VI RICORDATE QUANDO BERLUSCONI E LA DESTRA ACCUSAVANO LA SINISTRA DI ESSERE RESPONSABILE INDIRETTA DELL'OMICIDIO DI BIAGI,DICENDO "PUR NON ESSENDO COMPLICI DELLE BR HANNO GETTATO BENZINA SUL FUOCO"?

EBBENE QUESTO PATETICO EDITORIALISTA DI REPUBBLICA,OPERA LA STESSA IDENTICA CRIMINALIZZAZIONE DEL DISSENSO,SOSTENENDO NELL'ARTICOLO CHE SEGUE, CHE CERTI "TONI SONO COME SASSI CHE POSSONO ESSERE FRAINTESI DA QUALCUNO(CIOE' I FANATICI BOMBAROLI).

LA SINISTRA RIFORMISTA STA MOSTRANDO IN QUESTA VICENDA IL PEGGIO DI SE'.NON SOLO STA DIFENDENDO SENZA SE E SENZA MA COFFERATI ,IN MANIERA PIUTTOSTO INCOERENTE COI SUOI PRINCIPI,COME HO SPIEGATO MILLE VOLTE(E COME SPIEGA BENE ANCHE FERRARA,CON CUI PER UNA VOLTA CONCORDO),MA ADESSO USA ANCHE GLI STESSI SCHIFOSI,SQUALLIDI ,MEDIOCRI ARGOMENTI DELLA DESTRA,PER CRIMINALIZZARE IL DISSENSO,SOLTANTO PERCHE' LA PARTE IN CAUSA STAVOLTA E' UNO(COFFERATI)CHE APPARTIENE ALLA SUA AREA POLITICA.




BELLA COERENZA,COMPLIMENTI













IL COMMENTO




La battaglia della legalità
di MASSIMO GIANNINI

Prima o poi doveva succedere. Nella città dove le Brigate Rosse dell'ultimissima generazione hanno assassinato Marco Biagi, arriva una minaccia di sospetta matrice terroristica proprio all'uomo che, per troppo tempo e con varie strumentalizzazioni, fu additato come uno dei suoi peggiori "nemici". Le responsabilità politiche di quanto è accaduto e sta accadendo a Bologna sono diffuse.

Il sindaco che ha riconquistato la città rossa al centrosinistra ha affrontato le vicende dell'amministrazione comunale con i tratti tipici del suo carattere, un po' chiuso e un po' autocratico.

Ha gestito partite delicate e sensibili per la municipalità emiliana, come lo sfratto dei baraccati e i lavavetri fermi ai semafori, con lo stesso approccio verticistico col quale decideva gli scioperi o le svolte nella sua vecchia Cgil. Può darsi che in certe sue scelte di decisa rottura, assunte in questi ultimi mesi e in queste ultime settimane sul tema della legalità, abbia influito anche un passato che in qualche modo il Cinese voleva farsi perdonare. Nell'ultima fase della sua vita di sindacalista, quando tanta parte del popolo di sinistra guardava a lui come a un possibile leader dell'intera opposizione e comunque il solo uomo capace di "scaldare i cuori" (come si diceva allora) e di riempire una piazza di tre milioni e mezzo di persone, lui si è sfilato dalla competizione. E l'ha fatto nel modo peggiore.

Quasi rinnegando, con le sue posizioni sull'Iraq e sull'uso della forza per difendere le democrazie occidentali, il suo passato di convinto riformista. Un passato speso a fare accordi con la controparte imprenditoriale, a concertare con governi di diverso colore le scelte più delicate di politica economica e i sacrifici da ripartire sui suoi rappresentati. Un passato speso a fare da avanguardia "moderata" rispetto alla Cisl e alla Uil. Può darsi che nella sua scelta di forzare i rapporti con l'ala più estrema della sua maggioranza in comune abbiano pesato anche le vecchie ruggini con Fausto Bertinotti, che ha sempre vissuto come un destabilizzatore politico e un'insidia personale.

Ma non è più di questo, oggi, che si deve parlare. Di fronte a una minaccia di morte, vera o presunta che sia, c'è da ripensare a fondo il modo in cui certa sinistra affronta i dissensi politici, anche nel perimetro della sua rappresentanza. Il "fuoco amico" al quale Cofferati è stato sottoposto in questi ultimi giorni è comunque intollerabile. Sia chiaro: oggi gli attacchi politici che Rifondazione e i verdi gli hanno portato a Palazzo d'Accursio, degnamente spalleggiati nelle piazze dai no global, dai girotondisti, dagli sfollati e dai punkabbestia, non consentono alcun collegamento con la finta bomba che gli è stata recapitata ieri.

Così come ieri le critiche che lo stesso Cofferati muoveva al Libro Bianco di Biagi non autorizzavano alcun nesso logico con il vile omicidio perpetrato poi dai brigatisti. Ma chiarito questo, non si può negare che certi toni, e certe parole, pesino non certo come "proiettili", come dissero a suo tempo Berlusconi o Maroni. Ma magari come sassi, questo sì. Quando "Liberazione" scrive in prima pagina un commento di Giorgio Cremaschi, ex "compagno" del Cinese ai tempi della Cgil, che il sindaco di Bologna è "di destra", o peggio "usa metodi stalinisti", non si rende davvero un servizio alla corretta dialettica democratica. E magari, come succede spesso, c'è sempre qualcuno che fraintende, o che prende troppo alla lettera certi gridi di battaglia.

Questo per quanto attiene al metodo. C'è poi un problema di merito. La sfida di Bologna, sotto questo profilo, è davvero un buon test per il futuro governo di centrosinistra. E hanno fatto male i leader dell'Unione a volerla tenere sopita, a volerla per troppo tempo relegare in una forzosa dimensione "locale", lasciando che intanto il centrodestra banchettasse volgarmente sull'ennesimo "regolamento di conti nella sinistra". Il tema della legalità è cruciale per il centrosinistra che si vuole candidare con qualche autorevolezza alla guida del Paese. Lo è perché è un tema "no-partisan": non è né di destra né di sinistra, come ha dichiarato addirittura il leader francese dell'organizzazione "Sos Racisme", Harlem Desir, commentando la vicenda, per certi versi speculare, del fuoco e delle fiamme che divampano nella banlieue parigina abitata dagli immigrati e dai diseredati della terra. Si può e si deve coniugare con il tema, altrettanto consustanziale ai valori della sinistra, della solidarietà. Ma nelle società complesse e multirazziali non si deve e non si può più, forse, sacrificare la prima alla seconda. E non si vede cosa ci sia di così eversivo nel documento presentato due giorni fa da Cofferati.

Cosa c'è di discutibile, in un ordine del giorno che recita: "L'illegalità, qualunque sia la ragione che la determina, non può trovare giustificazione. Il bisogno abitativo e la regolarità dei rapporti di locazione vanno risolti con strumenti efficaci nel rispetto delle proprietà pubbliche e private come dei diritti degli utenti. Le politiche di accoglienza non devono essere attivate indistintamente, ma essere assicurate alle persone che ne hanno diritto, e a chi accetta di entrare nei percorsi di regolarizzazione".

Questo non è fascismo, e non è stalinismo. E' solo buon senso. Se a sinistra c'è qualcuno che non lo capisce, è perché in certe frange della nostra gauche c'è ancora chi è convinto che l'illegalità va combattuta, ma solo a condizione che non derivi da un disagio sociale. Perché in questo caso è meglio fermarsi, a ragionare, a discutere, a dibattere. E poi magari a non fare niente, e a lasciare che le nostre periferie, ma ormai anche i nostri centri storici, si trasformino in una terra di nessuno, dove i primi a soccombere sono proprio quei deboli che si vorrebbero difendere.

Per questo, oggi, la battaglia di Cofferati riguarda tutti. E non è più solo una rogna comunale. Il sindaco farà bene ad usare più diplomazia. Ma i suoi contestatori faranno benissimo a rientrare nei ranghi. Bologna, in questo momento, è l'Italia. E dal modo in cui i protagonisti di questa vicenda gestiranno il problema, nei prossimi giorni, si capirà se il centrosinistra è maturo per parlare a tutto il Paese, o è ancora prigioniero di un suo vecchio slogan, che troppi danni ha già fatto in passato: "nessun nemico a sinistra".

Il test di Palazzo d'Accursio non è, come dice mentendo il vicepremier Fini, la dimostrazione che questa Unione non può governare, perché riporterebbe la piazza alla guida del Paese. Al contrario, può diventare la conferma che c'è un centrosinistra riformista, capace di assumersi le proprie responsabilità e di affrontare con pragmatismo, e fuori dalle ideologie, le difficilissime sfide della modernità.

(4 novembre 2005)