarebbe quindi nell’impossibilità di rispettare gli impegni di Kyoto sull’emissione di gas nell’atmosfera. Non a caso i catastrofisti del nucleare degli anni Ottanta sono gli stessi che oggi gridano al mostro quando si parla di organismi geneticamente modificati in agricoltura, tema sul quale in Italia ci troviamo nella stessa situazione del nucleare, con la ricerca ridotta al lumicino. In attesa della fusione nucleare, che pare ancora lontana, con la fissione dell’atomo attualmente disponibile si può ottenere energia pulita e a basso costo, così come con gli Ogm potremmo risparmiare tonnellate di pesticidi e sfamare milioni di persone, ma la paura del nuovo – nel nome di un non meglio precisato ritorno alla natura – ci rattrappisce i neuroni. E ci svuota il portafoglio: per rimborsare l’Enel e i suoi fornitori dei costi degli inutili investimenti nel nucleare, finora abbiamo speso 7,7 miliardi di euro, 15 mila miliardi di vecchie lire, e questo senza contare le spese dello smantellamento vero e proprio delle centrali, che è incominciato solo ora e che durerà fino al 2020.

    Altra tesi ricorrente di chi ha orrore del nucleare, quella del ripensamento generalizzato: in tutto il mondo, dopo Chernobyl, tutti i maggiori Paesi industrializzati si sarebbero progressivamente allontanati dall’atomo. E' vero esattamente il contrario. Da allora la potenza nucleare in funzione nel mondo è cresciuta del 40 per cento, ci sono circa una quarantina di nuove centrali in costruzione in sedici diversi Paesi, centrali che una volta in produzione apporteranno una potenza aggiuntiva del 10 per cento ai circa 440 impianti attualmente attivi. Risultato, limitandoci alla dipendenza dagli idrocarburi, dalla guerra del Kippur ad oggi la Francia l’ha ridotta dal 45 al 2 per cento, la Germania dal 23 all’1,5 per cento, mentre in Italia il consumo di petrolio e gas naturale è cresciuto dal 64 al 69 per cento.

    Ma torniamo al nucleare e vediamo più in dettaglio come si comportano i nostri principali partner europei, incominciando dalla Francia. I suoi 58 reattori garantiscono oggi il 78 per cento del fabbisogno energetico nazionale. Prima di Chernobyl la situazione era capovolta: i francesi importavano l’80 per cento della loro energia dall’estero (e in più, all’epoca, il fabbisogno era nettamente inferiore). Il ragionamento del ministro dell’Industria Nicole Fontaine, ribadito in una recente intervista a un settimanale italiano, non fa una grinza: “I cittadini sono poco informati sulle diverse fonti di energia... Se ci venisse dimostrato che si può fare a meno del nucleare pur assicurando l’indipendenza energetica della Francia e la sicurezza dell’approvvigionamento, accogliendo così le preoccupazioni ambientaliste ed ecologiste, perché dovremmo dire di no? La verità è che si tratta di un’ipotesi irrealistica”. Oggi la Francia ha il costo del kilowatt più basso d’Europa e quello che oscilla meno di prezzo, visto che dipende solo in minima parte dagli sbalzi delle quotazioni del greggio. In più esporta ogni anno energia nucleare per 30 miliardi di euro e la sua industria nucleare fattura, anche con la vendita all’estero di tecnologia modernissima, oltre 20 miliardi di euro l’anno. La chiusura del reattore Superphénix, dovuta secondo gli ecologisti al timore di fughe radioattive, in realtà fu decisa perché data l’abbondanza di uranio sul mercato internazionale non si riteneva più vantaggioso proseguire le ricerche su sistemi autofertilizzanti, studiati appunto per risparmiare combustibile.

    In Gran Bretagna, dove le 16 centrali e i 33 reattori producono il 23 per cento dell’energia consumata, la ricerca è all’avanguardia, tanto che gli impianti esistenti sono continuamente aggiornati da un punto di vista tecnologico. Tony Blair ha inoltre proposto la costruzione di 10 nuove centrali entro il 2012 e infine, al pari della Francia, esiste un impianto adibito al trattamento dei rifiuti delle centrali nucleari dismesse, impianto verso il quale partono anche le nostre scorie radioattive. In Italia, infatti, a sedici anni dalla decisione di chiudere tutto, non siamo ancora riusciti a scegliere un sito dove costruire il deposito, non solo delle scorie delle centrali atomiche ma anche dei rifiuti radioattivi dell’industria e degli ospedali, che rappresentano i tre quarti del totale. Quanto alla Germania ha in funzione 20 centrali nucleari con le quali copre un terzo delle sue necessità di energia elettrica. Per evitare l’uscita dei Grunen dalla maggioranza, il cancelliere Schroeder ha deciso di limitare a 35 anni la vita media di un reattore contro i 40-50 effettivi, suscitando le ferme proteste degli scienziati, degli industriali e persino delle associazioni dei consumatori. Nessun reattore è stato comunque fermato e l’opposizione di centro-destra ha già reso noto che quando tornerà al potere ribalterà tale decisione.

    Ma è troppo tardi per “tornare al nucleare”?

    Ma la sorpresa arriva dai paesi scandinavi, da sempre particolarmente sensibili alla salvaguardia dell’ambiente.
    Nel 1980, con un referendum, la Svezia decise che a partire dal ’90 il Paese avrebbe dovuto progressivamente uscire dal nucleare, decisione che però è rimasta lettera morta: attualmente le 5 centrali nucleari e i loro 11 reattori coprono il 77 per cento del fabbisogno di energia. Non basta. Nel 2000 il progetto di chiusura è stato definitivamente abbandonato dal governo “per mancanza di valide alternative sul piano economico e ambientale”.
    In Finlandia, dove le due centrali nucleari esistenti già forniscono il 31 per cento dell’elettricità consumata, il Parlamento ha recentemente stabilito di costruire un nuovo impianto per fronteggiare la crescente domanda di energia da parte delle imprese senza però appesantire la bolletta petrolifera.
    Gli Stati Uniti, il paese con il maggior numero di centrali nucleari in funzione (104, che producono il 21 per cento dell’elettricità consumata), hanno dal canto loro varato nel 2001 un nuovo Piano energetico che prevede la costruzione di altri 100 reattori. Scatenando le proteste degli ambientalisti, anche se in tal modo l’emissione di gas serra potrebbe essere ridotta del 25 per cento, ben oltre quanto richiesto dagli accordi di Kyoto che gli Stati Uniti, peraltro, non hanno firmato.

    E oltre al Giappone, che con le sue 53 centrali copre il 36 per cento del fabbisogno elettrico, sul nucleare hanno puntato anche la Corea del Sud, la Spagna, il Canada e ora pure la Cina. Persino la Russia, come confermato il 26 aprile scorso in occasione dell’anniversario di Chernobyl, intende rilanciare questa opzione energetica. Al G8 per l’Ambiente il ministro per le Risorse naturali Irina Osokina ha infatti ribadito che “il nucleare resta il sistema più pulito per produrre energia senza alterare il clima”. Sullo sfondo resta ovviamente la questione, già accennata, della pericolosità delle centrali dell’Europa orientale, centrali costruite con tecniche obsolete e che difettano dell’adeguata manutenzione. Ma non è mettendo la testa sotto la sabbia, come abbiamo fatto noi per sedici anni, che si risolvono i problemi. Anzi, la necessità di mettere questi impianti in sicurezza – necessità peraltro riconosciuta dagli stessi Paesi interessati, molti dei quali in procinto di aderire all’Unione europea – costituisce un’ottima opportunità anche per le nostre imprese. Ha infatti calcolato il ministero per le Attività produttive che per adeguare le centrali nucleari dell’Est agli standard occidentali o per chiudere e smantellare le più pericolose (Ignalina in Lituania, Bohunice in Slovacchia e Kozlodui in Bulgaria) occorreranno almeno 8 miliardi di euro, e altrettanti saranno necessari, data la fame di energia, per costruirne di nuove.

    Dopo anni di torpore qualcosa, per fortuna, incomincia a muoversi e i segnali importanti sono al momento due. Ad aprile Ansaldo Energia, alla presenza del viceministro Adolfo Urso, ha firmato a Bucarest un importante contratto per la costruzione del secondo reattore della centrale romena di Cernavoda, segno che anche in questo settore possiamo dire la nostra. L’Enel, dal canto suo, potrebbe presto entrare sul mercato elettrico francese acquistando centrali nucleari per 6 mila megawatt, con le quali produrre elettricità sottocosto da esportare e distribuire in Italia. Electricité de France punta, in cambio, ad ottenere l’abolizione da parte italiana della norma che limita al 2 per cento il diritto di voto in Italenergia bis, la holding che controlla Edison. Insomma, le occasioni per tentare di recuperare almeno in parte il terreno stupidamente perduto in questi ultimi quindici anni non mancano. “Generation IV”, ad esempio, consorzio internazionale di primissimo piano del quale fanno parte nove Paesi (Argentina, Brasile, Canada, Corea del Sud, Francia, Giappone, Gran Bretagna, Sudafrica e Stati Uniti), si ripropone entro il 2020 una sensibile riduzione dei costi dell’energia nucleare, la soluzione definitiva al problema delle scorie e la produzione di derivati come l’idrogeno, da utilizzare come carburante per i mezzi di trasporto. Perché non cercare di aggregarsi e di fornire il nostro contributo di idee e di genialità? Forse è troppo tardi per tornare al nucleare, forse non è affatto così, basterebbe volerlo. Quel che è certo, è che l’Italia merita qualcosa di più del lento declino al quale la condanna il pauperismo invocato da taluni o il catastrofismo paventato da altri.

    da Ideazione
    http://www.ideazione.com/settimanale...4mensurati.htm

  2. #2
    liber
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    Dal momento che il fotovoltaico degli amici verdi di Prodi non inquina, ma neanche produce energia, ecco la soluzione nella disgraziata ipotesi di un Prodi al potere...


  3. #3
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    In Origine Postato da liber
    Dal momento che il fotovoltaico degli amici verdi di Prodi non inquina, ma neanche produce energia, ecco la soluzione nella disgraziata ipotesi di un Prodi al potere...


  4. #4
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    Predefinito Mo' che bravo, sorbole ...

    In Origine Postato da liber
    Dal momento che il fotovoltaico degli amici verdi di Prodi non inquina, ma neanche produce energia, ecco la soluzione nella disgraziata ipotesi di un Prodi al potere...

    non lo vedete che corre con una mano sola (la SX, of course...) J.

  5. #5
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    Giusto tornare al nucleare, io questa battaglia la porto avanti sempre.
    _
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  6. #6
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    E' pericoloso far votare il popolo su questioni così importanti.

    Avete visto cosa hanno combinato al referendum del 1985 ?

    Bisogna trovare un meccanismo che impedisca alla volontà popolare di affermarsi quando è chiaramente inadeguata.

    C'è bisogna di qualcuno che decida quando ilpopolo decide a ragionea quando decide a torto.

    Ein questo ultimo caso, deve rovesciare quella decisione sciagurata.

    una sorta di consiglio dei saggi che decide in ultima istanza.


    Io mi prenoto per farne parte.

    La mia saggezza è incontestabile.

  7. #7
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    Una volta tanto che l'Italia fa scelte sagge ci lamentiamo
    Piuttosto prendiamo esempio dalla Germania leader in Europa nel rispramio energetico e nelle fonte energetiche rinnovabili prima fra tutte quella solare.

  8. #8
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    Siamo anche l'unico paese al mondo ( Corea del Nord e Cuba esclusi , ma li non hanno diritto di voto )dove ci sono ancora i comunisti.

  9. #9
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    In Origine Postato da Malik
    Siamo anche l'unico paese al mondo ( Corea del Nord e Cuba esclusi , ma li non hanno diritto di voto )dove ci sono ancora i comunisti.
    Ciò non è vero.

  10. #10
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    In Origine Postato da ragazzosemplice
    Una volta tanto che l'Italia fa scelte sagge ci lamentiamo
    Piuttosto prendiamo esempio dalla Germania leader in Europa nel rispramio energetico e nelle fonte energetiche rinnovabili prima fra tutte quella solare.

    Ai verdi l'energia eolica non piace. Disturba le migrazioni di uccelli.

    E non sto scherzando.

 

 
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