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  1. #1
    Silvioleo
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    Predefinito Venticinque anni dopo. La rivoluzione liberale di Reagan e Pinera

    Venticinque anni fa, il 4 novembre 1980, nelle due Americhe si sono avuti – lo stesso giorno – avvenimenti che hanno condotto la storia lungo una strada inaspettata, la quale ha permesso all’Occidente e al mondo intero di avviarsi su sentieri nuovi.

    Quelli erano anni ancora dominati da una cultura permeata di umori totalitari, da una spesa pubblica in crescita costante, da modelli culturali che vedevano nel marxismo-leninismo l’orizzonte ultimo di ogni dibattito e – al massimo – erano disposti a “riformarne” talune istanze entro il quadro di una socialdemocrazia invasiva ed illiberale. L’Unione sovietica conquistava ogni anno un tassello nuovo nel Risiko del dominio globale (specialmente in Africa ed in Asia), mentre i valori della libertà individuale parevano destinati a difendere il loro presente, nella migliore delle ipotesi, un po’ come Francesco Giuseppe d’Asburgo gestì il suo lungo e declinante “servizio” alla testa di un Impero da decenni condannato a morte.

    Ed invece in quel 4 novembre di 25 anni fa la vittoria di Ronald Reagan alla presidenza degli Stati Uniti ha dato inizio ad una rinascita liberale che – pur tra tante incertezze e ambiguità – ha definitivamente chiuso l’età dello statalismo selvaggio. In Italia si è molto ironizzato sull’attore di Hollywood e sul presidente-cowboy, ma è chiaro che egli ha manifestato il riemergere di un’America antica e sempre attuale, desiderosa di contrastare le logiche dispotiche: sia all’interno che all’esterno dei propri confini.

    Se Roosevelt aveva guardato a Stalin con ad un alleato e alle idee della sinistra americana come ad utili strumenti per allargare il proprio dominio sulla società negli anni del New Deal, Reagan imprime una significativa inversione di tendenza.

    Di tutto ciò è difficile non essergli grati. Nel mondo di oggi gli Stati continuano certamente a controllare la metà della nostra esistenza e al tempo stesso nuove minacce globali si sono affermate sulla scena internazionale, ma esiste almeno la consapevolezza che la libertà va difesa e che senza di essa la nostra vita non è degna di essere vissuta.

    Considerata per molti anni una mera sopravvivenza di epoche passate, è solo con l’inizio degli anni Ottanta che l’idea liberale è tornata ad animare dibattiti. In quei tempi si torna a scrivere libri sul liberalismo, si predispongono inchieste giornalistiche e televisive, si riscoprono pensatori e tradizioni. In particolare, molti comprendono – per usare un’espressione di Reagan stesso – come lo Stato non sia in grado di risolvere i nostri problemi e come anzi esso stesso sia divenuto, da tanti punti di vista, il nostro maggior problema.

    Quel 4 novembre, però, giunsero a maturazione e finirono per convergere in un’unica direzione esperienze anche assai diverse, ma accomunate dalla volontà di ridimensionare i poteri pubblici.

    In primo luogo, l’elezione di Reagan portò alla riaffermazione di un modello di società basato sul mercato, sulla concorrenza, sulla proprietà. Parole inedite come “liberalizzazione” o “privatizzazione” diventano moneta corrente, grazie a quanto viene realizzato in America e – parallelamente – nel Regno Unito della signora Thatcher. Il liberalismo riscopre la sua vocazione più autentica, quale teoria schierata a difesa della società e quindi contro lo Stato e le sue pretese.

    Questo antistatalismo, allora, si sposa perfettamente con il reciso anticomunismo del “reaganismo”. Se un quarto di secolo fa l’Unione sovietica era in una fase di grande espansione mentre oggi è sparita dalle cartine geografiche, molto si deve certamente alla riscoperta dei principi liberali che ha trovato espressione nella svolta politica di inizio anni Ottanta.

    In America come in Inghilterra, ad ogni modo, la politica delle privatizzazioni e della lotta contro il Big Government sono emerse dopo anni ed anni di lunghe battaglie intellettuali.

    In questo senso, sia Ronald Reagan che la signora Thatcher sono impensabili senza il lavoro condotto per anni da alcuni think-tank, da professori ed intellettuali indipendenti, da giornali e riviste. Quella “rivoluzione liberale” che venticinque anni ha mosso i primi passi non si sarebbe mai avuta senza la Foundation for Economic Education (creata nel 1946 da Leonard Read), impegnata nella diffusione delle tesi liberali in America, e se in Inghilterra l’Institute of Economic Affairs (sorto nel 1955 per iniziativa di sir Anthony Fisher) non avesse forgiato una nuova generazione di studiosi e uomini politici; e la stessa Thatcher uscì da quel laboratorio di idee.

    Ma non è un caso che in quello stesso 4 novembre 1980 sia iniziata – in America Latina – un’altra trasformazione radicale, che ancora continua a produrre conseguenza.

    Nel Cile del generale Pinochet un giovane economista, formatosi nelle università di Chicago e di Harvard, vara la sua riforma delle pensioni proprio quando Reagan diventa presidente. José Piñera inizia così un processo di riformulazione dello Stato sociale che permetterà al paese andino di salvare il futuro di quanti lasceranno il lavoro ed orienterà notevoli risorse verso il mondo produttivo, ponendo in tal modo le basi per un trapasso non traumatico dalla dittatura alla democrazia.

    Permettendo ad ogni lavoratore di accantonare su un conto personale i propri risparmi destinati alla pensione, Piñera fa di ogni cileno un piccolo capitalista ed un uomo indipendente. Il futuro di chi è giunto alla terza età smette quindi di dipendere dai favori e dai privilegi accordati dal governo, dato che ognuno è chiamato ad accantonare quello che serve alla propria vecchiaia.

    Se nell’America latina dei mille peronismi e castrismi oggi il Cile è un modello ineguagliato, molto si deve a quel 4 novembre 1980 e a quella riforma che ha dato ad ogni lavoratore la sua “libretita”: il suo conto previdenziale individuale.

    Dopo il Cile, molti paesi – a partire dalla Nuova Zelanda dei laburisti – hanno copiato quel modello, che oggi viene studiato e adattato pure nelle società uscite dal disastro del socialismo sovietico. José Piñera continua a girare il mondo per convincere le opinioni pubbliche e le classi politiche dei vari paesi in merito alla necessità di puntare sulla responsabilità individuale e sul capitalismo di massa. Talvolta – come nel caso italiano – non sono in molti ad ascoltarlo, ma è pur vero che in altri paesi la sua consulenza è stata di fondamentale aiuto a far sì che il sistema previdenziale venisse innovato in senso liberale. Ed una parziale accettazione delle sue proposte si è avuto perfino nella Svezia del modello socialdemocratico.

    Il 4 novembre 1980, allora, mostra soprattutto come le idee abbiano conseguenze, e come le buone idee continuino a migliorare il mondo anche dopo vari decenni e in contesti storici largamente diversi.


    da www.brunoleoni.it

  2. #2
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    Predefinito Re: Venticinque anni dopo. La rivoluzione liberale di Reagan e Pinera

    In origine postato da Silvioleo
    Nel Cile del generale Pinochet un giovane economista, formatosi nelle università di Chicago e di Harvard, vara la sua riforma delle pensioni proprio quando Reagan diventa presidente. José Piñera inizia così un processo di riformulazione dello Stato sociale che permetterà al paese andino di salvare il futuro di quanti lasceranno il lavoro ed orienterà notevoli risorse verso il mondo produttivo, ponendo in tal modo le basi per un trapasso non traumatico dalla dittatura alla democrazia.
    La rivoluzione delle pensioni (José Pinera)

    Un fantasma si aggira per il pianeta. È il fantasma del fallimento dei sistemi pensionistici pubblici. Il sistema redistributivo delle pensioni che ha prevalso durante tutto questo secolo ha un difetto fondamentale, originato dall'erronea concezione del comportamento umano: distrugge il rapporto tra contribuzione e benefici, in altre parole, tra responsabilità e diritti. Quando questo accade in un sistema di massa e per un lungo periodo il risultato finale è un disastro.

    Due fattori esogeni aggravano i risultati di questo errore strutturale. Innanzitutto, la tendenza demografica mondiale verso una riduzione delle nascite e, secondariamente, il progresso della medicina che allunga la vita delle persone. Quindi, più passa il tempo, e meno saranno i lavoratori attivi rispetto al numero dei pensionati. Dato che tanto l'innalzamento dell'età pensionabile quanto quella del numero delle pensioni ha un limite, prima o dopo il sistema è costretto a ridurre i benefici finali promessi, segnale indiscusso di un sistema che si avvia alla bancarotta.

    Anche se si riducono i benefici pensionistici mediante l'inflazione, come accade nella maggior parte dei paesi in via di sviluppo, o mediante apposite leggi, il risultato finale per il lavoratore pensionato è lo stesso: incertezza per le persone anziane creata, paradossalmente, proprio causa l'insicurezza di quel sistema che è chiamato di "Stato sociale". Nel 1980, il governo cileno decise di "prendere il toro per le corna". Una riforma radicale sostituì un sistema pensionistico pubblico con un sistema di capitalizzazione individuale amministrato da imprese private.

    A distanza di una ventina d'anni da quella scelta, i risultati parlano da soli. Le pensioni nel nuovo sistema privato sono tra il 50% e il 100% più alte di allora. Le risorse amministrate tramite i fondi pensione sono pari a 25 miliardi di dollari, ovvero circa il 40% del Pil (Prodotto interno lordo). Di più: con il miglioramento del funzionamento del mercato del lavoro e del capitale, il nuovo sistema pensionistico s'è dimostrato una riforma chiave che ha contribuito alla crescita dell'economia da un 3% annuale fino ad un 7% corrispondente agli ultimi dodici anni. Inoltre, il tasso di risparmio cileno è aumentato fino al 27% del Pil, mentre il tasso di disoccupazione è sceso al 5% da quando questa riforma è stata realizzata.

    Le pensioni hanno smesso di essere un problema del governo, spoliticizzando, in questo modo, un importante settore dell'economia e permettendo agli individui di avere maggiore controllo sulle loro vite. Il difetto strutturale di cui parlavamo all'inizio è stato eliminato e il futuro delle pensioni cilene dipende ora solo dal comportamento individuale della gente e dallo sviluppo dei mercati.

    Il successo del sistema privatistico delle pensioni cilene ha spinto altri sette paesi latinoamericani ad adottarlo. Per primi, Argentina, Perù e Colombia hanno adottato una riforma simile. Nel 1995, l'Uruguay ha fatto lo stesso, anche se in forma parziale. Nel 1996, Messico, Bolivia e El Salvador hanno approvato leggi che hanno dato vita a sistemi pensionistici a capitalizzazione individuale, che hanno preso l'avvio due anni dopo.

    La riforma cilena sta servendo da modello per molti paesi nel mondo. Anche negli Stati Uniti si sta dibattendo seriamente la privatizzazione del sistema pubblico delle pensioni, che prese avvio ben sessant'anni fa e che oggi costituisce il maggiore dei problemi di governo, comportando spese superiori ai 350 miliardi di dollari l'anno (una spesa superiore al preventivo fatto per sostenere la Guerra fredda).

    Tanto per capire quanto questa idea sia vincente è bene dire che persino gli esperti della Repubblica Popolare Cinese sono stati in Cile per studiare il sistema privatistico delle pensioni. Uno dei risultai è stato l'interessante dibattito che ne è nato, riportato anche dall'Economist: "Nel dibattito acceso che vi è stato fra Inghilterra e Cina in merito al passaggio di Hong Kong sotto la sovranità cinese, è successo che Zhou Nan (il rappresentante della Cina comunista ad Hong Kong) deridesse Chris Patten (notoriamente un conservatore britannico) perché stava tentando di importare ad Hong Kong alcune "costose idee eurosocialiste", e il riferimento era proprio al sistema pensionistico cileno sul quale avevano messo gli occhi "i nipotini di Mao". (11 febbraio 1995).

    Non è impossibile pensare che con il nuovo Millennio anche altri paesi, includendo quelli del continente americano, puntino a privatizzare i propri sistemi pensionistici (si noti che pure l'Italia sta mettendo mano al proprio sistema pensionistico, facendo ricorso ai fondi pensione). Tutto ciò significa una devoluzione massiva dei poteri dello Stato verso gli individui, promuovendo in questo modo la libertà, la crescita economica ed evitando la povertà, specialmente durante la vecchiaia.

  3. #3
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    Il modello cileno

    Con il sistema di capitalizzazione individuale, ciò che determina il livello della pensione di un lavoratore è il capitale che questo accumula durante la sua vita lavorativa. Né il lavoratore né il datore di lavoro versano soldi allo Stato. In questo modo, ovviamente, il lavoratore non percepisce una pensione statale quando termina la propria vita lavorativa. In cambio, invece, durante la sua vita lavorativa, risparmia obbligatoriamente un 10% del proprio stipendio e il datore di lavoro deposita mensilmente quel 10% in un conto a capitalizzazione individuale che appartiene al dipendente stesso. Questa percentuale si applica solamente ai primi 25.000 dollari di stipendio annuale. In modo tale che, mentre aumentano gli stipendi, i lavoratori hanno maggiore libertà nel realizzare eventuali contribuzioni volontarie.

    Un lavoratore può contribuire con un 10% addizionale del suo stipendio mensile, anch'esso esente da imposte, ad un conto di risparmio volontario, se desidera ad esempio andare in pensione anticipatamente oppure ottenere una pensione più alta.

    Lo stesso lavoratore sceglie un "Amministratore dei Fondi pensione" (AFP) per amministrare il suo conto a capitalizzazione individuale. Queste società non possono realizzare nessun altro tipo di attività e sono soggette ad un controllo severo da parte del governo, affinché garantiscano un portafoglio diversificato e a basso rischio, nonché per prevenire eventuali furti o truffe. Un ente governativo indipendente, la "Sovrintendenza delle AFP", che è altamente specializzata, è stata creata per esercitare questo compito. Ovviamente, qualsiasi soggetto è libero di entrare nel mercato delle AFP.

    Ciascun AFP opera in maniera simile ad un "Fondo mutui" che investe in azioni, buoni o altri strumenti finanziari che vengono trattati sui mercati. Le decisioni degli investimenti sono di competenza degli AFP. La legge stabilisce i limiti massimi sia per i tipi di strumenti che per la composizione totale del portafoglio. Non c'è alcun vincolo di legge che obblighi gli AFP ad investire in buoni del tesoro governativi. L'AFP e il Fondo mutuo che amministra sono due entità distinte Questo, per evitare che gli investimenti del Fondo mutuo, che sono di proprietà dei lavoratori affiliati, possano essere coinvolti in un eventuale fallimento dell'AFP.

    I lavoratori sono liberi di passare da un AFP ad un altro. Per questo motivo c'è competizione fra le aziende che amministrano i fondi, in modo da ottenere più utili elevando la qualità del servizio, facendosi pagare commissione più basse. Nel momento in cui si iscrive, ciascun lavoratore riceve un libretto col quale potrà sapere lo stato di capitalizzazione che ha raggiunto; inoltre l'AFP è obbligato ad inviargli ogni tre mesi il rendiconto sulle contribuzioni accreditate e sul rendimento del suo fondo. Sia su quanto accumulato dal lavoratore che sui profitti degli investimenti del conto di capitalizzazione individuale non gravano imposte. Nel momento in cui va in pensione, il lavoratore paga un'imposta sul reddito sulla cifra che ritirerà come pensione.

    La riforma cilena ha coinvolto sia i lavoratori pubblici che quelli privati. Gli unici esclusi sono stati gli appartenenti alla polizia e all'esercito, il cui regime pensionistico è stato pensato come parte del loro stipendio e del loro sistema di lavoro (Anche se la mia opinione è che per loro sarebbe stato meglio se avessero optato per una pensione a capitalizzazione individuale).

    Tutti i lavoratori dipendenti devono avere un conto a capitalizzazione individuale. i lavoratori autonomi possono, se lo desiderano, entrare a far parte di questo sistema, il che produce un incentivo all'eliminazione del lavoro nero. Esiste una pensione minima garantita dallo Stato, e finanziata con le tasse in genere, per tutti i lavoratori che abbiano contribuito almeno per 20 anni al sistema di capitalizzazione individuale (Quelli che non lo hanno fatto per 20 anni possono sollecitare, se lo richiedono, una pensione di assistenza minima più bassa).

    Il sistema include, inoltre, anche un'assicurazione sulla morte prematura e sull'invalidità. Ciascun AFP offre questo tipo di copertura ai suoi clienti, ottenendo un'assicurazione sulla vita e sull'invalidità collettiva da una compagnia di assicurazioni privata. Questa copertura si paga con una contribuzione aggiuntiva del lavoratore, che si aggira intorno al 2,9 per cento dello stipendio, che include la commissione per l'AFP stesso.

    Il livello di risparmio obbligatorio del 10% è stato calcolato assumendo come rendimento reale durante tutta la vita lavorativa il 4% annuale, in modo tale che il lavoratore comune accumuli denaro a sufficienza sul suo conto dell'AFP tale da permettergli di riscuotere una pensione intorno al 70% del suo ultimo stipendio.

    La cosiddetta età legale per andare in pensione è di 65 anni per gli uomini e di 60 per le donne. Queste età, che erano quelle pensionistiche tradizionali anche nel sistema a ripartizione, non sono state discusse nella riforma, visto che non sono caratteristiche strutturali del nuovo sistema. Però, il significato della parola "pensionamento" nel sistema di capitalizzazione individuale è diverso rispetto a quello tradizionale. Innanzitutto, i lavoratori possono continuare a lavorare anche dopo aver raggiunto l'età prevista dalla legge. Se lo fanno, possono comunque ritirare mensilmente dal loro conto la pensione che corrisponde loro e non sono obbligati a continuare a risparmiare il 10% dello stipendio. Poi, i lavoratori con risparmi sufficienti sui loro conti, tali da garantire almeno un 50% dello stipendio medio durante gli ultimi 10 anni lavorativi (sempre che sia superiore alla pensione minima), possono scegliere di prepensionarsi.

    Il significato reale della soglia dei 65 o 60 anni è il seguente: a) Fino a quell'età il lavoratore deve continuare a risparmiare una somma pari al 10% del suo stipendio sul suo conto a capitalizzazione individuale, a meno che non abbia deciso per il prepensionamento (ovvero ha la possibilità di ritirare i suoi soldi tramite una pensione mensile, senza che ciò implichi il suo ritiro dalla forza lavoro); b)Per ricevere la pensione minima statale, se fosse necessario, deve arrivare all'età prevista dalla legge.

    Comunque, in nessun caso c'è l'obbligo di smettere di lavorare ad una certa età, né tantomeno di continuare a lavorare e risparmiare una volta che si sia assicurata una pensione "ragionevole".

    Ci sono persone che desiderano lavorare per tutta la vita; altre vogliono dedicarsi il prima possibile alle loro passioni o alla loro vera vocazione. Il sistema a ripartizione non garantisce queste preferenze, queste scelte individuali, salvo i casi in cui una forza esterna collettiva non faccia pressione per ottenere, ad esempio, una più bassa età pensionabile per soddisfare le istanze di qualche influente gruppo politico. In altre parole, la realtà sopra descritta viene meno con il sistema a ripartizione, il che comporta il pagamento di un alto prezzo in termini di soddisfazioni umane.

    Il sistema a capitalizzazione individuale, al contrario, permette che i diversi gusti personali si traducano in decisioni individuali che producono i risultati desiderati. Nelle succursali di molti AFP ci sono computer che permettono al lavoratore di calcolare l'esatto valore che avrà la sua pensione nel momento in cui volesse ritirarsi dal lavoro. Il lavoratore può inserire nel terminale il valore dei soldi che vorrebbe ricevere nel momento in cui andrà in pensione e ottenere come risultato quanto lui deve depositare mensilmente per essere certo della cifra che avrà a disposizione il giorno n cui si ritirerà. Ovviamente, può modificare le sue decisioni col passare del tempo, in base al rendimento del suo fondo pensione. Ciò che è fondamentale è che il lavoratore può determinare l'età prevista per la pensione nello stesso modo in cui una persona decide di farsi fare un abito su misura.

    Al momento della pensione, il lavoratore può scegliere due meccanismi. In un primo caso, un pensionato può usare i risparmi del suo conto personale per acquistare un vitalizio da una società di assicurazioni privata che gli garantirà una rendita mensile costante per tutta la vita, attualizzata con l'andamento inflazionistico (il mercato dei capitali cileno offre buoni indicizzati affinché la società possa fare i suoi investimenti). L'altra alternativa per il pensionato è lasciare i suoi fondi sul conto a capitalizzazione individuale e fare prelievi in maniera programmata. In questo caso, se morisse, i soldi rimanenti sul suo fondo diventano parte dell'eredità. In entrambi i casi, un pensionato può ritirare tutta la cifra, in una sola volta, dei fondi in eccesso rispetto a quelli necessari per avere un vitalizio o per fare prelievi programmati mensili equivalenti al 70% dei suoi ultimi stipendi.

    Con il sistema a capitalizzazione individuale, la popolazione attiva non sussidia il sistema pensionistico. Perciò, al contrario rispetto ad un sistema a ripartizione, non esiste alcun conflitto intergenerazionale e tantomeno si prospetta un'eventuale bancarotta nel momento in cui la popolazione invecchia.

    Il conto di ciascun lavoratore è completamente trasferibile. Dato che i fondi debbono essere investiti in strumenti commerciali, il conto a capitalizzazione individuale ha un valore giornaliero, quindi è facilmente trasferibile da un AFP ad un altro. Non danneggiando la mobilità stessa del lavoratore, sia all'interno di un paese che internazionalmente, il sistema a capitalizzazione individuale aiuta a creare flessibilità nel mercato del lavoro e non sussidia, ma tantomeno penalizza, gli immigrati.

    Le persone scelgono ogni giorno che passa se lavorare qualche ora al giorno o se interrompere la propria vita lavorativa, specialmente si tratti di donne o gente giovane. Nei sistemi a ripartizione queste forme di flessibilità del lavoro creano problemi per ciò che concerne il pagamento delle contribuzioni. Nei sistemi a capitalizzazione, invece, non accade.

  4. #4
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    La transizione

    Una scommessa è prospettare un sistema a capitalizzazione individuale ex novo; un'altra, in paesi in cui esiste un sistema a ripartizione, è la transizione verso il sistema a capitalizzazione. Ovviamente, la transizione deve tener conto delle particolari caratteristiche di ogni paese, specialmente con riferimento alle necessità particolari di ciascuna situazione preventivata.

    In Cile abbiamo stabilito tre regole per la transizione del nostro sistema:

    1 - Il governo ha garantito ai pensionati che le loro pensioni non sarebbero state toccate dalla riforma, perché sarebbe stato ingiusto ridurre loro i benefici ad una certa età.

    2 - Tutti i lavoratori che stavano maturando la loro pensione nel sistema a ripartizione ha avuto la possibilità di scegliere se restare in quel sistema o cambiare per quello nuovo a capitalizzazione individuale. Coloro che hanno lasciato il vecchio sistema per aderire a quello nuovo hanno ricevuto un "buono di riconoscimento" (un buono indicizzato che garantisce un interesse del 4%). Il governo paga questo buono al lavoratore quando questi raggiunge l'età pensionabile prevista dalla legge. I buoni possono essere transati sui mercati di capitale secondari, in modo da poter essere utilizzati per ottenere un pensionamento anticipato. Il buono, insomma, rappresenta i diritti acquisiti dai lavoratori durante la loro permanenza nel sistema a ripartizione. In questo modo, il lavoratore che ha scelto il sistema a capitalizzazione individuale non è costretto a cominciare da zero la maturazione della sua pensione.

    3 - Le persone che si aggiungono ex novo al mondo del lavoro fanno ingresso direttamente con il nuovo sistema. Per loro l'altro sistema non esiste, dato che era insostenibile economicamente per il governo. In questo modo si garantisce un termine al vecchio sistema a ripartizione, che smetterà di esistere nel momento in cui l'ultimo dei lavoratori che a questo sistema continua ad aderire raggiungerà l'età del pensionamento. In questo modo, il governo pagherà pensioni statali solo per un periodo limitato, a termine appunto.

    Dopo molti mesi di discussione a livello nazionale in merito alla riforma in oggetto, nonché dopo un notevole sforzo di comunicazione al fine di spiegare alla popolazione in cosa consistesse, la riforma pensionistica è stata approvata il 4 novembre del 1980.

    La legge ha stabilito una data d'inizio certa (1 maggio 1981) per il nuovo sistema legato agli AFP. In Cile, come in molti paesi del mondo, il primo maggio coincide con la festa dei lavoratori. I simboli sono importanti e abbiamo scelto appositamente questa data per permettere ai lavoratori di celebrare quella data non come "giorno di lotta di classe", ma come il giorno in cui essi hanno guadagnato la libertà di controllare le loro risorse in vista del ritiro dal lavoro, liberandosi così dal sistema pensionistico statale. Insieme alla creazione del nuovo sistema, si è anche posto fine all'illusione che esistono vantaggi per le imprese e per i lavoratori nell'aderire ad un sistema pensionistico statale.

    Da un punto di vista economico, ogni contribuzione è finalmente pagata dalla produttività marginale del lavoro, dato che l'imprenditore fa l'analisi di quanto gli costerà quel lavoratore - sia per le contribuzione all'istituto di previdenza che per quelle che riguardano lo stipendio - nel momento in cui decide il contratto e il pagamento. Con la transizione da un sistema all'altro si è ridefinita la contribuzione d'impresa come stipendio lordo e da questo si è dedotto quanto deve contribuire il lavoratore. In questo modo, si rende evidente che tutte le contribuzioni le paga il lavoratore, evitando qualsiasi manipolazione politica soprattutto per quel che concerne le tasse. Ovviamente, il livello finale degli stipendi è determinato dal mercato.

    Il costo, e quindi il finanziamento, della transizione è una questione estremamente tecnica che ciascun paese deve risolvere in base alla propria situazione reale. La Banca mondiale aveva stimato che il debito accumulato dal sistema pensionistico a ripartizione cileno fosse, nel 1980, intorno all'80% del Prodotto interno lordo (Pil). Lo stesso studio afferma che "il Cile è la dimostrazione di come un paese con un sistema bancario ragionevolmente competitivo, un mercato dei capitali che funziona bene, e stabilità macroeconomica può finanziare deficit per la transizione grandi, senza ripercussioni pesanti sul tasso di interesse".

    Il Cile ha usato simultaneamente cinque metodi per finanziare la transizione del sistema pensionistico:

    1 - Dato che i contributi da versare in un sistema a capitalizzazione individuale sono inferiori a quelli necessari in un sistema pubblico, la differenza fra queste due contribuzioni è stata utilizzata come tassa sulla contribuzione senza ridurre gli stipendi netti o incrementare il costo del lavoro per gli imprenditori.

    2 - Il finanziamento per la transizione s'è suddiviso con le generazioni future attraverso l'emissione di buoni del tesoro di Stato con tassi di interesse di mercato. Questi buoni a lungo termine sono stati comprati soprattutto dagli AFP come parte dei loro portafogli di investimenti. È bene chiarire che questa emissione non è un "nuovo debito", ma solo il riconoscimento di una "frazione" del debito esistente causato dal sistema a ripartizione.

    3 - La necessità di finanziare la transizione s'è dimostrato un importante incentivo per ridurre le eccessive spese del governo. Per molti anni, il direttore del Ministero del bilancio ha potuto usare questo importante argomento per respingere nuove spese o per ridurre programmi governativi inutili. Quindi, lo Stato ha contribuito in maniera determinante all'aumento del risparmio nazionale, un altro effetto indiretto della riforma delle pensioni.

    4 - L'incremento di crescita economica promosso dal nuovo sistema ha fatto aumentare a sua volta le entrate tributarie. Bisogna ricordare che il Cile sta avendo una crescita del Pil del 2-3% in più rispetto a quanto preventivato.

    5 - Cinque anni dopo aver fatto partire il nuovo sistema, e una volta che i fondi pensione avevano accumulato sostanziose risorse, si è iniziato a privatizzare le grandi imprese statali. Le risorse ottenute dallo Stato non sono state enormi, dato che le imprese non erano in buone condizioni economiche, però questo ha contribuito a finanziare la transizione.

  5. #5
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    I risultati

    Il sistema pensionistico privato del Cile oggi amministra un fondo di investimenti da 25 miliardi di dollari. Questo investimento di capitali a lungo termine non solo ha favorito la crescita economica, ma anche stimolato lo sviluppo di istituzioni e mercati finanziari efficienti. La scelta di dar vita al sistema a capitalizzazione prima e di privatizzare le grandi aziende di Stato poi, ha creato un circolo virtuoso. Ha offerto ai lavoratori l'opportunità di beneficiare dell'aumento della produttività delle compagnie private permettendo loro, grazie ad un innalzamento dei prezzi delle azioni, di catturare una parte apprezzabile della ricchezza creata durante il processo di privatizzazione.

    Esistono circa 15 Amministratori di Fondi Pensione in Cile. Alcuni appartengono a gruppi bancari o assicurativi. Altri sono di proprietà dei lavoratori o sono legati ad associazioni di industriali. Alcuni contemplano la partecipazione di finanziarie internazionali, come la AIG, Aetna, Citicorp e la Banca di Santander. Alcuni degli AFP più grossi sono quotati nella Borsa valori cilena e, recentemente, uno di questi ha emesso azioni anche a Wall Street (grazie ad un ottima classificazione creditizia).

    Uno dei risultati più importanti del nuovo sistema è stato l'incremento della produttività dei capitali nell'economia cilena e, conseguentemente, la crescita economica. I fondi pensione privati hanno trasformato il mercato dei capitali in un mercato più efficiente, facendolo anche crescere. Le enormi risorse che gli AFP gestiscono hanno favorito la creazione di nuovi strumenti finanziari.

    Un altro contributo della riforma pensionistica è stato quello di aver creato un'industria domestica per la classificazione dei rischi per gli investimenti (Gli AFP nominano direttori esterni indipendenti in quelle aziende in cui hanno investito i loro soldi).

    Da quando il nuovo sistema è entrato in funzione, primo maggio 1981, la rendita media reale è stata del 12% annuale (fatta salva l'inflazione), ovvero di tre volte superiore rispetto al rendimento che era stato stimato al 4%. Ovviamente, il rendimento annuale ha subito le oscillazione del mercato (passando da un -3% ad un +30% di rendimento), ma ciò che alla fine conta è il rendimento a lungo termine.

    Le pensioni pagate con il nuovo sistema sono state decisamente più alte rispetto al vecchio sistema amministrato dallo Stato, che tratteneva dallo stipendio il 25%. Secondo Sergio Baeza, coautore del libro "Quindici anni dopo: uno sguardo al nuovo sistema pensionistico privato" (1995), il pensionato medio di un AFP sta ricevendo una pensione pari al 78% delle sue entrate annuali durante gli ultimi 10 anni lavorativi. Inoltre, i lavoratori al momento del ritiro possono riscuotere la cifra eccedente risparmiata (per tutti coloro che superano il limite del 70% del salario). Se anche questo denaro venisse incluso nel calcolo del valore della pensione, il valore totale di quest'ultima si avvicinerebbe all'84% dello stipendio. I beneficiari di pensioni di invalidità o disoccupazione ricevono anch'essi una media del 70% dei loro salari.

    Insomma, il nuovo sistema pensionistico ha contribuito a diminuire la povertà, mentre incrementava la certezza e il valore delle pensioni di vecchiaia, delle vedove, degli orfani e di invalidità. Ma è anche riuscito, sia pur come effetto indiretto, ad incrementare parecchio la crescita economica e i posti di lavoro disponibili sul mercato.

    Il nuovo sistema, inoltre, ha eliminato la mancanza di equità del vecchio sistema. Ci sono persone che erroneamente credono che il sistema a ripartizione ridistribuisca le entrate dei lavoratori ricchi verso quelli poveri. Invece, molti recenti studi dimostrano che accade esattamente il contrario.

  6. #6
    Mé rèste ü bergamàsch
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    La conclusione

    Non è così sorprendente, allora, che il sistema a capitalizzazione individuale sia così popolare tra i cileni, visto che ha aiutato a promuovere la stabilità stessa del paese. I lavoratori apprezzano il fatto che il sistema è giusto e che tramite i loro conti pensione riescono ad essere direttamente interessati agli umori dell'economia. Così come una parte delle azioni emesse dalle imprese cilene più grosse appartengono ai fondi pensione privati, allo stesso modo i lavoratori sono da considerare di fatto investitori nella proprietà del paese.

    Quando, nell'81, il sistema a capitalizzazione individuale è stato inaugurato, i lavoratori hanno avuto la possibilità di scegliere tra il nuovo sistema e quello precedente, quello statale. Mezzo milione di essi (un quarto della forza lavoro) ha subito aderito al nuovo sistema durante il primo mese. Oggi, il 93% dei lavoratori fa parte del sistema a capitalizzazione.

    Più passa il tempo e prima scomparirà il sistema pensionistico statale: in questo modo i politici non avranno più potere sulle pensioni. In questo modo le pensioni non saranno più un tema di conflitto politico e di demagogia da spendere durante le elezioni, come accaduto in passato. Le entrate di un pensionato dipenderanno solo dal suo lavoro e dal successo dell'economia, non dal governo a dalle pressioni politiche di certe lobby.

    Per i cileni, oggi, i conti pensione rappresentano un diritto di proprietà reale e tangibile e rappresentano una certezza al momento del pensionamento. È stato calcolato che la più importante fonte di reddito di un cileno non è più l'auto usata o la piccola casa in cui abita (magari ipotecata), ma il capitale che ha sul suo conto pensione individuale.

    Finalmente, questo nuovo sistema pensionistico privato sta avendo effetti politici e culturali importanti. I lavoratori cileni hanno fatto la scelta di aderire a questo sistema, benché molti leader sindacali lo sconsigliassero. Ma i lavoratori si preoccupano molto dei fatti che sono strettamente connessi con le loro vite, come la pensione, la salute e l'educazione. Quindi, fanno scelte ponderate pensando alle loro famiglie e non a seconda delle tendenze politiche del momento. In effetti, questo nuovo sistema lega a doppio filo i lavoratori cileni con lo sviluppo e l'economia. Il lavoratore cileno medio non è indifferente al comportamento della Borsa valori o del tasso di interesse. Quando i lavoratori si rendono conto che sono proprietari di una frazione del paese, non per mezzo di partiti politici o "Politburo", essi capiscono e aderiscono di più al libero mercato e ai valori di una società libera.
    Questa è la breve storia di un sogno che è diventato realtà. La lezione finale è dunque che le rivoluzioni che hanno successo sono quelle che hanno fiducia nell'individuo e nelle meraviglie che l'individuo può realizzare quando è libero.


 

 

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